Fuori dal bosco, attraverso il meleto.
La donna salì i gradini della veranda e si fermò davanti alla porta.
Rabbrividì nel buio di novembre.
Dall’interno, suono di chiacchiere e odori buoni, promesse di cibo e calore.
La donna bussò.
Le voci tacquero. Sedie spostate, passi pesanti. La porta si aprì. Sulla soglia, un uomo dalle spalle larghe.
‒ Ho visto la luce verde ‒ mormorò la donna.
L’uomo la squadrò. Per qualche istante soppesò lei, i suoi abiti e il magro bagaglio. Infine ingentilì l’espressione in un sorriso e si tirò da parte facendole cenno di entrare.
‒ Ci sono altri con te?
La donna scosse la testa.
L’uomo spinse lo sguardo nel buio: ‒ Se c’è qualcuno possiamo darti qualcosa da portargli.
‒ Sono sola.
L’uomo chiuse la porta e chiamò una donna che era in piedi davanti ai fornelli: ‒ Irena.
Attorno alla tavola imbandita, i tre uomini seduti avevano ripreso a mangiare.
Irena aggiunse un coperto davanti a una sedia vuota: ‒ Vieni. Siediti.
Anche l’uomo che aveva aperto si mise seduto.
‒ Io sono Andrej. Lui è mio padre, Roman ‒ disse indicando il vecchio, che chinò il capo in segno di saluto.
‒ I miei figli, Jacek e Michal ‒ presentò i due giovani, poi guardò Irena: ‒ Mia moglie.
Tacque e fissò la nuova venuta.
La donna esitò.
‒ Io sono Nur ‒ si decise infine. ‒ Grazie per il vostro aiuto.
Andrej fece un gesto come a dire che non era niente: ‒ Forza, mangia.
Irena le aveva intanto riempito il piatto e le si era seduta accanto.
Il cibo, il calore della cucina, le chiacchiere. Nur mangiava e ascoltava. Discorsi sul tempo che avrebbe fatto, sulla raccolta delle mele, sulla situazione al confine con la Bielorussia.
‒ Vieni da lì? ‒ le chiese Michal tra un boccone e l’altro.
‒ Sì ‒ rispose Nur presa alla sprovvista. Ma tanto non aveva motivi per mentire.
‒ E prima?
‒ Da lontano.
‒ Scusaci, ‒ intervenne Irena ‒ ma sai, una donna, da sola… Davvero sei sola? Ti aspetta qualcuno da qualche parte?
Nur scosse la testa.
‒ Mi dispiace, non possiamo fare molto per te. Lo sai, vero? Possiamo solo ospitarti per questa notte e darti quello che ti serve.
‒ Sì, lo so. Mi hanno detto delle case con la luce verde. Mi hanno spiegato. Non chiedo di più.
Il profumo della torta di mele la distolse da altri pensieri. Mise in bocca una forchettata della fetta che si era trovata nel piatto. La sua espressione fece sorridere Roman.
‒ Buona, eh? È fatta con le nostre mele. Ecco, ‒ le mise davanti una mela ‒ mangia anche questa. Te la meriti. Non ne troverai di migliori.
‒ La Polonia è piena di meleti ‒ continuò il vecchio con l’orgoglio nella voce ‒ ma nessuno è come il nostro. Nessuna mela è buona come le nostre.
Seguiva in attesa i gesti di Nur che aveva tagliato la mela e ne stava masticando uno spicchio.
‒ Buonissima ‒ disse lei, ed era sincera.
‒ Ci tramandiamo la tradizione di padre in figlio. Io ho imparato da mio padre e Jacek e Michal insegneranno ai loro. Ci vuole impegno. Sacrificio. Essere pronti a fare quello che serve, quando serve.
I due giovani annuirono e si alzarono.
Michal accennò al lume verde acceso vicino alla finestra.
‒ Sì, puoi spegnere, ‒ disse Andrej ‒ per questa notte non occorre più.
Nur si trovò d’improvviso uno straccio premuto davanti al naso e alla bocca. Tentò di afferrare le mani che lo tenevano stretto, di strapparle via da sé. Era una donna forte, ma Jacek lo era di più.
La testa le girava, le gambe e le braccia crollarono, la vista si offuscò.
Scivolò a terra.
Le voci si confusero in un borbottio indistinto. Si sentì trascinare sul pavimento.
Riprese coscienza alla luce fioca della lampada che spezzava il buio dell’esterno. Rabbrividì di freddo. Le braccia le facevano male. Alzate sopra la testa, anchilosate. Le tirò nell’istinto di liberarsi e al dolore si aggiunsero i polsi ammanettati.
Ammanettata alla balaustra, seduta sull’impiantito della veranda. Provò a gridare ma quello che le uscì fu un gemito, la voce soffocata dal bavaglio che le chiudeva la bocca.
Non il naso. Respirava. Respirò. La vista si schiarì.
Roman e Andrej arrivavano dalla rimessa trascinando un uomo. Su per i gradini del portico, sul pavimento. L’uomo urlò soffocato sotto il bavaglio a ogni urto delle gambe sui gradini. Gambe piegate in posizione innaturale. Gemette quando gli strattonarono le braccia per ammanettarlo alla balaustra.
Più o meno cosciente, il volto un groviglio di sangue e lividi, gli occhi pesti.
Nur non riuscì a trattenersi. Tirò le braccia. Sentì la bocca gridare inutilmente contro il bavaglio, le grida trasformate in lamenti soffocati.
‒ Ferma, ferma ‒ disse Andrej. ‒ Non ti impressionare. Se stai tranquilla, non ti facciamo niente. Non ci divertiamo mica, a picchiarvi. Lo facciamo solo se serve. Lui era troppo agitato e ha provato a fare il furbo. Vedi, lei ha capito.
Indicò un punto all’altro capo della veranda. Jacek e Michal erano accanto a una ragazza, gli occhi sbarrati ma immobile. Legata e imbavagliata come Nur e l’uomo.
A un cenno del padre, i due giovani si accostarono a Nur e le afferrarono le gambe in modo che non scalciasse. Nur cominciò a scuotere la testa. Andrej gliela tenne ferma, mentre Roman le avvicinava alla faccia un coltello: ‒ Stai calma. Fa male solo un attimo. Esce molto sangue, ma non è un taglio profondo.
Le incise la fronte con un rapido gesto orizzontale.
Nur gemette. Sentì il sangue sgorgare caldo. Il vecchio premeva sotto la ferita una ciotola con cui lo raccoglieva.
Dopo qualche minuto la lasciarono. Il sangue usciva ancora ma meno, non abbastanza da impedirle di vedere il resto.
I quattro fecero all’uomo la stessa cosa, poi andarono dalla ragazza.
La ragazza piangeva. Aveva sulla fronte una lunga ferita incrostata di sangue secco. Roman la incise facendolo sgorgare di nuovo.
Si alzò in piedi con la ciotola piena in mano.
Scese a testa alta i gradini della veranda.
‒ Da un po’ non ne avevamo tre ‒ sussurrò Michal a Jacek. ‒ Secondo te, chi prende?
Jacek non rispose.
‒ Secondo me prende la ragazza. Che dici? ‒ insistette Michal.
Jacek diede una rapida occhiata al padre, che aveva lo sguardo fisso su Roman, e mormorò a fior di labbra: ‒ Forse la nuova.
‒ Non so. Gli piace lasciarli lì un giorno.
‒ Mica sempre.
‒ Già, è vero, mica sempre.
Andrej girò la testa e buttò un’occhiataccia ai due giovani, che tacquero.
Roman avanzava a passi lenti attraverso il meleto. Si fermò e sparse sul terreno il sangue della ciotola.
Si voltò e tornò verso la casa.
Andrej aprì la porta, fece entrare Michal e Jacek, attese finché non fu dentro anche il padre, poi entrò e si chiuse la porta alle spalle.
La luce sotto il portico si spense. Prima che si spegnesse anche quella della cucina, Nur vide i quattro uomini e Irena, tutti dietro i vetri della finestra, guardare fuori, in attesa.
Il Buio che dormiva nella terra si svegliò. Respirò. Annusò.
Si alzò.
Come alito della terra. Come nebbia scura.
Si sparse nel meleto. Salì i gradini del portico. Invase la veranda.
Sfiorò l’uomo, sfiorò la ragazza. Assaporò i battiti convulsi del cuore. Assaporò l’odore del sangue. Accarezzò la donna.
Nur tremava senza potersi fermare. Sentì il pulsare gelido del Buio contro la pelle, attraverso i vestiti. Si trovò cieca, immersa nel buco oscuro pieno di solido nulla che era il Buio. Muta, la gola paralizzata, senza riuscire nemmeno a piangere.
Risalì la corrente di tutti gli orrori della sua vita.
Da quest’ultimo fino al primo.
La morte mi scorre dentro, pensò. Annidata nelle mie fibre. Avvolta su se stessa.
Il Buio sentì in lei l’orrore antico. Così simile al proprio.
Il Buio si fermò. Esitò.
Si ritrasse dalla donna, poi ascoltò la fame.
La vista si schiarì a Nur e lei vide il Buio addensarsi attorno alla ragazza.
Di cui Nur udì le urla come se il bavaglio si fosse dissolto.
Come se la ragazza si stesse disfacendo un brandello alla volta.
Poi tornò il silenzio.
Il Buio scivolò giù dai gradini e si sparse nel meleto. Infine scomparve.
Nur pianse. Non seppe per quanto.
Nemmeno si accorse di essersi addormentata.
Fu svegliata al primo chiarore dell’alba dagli strattoni di Jacek e Michal che la rimettevano in piedi.
Irena stava dando lo straccio sulla veranda, pulendo schizzi scuri sparsi ovunque. L’uomo picchiato non c’era più.
Nur venne chiusa nella rimessa, legata e imbavagliata, lasciata tutto il giorno senza mangiare e senza bere. A tratti lo sfinimento le faceva perdere coscienza. È solo un brutto sogno, pensava per qualche istante quando rinveniva. Non è vero. Adesso mi sveglio ed è tutto passato. Svanito.
Attese. Attese la notte. Attese di morire. Attesa senza fine.
La notte venne e fu il ripetersi dello stesso incubo.
La veranda. L’uomo picchiato, che sembrava delirare di febbre. Il loro sangue.
Roman avanzò nel meleto con la ciotola in mano.
‒ Oggi prende lui ‒ sussurrò Michal.
‒ Forse tutti e due ‒ rispose in un soffio Jacek.
‒ Due li prende solo quando non mangia da un po’.
‒ Non sempre.
‒ È vero, non sempre.
Roman sparse il sangue sulla terra. Gli uomini tornarono in casa ad assistere dietro la finestra.
Il Buio invase la veranda.
Sfiorò appena l’uomo e si addensò attorno a Nur.
Nur pensò alla ragazza. Trovò il suo terrore. Trovò i propri. Di donna, di ragazza, di bambina.
Ma accanto alle paure più antiche, una luce.
Una voce.
Nur sentì le lacrime scorrere.
Nonna, le fiabe che mi raccontavi non erano così spaventose.
La vita è più brutta. Molto più spaventosa. Dolore e orrore sono veri, nonna. Ormai sono in me.
E ora non c’è la tua voce a portarli via.
Nonna, i mostri esistono. Sono reali.
Nonna, raccontami ancora, non farmi morire col buio nel cuore.
Il Buio rimase in attesa. Curioso.
E Nur sentì l’attesa e la curiosità. I filamenti del Buio che indugiavano sui suoi ricordi. Sul ricordo della nonna narratrice di storie.
Il Buio attese finché non riuscì più a trattenere la fame. Allora lasciò Nur e avvolse l’uomo.
Quando ebbe finito, se ne andò.
Nur fu chiusa di nuovo nella rimessa, ma a metà giornata entrò Irena.
Le abbassò il bavaglio, le diede da bere e la imboccò con un po’ di pane.
‒ Sono due giorni, non devi morire prima. Non gli piacciono, già morti. Ci hanno provato, a ucciderli prima, ma non li prende. Non gli piacciono.
Rimise il bavaglio a Nur. Prese uno sgabello e si sedette a raccontare: ‒ Poi gli piace scegliere. Per questo se riusciamo ne teniamo almeno due. Adesso non c’è problema. Da quando ad agosto è iniziata questa storia dei migranti al confine con la Bielorussia, gira un sacco di gente. Tante persone che possono anche sparire, tanto nessuno se ne accorge. Ora è ancora più facile, da quando qualcuno ha messo su la faccenda della luce verde per indicare una casa sicura. Basta che la accendiamo. Prima no, prima era più difficile. Gli uomini dovevano girare, per trovare qualcuno. Sono bravi. Ci riuscivano quasi sempre.
Irena sembrò diventare un po’ triste: ‒ Non devi pensare che siamo cattivi. Si devono fare sacrifici. Anche noi, sai. Abbiamo passato brutti periodi, in cui era difficile trovare qualcuno. È capitato di non trovare nessuno, per un po’. È brutto.
Fece una pausa.
‒ Avevamo anche una figlia. A lui piacciono di più svegli, ma lei l’ho addormentata un po’. L’ha presa lo stesso. Aveva molta fame.
Si alzò, aprì la porta e rimase sulla soglia guardando Nur: ‒ Questa è la terza notte. Nessuno è mai durato più di tre notti.
Prima che chiudesse la porta, Nur fece in tempo a vedere la luce verde accesa alla finestra della casa.
Quella notte, ammanettato alla balaustra insieme a Nur, c’era un uomo nuovo, ma il Buio si addensò tutto attorno a Nur.
Quasi un bambino, seduto in attesa davanti a lei.
Una voce nella mente. Raccontami una storia.
Nur sentì la voce dei suoi bambini, ma era la voce del Buio.
Un Buio bambino. Come fosse nato solo il giorno prima.
Un bambino solo, nutrito di sangue e dolore, che voleva una storia. Un po’ spaventarsi, un po’ sognare.
Nur iniziò a raccontare.
Tutte le storie di sua nonna, poi quelle che aveva inventato per i suoi bambini. I suoi bambini ormai morti da tempo.
E da quelle storie nacque la fame, nel Buio, di una storia che in quel momento Nur non conosceva e non poteva raccontargli.
Allora si allontanò da Nur perché aveva un’altra fame, che saziò con l’uomo ammanettato.
Quella notte il Buio sognò.
Sogni avvelenati, ma anche sogni di stelle e di sole, di luce e calore, di linfa e di mele.
E quando si addormentò, Nur sognò i sogni del Buio.
Fame. Fame saziata. Senza odio, senza cattiveria.
Dolore e sangue trasformati. Forza che fa aprire i fiori al sole di primavera, tensione della linfa che preme.
E capì quale storia il Buio stesse aspettando.
Il pomeriggio dopo fu Roman a entrare nella rimessa.
Prese lo sgabello, si mise comodo, si accese una sigaretta.
Guardò a lungo Nur.
‒ Nessuno prima è mai durato più di tre notti ‒ si decise infine. ‒ Tre notti sì, poche volte, ma è capitato. È stato preso alla terza. Te non ti ha preso. Perché non ti ha preso? Non gli piaci. Perché non gli piaci?
Non è che non gli piaccio, pensò Nur. E ora ho bisogno di qualcosa da te. Mugolò.
Roman le abbassò il bavaglio: ‒ Perché non gli piaci?
‒ Non prende nemmeno voi, ‒ sussurrò Nur, rauca per la sete ‒ anche voi non gli piacete.
Roman scosse la testa: ‒ Lui sa che noi gli diamo da mangiare. Fuori, sulla veranda. È sempre stato così.
‒ Sempre?
‒ Questa terra è stata attraversata tante volte da eserciti. Tanti uomini sono stati uccisi. Stragi. Molto sangue l’ha bagnata. Alla fine qualcosa è nato. O forse è stato svegliato. Questo non lo so. Ma da quando la mia famiglia è qui, facciamo come hai visto, e tutto è sempre andato bene. A volte deve aspettare un po’, ma ha imparato ad avere pazienza.
‒ E se andasse via?
Roman rise: ‒ Rimane qui, perché sa che lo nutriamo. Ha bisogno solo di questo. Non deve andarsene ‒ aggiunse poi serio ‒ ci serve.
Si alzò e le rimise il bavaglio: ‒ Questa volta ci sarai solo tu. Ti prenderà.
Quella notte di nuovo il Buio bambino avvolse Nur.
Raccontami una storia.
E Nur ora sapeva quale voleva e quale raccontare.
A ogni bambino piace sentirsi raccontare la propria storia.
Da dove è venuto.
Da dove è nato.
Per i suoi bambini aveva inventato una fiaba per raccontare la loro nascita.
Inventò una storia per il Buio.
Di terra bagnata e nutrita dal sangue e dal dolore.
Della nascita del Buio.
Raccontò anche di sole e luce e forza, di fiori e di meli.
Raccontò al Buio i suoi sogni.
E di uomini che tenevano legato il Buio, prigioniero lì perché a loro faceva comodo.
Raccontò a lungo. Il tempo di una storia, breve ed eterno insieme.
Quando finì, il Buio si allontanò. E Nur era viva.
Dietro la finestra, gli uomini e Irena attesero, ma il Buio non tornava.
La porta si spalancò.
‒ Quattro notti, no… Non è mai successo… No, non va bene! Non va bene! ‒ gridò Roman.
Fece segno agli altri. Afferrarono Nur che si dibatteva. La tennero stretta mentre Andrej apriva le manette.
La trascinarono giù, verso il meleto. Nur sbatté più volte tentando di liberarsi.
Il suo sangue bagnò i gradini. Bagnò la terra su cui la tenevano premuta.
Roman tirò fuori il coltello.
Il Buio fu più veloce.
Aveva fame di una fame nuova. E si saziò in abbondanza.
Quando finì, non c’era più nessuno attorno a Nur.
La donna si tolse il bavaglio, respirò, tossì.
Si mise in ginocchio, poi, a fatica, in piedi.
Il Buio indugiò accanto a lei, finché sorse l’alba.
Allora la salutò.
E per la prima volta nella sua vita senza tempo, il Buio conobbe la gioia.
La gioia selvaggia di andare per il mondo.
Non più bambino.
Libero.