https://www.differentales.org/t1492-segreti#17929
Guardo la sveglia, sono le 6.45.
Decido di alzarmi, a letto con la cervicale che incalza non riesco a stare.
Maledetta nebbia, maledetto inverno.
Faccio piano, sguscio fuori dalle coperte come un ninja per non svegliare mio marito, oggi è domenica, non c’è fretta per gli altri.
In cucina mi assale un odore nauseabondo, ieri sera la mozzarella della pizza è colata nel forno creando una cortina di fumo e costringendoci ad aprire le finestre, anche se fuori segnava meno uno.
Spalanco di nuovo, cazzo che freddo, mi avvolgo in una coperta lasciata sul divano e faccio i piatti. Dopo cinque minuti non resisto più e chiudo. La puzza rimane. Accendo una candela profumata, chissà che non copra un po’.
Sono le 8,05, dormono ancora tutti e allora mi butto sul divano e guardo WhatsApp.
Le ragazze sono già attive, ma come fanno ad essere così efficienti, organizzate e pimpanti già a quest’ora?
Io ho le ossa che scricchiolano, i muscoli doloranti e zero voglia di fare.
Sento la pompa della caldaia che si sta accendendo, speriamo faccia in fretta, ho bisogno di calore, il mio corpo ne ha bisogno.
Oggi è il 19 dicembre, mi fermo un attimo a guardare i numeri, questa data mi dice qualcosa. Sto per rispondere a Sabina che mi ha appena inviato le sue impressioni su un racconto che ho scritto la scorsa settimana, vorrei odiarla per la sua efficienza.
Arriva un messaggio da mia sorella, ormai sono le 9. “Buon anniversario”
Ecco cosa non ricordavo, è il mio anniversario di matrimonio, sono esattamente ventitré anni.
Ventitré anni di matrimonio, tre traslochi, due figli e un sacco di storie da raccontare, ma festeggiare non rientra nei piani di oggi, chissà se la mia dolce metà se ne sarà ricordata.
Sento aprire le imposte in camera, mi affretto a preparare la colazione, i miei uomini si stanno svegliando.
Prendo la scatola dei biscotti, è vuota, mi sono dimenticata di comprarli. Passo al piano B: fette biscottate con la marmellata, sento già i lamenti del piccolo, ma dovrà farsi bastare questo. Oggi va così, poca voglia, umore nero, tempo di merda. Non possono chiedermi di più.
Vediamo quanto ci mettono a farmi gli auguri, penso tra me. Come ogni anno dovrò ricordarglielo io e la cosa mi fa andare su tutte le furie. Chissà perché ci tengo così tanto, razionalmente è un giorno come un altro.
Ovviamente nessuno lo fa, allora me ne esco con un buon anniversario, buttato lì con indifferenza.
Mio marito mi guarda, gli occhi gonfi e il naso rosso, è da due giorni che ha il raffreddore e sembra in punto di morte.
Auguri, risponde con la voce nasale. Mi lamento, possibile che nessuno si ricordi mai? Lui mi guarda, è serio.
Mi spiace, dice, ma questo giorno non mi ricorda eventi lieti, lo sai.
Non mi arrabbio so cosa intende. Il 19 dicembre di tanti anni fa, sono stata ricoverata, incinta di cinque mesi. Sono stati giorni difficili e da allora la nostra vita è cambiata.
Devo prendere un Brufen, la cervicale mi sta uccidendo.
Finalmente mi decido a lavarmi, mi guardo allo specchio e inorridisco. Cerco di rimediare, per quanto umanamente possibile: siero, crema, contorno occhi, massaggio con il rullo, lavaggio capelli, asciugatura con il diffusore, che mi distrugge, ma almeno non sembrerò un istrice.
Nel frattempo mio marito esce, vado dai miei con Gabry e poi a fare un po’ di spesa.
Traduzione: se non ci penso io, per te potremmo morire di fame.
Festeggiamenti coi fiocchi oggi.
Non ho molta voglia di pensare al pranzo, quindi tolgo dal freezer il ragù congelato, una bella pasta e via, passa tutto.
Vorrei farmi scivolare addosso questa sensazione di freddo, questa mancanza di gesti affettuosi di cui il mio passato è ricco. Ora mi sembra tutto così noioso, ripetitivo, banale. Sto invecchiando, questo è sicuro, però dentro mi sento giovane, ho entusiasmo, voglia di fare tante cose, di imparare, di mettermi alla prova. Invece spesso mi sento intrappolata, bloccata in questa famiglia di maschi che non capiscono, anche impegnandosi, non ci riescono. Sono così diversa da loro.
Preparo la tavola, la tovaglia è macchiata ma non mi va di cambiarla, tanto a chi importa? Resto in pigiama non mi vesto, per chi dovrei farlo?
Guardo fuori, la nebbia si è infittita, non vedo nemmeno le case vicine.
Riaffiora il ricordo del giorno del nostro matrimonio. Era una splendida giornata di dicembre, di quelle dove il cielo è così blu da sembrare un filtro. Quanta agitazione quel giorno, ero la prima della famiglia a sposarsi e tutta la famiglia era nel caos. Mio padre pronto da un’ora scalpitava per partire, mia madre lo tranquillizzava come solo lei sapeva fare, la sposa arriva sempre dopo lo sposo, gli diceva.
Quanto mi mancano.
Arrivati in macchina davanti alla chiesa, ci corse incontro mia madre con le braccia alzate, fermatevi. Non trovava il mio promesso sposo, non era ancora arrivato.
Panico.
Poi l’ho visto, tranquillo, mentre usciva dal bar di fronte con il suo testimone, non cambierà mai ho pensato.
Avevo visto giusto.
Mi sarebbe piaciuto fare qualcosa oggi, uscire a pranzo, o andare in centro, ma c’è la nebbia, lui è raffreddato, i figli non ne vogliono sentire e c’è l’Hellas Verona che gioca.
Ottimo, scendo sempre più in basso nella lista delle priorità di questa famiglia.
Il timer che ho impostato per la pasta suona, proprio mentre gli altri aprono il garage.
Tempismo perfetto.
Entrano dalla porta carichi di borse, forse mi sono persa qualche notizia alla radio, siamo entrati in zona rossa? C’è cibo per un reggimento.
Poi li vedo. Una macchia di colore racchiusa in un cellophane dell’Esselunga. Sono tulipani, i miei preferiti.
Li ho messi in un vaso sul tavolo in salotto, non c’è un biglietto, non una parola, ma si è ricordato che li adoro e questo basta.
Il Brufen sta facendo effetto.
Mangiamo come tutti i giorni, brontolando, chiacchierando, litigando.
Fuori c’è ancora la nebbia, ma adesso non mi disturba, cerco il bicchiere mezzo pieno, finalmente riuscirò a finire il libro che da giorni staziona sul mio comodino.
Forse.
Mamma mi aiuti a costruire il puzzle in 3D del castello di Hogwarts?
E anche oggi finirò il libro domani.
È domenica, una domenica qualsiasi, uguale alle domeniche degli ultimi ventitré anni. Abbiamo cambiato casa, abbiamo avuto figli, ma siamo rimasti sempre noi, con i nostri difetti, le nostre stupide litigate, i nostri caratteri così diversi.
Domani mi sveglierò di nuovo alle 6.45, un’altra giornata, la stessa vita.
E tutto sommato va bene così.
Guardo la sveglia, sono le 6.45.
Decido di alzarmi, a letto con la cervicale che incalza non riesco a stare.
Maledetta nebbia, maledetto inverno.
Faccio piano, sguscio fuori dalle coperte come un ninja per non svegliare mio marito, oggi è domenica, non c’è fretta per gli altri.
In cucina mi assale un odore nauseabondo, ieri sera la mozzarella della pizza è colata nel forno creando una cortina di fumo e costringendoci ad aprire le finestre, anche se fuori segnava meno uno.
Spalanco di nuovo, cazzo che freddo, mi avvolgo in una coperta lasciata sul divano e faccio i piatti. Dopo cinque minuti non resisto più e chiudo. La puzza rimane. Accendo una candela profumata, chissà che non copra un po’.
Sono le 8,05, dormono ancora tutti e allora mi butto sul divano e guardo WhatsApp.
Le ragazze sono già attive, ma come fanno ad essere così efficienti, organizzate e pimpanti già a quest’ora?
Io ho le ossa che scricchiolano, i muscoli doloranti e zero voglia di fare.
Sento la pompa della caldaia che si sta accendendo, speriamo faccia in fretta, ho bisogno di calore, il mio corpo ne ha bisogno.
Oggi è il 19 dicembre, mi fermo un attimo a guardare i numeri, questa data mi dice qualcosa. Sto per rispondere a Sabina che mi ha appena inviato le sue impressioni su un racconto che ho scritto la scorsa settimana, vorrei odiarla per la sua efficienza.
Arriva un messaggio da mia sorella, ormai sono le 9. “Buon anniversario”
Ecco cosa non ricordavo, è il mio anniversario di matrimonio, sono esattamente ventitré anni.
Ventitré anni di matrimonio, tre traslochi, due figli e un sacco di storie da raccontare, ma festeggiare non rientra nei piani di oggi, chissà se la mia dolce metà se ne sarà ricordata.
Sento aprire le imposte in camera, mi affretto a preparare la colazione, i miei uomini si stanno svegliando.
Prendo la scatola dei biscotti, è vuota, mi sono dimenticata di comprarli. Passo al piano B: fette biscottate con la marmellata, sento già i lamenti del piccolo, ma dovrà farsi bastare questo. Oggi va così, poca voglia, umore nero, tempo di merda. Non possono chiedermi di più.
Vediamo quanto ci mettono a farmi gli auguri, penso tra me. Come ogni anno dovrò ricordarglielo io e la cosa mi fa andare su tutte le furie. Chissà perché ci tengo così tanto, razionalmente è un giorno come un altro.
Ovviamente nessuno lo fa, allora me ne esco con un buon anniversario, buttato lì con indifferenza.
Mio marito mi guarda, gli occhi gonfi e il naso rosso, è da due giorni che ha il raffreddore e sembra in punto di morte.
Auguri, risponde con la voce nasale. Mi lamento, possibile che nessuno si ricordi mai? Lui mi guarda, è serio.
Mi spiace, dice, ma questo giorno non mi ricorda eventi lieti, lo sai.
Non mi arrabbio so cosa intende. Il 19 dicembre di tanti anni fa, sono stata ricoverata, incinta di cinque mesi. Sono stati giorni difficili e da allora la nostra vita è cambiata.
Devo prendere un Brufen, la cervicale mi sta uccidendo.
Finalmente mi decido a lavarmi, mi guardo allo specchio e inorridisco. Cerco di rimediare, per quanto umanamente possibile: siero, crema, contorno occhi, massaggio con il rullo, lavaggio capelli, asciugatura con il diffusore, che mi distrugge, ma almeno non sembrerò un istrice.
Nel frattempo mio marito esce, vado dai miei con Gabry e poi a fare un po’ di spesa.
Traduzione: se non ci penso io, per te potremmo morire di fame.
Festeggiamenti coi fiocchi oggi.
Non ho molta voglia di pensare al pranzo, quindi tolgo dal freezer il ragù congelato, una bella pasta e via, passa tutto.
Vorrei farmi scivolare addosso questa sensazione di freddo, questa mancanza di gesti affettuosi di cui il mio passato è ricco. Ora mi sembra tutto così noioso, ripetitivo, banale. Sto invecchiando, questo è sicuro, però dentro mi sento giovane, ho entusiasmo, voglia di fare tante cose, di imparare, di mettermi alla prova. Invece spesso mi sento intrappolata, bloccata in questa famiglia di maschi che non capiscono, anche impegnandosi, non ci riescono. Sono così diversa da loro.
Preparo la tavola, la tovaglia è macchiata ma non mi va di cambiarla, tanto a chi importa? Resto in pigiama non mi vesto, per chi dovrei farlo?
Guardo fuori, la nebbia si è infittita, non vedo nemmeno le case vicine.
Riaffiora il ricordo del giorno del nostro matrimonio. Era una splendida giornata di dicembre, di quelle dove il cielo è così blu da sembrare un filtro. Quanta agitazione quel giorno, ero la prima della famiglia a sposarsi e tutta la famiglia era nel caos. Mio padre pronto da un’ora scalpitava per partire, mia madre lo tranquillizzava come solo lei sapeva fare, la sposa arriva sempre dopo lo sposo, gli diceva.
Quanto mi mancano.
Arrivati in macchina davanti alla chiesa, ci corse incontro mia madre con le braccia alzate, fermatevi. Non trovava il mio promesso sposo, non era ancora arrivato.
Panico.
Poi l’ho visto, tranquillo, mentre usciva dal bar di fronte con il suo testimone, non cambierà mai ho pensato.
Avevo visto giusto.
Mi sarebbe piaciuto fare qualcosa oggi, uscire a pranzo, o andare in centro, ma c’è la nebbia, lui è raffreddato, i figli non ne vogliono sentire e c’è l’Hellas Verona che gioca.
Ottimo, scendo sempre più in basso nella lista delle priorità di questa famiglia.
Il timer che ho impostato per la pasta suona, proprio mentre gli altri aprono il garage.
Tempismo perfetto.
Entrano dalla porta carichi di borse, forse mi sono persa qualche notizia alla radio, siamo entrati in zona rossa? C’è cibo per un reggimento.
Poi li vedo. Una macchia di colore racchiusa in un cellophane dell’Esselunga. Sono tulipani, i miei preferiti.
Li ho messi in un vaso sul tavolo in salotto, non c’è un biglietto, non una parola, ma si è ricordato che li adoro e questo basta.
Il Brufen sta facendo effetto.
Mangiamo come tutti i giorni, brontolando, chiacchierando, litigando.
Fuori c’è ancora la nebbia, ma adesso non mi disturba, cerco il bicchiere mezzo pieno, finalmente riuscirò a finire il libro che da giorni staziona sul mio comodino.
Forse.
Mamma mi aiuti a costruire il puzzle in 3D del castello di Hogwarts?
E anche oggi finirò il libro domani.
È domenica, una domenica qualsiasi, uguale alle domeniche degli ultimi ventitré anni. Abbiamo cambiato casa, abbiamo avuto figli, ma siamo rimasti sempre noi, con i nostri difetti, le nostre stupide litigate, i nostri caratteri così diversi.
Domani mi sveglierò di nuovo alle 6.45, un’altra giornata, la stessa vita.
E tutto sommato va bene così.