Un fischio acuto mi perfora i timpani.
«In fila per uno, in ordine di altezza!»
Mi metto alla testa del gruppo. Davanti a me, solo la parete bianca. Mi volto indietro e vedo Gaia. Due anni fa, in quarta ginnasio, era a metà della fila; adesso invece svetta tra i più alti. Vorrei poterla raggiungere, essere alta come lei.
Vorrei almeno poter retrocedere di un paio di posizioni. Invece sono la più bassa della classe anche quest'anno, nonostante le iniezioni di GH.
Un secondo fischio mette in fuga la coppia di tortore che ha fatto il nido sulle travi del soffitto. Scappano da una finestra semiaperta, spargendo a terra un sacco di piume e di merda.
Inizio a correre lungo il perimetro della palestra, seguita dai compagni che mi sorpassano, uno dopo l'altro.
Non l’ho mai capita sta storia di dover correre in ordine di altezza, con la più bassa ad aprire la fila. È ovvio che, se hai le gambe corte, i più alti ti superano.
Gaia mi passa accanto e mi dà una spinta.
«Levati dalle palle, nana!»
«Dài Barbieri svegliati, cazzo!» Il prof sbraita da bordo campo. Ce l'ha con Elisa, la mia compagna di banco, che non è riuscita a intercettare un servizio. Elisa non è alta, anche se è almeno dieci centimetri più di me, e fa fatica.
La pallavolo non è per tutti.
Stare in panchina è noioso, ma è sempre meglio che entrare in campo.
Il professore di ginnastica di quest'anno vuole vincere per forza il campionato delle scuole superiori e fa giocare solo le più brave.
È dall'inizio del quadrimestre che, dopo la corsa di riscaldamento e gli esercizi, mi fa sedere in panchina fino alla fine dell'ora. Per fortuna.
L'insegnante dell'anno scorso, invece, faceva giocare tutte perché diceva che l'importante è superare i propri limiti, migliorare se stesse.
E ogni volta era un incubo. La pallavolo è un incubo. Non riesco mai a intercettare la palla, arrivo sempre in anticipo o in ritardo.
La genetista mi ha spiegato che il problema è nel mio cervello, che non riesce a percepire bene la distanza e la velocità di un oggetto in movimento. Quindi se qualcuno mi lancia, che so, delle chiavi o dei fazzoletti da prendere al volo, io non ci riesco. Li faccio cadere. E quando gioco non riesco mai a prendere la palla. Sono lenta, scoordinata, faccio cagare.
Non come Gaia, che è la migliore.
Alice si siede di fianco a me e la panca cigola sotto i suoi 120 chili. Anche lei non gioca. Rumina una gomma e puzza di sudore. Non mi sta simpatica per niente. È alta e, se volesse, potrebbe essere figa e giocare con le altre. Invece si ingozza come un maiale. Poi si lamenta se la pigliano per il culo.
No, la pallavolo non è per tutti.
Mi alzo e vado verso l'uscita. Il prof è così impegnato con la partita che nemmeno se ne accorge. Prendo le scale e scendo giù, nella palestra piccola.
I ragazzi fanno ginnastica separati dalle ragazze. In classe nostra i maschi sono solo sei. A loro basta questo piccolo spazio e hanno un'altra professoressa. Un'insegnante per soli sei alunni. Giocano a calcetto. Quando qualcuno sbaglia un passaggio si insultano a vicenda, in quel modo cameratesco tipico dei maschi, e un po' li invidio. Loro le cose se le dicono in faccia e poi amici come prima. Non come le ragazze, che si parlano dietro le spalle.
«Cosa fai qui?» la prof dei ragazzi si accorge di me. «Torna subito di là.»
Tre fischi brevi mettono fine alla partita di pallavolo.
«A cambiarsi, veloci!» strilla il professore.«Gardini, raccogli i palloni!»
Sbuffo. Tocca sempre a me.
Metto i palloni nel cesto e raggiungo le altre nello spogliatoio.
Appena entro, Gaia sghignazza attorniata da altre tre oche che ridacchiano.
Le ignoro. Prendo lo zaino con il cambio e la sacca blu con scritto L.O.T- Laboratorio Ortopedico Tonini. Sotto la scritta, il disegno stilizzato di un rachide. Vado verso i bagni e le sento ridere più forte. Faccio per togliere il busto dalla sacca ma qualcosa mi si appiccica sulle mani.
Lo tiro fuori e ho un moto di schifo. È tutto tappezzato di carta igienica bagnata, non voglio sapere di quale liquido. Dal collare di metallo che serve a sostenere la testa pendono quattro assorbenti. Usati. Non miei. Io le mestruazioni non posso averle.
«Ehi gobba di Notre-Dame, vuoi un aiuto per vestirti?»
Gaia è in piedi sulla porta del bagno.
Il ghigno che ha in volto si trasforma in una smorfia di stupore, solo un istante prima che il busto ortopedico le arrivi dritto sul muso e le spacchi la faccia.