Inizio ringraziando.Mai come in questo periodo mi rendo conto che il tempo è la cosa più preziosa che abbiamo: darlo agli altri e dagli altri riceverlo sono un grande lusso e un grande dono. Tutto il tempo che spendiamo gli uni per gli altri leggendo e commentando è un dono.
Ringrazio quindi prima di tutto lo staff, perché tutto quello che loro fanno è gratuito e, tra l’altro, non sempre partecipano ai contest, quindi non hanno nemmeno un “ritorno” in termini di commenti al proprio lavoro.
Ringrazio tutti per i commenti, sia positivi che critici (che questa volta sono stati davvero pochi ): sia le lodi che le critiche servono, fanno piacere e/o fanno crescere. Le critiche fondate sono preziosi arricchimenti, ma anche quelle che sembrano meno giustificate sono utilissime, perché permettono di collocarsi nella realtà dei lettori, di posizionarsi in modo più realistico rispetto alla propria percezione di come dovrebbe essere accolto il proprio “pargoletto” e, soprattutto, di farsi le ossa: dopo sei anni di contest in SPS e DT, quando qualcuno mi dice – prendendo un mio libro – “guarda che poi sarò sincero, nel dirti cosa ne penso”, io rido sotto i baffi, perché non ho più paura di niente. Ringrazio tutti quelli che mi hanno inserito nella loro cinquina: quando la positività del commento poi si traduce nel voto fa un gran piacere, non lo nascondo. Tra l’altro, arrivare al terzo posto significa essere stata spesso collocata nelle prime o primissime posizioni, e questo non può che essere molto gratificante.
Al di là dei voti, questo racconto è piaciuto molto e tanti commenti mi hanno fatto vedere cose di cui io non ero consapevole mentre lo scrivevo.
All’inizio avevo anche pensato di saltare questo step: il genere erotico e horror mi sono estranei ed ero convinta che non sarei riuscita a combinare niente di buono. Poi ho pensato che di step ne ho saltati già due e che, comunque, avevo bisogno del contest per farmi compagnia e tenermi agganciata alla realtà esterna.
@SuperGric, sì, la tua impressione è giusta, dietro questo racconto horror ci sono tante storie, c’è molto altro, di cui questa volta non parlerò, ma c’è e ha dato linfa al racconto. Come il Buio, nato dal dolore, nutrito di sangue, ma in grado di trasformare il dolore e il sangue in vita, in linfa che nutre la vita (i meli).
Credo che questo racconto sia una rappresentazione visiva del processo che avviene nell’inconscio: la nostra zona oscura, più profonda, inconoscibile, che si nutre delle emozioni, in modo particolare di quelle più forti e quindi – spesso – di quelle nate da esperienze dolorose. Tutta questa energia psichica può trovare poi delle strade per emergere, trasferirsi alla coscienza, ed è quella che noi che scriviamo usiamo per raccontare le nostre storie. Ciò che ci ha fatto male può diventare vita, o almeno vedo che è quello che accade in me, al di là della mia volontà cosciente.
Questo racconto ha una particolarità: la protagonista è femminile, mentre di solito tutti i miei protagonisti sono maschi. Ho provato disperatamente a trasformarla nella mia mente in un maschio, ma niente, mi si è imposta una donna. Credo che anche questo sia molto significativo.
Vado in ordine di commenti ricevuti. Ho messo in cima a ogni paragrafo il nome della persona che per prima mi ha parlato di qualcosa.
@Byron.
Il primo a commentare e il primo a usare tutta una serie di aggetti ed espressioni, riferiti al mio stile, che mi hanno lasciata stupefatta e, ti confesso, molto gratificata: sofisticato, lirico, grazia, poesia, horror di classe.
Dopo di te, tanti altri hanno rilanciato: stile alto, scrittura ottima, raffinata, elegante.
Che dire? Grazie a tutti! Mi avete fatto vedere qualcosa, nel mio modo di scrivere, di cui io non sono consapevole ma che, evidentemente, emerge.
Byron ha anche, per primo, parlato dello “spiegone” di Irena. Un po’ hai ragione, in particolare per la parte che riguarda la figlia, come anche qualcun altro ha detto: credo che quella frase, in una revisione futura, la toglierò, perché crea anche una lieve incongruenza logica. Lascerò la scena, perché mi serve per spiegare alcune cose, ma la parte sulla figlia la toglierò. Mi si era imposta in una prima redazione come necessaria alla mia mente poi, sia perché emotivamente la sentivo necessaria sia per mancanza di tempo per la revisione, l’ho lasciata, ma in effetti narrativamente è meglio toglierla.
La sentivo necessaria perché metteva in risalto la crudeltà indifferente della famiglia, che non si fa scrupolo di sacrificare la figlia, ma ho visto che alla lettura la cosa è sfuggita.
@ Petunia.
La prima a parlare di Sherazade. Hai ragione, anche se mentre scrivevo non mi rendevo conto di stare usando quella suggestione.
Riporto qui una cosa che ho annotato mentre leggevo, qualche anno fa, Le mille e una notte.
Le mille e una notte
Goffmann
Violazione della sacralità della persona, dell’io sacro
Offesa all’io sacro
Offesa → ciclo di morte → se ne esce con la narrazione
Dalla morte nasce la narrazione
Narrazione → vita, ciclo vitale
Dallo sprofondare nella morte
Sharazad = donna → usa le parole
Maschile distruttivo
Non vede altra soluzione all’offesa che la morte
Femminile = soluzione = la parola, il raccontare, il narrare → vita
Evidentemente il mio cervello ricorda meglio di me le cose.
@Tom
Anche tu mi hai rivelato qualcosa: una associazione inattesa con la storia con la S maiuscola.
@Antonio Borghesi
Intanto, grazie per l’ottimo suggerimento di correzione della frase, che ho già applicato.
Poi, il nome.
Per me, trovare i nomi ai personaggi è sempre una fatica improba, che se posso evito, ma questa volta non potevo non usare nomi propri. Per la famiglia, ho fatto in fretta: ho cercato su internet un elenco di nomi polacchi e ho preso praticamente i primi della lista che mi ispiravano di più.
Il nome della protagonista invece mi metteva in crisi. Ero partita, non so perché pensando che ne volevo uno in aramaico. Poi in realtà i nomi in aramaico sono nomi ebraici e, anche qui non so perché, non mi soddisfacevano.
Probabilmente ne cercavo uno con un significato, ma non riuscivo a trovarlo. Ho cercato tra i nomi siriani, che sono spesso o ebraici o arabi. Ravanando tra quelli in arabo, quando ormai non ne potevo più, mi è balzato all’occhio Nur, luce. Avevo appena finito di leggere un graphic novel molto bello, una storia tra una ragazza italiana e un ragazzo siriano, che chiama lei “Nur”, luce, perché ha i capelli biondi.
Ho capito che quello era il mio nome, tanto che, nel racconto, le faccio dire non “mi chiamo Nur”, ma “io sono Nur”, io sono luce.
@Fante.
Anche quando, come questa volta, sei critico, leggere i tuoi commenti mi fa sbragare dal ridere. Non per quello che dici, che leggo in modo serio e prendo in considerazione, ma per come lo dici: un paio di passaggi sono esilaranti, in particolare il “Nel caso, grazie Nur, ottimo lavoro”.
Ho letto talmente tanta frustrazione, nel tuo esprimerti sul mio “horror buonista”, che mi veniva da farti pat pat sulle spalle e da scusarmi.
Perché, sì, in effetti questo è un po’ un horror buonista, mi dispiace, ma non sono capace di fare altro e non lo faccio apposta, mi viene così. Non è che parto pensando di farlo venire fuori così, viene lui da solo.
Approfitto di te per spiegare il “ci serve”, che ha messo in crisi anche altri. A me sembrava davvero ovvio ed esplicito, ma evidentemente non è così. Il Buio è la forza, l’energia che dà linfa al meleto della famiglia e produce le mele più buone della Polonia.
Poi, il Buio libero. No, nemmeno io so cosa farà ora il Buio, ora che la sua forza non è più relegata nel meleto.
Vedremo…
Sì, ci sono un paio di frasi in cui manca una parola perché non sono riuscita a fare una revisione finale.
A quello che ho scritto sopra aggiungo che sì, hai ragione, si vede che non riesco a essere cattiva fino in fondo. @ Akimizu
Non avevo dubbi che lo spezzettamento e le anafore - che a me piacciono molto e uso senza nemmeno rendermene conto – ti avrebbero fatto venire l’ulcera. Di Lars Kepler ho solo sentito il nome, non sapevo cosa scrivesse e non l’ho mai letto. Io scrivo così semplicemente perché mi viene, non è che stia a pensarci. Poi, certo, elimino elimino elimino, limo, cambio vocaboli, questo in modo consapevole, ma lo stile mi viene così, non è che forzi i periodi per farli rientrare nello stile. Ti confesso anzi che spesso, prima di iniziare un racconto, mi dico “dovresti provare a scrivere come Akimizu o come Asbottino”. Poi concludo con “scriverai peggio, ma almeno è roba tua, non di qualcun altro", così lascio perdere e mi rassegno a scrivere quel che mi riesce.
@ The Fallen
Scrivere un horror mi ha messo molto in crisi: l’horror non mi piace, non guardo film horror, non leggo libri, non ho mai giocato ad alcun videogioco (se si escludono pacman e space invaders della mia fanciullezza, più uno in cui c’era da lanciare dei pinguini per colpire un bersaglio).
I titoli che tu hai citato li ho sentiti, ma non so di cosa parlino.
Insomma, solo per dire che scopro così che, evidentemente, certe suggestioni fanno parte di una sorta di inconscio collettivo.
Dimenticavo: dato che, appunto, la mia cultura horror è quasi nulla, ho provato a "prepararmi" allo step leggendo un romanzo, "L'incubo di Hill House", di Shirley Jackson. Ecco, qui sì, credo che qualcosa da lì sia arrivato.