L’utente da lei chiamato non è al momento raggiungibile. Dopo il segnale acustico è possibile registrare…
Riattaccò.
“Dove si è cacciato quel cretino! Se mi fa perdere questa occasione lo ammazzo”, pensò Anna.
Guardò lo schermo del PC. Lo stemma del Vaticano con le chiavi di San Pietro campeggiava sulla webpage. Poco sotto, la scritta Cronosivore, anticamera per la prenotazione cambiava colore ogni cinque secondi, accompagnando il count-down, che segnava ancora solo dodici minuti e qualche spicciolo.
“Sono tre ore che ogni cinque minuti devo confermare la prenotazione e quello?”
Lo smartphone iniziò a vibrare, illuminandosi con la foto di Carlo e la scritta Chiamata in arrivo da Orsacchiotto.
«Scusa, scusa, scusa… e ancora scusa.»
«Ma dove cazzo eri?»
«Ti ho già chiesto scusa. Si, lo so, è colpa mia… e di Pelosetto.com. Mi hanno regalato 15 minuti di video chat, poi mi sono perso via per un’altra mezz’ora. E intanto mi hanno scucito altri 60 sacchi almeno. Altro che utente premium! Sarà meglio che cancelli la mia carta di credito da quel sito o ci lascio giù lo stipendio.»
«Ma non puoi farti una sega su YouPorn come tutti i normali cristiani. Pagare per chattare con una fighetta vestita da porcellina… bisogna essere malati!»
«Per cominciare, era vestita da mucca, e dovevi vedere che tette che aveva! Se ho Orsacchiotto come nickname un motivo ci sarà, no?»
«Muoviti a collegarti, mancano meno di nove minuti.»
Carlo iniziò a navigare nel dark web.
«Ecco, ti ho trovata. Sei nel posto giusto.»
«Come sono messa?»
«Ottima posizione. Hai solo 127.392 prenotazioni davanti a te… ma magari qualcuno rinuncia», ridacchiò Carlo.
Sul computer di Anna si aprì una nuova finestra: Mancano 5 minuti. Premere CONFERMA per non perdere la priorità acquisita.
«Datti una mossa, questi mi stanno anche prendendo per il culo. Peggio del click-day per il bonus vacanze.»
«Vabbè, adesso ti faccio risalire la lista! Centoventi, centodieci, centomila… speriamo di fare in tempo!»
«Altrimenti ti uccido.»
Il silenzio assoluto riempì quegli ultimi minuti di attesa.
«Fermiamoci qui, sei dodicesima. Donna di poca fede!»
«Sui tuoi gusti sessuali non mi esprimo, ma come hacker non ho mai avuto dubbi. Dodicesima su trenta posti disponibili: ottimo! Finalmente riuscirò a completare in tempo quel dannato racconto.»
«Perché ci tieni così tanto poi? Non si vince un cacchio.»
«Ci tengo e basta! Tu sei un utente di Pelosetto.com? E io di DiffrenTales.org. Te c’hai i tuoi hobby e io i miei.»
«Touché! Ma i miei mi rilassano, i tuoi ti fanno diventare stronza. Da quando è uscito il regolamento per il nuovo concorso sei intrattabile.»
«Prova tu a scrivere un racconto d’avventura, con protagonista un utente che nel 1600 fa anticamera davanti a Europa, una luna di Giove. Per combinazione mi salta fuori l’occasione di fare un viaggio fino ai tempi in cui Galileo l’ha scoperta e quasi me lo fai perdere! Dove altro speri possa trovare spunti interessanti per scrivere un racconto decente?»
«Ciccia bella, te la sei cercata tu la competizione con i tuoi amichetti. Basta vedere come si presentano su DifferenTales per capire con chi hai a che fare. L’unica che salverei è ImaGiraffe: non mi sorprenderebbe di trovarmela a chattare su Pelosetto uno di questi giorni.»
«Piantala lì. Qui non compare più nulla», lo interruppe Anna: sullo schermo era rimasta solo una clessidra, che ruotava di tanto in tanto, senza dare ulteriori segnali di vita. «Mi sa che s’è impallato tutto».
«Ma tu sei sicura che questa storia del cronovisore non sia solo un pesce d’aprile?» disse Carlo con un occhio al calendario.
«Che esista in Vaticano una macchina capace di vedere il passato, attraverso una sorta di televisore, è un dato di fatto: ho trovato diverse conferme in internet. Si tratta di uno strumento scientifico, inventato da un monaco benedettino, esorcista pure.»
«E come farebbe a farti viaggiare nel tempo?»
«Forse non hai capito! Non stiamo parlando della DeLorean del professor Doc che ci salti dentro e ti catapulta indietro di due secoli. Si basa su principi di fisica: ciascuno dì noi, nella sua vita, lascia dietro di sé come una doppia scia, visiva e sonora, poiché ogni uomo altro non è che energia, visiva e sonora. Ora, ogni energia, una volta emessa, non si distrugge più, semmai si trasforma, però resta eterna nello spazio. Questo strumento capta queste energie e le decodifica in maniera tale da ridarci il passato.»
«Sarà, ma che il Vaticano abbia deciso di mettere a disposizione una macchina così, mi pare strano.»
«Hai mai sentito parlare della glasnost di Papa Bergoglio? Se ha aperto anche gli Archivi Apostolici del Vaticano...»
«Ma per fare chiarezza sulla pedofilia nella Chiesa, mi sa che ci voglia ancora parecchio», la interruppe Carlo.
«Fermo, fermo! Ecco, ci siamo.»
Anna iniziò a leggere il messaggio apparso sullo schermo.
Congratulazioni! Lo Stato della Città del Vaticano sarà felice di ospitarla per un cronoviaggio nel passato. Le verrà inviata a breve una email con l’indirizzo a cui presentarsi, la data e l’ora dell’appuntamento. Le invieremo anche alcuni allegati che dovrà compilare e restituire non oltre 48 ora prima dell’appuntamento fissato.
«Stai calma, mi sembri così agitata!»
«Ti lascio. Mi è già arrivata la mail. Voglio rispondere subito, prima che cambino idea.»
Puntuale, Anna si presentò alla Chiesa di Santa Maria Immacolata per la funzione delle 6 del mattino.
Era arrivata la sera prima alla stazione Termini con il Frecciarossa delle 22, giusto il tempo di raggiungere un alberghetto a Trastevere e cercare di prendere sonno, almeno qualche ora. Monsignor Bertocchi l’aveva chiamata di persona, per darle “raccomandazioni di fondamentale importanza” e Anna stava cercando di seguirle alla lettera. “Non dia troppa pubblicità alla sua missione, non pubblichi niente sui social network, non parli con sconosciuti nei giorni precedenti l’appuntamento, tantomeno in viaggio: potrebbe essere pericoloso… per lei”, le aveva detto con fare risoluto.
Poi, quasi a leggerle nel pensiero, aveva proseguito: “Non mi risulta frequenti molto ultimamente, ma il cronoviaggio è un’esperienza mistica: si può affrontare solo con l’animo puro e la coscienza mondata dai peccati”. Le aveva quindi dato indicazioni precise: “Si sieda vicino al quadro di Guido Reni con l'Arcangelo Michele che caccia Lucifero, assista alla funzione. Al termine si rechi al confessionale lì vicino, sarà l’unico con la lucina accesa”.
Quando la chiesa si svuotò delle poche vecchiette che avevano occupato le panche delle prime file, Anna si avvicinò al confessionale, entrò nello sgabuzzino e si inginocchiò nella penombra. Apri lo sportellino e vide che la rete forata era stata sostituita da una pulsantiera, tasti tondi neri, stile anni Settanta.
“Prema S”. Ubbidì.
Qualche secondo dopo l’improbabile ascensore si fermò, una decina di metri sotto al livello della chiesa. “Non abbia timore, anche se troverà il luogo un po’ particolare: è la Cripta dei Frati Cappuccini. La riceverò appena possibile”.
La ragazza uscì dal confessionale. In effetti l’ambiente era piuttosto scioccante: le decorazioni interne della cripta erano state interamente realizzate utilizzando tibie, femori, vertebre e teschi, in un macabro trionfo di forme e immagini. Le lampade alle pareti, anch’esse realizzate con ossa umane, lanciavano una fioca luce su corpi mummificati, vestiti con il saio cappuccino, pronti ad accogliere il visitatore di turno.
“Ma chi me l’ha fatto fare?” si domandò. L’unico a sapere dove fosse era Carlo, ma non si era nemmeno sognata potesse succederle qualcosa di spiacevole. Pensò a Emanuela Orlandi, la figlia di un commesso pontificio, scomparsa da quasi quarant’anni senza che nessun sollevasse il velo sulle ambiguità di quel mistero. Un brivido la percorse.
Iniziava a sentire l’umidità penetrarle nelle ossa, quando una figura si affacciò alla porta sotto l’arco centrale, dominato dalla scritta Quello che voi siete noi eravamo; quello che noi siamo voi sarete.
«Mi scusi se l’ho fatta aspettare in questa poco convenzionale anticamera. Venga, il mio ufficio è molto più accogliente. Sono Monsignor Bertocchi, ci siamo sentiti al telefono.»
L’ambiente che accolse Anna era completamente diverso, ben condizionato, illuminato, con un’immensa scrivania circondata da scaffali stracolmi di volumi.
«Si accomodi. Abbiamo ancora qualche scartoffia da riempire. Levi pure la mascherina: siamo solo in due e da qualche giorno le regole anti-covid sono cambiate, no?»
Anna si sedette, scoprendo il viso, intimorita. Lesse con attenzione i documenti da firmare.
«Quelli importanti sono i prime due: il declino di ogni responsabilità da parte del Vaticano e il dettaglio di quali informazioni lei si impegna a non rivelare alla fine del suo cronoviaggio.»
«E se non accetto?»
«L’ascensore la riporterà alla chiesa!» rispose senza convenevoli.
Anna firmò.
«Un’ultima cosa, prima di lasciarla», aggiunse Monsignor Bertocchi, «nella stanza qui di fianco sarà controllata con uno scanner, tipo quello degli aeroporti, per essere sicuri non porti niente che possa danneggiare la macchina. Poi sarà bendata: il cronovisore si trova in un bunker assolutamente segreto.»
La ragazza lo guardò perplessa: l’ombra di Emanuela era tornata a far capolino nei suoi pensieri: «Non si preoccupi, Padre Ermanno si prenderà cura di lei. È un benedettino, come l’inventore della macchina».
Padre Ermanno l’aveva scortata per almeno una mezz’ora, porgendole il braccio per non farla inciampare. Di tanto in tanto si fermava e la faceva girare su se stessa più volte, per farle perdere il senso della posizione e dell’orientamento. Le era rimasto un fastidioso senso di nausea.
«Siamo arrivati. Si levi pure la benda dagli occhi.»
La luce dei neon la abbagliò, facendola vacillare.
«Si segga. Si riprenderà subito.»
Anna cercò di captare qualche rumore, un riferimento che le potesse dare idea di dove si trovasse. Solo una leggera litania, lontana, lontanissima, arrivava dalla volta. Doveva essere di nuovo nelle viscere di qualche chiesa, ma avrebbe giurato non fosse più quella dalla quale era entrata.
Appena gli occhi si furono abituati, Anna riuscì a mettere a fuoco la misteriosa macchina, posizionata al centro del bunker in cui si trovava.
Valvole, antenne, transistor erano collegati da fili di vari colori, creando uno strano accrocchio. Sul lato di fronte a lei uno schermo, a tubo catodico, non più largo di due spanne: ne aveva visto uno simile solo in casa di sua nonna. In fianco un pannello con qualche pulsante, levette in acciaio cromato, un orologio digitale. «Servono a selezionare il luogo e l’ora da visualizzare», spiegò padre Ermanno.
«Non mi sembra uno strumento proprio all’avanguardia!». Si pentì di non essersi morsa la lingua in tempo, ma proprio non era riuscita a mascherare il suo stupore.
«Signorina Anna, Padre Alfredo Maria Ernetti ha costruito il cronovisore nei primi anni ’70, dopo vent’anni di studi applicativi sulla relatività di Einstein. Cosa pensava di trovare?»
Si sentì stupida e in dovere di scusarsi: «Mi perdoni Padre, sono stata poco delicata».
«Non si preoccupi, comunque ha ragione. Per questo l’abbiamo da poco ammodernata trasferendo i segnali che capta dal tubo catodico ad un visore 3D per la realtà aumentata di ultima generazione. Tenga, lo indossi.» le disse porgendole un casco di tipo aeronautico.
Poi si diresse verso la macchina, la accese e domandò: «Conferma di voler vedere Galileo Galilei nei giorni in cui scoprì le lune di Giove? È una scelta particolare; posso chiederle il motivo?»
«Interesse per studi personali», si limitò a dire Anna, cercando con il tono della voce di non sembrare troppo scontrosa.
«Va bene; si parte!»
L’utente da lei chiamato non è al momento raggiungibile. Dopo il segnale acustico è possibile registrare un breve messaggio.
“Anna, tutto bene? Sono due giorni che ti chiamo. Richiamami appena puoi, altrimenti mi fai preoccupare.”
La ragazza guardò lo smartphone. Era ancora Carlo. Avrebbe dovuto richiamarlo, prima che gli venisse in mente qualcuna delle sue stronzate. Ma non ne aveva voglia, non ancora.
Quanto aveva visto l’aveva colpita, l’aveva segnata. Si era risvegliata, come da un sogno, su una panchina in un cimitero, senza neanche sapere come ci fosse arrivata. Forse era stata la realtà aumentata, forse il viaggio bendata, forse… chissà.
Si era avvicinata ad una vecchina: «Mi scusi, potrebbe dirmi che cimitero è questo?»
La donna l’aveva guardata stranita: «E’ il cimitero Teutonico. Si sente bene?»
«Solo un leggero capogiro. Dove si trova?»
«Ma vicino a piazza San Pietro!» le aveva risposto, come fosse scontato.
«Scusi ancora, da che parte è l’uscita?»
Si era avviata nella direzione indicata. Un signore vestito di nero sembrava osservarla da lontano.
L’aveva visto, Galileo Galilei, scrutare il cielo con il cannocchiale. Giove era al punto di minima distanza dalla terra, ma quelle quattro stelle ai suoi lati, lungo una linea retta non gli tornavano. Qualche giorno dopo, aveva capito che non erano stelle, ma lune che ruotavano attorno a Giove, e tra quelle c’era Europa.
L’aveva visto entusiasta, non per la scoperta dei pianeti in sé, ma perché dimostrava che non tutti gli oggetti del sistema solare orbitavano attorno alla Terra. Ancora non sapeva quanti guai questa scoperta gli avrebbero portato.
E lei, li aveva visti quei guai! E ne era rimasta sconvolta. Ora non sapeva più se scrivere un racconto, come scriverlo, che senso avrebbe avuto scriverlo.
Che la Terra non sia centro del mondo né imobile, ma che si muova è parimente proposizione assurda e falsa, e considerata in teologia ad minus erronea in Fide: eresia! Per quello doveva morire, per quello dovevano ucciderlo.
Gesuiti! Domenicani! Urbano VII, papa Barberini! Tutti lo volevano morto. Avevano complottato per ucciderlo, prima che le sue teorie minassero la loro fede e il loro potere.
Non era un’ipotesi, non era un romanzo storico: l’aveva visto, con i suoi occhi, l’aveva sentito, con le sue orecchie. L’aveva quasi vissuto, immersa come spettatrice in quel mondo virtuale, eppure così reale. E nei secoli a venire, la Chiesa l’aveva nascosto, insabbiato, negato.
Il telefono squillò ancora.
Rispose.
«Ah, ci sei! E non mi dici niente?»
«Sto ancora metabolizzando l’esperienza. Dammi tempo; forse è meglio se ne parliamo di persona.»
«Tutto qui? Speri di cavartela con così poco?»
Anna non rispose, la mente assorbita da altri pensieri. Pensò a quando era tornata a casa da Roma, alla porta chiusa a tre mandate, lei che ne dava sempre solamente due.
Carlo non mollava: «E per il racconto? Hai trovato spunti interessanti?»
Anna andò in bagno, tirò lo sciacquone per fare rumore: l’aveva visto fare nei film.
«Preferirei non parlarne al telefono.»
«Cos’è questo rumore?». Poi realizzò: «Vengo lì? Mi fai preoccupare.»
«Mi sa che leggi troppo Dan Brown», cercò di minimizzare Anna. «Forse sto solo diventando un po’ paranoica».
Spense l’acqua e cambiò discorso.
«Ma lo sai che ImaGiraffe ha cambiato foto sul profilo?»
«E…»
«Ha sul viso una mascherina da giraffa e indossa una giacchina maculata.»
«Te lo dicevo che prima o poi ci avrei chattato su Pelosetto.com.»
«Ma si intravede anche il petto, coperto da una bella peluria, sotto una fitta barba nera.»
«Che mi vuoi dire?»
«Che è un uomo, Carlo. Ecco quello che ti voglio dire.»
«E allora? Per ora non ho dubbi sui miei gusti, ma non si può mai sapere.»
Fortuna che la conversazione si era spostata sulle cretinate, pensò Anna.
Spense la luce nella stanza e si avvicinò alla finestra.
L’uomo era ancora là sotto, da quando era tornata, appoggiato alla pensilina della 73. Era lo stesso del cimitero? Non ne era sicura, ma poteva anche essere.