Una gelida e sinistra brezza invernale sferzava le alte mura del castello, mentre il buio inghiottiva il paesaggio cavalcando la linea d’ombra proiettata sul terreno. Una cupa melodia pareva provenire dal maniero, come fosse un grande organo suonato dal vento che s’insinuava nella merlatura sputando le sue note tra i vigneti tutt’intorno e oltre, fino ai confini della Napa Valley.
Come sempre, nel giorno del ringraziamento, il castello di Amorosa era chiuso al pubblico. Una specie di liberazione per Mr. Van Wood, che tranquillamente passeggiava con il suo bastone di ebano nella grande sala dei cavalieri, vuota e silenziosa come non mai. Il ticchettio dei suoi stivali sul pavimento di legno, alternato a quello del bastone, rimbombava tra i cassettoni dell’alto soffitto e rimbalzava sulle affrescate pareti, convincendolo definitivamente che l’acustica della grande sala era perfetta.
“Eh già!” esclamò convinto e sorridente.
Scapolo, dal temperamento mite e piuttosto riservato, si era finalmente deciso a porre fine al suo secolare tormento, per cui avrebbe fatto qualsiasi cosa. Se soltanto avesse pensato a tante persone, chiassose e ilari, che s’ingozzavano di cibo e vino prima di danzare fino allo sfinimento, gli sarebbe venuto il voltastomaco. Ma era un prezzo che avrebbe pagato volentieri, poiché in cambio avrebbe finalmente ricevuto pace e libertà interiore.
Si guardò intorno: l’atmosfera era spettrale. Niente di meglio per la grande festa in programma per il 25 dicembre. Anche quel giorno il castello sarebbe stato chiuso e silenzioso, per cui il gran vociare, la musica e lo scricchiolio di ossa datate, sarebbero arrivati soltanto alle orecchie che potevano sentirli. Sorrise, compiaciuto di se stesso. Un incisivo traballante si staccò dalla mascella e cadde sul pavimento. Mentre s’avviava fuori dalla sala, lo pestò volutamente sotto la suola degli stivali, polverizzandolo. Questo gesto gli ricordò i suoi sigari preferiti, che spegneva allo stesso modo. Avrebbe organizzato un’altra festa, se necessario, pur di potersi fare ancora una boccata come ai vivi tempi.
Tutti quegli anni di solitudine gli avevano impolverato la vista. Con le dita della mano poste come artigli, scavò un poco nell’orbita oculare per estrarne il bulbo. Lo avvicinò al telefono e finalmente fu in grado di distinguere i numeri. Posò l’occhio accanto all’apparecchio e prese la cornetta.
Dopo qualche squillo: “Scoleri brother funeral home, buon giorno del ringraziamento e…condoglianze!” disse una voce che era passata da una sorta di euforia per gli auguri della festa a una tristezza gutturale per le condoglianze.
“Mi chiamo Jeroen Van Wood e non è morto nessuno” rispose l’uomo con voce pacata.
“Allora ha sbagliato numero!” ribatté ridacchiando il becchino.
“In realtà sono già tutti morti…devo richiedere un trasporto funebre…un numeroso trasporto funebre.”
Ci fu un attimo di silenzio.
“Chiedo scusa” disse con voce seria l’uomo dell’agenzia, “ma cosa intende per numeroso?”
“Una cinquantina di bare, dal cimitero di Langley a…” s’interruppe Van Wood, “la destinazione la saprete soltanto all’ultimo momento.”
“D - d’accordo,” balbettò l’impresario, dubbioso per l’insolita richiesta. Si convinse quasi subito che si trattasse di uno scherzo, ma decise di stare al gioco.
“Si può fare?” domandò deciso Van Wood.
“Certamente!” disse altrettanto deciso e con evidente ironia il beccamorto, “su per giù, considerando la destinazione ignota e il fatto che dovremo smuovere mezza città per trovare tutti i carri funebri necessari, il tutto le costerebbe circa cinquantamila dollari” aggiunse trattenendo a stento una risata.
“Perfetto,” rispose laconico Van Wood, “domani mattina un mio incaricato passerà da voi per corrispondere la metà della cifra. Il resto del denaro ve lo darò personalmente, dopo aver constatato che l’ultima bara sarà giunta a destinazione senza intoppi.”
Il più piccolo dei fratelli Scoleri era senza parole. Con voce scettica, chiese: “Per quando sarebbe il trasporto?”
“Il 24 dicembre.”
“Sul serio?”
“Avrete maggiori dettagli domani, insieme al denaro. Buonasera” tagliò corto Van Wood.
“Ce ne sono di pazzi in giro!” disse Giuliano Scoleri rivolgendosi al fratello che se ne stava svaccato su una sedia dell’ufficio, con i piedi sulla scrivania, addentando una coscia di tacchino avanzata dal pranzo.
“Meglio un pazzo morto!” esclamò Giovanni, sputazzando pezzi di tacchino masticati, “di che si tratta?”
“Te lo dico domani mattina, fratellone” rispose Giuliano, scettico più di prima.
L’indomani, di buonora, Giuliano si trovava già in ufficio per sistemare le solite scartoffie burocratiche. Anche perché la giornata si prospettava pesante: un’imbalsamazione, una vestizione, una salma da recuperare all’aeroporto proveniente da Cuba, due funerali al pomeriggio. Mentre con lo sguardo scorreva l’agenda, qualcuno suonò al citofono. Un altro morto? Poteva essere.
“Scoleri funeral home.”
“Delivery, per i fratelli Scoleri. Espresso. Uuuuuurgente!”
Giuliano rimase sorpreso: veramente strano un corriere a quell’ora. Aprì il portone e subito dopo la porta d’ingresso dell’ufficio, rimanendo appoggiato allo stipite in curiosa attesa.
Dalle scale comparì un figura alta e snella, che indossava un casco integrale a coprigli quasi completamente il viso. Si vedeva solo la bocca e Giuliano non poté non notare quanto quell’unico particolare visibile avesse un che di animalesco, ferino.
L’uomo, senza dire una parola, porse a Giuliano un corposo plico allungando la mano guantata. Fece un leggero inchino e, sempre in silenzio, si voltò per andarsene.
“Grazie” farfugliò Giuliano. Girò il plico e spalancò gli occhi:
Per Scoleri Funeral Home. Jeroen Van Wood.
Fece appena in tempo, alzando lo sguardo, a scorgere il corriere che spariva dietro l’angolo delle scale.
“Giova, mi devi credere! Aveva un lunga e folta coda!” disse Giuliano con le mani nei capelli.
“Non dire cazzate! Avrai visto male” lo liquidò Giovanni dopo aver ascoltato, con distacco, ciò che gli aveva raccontato il fratello minore.
Cazzate o no, il plico conteneva venticinquemila bigliettoni. Tra le banconote, un foglio di carta ingiallito recava un messaggio: “La vigilia di Natale, presso la sala mortuaria del cimitero di Langley, troverete le bare da trasportare. Non ci sarà nessuno ad attendervi e comunque non fatevi domande. Le troverete in ordine di trasporto, a due a due. Voi Scoleri dovrete tassativamente trasportare le ultime due. La destinazione finale sarà indicata con un messaggio come questo posto sull’ultima cassa. Vi aspetto per il saldo del servizio. J. Van Wood.”
Giuliano lo lesse ad alta voce, con gli occhi sbarrati. Pareva terrorizzato. Giovanni, che non si sorprendeva mai, l’ascoltò annoiato.
“Giova, questa storia mi puzza” disse sospirando Giuliano.
“Di cosa? Di dollari?” lo schernì il fratello.
“Vaffanculo. Sto parlando seriamente! Secondo me dovremmo rinunciare.”
“E perché mai?”
“Non te lo dico. Anzi sì. Ho paura, ok?”
Giovanni scoppiò a ridere sguaiatamente, mentre si grattava vistosamente il sottopancia: “Cagasotto! Lo sei sempre stato. Stai con i morti dalla mattina alla sera e questo Van Proof ti fa paura? Ma che storia è?”
“Si chiama Van Wood. Non lo so, Giova, ho una brutta sensazione, è giusto che tu lo sappia” disse sconsolato Giuliano.
“Ed è giusto che tu sappia che io voglio gli altri venticinquemila verdoni!” tagliò corto il fratello maggiore, “perciò datti da fare, contatta tutte le imprese della città, ci servono carri.”
“Hai ragione Giovanni, mi sto facendo una paranoia inutile!” si convinse Giuliano.
“Mi avete fatto chiamare Signor Van Wood?” disse il lupo mannaro digrignando i denti.
“Ah, Wolfango, ho bisogno di te!” esclamò Van Wood, “prenditi tutti i trolls di cui hai bisogno, c’è da sgomberare la sala per l’arrivo delle bare.”
“Ma signore, hanno appena finito di apparecchiare i tavoli!” ribatté il lupo.
“Davvero? E chi l’avrebbe ordinato?” disse seccato Van Wood.
“Voi, signore” rispose Wolfango chinando il capo e sbavando tutto il pavimento.
“Mi sto rimbambendo. Hai ragione. Allora, per favore, chiama Angelica, è invitata alla festa, ma ho bisogno della sua magia, non abbiamo molto tempo. Mi deve far sparire l’allestimento. Temporaneamente.”
Wolfango girò qualche pagina della rubrica del telefono: “Angelica Malefica, signore?”
“Esatto, proprio lei. Chiamala subito”, Van Wood si stava agitando, “Ah, Wolfango! In cucina tutto a posto? Tutto sporco? Hai controllato tutte le provviste per il menu? Sono arrivati i Van Boccell e la sua band per il ballo? Hai tolto le sacche dalla ghiacciaia? Non voglio far figuracce con Vlad. Hai guardato il meteo? Ci sarà luna piena?”
“Auuuuuuuuu! Signore, calmatevi! E’ tutto a posto!”
Van Wood sospirò, rendendosi conto del suo stato di agitazione: “Scusami Wolfango. Odio le feste ma, sarà perché la organizzo io, la sto sentendo particolarmente.”
Wolfango ansimava sfiatando dritto in faccia a van Wood e sbavando copiosamente: “Mi dispiace che ve ne andate, signore.”
“Mio caro, dispiace anche a me,” sussurrò il mezzo scheletro, “ma sono stufo di fare questa vita sotterrata. E’ il momento che anche la mia anima trovi ristoro.”
“Sissignore, avete ragione, au au au, sono onorato di essere stato al vostro servizio, au au au” farfugliò il licantropo.
“Mr. Van Wood” esclamò qualcuno. L’eterno decomposto e il lupo si girarono ma non videro nessuno.
“Sono qui sotto” disse lo gnomo egiziano. Fu scriba del faraone Tutancatmon.
“Ah!” urlò soddisfatto Van Wood, “Wolfango, abbiamo il menu! L’ho pensato personalmente. E per realizzarlo ho ingaggiato il migliore! Guarda qua!”
Festa della DD (dipartita definitiva)
Jeroen Van Wood – n. 23/10/1818 m. 25/12/1899
Antipasti
Piccola battuta di iguana delle Galapagos, granella di guano e chutney di mandragora
Filetto di murena marinata, olio aromatizzato alla tibia e polvere di calabrone essiccato
Occhi di raganella saltati su letto di rovi spinosi, ristretto di veleno di vipera
Primi
Tortelli di pelle ripieni al verme, burro di ratto e biancospino confit
Risotto invecchiato sotto zinco ai sapori del cimitero
Secondi
Diavolo della Tasmania arrosto, cicuta saltata e coulis di blatte
Sorbetto alla malmignatta
Terrina di squaletto decomposto, tela di ragno e crema di bile
Dolce
Cervello di gufo semifreddo
“Che ne pensi Wolfango?” chiese Van Wood con soddisfazione.
“Auuuuuuuu!” rispose il lupo sbavando.
Il gran corteo di carri funebre si dirigeva ordinato verso il cimitero di Langley. Chiudevano la fila i due mezzi della Scoleri brother. Nulla, quella sera, faceva presagire qualcosa di male, nulla era insolito. L’abitudine ad aver a che fare con la morte tutti i giorni, non aveva minato la felicità di quegli uomini per l’imminente festa del Natale. Giovanni, come al solito, pensava di concludere in fretta per tornarsene a casa; Giuliano, nonostante un filo d’inquietudine scorresse insieme al suo sangue, aveva smesso di farsi domande e anche lui voleva portare a termine il servizio in fretta.
I primi carri iniziarono a caricare le casse, che come indicato erano in fila a due a due nella grande camera mortuaria. Erano tutte datate, lo si vedeva dal legno che aveva perso la sua lucentezza. Nessuna, stranamente, recava una data o un nome. Soltanto l’ultima era diversa dalle altre: non solo perché sembrava essere più recente, ma soprattutto perché sul coperchio aveva un altorilievo con una forchetta e un cucchiaio incrociati. Appena più sotto, c’era appuntato un biglietto di carta ingiallita.
Giuliano lo afferrò e lo lesse insieme al fratello.
“Lo conosco il castello di Amorosa” esclamò Giovanni.
“Ci andavi con le tue puttane?” rispose piccato Giuliano.
“Ma che c’entra?” tagliò corto il fratello maggiore.
“C’entra che…” ci fu un attimo di silenzio, “il castello chiude al pubblico soltanto tre giorni l’anno, ovvero nel giorno del ringraziamento, la vigilia di Natale e Natale. L’ho visitato tempo fa e me lo ricordo benissimo!” ribatté Giuliano. E aggiunse: “Adesso telefono immediatamente ad Amorosa!”
“Fatti i cazzi tuoi!” urlò Giovanni bloccando la mano del fratello che aveva già il telefonino in mano, “non è affar nostro che cazzo succede là, noi trasportiamo, incassiamo e arrivederci. Siamo professionisti, o no?”
Giuliano rimise il telefono in tasca e guardò il fratello dritto negli occhi. Non era per nulla convinto.
Effettivamente il castello di Amorosa era deserto. Il portone era spalancato sul cortile, come se qualcuno, nessuno, attendesse effettivamente il corteo. Non c’era nessuna luce eccetto un debole lume di candela che proveniva dalla sala principale. Gli Scoleri s’aspettavano di trovare Van Wood, ma il silenzio era totale. Decisero dunque di iniziare a scaricare le bare e posarle, nello stesso ordine in cui erano state caricate, all’interno della sala dei cavalieri. A mano a mano che le casse venivano adagiate sul pavimento, i carri s’allontanavano dal castello per far ritorno in città. Ci volle una buona mezz’ora prima che i fratelli potessero scaricare le ultime due bare dai loro carri.
“Qui, in tempi antichi, i signori del castello facevano grandi feste con abbondanti banchetti e danze sfrenate” disse Giuliano a Giovanni mentre posavano la prima cassa. Giovanni annuì con indifferenza.
“Che mal di schiena!” disse Giovanni imprecando mentre toglievano dal carro l’ultima bara, “beh, dove sarà questo Van Wood?”
“Giova. Che ne dici se vediamo chi è questo qui?”
“Non ci pensare nemmeno, troviamo questo Van Wood piuttosto!”
Posarono la cassa sul pavimento, si girarono verso l’ingresso della sala e videro Van Wood ad attenderli. Era un signore di una certa età. Aveva lunghi capelli bianchi e un viso pallido; vestiva una giacca lunga di raso blu e indossava dei pantaloni aderenti da cavallerizzo infilati in lunghi stivali neri che gli arrivavano sotto il ginocchio. Pareva un uomo d’altri tempi, anche per il bastone che impugnava nella mano destra e che sembrava sorreggerlo più delle sue stesse gambe.
“Jeroen Van Wood?” esclamò direttamente Giovanni.
“Voi dovete essere i fratelli Scoleri, benvenuti ad Amorosa. Ho qui…”
Van Wood vide due ombre passare veloci dietro ai becchini. Non capì subito finché non li vide entrambi tremare nella semi oscurità, come fossero in preda a delle convulsioni. Di colpo, poi, i due stramazzarono a terra.
Van Wood era pietrificato. Si rinsavì dopo qualche minuto e si avvicinò agli Scoleri, che non davano segni di vita. Fu così che si accorse di una presenza.
“Vlad! Ma cosa hai combinato?” disse Van Wood allargando le braccia.
“Jeroen, scusami! Ma non ce la facevo più!” rispose sconsolato il conte.
“Cazzo Vlad! Ho svaligiato un ospedale per te!”
“Scusami, davvero! E poi anche Vampirina, tutto quel tempo dentro la cassa, con il tramonto già passato da ore…”
“Mi vuoi mandare a puttane la festa? Dai, lascia stare, ho un’idea, abbiamo poco tempo e gli ospiti stanno iniziando a uscire e la sala ad animarsi.”
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“Bastardi voi. Sì, voi, Van Craccken, Van Cannavalen, Von Der Barbie. E tutti gli altri. Soltanto io ho portato l’alta cucina e la passione nel farla in un’altra dimensione. Solo io ho varcato i confini del reale. Solo io sono veramente vivo!”
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“Gordon, scusami, abbiamo un problema” disse Van Wood indicando allo chef i cadaveri dei fratelli Scoleri.
“Ah, mi sorprendi sempre caro Jeroen! Ci penso io…e questa mi mancava!” rispose Gordon mostrando il suo verde sorriso.
Fu un gran battere d’ossa quando Van Wood, alla fine della cena, prese la parola per l’ultimo saluto agli ospiti.
“Cari amici, intanto grazie. Grazie a tutti per la vostra compagnia. Come sapete, non amo le feste, ma questa è l’ultima davvero e spero abbiate gradito. Ci tengo a ringraziare il mio più stretto collaboratore Wolfango. Chi di voi lo avrà al suo servizio sarà un cadavere fortunato. Ci tengo a ringraziare, per l’eccellente realizzazione del menu da me proposto, Chef Van Ramsey. Non è presente perché è ancora in cucina, ci sta preparando un fuori menu che sono sicuro apprezzerete. Del resto, dopo il grande ballo, vi verrà certamente un languorino. Malefica, sparecchia! Vi lascio con i Van Boccell che vi faranno scatenare! Grazie ancora a tutti!”
Van Wood aveva davvero finito. Era giunta l’ora di oltrepassare. Ticchettando con il bastone e gli stivali, il pelle ossa si lasciò alle spalle la grande sala dei cavalieri, piena di scheletri, carcasse, trolls e vampiri che ballavano indemoniati.
“Sì,” disse Van Wood, “è stata proprio una bella festa!”