TU SEI NIENTE
Era in piedi, gli occhi chiusi, nuda davanti allo specchio.
Non sapeva da quanto tempo si trovasse lì: uno, dieci, forse trenta minuti.
Le mancava il coraggio di guardarsi, aveva paura di non riconoscersi più.
***
“Ma come ti sei vestita? Sembri un salame, se respiri un po’ di più ti saltano i bottoni, sai che figura farai?” Era stato il primo commento sprezzante di suo marito ad averla fatta piangere.
“Sei diventata una grassona” le ripeteva “Come posso farmi vedere in giro con te conciata così?”
Lei all’inizio non si sentiva grassa, dopo la nascita di Lucia si era ammorbidita è vero, ma contava di tornare magra come prima, le serviva solo un po’ di tempo.
Ma Marco il tempo non glielo aveva mai concesso, continuando a rimproverarla tutti i giorni con durezza, senza risparmiarle nulla.
***
Giulia aprì la porta di casa. Ad accoglierla il solito buio, in sottofondo la telecronaca di una partita. Suo marito era sdraiato sul divano lo sguardo fisso sull'enorme televisore che si era comprato da poco.
"Ciao, tutto bene oggi? "
"Nulla di nuovo."
"Lucia è già a letto?"
"Non lo so, vai a controllare."
Si tolse le scarpe e sospirò per il sollievo, era stata una lunga giornata al lavoro.
"Mi faccio una camomilla ne vuoi un po'?"
Silenzio.
"Vuoi un po' di camomilla?" ripeté "Limone e poco zucchero come piace a te?"
"Si, si fammela."
Lo guardò ripensando a quando era lui la sera a prepararle il bagno e la sua tisana preferita alla rosa canina e zenzero.
"Tieni, fai attenzione che è ancora calda."
Lui allungò la mano distratto e lei gli posò sopra la tazza, con cautela, attenta che non la rovesciasse.
"Oggi al lavoro è stato un delirio, le casse si sono bloccate per dieci minuti. I clienti sembravano impazziti”
"Certo, certo… dai passa quella palla, a destra, passala a destra." si era seduto con il busto proteso verso lo schermo, per non perdersi nemmeno un’azione in campo.
"Senti, ti va se domenica andiamo a trovare Luca e Giovanna al lago, le previsioni dicono che farà bello ed è un sacco di tempo che non facciamo nulla insieme."
"Dobbiamo decidere proprio ora, sto guardando la partita, sai che non voglio essere… Cazzo no, ma no dai, guarda sti coglioni, si sono fatti fare gol come dei principianti. Braccia rubate all'agricoltura!"
"D'accordo, magari ne parliamo più tardi."
Si sedette vicino a lui guardando ventidue uomini correre disperati su un prato verde.
"È una bella partita?"
"Prima che arrivassi tu sì. "
"Va bene, ho capito. Sono stanca vado a letto, vieni presto?"
"Si, si, intanto vai."
In camera si spogliò e si mise la camicia da notte nuova, era di seta e le scivolava addosso piacevolmente. Sperava sempre che lui la raggiungesse presto.
"Ehi che ore sono?" "Sono le due. Dormi."
"E' tardi, ti sei addormentato di nuovo sul divano?"
"Sì, adesso dormi, sono stanco."
"Allora, per domenica, che dici? Possiamo andare?"
"Ancora con questa storia. E poi lo sai che la domenica pomeriggio ci sono le partite."
"Per una volta, potresti accontentarmi."
"Non so se te ne sei accorta, ma sono le due e qualcuno qui vorrebbe dormire."
"Va bene, va bene, domani chiamo Giovanna e le dico che abbiamo già un impegno."
"Ecco, brava." così dicendo si infilò a letto e le girò le spalle.
Lei gli si avvicinò piano e si rannicchiò dietro di lui, le piaceva farsi avvolgere dal calore emanato dal corpo del marito. Poi gli posò una mano sul fianco in un timido abbraccio.
"Ma allora lo fai apposta. Come faccio a dormire con il tuo peso addosso? Torno sul divano. Buonanotte."
"Buonanotte" sussurrò lei "ti amo." aggiunse, ma lui non la senti.
***
“No, no Giulia non la porto alla cena aziendale, ma ti pare? Se la vedono i grandi capi la promozione me la scordo. L’ho sposata per la sua bellezza, ti ricordi com’era? Adesso la sera aspetto che si addormenti per andare a letto, il solo pensiero di toccarla mi fa senso. No, guarda io passo proprio.” E rise, rise di lei sguaiatamente, incurante del fatto che avrebbe potuto sentirlo. Poi l’aveva vista nascosta dietro la porta, aveva scosso la testa disgustato ed era uscito senza nessuna parola di scusa.
Quando era rimasta incinta frequentava il terzo anno di Architettura, si era ripromessa di riprendere gli studi, ma i soldi erano poch,i così aveva lasciato la precedenza a Marco. Alla fine lei era rimasta intrappolata nella sua quotidianità, mentre lui spiccava il volo. Non aveva avuto la forza di aggrapparsi al suo sogno, aveva ragione lui quando le ripeteva in un loop senza fine “Tu sei niente.”
Quel giorno Giulia, dopo aver consumato tutte le sue lacrime, aveva preso una decisione: non l’avrebbe più deluso.
Iniziò a mangiare meno e ad andare in palestra. Contava le calorie, contava i passi, contava gli squat, continuava a contare, ma non bastava mai.
Marco trovava sempre qualcosa che non andava.
Le braccia troppo flaccide, le gambe troppo grosse, il seno cadente.
E allora lei tornava a contare, sempre più minuti in palestra e sempre meno calorie.
Voleva riconquistarlo, aveva bisogno di lui, dei suoi sguardi ammirati, delle sue briciole d’amore.
***
Era ancora lì, ferma, nuda davanti allo specchio senza il coraggio di guardarsi.
Una volta le piaceva, passava le ore a rimirarsi, prima di fianco con la gamba leggermente piegata e la testa vezzosamente rivolta verso lo specchio, poi di fronte provando vari sorrisi e scattando foto da postare su Instagram, cercando abiti dai colori brillanti che meglio esaltavano il suo incarnato.
Ora invece il suo guardaroba era tutto nero. I vestiti le cadevano addosso come se fossero ancora sulla gruccia, senza forma, senza vita.
Glielo aveva ripetuto anche Giovanna: “Devi guardarti, stai scomparendo.” le aveva detto con gli occhi colmi di lacrime. Lei invece di lacrime non ne aveva più. Le aveva consumate tutte di nascosto quando Marco non la vedeva.
***
Alzò la testa, gli occhi ancora chiusi. Un passo alla volta si disse.
Poi li aprì.
Lo specchio rifletteva il fantasma di una donna, la pelle opaca, le guance scarne, gli occhi spenti. Spostò lo sguardo più in basso e vide il seno vuoto, le ossa delle anche così sporgenti da sembrare innaturali.
Si avvicinò per vedere meglio accarezzandosi la pelle floscia. Faticava a riconoscersi
I capelli scendevano sul collo, pochi fili sottili senza anima. Non poteva essere lei, i suoi capelli erano sempre stati morbidi e vaporosi. Marco adorava passarvi le dita, se chiudeva gli occhi lo sentiva ancora scivolare dalla nuca giù per tutta la lunghezza, fino a chiuderli nel pugno arrotolandoli intorno al polso, tirandole indietro il capo, con forza, annusandoli soddisfatto.
Chiuse d'istinto gli occhi. Di nuovo.
Quella donna riflessa nello specchio non poteva essere lei.
Cominciò a contare: “Al cinque riapro gli occhi.” si diceva, poi al dieci e così via finché non prese di nuovo coraggio e lo fece.
In quel momento le parole di sua madre le risuonarono nella mente “Ricordati tesoro che per vivere un buon matrimonio ci vuole spirito di adattamento.”
Lei ci aveva provato, si era adattata, umiliata, ma non era stato abbastanza, perché Marco alla fine se ne era andato.
L’aveva osservato in silenzio fare la valigia, non le aveva nemmeno rivolto la parola, non era più alla sua altezza, non valeva nulla, non meritava il suo tempo. Prima di uscire le aveva detto senza guardarla negli occhi: “Domani pomeriggio torno a prendere il resto. Ho le chiavi non occorre tu rimanga a controllarmi” e aveva chiuso la porta. Aveva ascoltato il rumore dei passi giù per le scale svanire piano piano. Era corsa alla finestra e lo aveva visto aprire la macchina, dentro una giovane ragazza lo aspettava raggiante.
Li guardò andarsene, un sorriso sghembo sul volto. Sembrava la classica scena da film strappalacrime che le piacevano tanto, invece stavolta era la sua vita.
***
Era ancora in piedi nuda davanti lo specchio.
Guardava la busta avorio sul comodino. L’aveva appoggiata lì, in vista, prima di spogliarsi, voleva essere certa che Marco la leggesse. L’aveva scritta e riscritta un milione di volte, aveva scelto ogni parola con cura maniacale. Sentiva la necessità di esternare tutto quello che le si era aggrovigliato nello stomaco: l’amore, l’odio, la paura, il suo sentirsi niente.
Prese in mano la foto della piccola Lucia, aveva gli stessi suoi lineamenti, ma il carattere disinvolto del padre. Sarebbe cresciuta bene, sicuramente più forte della madre o almeno lei lo sperava. Mandò un bacio a quel viso sorridente e si diresse verso il bagno.
La vasca era colma, nell'aria il profumo di vaniglia, il suo preferito. Entrò tranquilla assaporando il tenero abbraccio dell'acqua calda. Nessun ripensamento.
Prese la boccetta di Xanax e senza esitazione la bevve tutta. Avvertì il retrogusto amarognolo che le pungeva la lingua, i muscoli che si rilassavano. Era pronta, sicura come non lo era mai stata.
Poi per l’ultima volta iniziò a contare "Uno, due, tre …".https://www.differentales.org/t728-sangue-droga-e-musica-trance#13466