A sentire quel che dice il babbo di Arturo, il nonno non ha lavorato un solo giorno in vita sua.
Via, che il nonno è pigro si sa, pure che prendere ordini non gli garba e che certo quando era più giovane gli piaceva fare tardi con gli amici e bere qualche bicchiere di vino, ma non esageriamo, non è certo un mostro.
Il fatto è che al babbo di Arturo piace metterlo in imbarazzo. Almeno, piace provarci, perché al nonno queste cose da un'orecchia gli entrano e dell'altra gli escono. Anzi, gli garba pure di farci su due risate.
Il nonno in fondo è sempre stato un gran bischero. Per esempio, al babbo di Arturo tutti lo conoscono come Aldo, ma in realtà si chiama Aldobrando. Il nonno l'ha chiamato così per prenderlo per il naso, per fargli una burla ancor prima che nascesse. E a vedere come il babbo di Arturo odia il suo nome, c'è riuscito.
Aldo e il nonno litigano spesso, soprattutto da quando la mamma di Arturo se n'è andata a Parigi con Jean-Claude, il suo nuovo fidanzato. Aldo è sempre nervoso e il nonno pare che ci prenda gusto a farlo arrabbiare ancora di più. Per esempio continua a fumare dentro casa, oppure si ostina a fare battute sul naso di Jean-Claude, nonostante ad Aldo dia fastidio solo sentirlo nominare.
Arturo invece col nonno ci va d'accordo. Ci gioca a scacchi, ci guarda le repliche di "Colpo grosso" su Youtube, oppure insieme fanno gli scherzi ai vicini, come quando hanno dipinto delle strisce nere sull'alano del signor Monti, un fanatico della Fiorentina, così che il cagnone pareva la zebra della Juventus.
Se poi ci si mette il fatto che Arturo di amici non ne ha, il nonno in questi mesi che non è in casa con lui gli è mancato moltissimo. La sua ultima infatti è che ha deciso di rinchiudersi in un ospizio.
Ha litigato con Aldo e per ripicca ha deciso di andare via, in eremitaggio, come dice lui, a finire i suoi giorni in meditazione, come in un monastero.
Te tu potevi scegliere un monastero vero, allora! Gli ha urlato il babbo di Arturo, che per lo meno l'è gratis!
Ad Arturo il nonno manca così tanto che oggi, il giorno della vigilia di Natale, ha deciso di passarla con lui, a giocare a scacchi nella sua stanzetta al secondo piano della casa di riposo.
Si son messi comodi, con le pantofole di pelo e la stufetta con i tubi incandescenti vicina alle ginocchia, perché al nonno dolgono le giunture anche se il riscaldamento è acceso. Non è da tanto che giocano, ma Arturo ha già conquistato il centro e fatto uscire entrambi gli alfieri.
Il nonno si gratta la pelata, pensieroso, e s'accende una sigaretta.
«Nonno» dice Arturo, «ma 'un dovresti fumare!»
Il nonno per tutta risposta dà una bella aspirata e butta fuori il fumo dal naso. È tutto accartocciato sulla scacchiera e ragiona, mugugnando, e quando ragiona e mugugna deve fumare per forza, anche se all'ospizio è vietato.
«Te tu mi distrai» borbotta, «chiudi il beccuccio, che ora fo' una mossa che neanche Kasparov...»
«Ismaele, quant'anni hai detto che c'ha il tu' nipotino?» chiede il signor Eugenio, il compagno di stanza del nonno, mentre sta alla finestra a guardare la pioggia fine e a spaccare noci.
Il nonno lo liquida con un grugnito.
«Ho undici anni» dice Arturo.
«Undici anni e già ti mette sotto» ridacchia il signor Eugenio.
«Te tu pensa a mangiare le noci, via, che dice fanno bene al cervello e magari t'aiuta pe' l'arteriosclerosi» dice il nonno e avanza col cavallo.
Ad Arturo viene da roteare gli occhi, a mo' di ramarro. Quella è infatti una tipica mossa che il nonno chiama "estrosa". Che in realtà è solo un suicidio. Arturo non voleva chiuderla così presto la partita, ma proprio si sente costretto e porta fuori la regina.
«Scacco in tre mosse» annuncia.
Al signor Eugenio scappa da ridere.
«Che fo', te le lascio due noci, Ismaele, che magari servono anche al tuo, di cervello?» dice.
Il nonno la prende stranamente bene, tira solo due sagrati e mette via la scacchiera.
Arturo si sistema gli occhiali, che sono scivolati sulla punta del naso.
«Perché usi il polso per tirar su gli occhiali?» chiede il signor Eugenio, che oggi sembra particolarmente curioso.
«Perché c'ho paura di toccare le lenti con le dita e d'imbrattarle» risponde Arturo.
«L'è un tipetto precisino, come il su' babbo» dice il nonno.
Arturo non capisce se è un insulto o un complimento, quindi si limita ad alzare le spalle.
«Per questo prima ha vinto» continua il nonno, «perché un' va mai fori le righe. Te conosci gli scacchi giapponesi, lo shogi?» chiede al nipote.
Arturo fa sì con la testa, perché gli garbano i manga e gli anime e del Giappone sa tutto.
«Oh bene, il motto dello shogi è: la mente ordinaria è la via. E certo, così si vincerà pure, ma che noia, 'un credi?»
«Certo» interviene il signor Eugenio, «ma anche a fa' le cose a bischero sciolto come fai te 'un l'è proprio consigliato.»
Il nonno dà l'aria di non averlo inteso e tira dritto.
«Anche la vita l'è così» dice, «una vita ordinaria sarà pure vincente, per certi versi… ma dopo un po' annoia. Anche una strada tutta dritta è comoda per arrivare da un punto a un altro, ma il panorama lascerà un poco a desiderare...»
Arturo sbuffa e si getta a corpo morto sul letto, con un gran cigolare di molle.
«Sì, ma ora che si fa?» dice, con la faccia affondata nel piumone.
«C'è la "Signora in giallo" a Rete quattro...» prova a suggerire il signor Eugenio.
«'Un t'azzardare!» sbotta il nonno.
«Certo che sei un bel tiranno, te.»
«Son tiranno solo delle cose mie.»
«Le cose tue! Via, te lo sai che l'è la democrazia?»
«La democrazia l'è vedere una vecchia iettatrice che in ogni posto dove va ci scappa il morto e mi tocca di vederla tutto il tempo con le mani sulla patta? 'Un mi sembra.»
«La democrazia l'è metterla ai voti, per esempio.»
«A me la democrazia 'un mi garba punto. Preferisco come facevano gli antenati nostri. Che se decidevano co' la democrazia del culo. Ogni due mesi si cambiava chi comandava, si mettevano i nomi di tutti i cittadini dentro d'un sacco e li si tirava a sorte. E guarda che l'è Firenze oggi! Vuol dire che la democrazia del culo funziona. Facciamo i biglietti e tiriamo a sorte.»
«E sia!» esclama il signor Eugenio, zoppicando verso il suo comodino, dove tiene un'agenda e un lapis.
«Ti risparmio la fatica, Eugenio. Noi si esce. 'Gnamo, Artù» annuncia il nonno, levandosi dalla sedia.
«Dove si va?»
«Si va alla Galleria della stazione, c'ho fame. Vedi c'ha smesso di piovere e l'è quasi l'ora che al bar metton fori le tartine. M'han detto che c'è un barista novo che 'un mi conosce, vediamo se l'è vero.»
Ci vogliono quaranta minuti ad arrivare a Santa Maria Novella, tra pigliare il bus e fare il viaggio. È quasi l'una, ma una visitina alla Basilica il nonno la deve sempre fare quando gli capita di gironzolare da quelle parti. E ogni volta s'accosta al barbone che chiede l'elemosina di fianco al portale e ci fa due chiacchiere.
«Si abitava qua vicino, con la nonna, quando il tu' babbo l'era ancora piccino» dice il nonno, allontanandosi e sistemandosi la cuffia di lana per proteggere la pelata.
«Lo so, nonno, te tu me l'avrai raccontato un centinaio di volte. L'era un palazzetto in via dei Banchi, tutto...»
«Tutto muffe e co' muri zuppi d'acqua. Ora te pensa: ce l'ha un affittacamere che lo dà via a mille euro alla settimana! Maremma docile...»
Questo pensiero deve accompagnarlo per tutta la passeggiata, perché rimane mugugnando e scuotendo la testa fino a quando non entra in Galleria. Là dentro è tutto uno sfarfallio di luci e addobbi. Sul soffitto hanno appeso degli alberelli di Natale a testa in giù e sul fondo hanno montato un paesello in miniatura, innevato col polistirolo, che dovrebbe essere il villaggio degli Elfi, con tanto di scranno rialzato per Babbo Natale. E il Babbino è proprio là, in pausa pranzo, che mangia un tramezzino con la barba abbassata, mentre la fila dei bambini in attesa di parlarci si snoda lungo il corridoio.
«Via, si va a mangiare anche noi!» annuncia il nonno, dirigendosi verso il bar.
Metà del banco è ricoperto di tartine e dolcetti e il nonno gli si avvicina tutto allegro, sfregandosi le mani.
Il barista fa un grande sorriso e mette via il cencio con cui stava pulendo. Il nonno ricambia e inizia a buttare giù una tartina dietro l'altra. Arturo invece aggredisce i bignè con la crema e le briosce mignon.
«Cosa vi servo?» chiede il barista, che ha smesso di sorridere.
«Che mi da’ dell’acqua di cannella?» dice il nonno, con la bocca piena, «che sono un po' troppo piccanti, codeste tartine al tonno.»
«'Un è che invece preferisce un nocchino?»
Il nonno arraffa un'altra manciata di tartine e le mette dentro un fazzoletto.
«Via che modi, l'è Natale, siamo tutti più boni.»
«Infatti son bono, di solito 'un avverto mica, ma ora va' via, va', altrimenti ti do uno schiaffo e ti spoglio!»
Il nonno strabuzza gli occhi, fingendosi indignato.
«Sta' certo che una bella recensione a una stella su Trippadvisore 'un te la leva nessuno» minaccia, mentre si allontana.
Girano ancora, a tempo perso. Si provano tutti gli occhiali da sole dall'ottico e fanno le pose all'americana, leggono un po' di libri alla Feltrinelli, progettano qualche viaggio che non faranno mai davanti alla vetrina dell'Alpitour.
Verso le quattro la Galleria si svuota, la gente evidentemente torna a casa a preparare il cenone, e anche la fila per parlare con Babbo Natale si è quasi consumata.
«Dai che si va a rompere un poco le scatole al Babbino» propone il nonno, «tu gli puo' chiedere se stanotte ti porta un sedere novo, che quello vecchio che c'hai tiene un buco.»
«Via nonno, se vo' gli chiedo una cosa seria, che poi mi piglia pe' grullo e 'un mi porta nulla.»
«Dio bonino, icchè tu credi al Babbino pe' davvero?»
«Certo. Conviene. Tanto, se c'è 'un cambia nulla, ma se c'è… lascia fare» sentenzia Arturo e battendosi il dito sulla tempia si mette in fila.
Quando è il suo turno sale sul palchetto e si sistema sulle ginocchia di Babbo Natale, con la faccia contrita. Guarda il nonno, gli fa l'occhiolino, si nasconde la bocca con la mano e sussurra qualcosa all'orecchio di Babbo Natale, che annuisce convinto, gli molla una pacca sulla spalla e ride.
Quando torna dal nonno ha un sorrisino soddisfatto stampato in viso.
Escono fuori dalla Galleria che il cielo ha finito di pulirsi dalle ultime nuvole e l'aria s'è fatta di ghiaccio. Arturo e il nonno si stringono, per scaldarsi, mentre camminano.
«Delle volte mi sento solo» dice a un tratto Arturo.
«Il babbo ti lascia solo a casa?»
«Ma 'un è quello… è che c'ho cose dentro e 'un so che fare...»
«Cose dentro?»
«Pensieri. Se me li racconto da solo 'un vanno mai via...»
«Ma che la fa’ finita di blaterare e principi a dire icché tu vo’ dire?»
«Mi serve che te mi stai a sentire, nonno.»
«Lo credo bene, te hai bisogno della saggezza dell'età...»
«Nonno, tu 'un sei mica saggio, che ti metti in testa? 'Un mi servono consigli, solo che qualcheduno m'ascolti.»
«Oh via, è 'un lo tieni un amico co' cui parlare?»
«Vedi che se tenevo un amico lo chiedevo a te d'ascoltarmi? 'Un lo tengo un amico, manco mezzo. Mi schifano tutti, mi garba di fare tutte le cose che all'altri danno noia, 'un so giocare a calcio, a scuola ho tutti dieci e poi...»
«Va bene, va bene, dimmi, t'ascolto.»
«Penso sempre che l'è colpa mia se la mamma se n'è andata in Francia.»
«Via che sciocchezza. 'Un è colpa di nessuno, nemmeno del tu' babbo. Sono cose che accadono, l'è così e basta.»
«E perché 'un m'ha portato via co' lei?»
«Hai voluto rimanere te qua.»
«'Un ha insistito.»
«Oh, 'un te va bene nulla. Via, ci sono pure i lati positivi, per esempio 'un devi dare gli auguri a Jean-Claude, che col nasone che c'ha prima di baciarlo su tutte e du' le guance si fa prima a passare di dietro.»
«'Un fa ridere.»
«E che voi che dica allora?»
«Niente, m'è bastato che m'hai ascoltato.»
«Vedrai che tutto si sistemerà.»
«Via nonno, 'un c'è modo d'aggiustare nulla.»
«Dio bonino, te sei pessimista forte!»
«Io sono pessimista, l'è vero, ed è strano solo perché sono ancora piccino. Ma è vero pure che gli adulti che 'un lo sono, sono un branco d'idioti.»
Il nonno si incupisce e si leva la cuffietta di lana. Un lieve vapore si leva dalla pelata.
«Hai ragione» mormora, impercettibile, mentre entrano nella piazza della Basilica. Si avvicina di nuovo al barbone, che sonnecchia sopra una catasta di cartone, coperto da un plaid macchiato. Senza svegliarlo, gli mette vicino l'incarto dove ha conservato le tartine che ha preso al bar.
Rimane qualche minuto inginocchiato là, sul marmo freddo, ancora umido della pioggerella di quella mattina, un po' perché rialzarsi con l'artrite è un'operazione complicata, un po' perché gli va di pensare.
Quando si rimette in piedi prende a braccetto il nipote.
«Te tu m'ha fatto una confidenza. E ora ne fo' una io a te. 'Gnamo, ti porto in un posto» dice.
Mentre camminano sono silenziosi, comprano un panino col lampredotto e lo mangiano un po' per uno, in quella posizione tipo cammello con il collo all'infuori che hanno tutti i fiorentini quando non vogliono sbrodolarsi.
Arrivano dopo non molto a un parchetto curato, tutto recintato e deserto. Il nonno fa due nuvolette di vapore dalla bocca e poi s'accende una sigaretta.
«Artù» dice, «'un fumare mai, mi raccomando, che fa male» e butta fuori il fumo dal naso.
Si mette a sedere a dà una pacca al granito, vicino a lui. Arturo gli si accomoda vicino e il nonno lo abbraccia. E così rimangono, fino a che il nonno non finisce la sigaretta e gli molla un bacio sulla fronte.
«I ricordi e i pensieri invecchiano, proprio come le persone. E proprio come le persone, invecchiando gli capita di diventare più dolci» dice il nonno.
Principia frattanto a fare scuro e lungo la via s'accendono i lampioni e le luminarie natalizie, che si riflettono sulla strada che pare uno specchio, tant'è ancora velata di pioggia. Una signora s'affaccia a una finestra al pianterreno d'un palazzo, dall'altro lato della via, e prova a chiamare il suo gattino.
«Micio!» urla, «Micio dai, che l'è pronta la pappa!»
Aspetta un poco, mezza figura sporta dalla finestrella, poi scuote la testa e si ritira, lasciando però un poco di spiraglio, una porticina per Micio, così da farlo rincasare senza problemi.
«Ho tanti ricordi qui, che prima l'erano aspri, ma ora sono più dolci» confessa il nonno, «codesto l'è il posto dove con la nonna ci siamo visti per la prima volta. 'Un c'era ancora il parchetto, ma v'era una serie di piste da bocce, co' la sabbia e le sponde di legno dipinto. Si faceva ogni estate un torneino, che da anni si era ormai trasformato in una faida tra du' famiglie che tra loro l'avevano i giocatori più forti. E codesti l'erano il mi' babbo, il bisnonno Guido, e 'l babbo della tu' nonna. Quindi noi si era come Giulietta e Romeo, perché le nostre famiglie s'odiavano come i Montecchi e i Capuleti. Te li conosci chi sono?»
«Oh nonno, e certo che li conosco.»
«E figurati, che domande. Comunque, si era piccini, si avrà avuto quindici anni, la tu' nonna du' di meno, ma l'era già un fiore. Così, mentre tutti s'era impegnati e concentrati sulla partita, io ne ho approfittato per presentarmi. "Chiamatemi Ismaele!" le ho detto. Al che lei s'è messa a ridere. "Moby Dick”, dice. Io m'innamoro all'istante, capirai, l'era la prima persona che m'indovinava la citazione. Ci siamo allontanati e siamo finiti laggiù, dove stanno le altalene. C'erano dei sedili scomodi di pietra e là ci siamo messi a chiacchierare e a guardare il cielo. L'era bello nuvolo e non si vedeva un lumino di stella a pagarlo, poi si fece un buco tra le nuvole, giusto dov'era la luna, ch'era una mezza falce, un pasticcio col gesso in una lavagna nerissima. Una cosa romantica da far venire il diabete. E io che fo'? Ne approfitto, piglio le spallucce della nonna, te non l'hai conosciuta, ma l'era piccina e gracile come un passerotto, la giro e le do un bacio sulla fronte. Qui.»
Il nonno dà ad Arturo una ditata dritta al mezzo tra le sopracciglia, dove l'aveva baciato poco prima.
«L'amore è ciclico, Artù. Prima qua si baciava la nonna, ora si bacia il nipotino» proclama, alzando l'indice. «Dopo sposati l'è nato il tu' babbo e si è continuato a venir spesso qua, dapprima a veder giocare a bocce e litigare i parenti, poi a stare al parco a far volare le altalene. Pigliavo Aldo in collo e si faceva la strada così da casa, lungo il percorso che abbiamo fatto io e te prima, con lui che mi lucidava la pelata. Poi la nonna l'è venuta a mancare... e qua 'un c'ho più rimesso piede. Fino a oggi.»
Arturo ascolta in silenzio, il nonno ama raccontare tanti episodi divertenti della sua vita, alcuni più di una volta a dire il vero, ma di queste cose è la prima volta che ne parla. Forse perché di divertente non ha proprio nulla.
«Il tu' babbo l'è dovuto crescere tutto d'un botto. Aveva solo dieci anni, poverino, quando la nonno l'è andata via. E mentre lui cresceva, io diventavo più piccino. Fino a quando ci si è scambiati di posto e lui l'è diventato l'adulto e io il figliolo.»
Il nonno fa una pausa e tira su col naso. Un gattino color miele esce d'un tratto da sotto un'altalena, si sdraia e comincia a pulirsi la coda.
«Dev'essere Micio» dice il nonno. Ma Arturo non l'ha neppure visto, pensa ad altro.
«Perchè te mi stai raccontando queste cose?» chiede.
«Perché l'è giusto che tu le sappia. Io ho imparato a vederla così: che la vita, ma la vita vera, quella straordinaria, l'è come una strada tutte curve e certo, il panorama sicuramente 'un annoia, ma delle volte ci son tornanti così stretti che ti pare d'esser tornato indietro e ti viene quasi il desiderio di fermarti, che tanto l'è tutto inutile a proseguire. Ecco, la morte della nonna l'è stato un tornante davvero lungo e io mi son fermato. Per tanto tempo. Ho iniziato anche a bere, a lavorare poco, s'andava giusto a fa' la raccolta delle olive, qualche cosa ne' campi degli amici, perchè pensavo che 'un avesse più senso nulla… te devi sapere che il babbo c'ha ragione a trattarmi come mi tratta. Me lo merito.»
Il nonno si alza e s'avvicina al gattino, che docile si fa prendere in braccio.
«Anche per te» continua, «la vita sarà piena di curve, devi fartene una ragione. E lo so che codesta cosa della tu' mamma andata in Francia l'è davvero un curva tremenda, ma 'un fermarti, il segreto sta là, ad andare avanti a testa bassa.»
«Ecco, codesta sembra quasi una cosa saggia» dice Arturo, annuendo.
Il nonno scuote la testa e si rimette la cuffietta in capo.
«'Gnamo, l'è tardi, il babbo sarà già in pensiero» dice, «e pure te, Micio, 'un l'hai inteso che l'è pronta la pappa?»
Prima d'andar via il nonno attraversa la strada per aiutare Micio a rincasare, ma il gattino, appena riconosciuta la finestra, si lancia in terra e scappa, per poi infilarcisi dentro.
Il nonno si guarda la mano: nel saltar via, Micio ha tirato fuori le unghie e gli ha fatto un leggero graffio.
«Manco il sangue esce più come prima» sussurra, sfiorando la ferita, che pare uno sbrago in una terra arida.
Quando riescono a tornare a casa s'è fatto tardi e Arturo insiste che il nonno rimanga a cenare e poi a dormire. Aldo non ha certo obiezioni, forse giusto per la quantità del cibo, questioni logistiche, tipo il letto senza fare e altre questioni pratiche. Il nonno invece un poco tituba e durante il pasto rimane in silenzio.
Finita la cena, attizzano per bene il fuoco nel camino e organizzano un triangolare di scacchi. Arturo prova l'ebbrezza di fare una mossa "estrosa", ma il babbo lo fulmina e perde in malo modo. All'inizio un poco gli rode, ma poi nota che il babbo pare felice d'aver vinto e si rasserena anche lui. Insomma, forse il nonno aveva ragione, anche perdere può dare delle soddisfazioni. Finito di giocare sistema sotto l'albero i mandarini per il Babbino e poi, stanco morto, fila a dormire che sono le undici e mezzo. Fa un sogno strano: c'è un gattino che guida su di un sentiero innevato, l'auto slitta in continuazione, ma non ha intenzione di uscire di strada. Il gatto lo sa e infatti guida tranquillo e anche lui, Arturo, che sta seduto nei sedili posteriori, è sereno.
Si sveglia per andare in bagno che sono circa le due. La luce in cucina è accesa e ci si affaccia. Vede il nonno, con i piedi scalzi dentro al camino, che sta mangiando i mandarini.
«Ma nonno, l'erano per il Babbino!» protesta.
Il nonno ridacchia, sbuccia i mandarini e getta la scorza tra le fiamme, così che in cucina c'è odore di agrumi.
«Non crucciarti» dice, buttandosi in bocca due spicchietti, «il Babbino l'è già bello che passato.»
Indica dietro di sé la catasta di regali e pacchetti ammucchiati sotto l'albero.
«Ma perché 'un sei a letto?» chiede Arturo.
Il nonno ci pensa un attimino e si gratta la pelata; è una cosa rara che non abbia la risposta pronta.
«I vecchi dormono poco…» bofonchia, poi scuote la testa, «oh via, 'un serve mica che ti pigli per il naso. La verità l'è che sto cercando il modo meno umiliante pe' chiedere una cosa al tu' babbo.»
«Icchè devi chiedere al babbo?»
Il nonno sospira.
«Lo vedi il taglietto che m'ha fatto Micio?» dice, mostrando il palmo della mano. La piccola ferita sembra carta velina strappata. «Quando l'età avanza principi e vedere la vita in una certa maniera. T'accorgi tutto d'un tratto degli errori, delle cattiverie c'hai fatto, di quanto hai fatto soffrire chi ti stava vicino... Tutto l'è così chiaro che sembra trasparente e fragile, come la mia pelle da vecchio, che l'è bastata una sciocchezza pe' romperla. Il babbo c'ha ragione quando dice che son stato una cattiva persona. Quando la nonna l'è morta ho pensato solo a me stesso, al mio dolore, ma il suo… quanto avrà sofferto? Quanto sarà stato male? Gli dovrei chiedere scusa e gli dovrei chiedere anche un favore.»
«Che favore ti serve?» chiede Aldo. Sta poggiato allo stipite della porta e si sta pulendo gli occhiali con l'orlo della vestaglia. Chissà da quanto tempo è là.
«Aldo vedi… mi dispiace, io...»
«Lascia stare, babbo, ormai quel che l'è stato è stato, c'è poco da fare.»
«Ma ti volevo chiedere scusa lo stesso. Di tutto... ti volevo chiedere scusa finanche pe' il nome, tornassi indietro ti chiamerei Mario! Ti garba Mario?»
«Babbo smettila… di che favore hai bisogno?»
«E niente, è che magari 'un l'è troppo tardi per fare qualcosa di bono. Insomma, se fare il babbo 'un m'è venuto poi tanto bene, magari a fare il nonno mi verrebbe meglio. Ti volevo chiedere se potevo tornare qua, a vivere co' voi.»
Ad Arturo brillano gli occhi e si volta a guardare il babbo, trattenendo il respiro.
«Certo che puoi tornare» dice Aldo, «almeno te tu la smetti di buttare via la pensione.»
«Te sempre a pensare ai soldi stai!» sbotta il nonno, ma sorride.
«Pragmatismo, si chiama pragmatismo.»
«Hai ragione, dopotutto te sei quello noioso, che 'un mette nemmeno l'aglio nella pappa al pomodoro; noi invece si è quelli divertenti.»
«Te tu pensi male babbo. Anche io so essere estroso, come dici te.»
E detto questo sparisce, per tornare poco dopo con un cucciolo di cane addormentato tra le braccia.
«Ecco» dice, «l'è un regaluccio per Artù, l'ho adottato proprio oggi al canile, mentre voi stavate in giro a fa' quelli divertenti.»
Arturo si lascia scappare un grido e prende subito il cucciolo in braccio. È caldo e morbido, con le orecchie pendule e setose.
Rimangono tutti e tre insieme ancora per una mezz'ora, poi Aldo decide di rimettersi a letto e lascia nonno e nipote a coccolare il cucciolo vicino al camino.
«E comunque vedi che il Babbino esiste?» annuncia tronfio Arturo.
«Perchè, te alla Galleria gli hai chiesto un cagnino?»
«No, gli ho chiesto di farti tornare» mormora Arturo, abbracciando il nonno e mollandogli un bacio, proprio lì, tra le sopracciglia. Che si sa, l'amore è ciclico.
Il cucciolo li guarda, accoccolato vicino al fuoco, e batte piano il codino sul pavimento.
Il nonno lo prende in braccio e comincia a grattarlo tra le orecchie molle.
«Dio bono che nasone che c'ha!» dice, «e se lo si chiamasse Jean-Claude?»
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Nota dell'autore: come avrete notato ho fatto la scelta di addolcire i dialoghi in dialetto, per facilitare la lettura. Una prima stesura era decisamente più ermetica, quindi ho italianizzato parecchio, rimettendo a posto gli articoli ad esempio (i' ccane è diventato il cane), levando le inflessioni e la gorgia (che sarebbe poho invece di poco, per capirci) e molte elisioni. Lo dico per i puristi, che potrebbero storcere il naso, ma si tratta di un concorso nazionale e ho fatto una scelta che spero soddisfi tutti.