Notte di Natale
Giovanni dormiva sereno nel suo letto e sognava; sognava Babbo Natale, vestito con la sua palandrana rossa, il suo cappello rosso con il pon pon bianco e la sua lunga barba bianca.
Babbo Natale lo stava chiamando, con l’inconfondibile risata gli stava dicendo di seguirlo, gli avrebbe fatto vedere dove si trovava la sua casa e, soprattutto, la sua immensa fabbrica di giocattoli.
Giovanni, al confine tra lo stato di veglia e lo stato di sonno si alzò dal letto, infilò gli scarponcini e la giacca a vento, scese al piano di sotto, aprì la porta e uscì nella gelida notte diretto verso i boschi.
Settembre
Giorgio stava rincasando quando notò il grosso Suv nero parcheggiato sulla destra della strada principale che percorreva per il lungo l’intero paese, all’altezza del civico 36,
Non si era mai visto da quelle parti un macchinone di quelle dimensioni e si chiese chi potesse aver fatto la follia di comprarne uno: solo l’ingegner Scalvi, forse, poteva permetterselo.
Entrò in casa e, prima ancora di salutarla, disse alla moglie: “Hai visto il macchinone che si è comprato lo Scalvi?”.
“Ma chi? Il Franco? Non sapevo che si fosse fatto la macchina nuova” gli rispose la Lucia intenta a sbucciare delle patate in cucina.
“Eh sì, l’ho appena vista qua fuori, un grosso SUV nero”.
“Ah quella, dici! No, non è dello Scalvi”.
Poi, abbassando la voce, quasi a non volersi far sentire, aggiunse “quella è la macchina del nuovo maestro della scuola; è arrivato stamattina dalla città”.
Natale – mattina
Lucia aprì la porta della stanza di Giovanni e con stupore osservò il letto del figlio vuoto.
Con un pizzico di inquietudine, cui si impose di non dare troppo peso, scese le scale sicura di coglierlo in flagranza di reato ai piedi dell’albero.
“Cosa fai lì” disse certa di sorprenderlo.
Ma sotto l’albero Giovanni non c’era e i regali che lei e Giorgio avevano sistemato la sera prima erano ancora tutti al loro posto.
Si stava agitando, lo sentiva, ma ancora una volta il lato razionale le disse che probabilmente Giovanni era sceso dal letto per andare in bagno.
Non lo ha mai fatto, lo sai, ti chiama sempre le stava dicendo una vocina nella sua testa.
“Giovanni… Giovanni!!!” si accorse che stava urlando adesso, mentre risaliva le scale.
“Cosa succede?” le chiese Giorgio ancora mezzo addormentato sotto le coperte.
Intanto Lucia, aperta la porta del bagno e visto che Giovanni non era nemmeno lì, cominciò a sentire una stretta allo stomaco e si accorse di respirare a fatica.
“Giorgio… Giorgio vieni, Giovanni è scomparso!”
Settembre
Un maestro maschio non si era mai visto al paese; e poi perché mai un maestro di quel livello e con un macchinone simile si andava a rinchiudere in quel buco sotto ai monti?
Questo, più o meno, era il tenore delle chiacchiere che le mamme si scambiavano fuori dalla scuola; era il primo giorno del nuovo anno scolastico e, benché non avesse ancora svolto la sua prima ora di lezione, il maestro Claudio Margoni sembrava avere il destino segnato.
Era un uomo, possedeva un macchinone da ricchi e non era del luogo: c’era bisogno di altre prove?
Natale – tarda mattina
Giorgio e gli altri uomini del villaggio non vollero aspettare l’arrivo dei Carabinieri dal paese vicino e si organizzarono in gruppi di quattro per battere i boschi che circondavano il borgo; era un lavoro immenso in quanto la superficie da coprire era sproporzionata rispetto alle forze numeriche.
I carabinieri arrivarono una ventina di minuti dopo che gli uomini erano partiti per i boschi; erano in quattro, il comandante della Stazione e tre giovani reclute apparse subito molto sveglie e operative.
Il Comandante aveva a lungo interrogato la Lucia per raccogliere quante più informazioni utili alla ricerca, finendo, però, solo con farle perdere la pazienza in quanto a lei era sembrato che il tempo passasse inesorabile senza fare passi avanti significativi.
In realtà l’interrogatorio era durato poco più di venti minuti dopodiché il Comandante aveva impartito istruzioni precise alle tre reclute che erano partite immediatamente in direzione dei boschi mentre lui chiamava anche i Vigili del Fuoco più vicini e un paio di unità cinofile adeguatamente addestrate.
Metà ottobre
Giovanni rincasò “strano”, quel giorno, da scuola.
Lucia capì subito che qualcosa non andava ma suo figlio sembrava impenetrabile.
Aveva provato tre o quattro degli espedienti più comuni per farlo parlare ma stavolta nessuno di questi aveva funzionato.
Giovanni pranzò e poi salì nella sua cameretta “a studiare”, come aveva detto.
Lucia a metà pomeriggio uscì per fare una commissione dicendo a Giovanni che sarebbe rientrata presto e poi si diresse a casa di Maria per vedere se poteva sapere qualcosa di più da Carletto.
“Ciao Lucia, entra, stavo giusto per fare il te; te ne va una tazza” l’aveva accolta Maria.
“Grazie Maria, ma sono solo di passaggio; ho lasciato Giovanni a casa da solo, oggi mi è sembrato un po’ strano dopo la scuola”
“Ma dai; anche Carlo, oggi, non ha quasi parlato a tavola…”
“Deve essere successo qualcosa a scuola, allora” sentenziò la Lucia con un tono che non ammetteva repliche.
“Pensi che sia stato il maestro?” chiese la Maria.
“E chi altri? I bambini si conoscono da una vita, anche se litigano poi tutto finisce in un attimo”
“Carlo mi ha raccontato che la settimana scorsa Gabriella non era preparata in italiano e alla fine della lezione il maestro le ha detto di fermarsi un attimo e sono rimasti in classe a parlare”.
Maria aveva abbassato la voce fino quasi a un sussurro. “Da soli!”
“Da soli?” chiese Lucia spalancando gli occhi.
“Da soli, il maestro e la Gabriella, hai capito?”.
Natale – ora di pranzo
In paese erano rimaste le donne e i bambini e nessuno aveva più voglia di festeggiare.
Nessuno alla fine ricordava chi era stato il primo a far girare la voce, forse la Donata o forse la Elvira.
Di sicuro c’è che la voce venne subito accolta come una verità calata dal cielo e in un attimo le donne circondarono la casa del maestro.
Com’è che, unico uomo in paese, non si era unito alle ricerche? E com’è che ancora non si era visto in giro? Chiuso in casa da quasi ventiquattr’ore?
Era chiaro che qualcosa non andava, quell’uomo probabilmente stava nascondendo un segreto.
Il sospetto è infido, si insinua nei pensieri, si insinua nei cuori, si insinua fin sotto pelle e una volta stabilitosi agisce come un veleno e non c’è modo di levarselo più di torno.
Ci volle un attimo, perciò, dopo che una delle donne aveva bussato alla porta di casa del maestro urlando “vieni fuori, fatti vedere se sei un uomo!” perché la situazione precipitasse verso un abisso senza ritorno.
Novembre
Giovanni e Carlo non avevano più avuto giornate “strane” e tutto era sembrato tornare a scorrere come sempre.
Ma nella mente dì Lucia e di Maria ormai si era messo in moto qualcosa che non erano più state in grado di fermare.
Gabriella non era stata l’unica bambina a essere fermata dal maestro a fine lezioni, nelle settimane era toccato anche a Filippo, a Francesca e a Paolo, tutti colti impreparati nel corso di interrogazioni sulle più svariate materie.
Sembrava che il maestro volesse sempre dare una seconda possibilità ai bambini; così, invece di mettere un brutto voto alla prima “caduta”, si limitava a fare loro un discorsetto e a rimandarli a casa con il diario immacolato.
I bambini, d’altra parte, non sembrarono scossi o turbati da queste brevi soste in classe e tutti superarono brillantemente le successive prove.
Ma che bisogno c’era di fare questi discorsi a fine lezione e, soprattutto, da soli?
Natale – poco oltre l’ora di pranzo
L’uomo che si presentò alla porta non sembrava lo stesso che ogni mattina, impeccabile nel suo abbigliamento, accoglieva i bambini davanti alla porta della scuola, mai un’assenza, mai un minuto di ritardo.
La barba incolta di almeno un paio di giorni, una tuta sformata addosso, due occhiaie come se non dormisse da quarantotto ore…
Rimase a guardare, con l’aria di chi non sa dove si trovi, quel nugolo di mamme che alzavano la voce e lo guardavano con occhi feroci.
“Cosa sta succedendo” provò a chiedere con voce appena comprensibile.
“Cosa hai fatto al mio Giovanni” gli urlò Lucia “animale!” concluse, poi.
“Non capisco di cosa stia parlando… dov’è Giovanni?”
“Diccelo tu, maledetto” gridò, di rimando un’altra donna.
Il branco era già fuori controllo ma il maestro ancora non se ne rese conto; chiuso nel suo dolore desiderava soltanto che quei giorni di festa passassero il più rapidamente possibile.
Dormire e mangiare, mangiare e dormire era l’unico programma che si era fatto per il giorno di Natale.
Ma ora qualcosa era cambiato improvvisamente.
Provò ancora una volta a capire cosa stesse succedendo lì fuori, provò a chiedere, a farsi sentire sopra a quel rombo che andava sempre più crescendo ma nessuna stava più ad ascoltarlo.
Finché un sasso, partito da chissà quale mano, lo colpì in pieno sulla fronte…
Fine novembre
Le indagini, affidate allo Scalvi, l’unico del paese che frequentasse con una certa regolarità la città, avevano infine portato i loro frutti.
Il “fatto” era accaduto qualche mese prima, una sera di metà maggio.
L’auto viaggiava a velocità sostenuta quando dopo una curva era stata investita in pieno da un camion che aveva perso il controllo.
La moglie e la figlia del maestro erano morte sul colpo.
Nonostante un tasso alcoolico appena sopra il limite, il maestro era stato completamente scagionato, troppo evidente era la colpa del camionista che, distratto dal cellulare, aveva invaso la corsia opposta.
Quello che nessuno, però, aveva saputo, era che quella sera la moglie del maestro non stava affatto bene e lui aveva dovuto molto insistere perché lei e la figlia lo accompagnassero.
Il premio vinto per il suo primo libro era per lui motivo di grande orgoglio e non poteva nemmeno immaginare di riceverlo senza avere al fianco le due donne della sua vita.
Quando si era risvegliato nel letto d’ospedale e gli avevano comunicato la triste notizia il mondo attorno a lui avevano finito di avere un senso.
Avrebbe voluto uccidersi ma sarebbe stata una punizione troppo leggera e così aveva deciso di continuare a vivere affinché ogni giorno potesse punirsi ricordando quanto era stato felice.
Dopo le notizie riportate dallo Scalvi, per gli abitanti del paese il maestro era diventato “quello che aveva ucciso la famiglia”.
Natale – primo pomeriggio
Come un branco di squali, alla vista del sangue, le donne persero anche l’ultima parvenza di autocontrollo e la parte animale prese il sopravvento.
Si scagliarono come un’unica persona verso il maestro che, in un sussulto di protezione, cercò di frapporre la porta di casa tra sé e quel gruppo di assatanate.
Troppo tardi…
Le donne, capeggiate da Lucia e da Maria presero e, letteralmente, sollevarono il maestro da terra e lo portarono nel centro della piazza, proprio sotto il grande albero addobbato di luci e festoni per il Natale.
Le bocche digrignate in un ghigno animalesco, i capelli al vento, gli occhi iniettati di sangue cominciarono a picchiare il povero uomo, pugni e calci si abbatterono su quel corpo a lungo anche quando, ormai, ogni segno di vita lo aveva abbandonato da un pezzo.
Infine, in un ultimo gesto di folle spregio, sollevarono quel che rimaneva del corpo del maestro e decisero di appenderlo a un ramo del grande albero come un fantoccio, una sorta di orrenda decorazione dedicata alla follia umana.
Natale – ancora primo pomeriggio
Le urla belluine delle donne del paese si erano appena quietate quando la voce di Giovanni si alzò forte e chiara dalla via principale: “Mamma” disse semplicemente mentre i suoi occhi si riempivano di orrore nel mettere a fuoco la scena.
Lucia si girò verso quella voce e i suoi occhi videro suo figlio Giovanni in braccio a Giorgio.
In un attimo fu come se un grosso squarcio aprisse il velo con cui la follia aveva ricoperto il suo cuore e i suoi occhi videro chiaramente quel macello che lei e le altre mamme del paese avevano appena appeso all’albero.
L’urlo che lanciò, prima di crollare al suolo, ghiacciò il sangue a tutti gli abitanti del paese.
Questo racconto è liberamente e indegnamente ispirato all’omonimo film di Thomas Vinterberg