15. GOYA
Lasciamo la mia Astra al parcheggio coperto del Policlinico. Anche questa cosa che continuano a rinfacciarmi per quale motivo acquisto solo macchine familiari quando non ho neppure uno straccio di fidanzata non è che faccia un gran bene alla mia autostima.
Michele è con noi.
Quando gli ho proposto la mostra di Goya ha subito sfoderato la scusa di voler dedicare il pomeriggio a buttare giù qualche pagina del suo libro. Appena ha saputo che la proposta arrivava da Daniela il libro è andato a farsi benedire in tempo zero.
Oggi la coda davanti a Palazzo Reale è accettabilmente umana. Entriamo in meno venti minuti.
Forse Goya non attira poi così tanto.
Anche Michele non lo conosceva.
“La mostra di chi?”
“Goya. E’ un pittore spagnolo.”
“Ma roba cubista? Tipo Picasso?”
“No. Non è roba cubista. Non è che tutti gli spagnoli sono cubisti”.
Alla fine ho deciso di rispondere con un neutro “ok” al messaggio ricevuto. Ho chiesto a Michele se qualcuno dei ragazzi aveva cambiato numero o se lui aveva un finale 4672 tra quelli memorizzati ma in entrambi i casi la risposta è stata negativa.
Guardo le tele. Non che mi piacciano particolarmente. Troppo cupe.
Ne approfitto per lasciar vagare i miei pensieri.
Rifletto un po’ su tutto.
Sulla squadra, su Eliana, su Michele e Daniela, sul manifesto del Cortesi, su quello strano messaggio ricevuto. Chi sarà mai? Magari il Nero. Ma certo, ha cambiato numero di telefono. Per questo non risponde al cellulare.
Vorrà vedermi per scusarsi. Ma sì, dev’essere sicuramente così.
L’esposizione non è molto grande. Cinque sale in tutto.
Navigando nei miei pensieri mi sono accorto di averla già percorsa almeno quattro o cinque volte.
E ho notato che Michele è fermo davanti allo stesso dipinto da almeno una mezz’ora buona.
Mi affianco a lui.
Sta osservando “Saturno che divora i suoi figli”.
“E’ bellissimo!”
“Beh, proprio bellissimo non direi. E’ inquietante.”
“E’ stupendo. Non ci sono parole.”
“Se lo dici tu”.
“Potrei usarlo come spunto per il mio libro. Cosa ne pensi?”.
“E’ basato su un racconto mitologico.”
“Ah. Quindi non potrebbe andare bene?”
“Può andar bene tutto Michele. Dopo tutto non c’è molta differenza tra la mitologia e il fantasy. Non trovi? Anzi. Visto il soggetto potrei anche utilizzarlo per il manifesto elettorale del Cortesi.”
La mia battuta cade nel vuoto. Eppure non mi sembrava male.
Michele è rapito dal dipinto.
Mi allontano e lo lascio meditare ancora un poco di fronte al capolavoro dell’artista spagnolo. Qualche quadro dopo mi si affianca Daniela.
“Potremmo fermarci a Milano per una pizza questa sera. Non ti va?”
“Non posso”.
“Non puoi?”
“Non posso. Ho un appuntamento.”
“Un appuntamento? Tu?”
“Lo trovi così buffo?”
“No. Ma… Un appuntamento con chi?”
“Eh…”
Spiego a Daniela del messaggio ricevuto e delle mie ipotesi sul Nero. E’ perplessa.
“Hai considerato l’ipotesi che potrebbero aver semplicemente sbagliato numero?”
“Sì, certo. Ma gli ho risposto e si sarebbero accorti che la risposta è arrivata da un numero non memorizzato. Spero”.
“Mah.”
“Non ti convince?”
“Non molto. Vuoi che ti accompagni?”
“No, grazie mammina. Posso fare da solo”.