Alcuni utenti invitati all’evento organizzato da DT raggiunsero alla spicciolata la piazza su cui si affacciava la Chiesa delle Otto Chiavi, il luogo convenuto per l’incontro: a guidarli attraverso l’intrico di viuzze del piccolo borgo medievale era stato il campanile, che svettava sui tetti delle case, simile a una matita ben temperata.
Nonostante l’aspetto pacifico del villaggio e l’eccitazione per un evento dai contorni quanto mai nebulosi, e quindi molto intrigante per gli utenti tipo del forum, si trovarono immersi in un’atmosfera che li mise a disagio.
Dalle finestre uscivano brusii di voci, risate, musica, acciottolii di stoviglie, ma la sensazione era di assenze; per contro, benché le stradine fossero deserte, udirono passi veloci, porte che si chiudevano, il campanello di una bicicletta, il rimbalzare di una palla…
Un po’ esitanti e mascherando la curiosità con un ostentato interesse per la chiesa, piccola e semplice, si scrutarono di sottecchi per qualche minuto finché Digito, impaziente, ruppe il ghiaccio con le presentazioni: nessun turista, solo cinque utenti DT, nonostante le adesioni fossero state più numerose.
Non si conoscevano di persona ma, pur interagendo tra loro sul forum con assiduità, studiandosi tra le righe di racconti e commenti, si ritrovarono ora a non sapere cosa dire, quasi che con l’aver dato un volto normale ad avatar e nickname curiosi si fosse dissolto l’alone di mistero che da essi derivava.
Petunia, raffinata nel suo tubino color salmone, superò il momento e si avvicinò al portone della chiesa, su cui era affissa una nota: “Riservato DT. Attendere.”
«Attendere chi? Pare un paese fantasma.»
Viv, con l’inseparabile chitarra e aggiustandosi il Trilby, si diresse verso il portone: «Dice il saggio: a ogni chiave il suo zelbino. Dopo di voi.»
Entrarono in silenzio, aspettandosi acquasantiere, immagini sacre, candele: si ritrovarono invece in una sorta di nartece, un’anticamera dove, al posto del classico tavolino per opuscoli e avvisi, c’erano alcune vecchie poltroncine.
«Cos’è, uno scherzo?» Susanna detestava le anticamere, la innervosivano, soprattutto quando non era certa di cosa aspettarsi dietro porte chiuse: ma qui di porte che consentissero l’accesso alla navata o alla sacrestia neanche l’ombra. Di fronte a loro una parete di pannelli di legno e vetri colorati, ognuno dei quali recava una placchetta col nome delle stanze degli step di Rooms conclusi. Fu sul più laterale dei pannelli che trovarono, ben dissimulate negli intarsi di un disegno complicato, diverse serrature e un pomello, bloccato: niente chiavi e nessun zerbino.
«Alla faccia delle otto chiavi! Ci vorrebbe Bernie Rhodenbarr.»
Mentre Molli esaminava con attenzione le serrature, dal portone accostato entrò, trafelato, un ragazzo alto e molto magro: sotto una giacca dal taglio impeccabile, una camicia maculato giraffa. Anche la borsa che portava a tracolla aveva la stessa stampa, e così pure una lunga sciarpa svolazzante.
«Scusate il ritardo, senso dell’orientamento zero. Che corsa! Piacere, Imagiraffe, ma Giraffa va bene. Uh, che ansia! Che si fa adesso? Entriamo?»
«Niente chiavi, tesoro,» lo informò Petunia, giocherellando con un orecchino «e nessun sagrestano in vista.»
«Magari c’è una nicchia nascosta. Per le chiavi, intendo.» ipotizzò Viv.
Esaminarono con cura le pareti ma fu l’esperienza di Digito a consentire il recupero di un foglietto nascosto nello strappo del rivestimento di una delle poltroncine.
Pessima grafia, messaggio chiaro: “Keys in rooms, tocca il nome, entra uno x volta, if miei calcoli ok max entro mezzanotte. Good luk. Achillu.”
«Direi che non abbiamo scelta, gente. Ho chiuso il portone, che è… ehm… bloccato.» disse Giraffa, imbarazzato. «Non sarà per caso una escape room? Viv?»
«Mmm, non credo proprio. Troppi indizi. Vabbè, dai, vediamo! Portineria: volontario?»
«Dice il saggio: plima gallina che canta fatto uovo.» lo scimmiottò Petunia.
Per le altre stanze, tirarono a sorte.
Mentre Viv si preparava a entrare in Portineria, gli altri si accomodarono sulle seggioline, scomodissime, senza trovare di che parlare, come dal medico. Uno sguardo all’orologio, un pelucco sulla giacca, non c’erano vecchie riviste da sfogliare o quadri da esaminare, e nessuno si era portato un libro. E sì che sarebbe bastata una banalità qualsiasi a dare l’avvio a qualche discussione, magari parlare delle “stanze” dei loro racconti, a quelle idee che si erano palesate appena spediti i testi…
Non ne ebbero né il tempo né la possibilità.
Non appena uno di loro toccava il cartellino col nome della stanza, il pannello si apriva e nell’anticamera, mescolandosi agli utenti in attesa del loro turno, si riversavano i Personaggi dei vari step.
Mercenari, contadini, guardoni e spie, soldati e dame, prostitute e prelati, animali parlanti e poliziotti d’altri tempi, donne seminude… La stanza si ingrandiva in modo da poterli contenere tutti: una folla di figure evanescenti eppure reali, tanto reali che fu possibile toccarli, carezzarli, raccogliere le loro lacrime, sistemare l’abito di ballerine, o lo scialletto di donne del popolo. Consolarli. Aspirarne il profumo.
Alcuni personaggi si avvicinavano timidamente al loro autore, e si prendevano per mano, complici, mentre gli altri parevano spaesati, in attesa di qualcuno o di qualcosa, forse quel dettaglio che allora avrebbe fatto la differenza.
Nonostante l’affollamento, c’era silenzio.
Anche dall’altra parte dei pannelli, nelle stanze, le esperienze erano state forti: ogni stanza conteneva tutte quelle dello step, né incastrate né sovrapposte, ma tutte assieme, con gli arredi, le atmosfere, gli odori e i profumi, il caldo e il freddo; il lugubre delle pompe funebri, la sensualità di momenti intimi, dolori e gioie, allegria e sconforto… E poi rumori, fruscii, musica, silenzi improvvisi e buio. In qualche angolo erano rintanati anche Personaggi che non avevano voluto uscire.
Ci furono cassetti da aprire, lettere da spedire, ripostigli da riordinare, partite di pallone alle falde di un vulcano, tra torrenti di lava e cowboy malinconici, finché le chiavi non venivano trovate: tra le pieghe del costume di una ballerina o i tubetti di colore di un pittore.
Per ogni autore fu un’impresa ardua.
Tutti, al di qua e al di là di quella sorta di barriera, avevano vissuto inoltre la stessa sconvolgente esperienza: si erano ritrovati in testa tutti in racconti in gara, con l’impressione, per ogni stanza, di leggerli in una volta sola, compresi i commenti; avevano provato sulla pelle le sensazioni e le emozioni dei protagonisti, le fatiche degli autori, l’ansia di una storia tutta in un battito di ciglia che fatica a uscire, le letture e riletture, i dubbi, l’emozione di un bel commento e il dispiacere di una critica.
Digito ne era uscito particolarmente provato: non aveva partecipato al sesto step e la casualità lo aveva portato in Veranda, con l’atmosfera dei venti di guerra che lo avevano angustiato in quei giorni. Neanche l’erotismo delle storie aveva smorzato l’angoscia percepita in alcuni racconti.
Petunia e Giraffa avevano vissuto molto intensamente le emozioni dei personaggi, le loro fatiche per mostrarsi nel profondo, mentre Molli aveva cercato le atmosfere e le storie del ’68, una pacchia per un amante dei racconti storici.
Susanna aveva riordinato sgabuzzini, rovistato tra le scatole, con animali parlanti che avevano cercato di impedirle di trovare la chiave, confusa assieme a decine di altre, nascosta in bella vista.
Viv aveva vagato, vagato, provando ad afferrare sensazioni ed emozioni: per la chiave aveva dovuto lottare con uno Sherlock decisamente scatenato. La chiave era appesa al riccio di un violino malconcio.
Appena inserita l’ultima chiave, il pomello si bloccò e avrebbero potuto passare oltre, ma dopo quello che avevano vissuto erano titubanti.
Però, se i racconti erano così reali nella loro testa, se erano riusciti a dare consistenza a personaggi e situazioni, perché ora tentennavano?
«Gentaglia, non vorrete calare le braghe proprio adesso!» Petunia risentiva ancora dell’effetto Pamphlet della Sala da Ballo.
Entrarono.
La chiesa, piccola dall’esterno, aveva ora dimensioni ben più ampie, e non era un trompe l’oeil. L’ambiente ricordava una di quelle abbazie fredde, spoglie, dove nessun orpello deve distrarre dalla preghiera. I classici simboli religiosi erano relegati in spazi angusti sotto le arcate, la poca luce proveniva da strette finestre disposte lungo il perimetro della chiesa.
Il pavimento, libero da panche, era occupato per intero da una splendida meridiana, molto più complessa di quelle presenti in tante chiese; l’asta dello gnomone che segnava l’ora sul quadrante delle ore era finemente decorata con simboli astrali, mentre esternamente al quadrante mosaici dalle tessere coloratissime rappresentavano i pianeti e il loro percorso attorno al Sole, e ancora le varie costellazioni visibili dalla Terra… le galassie lontane, che rilucevano di pagliuzze dorate.
Osservato da vicino, l’insieme era spettacolare, non solo per la complessità e precisione di quanto vi era rappresentato: l’insieme pareva vibrare, ogni elemento sembrava muoversi, un movimento infinitesimale ma percepibile con chiarezza sconcertante.
Molli si avvicinò a un lungo tavolo, attratto da grossi tomi, alcuni dall’aria antica, altri più recenti.
«Non ci posso credere! Ehi Petunia, vieni a vedere! Venite a vedere. Questi sono... no, per favore, se è uno scherzo è super, ma...»
I tomi sul tavolo erano raccolte di racconti, tutti i loro racconti, ma alcuni parevano scritti secoli or sono, addirittura a mano, altri erano chiaramente di pochi mesi prima. Presero a sfogliare i libri, cercando i loro lavori, ma dovettero interrompersi: la chiesa pareva vibrare e nel giro di pochi minuti ogni cosa si dissolse nell’aria e tutto diventò bianco: un bianco assoluto, compatto e luminoso. Persero la percezione dello spazio: guardandosi attorno, l’unica cosa che videro furono le loro orme, su quello che per forza doveva essere il pavimento. Alcune erano ben delineate, profonde; altre più leggere, dai contorni incerti.
Nessuno riuscì a proferire una sola parola.
Lentamente il bianco sparì, le vibrazioni si fecero più intense, accompagnate da un suono continuo, tenue e monocorde.
Se prima erano frastornati, ora erano attoniti e impauriti.
Erano sospesi nello spazio.
«Schumann Resonance! Il suono dello spazio!» Viv si tolse il cappello, in devoto ascolto.
Si presero per mano, per il timore di perdersi nel vuoto come astronauti alla deriva e lentamente cercarono quelle che erano state le pareti della chiesa: c’erano, invisibili e tiepide. Anche il pavimento c’era, trasparente, come il tetto.
«Se vi dicessi che soffro di vertigini?» Giraffa fu il primo a riprendersi. Male.
«Una giraffa che soffre di vertigini! Ma per favore!» Viv non riuscì a essere ironico: la voce roca la diceva tutta.
«Ditemi che siamo in un planetario, che sono mega effetti speciali!» Susanna se ne stava raggomitolata in un... forse un angolo, accanto a un Digito pentito:
«Lo sapevo, lo sapevo che non dovevo lasciarmi coinvolgere! Alla mia età avrei dovuto saperlo!»
«E io che detesto persino il cinema dinamico!» Petunia finì di torturare il filo di perle, che si sparpagliarono per ogni dove.
Alla fine il suono, quella nota sola e continua, parve calmarli e si ritrovarono a fissare, sempre più sbalorditi lo spettacolo che li circondava: l’infinito, fino a ora solo vagamente intuito nella sua vastità inimmaginabile. Miriadi di stelle, che neanche col cielo più terso avevano mai visto. E la Terra! Gli oceani, le foreste, i grappoli di luci delle città! Incrociarono la Luna, veloci verso una destinazione sconosciuta, girando dapprima attorno al Sole, come su una gigantesca giostra, dove spazio e tempo giocavano tra loro, senza più termini di misurazione.
Fu Digito ad accorgersi per primo di quanto fossero vicini a Giove e che stavano rallentando per affiancarsi ai satelliti dell’enorme pianeta: uno spettacolo magnifico, da togliere il poco fiato che ancora riuscivano a gestire. Molli aveva pure il singhiozzo.
Ed ecco, quasi inaspettato, Europa.
Meraviglioso, con quello strano labirinto di crepacci poco profondi, di fiumi congelati nell’attimo stesso in cui un’onda creata dalle maree si era formata. Tutti ricordavano le fotografie che avevano studiato in cerca di un’idea per lo step, ma non erano preparati a tanta meravigliosa desolazione, ora popolata di tanti personaggi, sfuggiti ai loro appunti slegati che aspettavano quel qualcosa che era di fronte a loro, inarrivabile, per dare spessore a una trama.
Europa, l’amante di Giove, a lui legata indissolubilmente dalle leggende più antiche e qui, nello spazio, da forze smisurate.
Girarono attorno a Europa parecchie volte e tutti si riempirono gli occhi di immagini che, chissà, forse sarebbero state inviate sulla Terra così nitide solo dalle sonde delle missioni previste nel 2024, semmai fossero portate a compimento.
Poi la bolla si allontanò all’improvviso da Europa, sospinta fuori dall’orbita di Giove verso la Terra: le pareti tornarono bianche, la luce si attenuò; in un angolo trovarono coperte, cuscini, dei futon, un invito al riposo. Il tempo prese a scorrere lentamente e arrivò il momento di raccontarsi la loro prima parte del loro viaggio e di mostrare i piccoli oggetti che le stanze avevano loro regalato.
Giraffa, commosso, mostrò loro un ciondolo che racchiudeva il suo ritratto “interiore”, che nessun stile avrebbe mai potuto rappresentare a dovere come in quei pochi tratti stilizzati.
Digito, messo a dura prova dall’idea di una guerra, si mise al collo la piastrina di un soldato senza nome, che emanava un delicato profumo di zafferano e di donna; Petunia mostrò loro una pergamena: “Cittadina Onoraria di Pettinengo” e… le chiavi dei bagni della città; Susanna una scatoletta, che risuonava forse di qualche sogno sfuggito a Enigma; per Molli un libro di cucina, senza punteggiatura e i suoi preziosi appunti sul ’68.
Per Viv uno spartito intonso: solo il titolo. Ballata per un’avventura.
Sulla porta, la settima chiave.
Quando si svegliarono, infreddoliti e affamati, l’alba era solo un ricordo.
Appesa a un chiodo trovarono l’ottava chiave, che riaprì il portone.
Uscirono sulla piazzetta, ancora un po’ disorientati, sotto gli sguardi curiosi di persone alle prese con gli acquisti presso le bancarelle del mercato.
Strana mercanzia quella in vendita: pesci di ogni genere e dimensioni, coloratissimi, dalle fogge più strane. Per gli orologi era il 1° aprile 2022.
“
Bello scherzo, grandioso! E ci siamo cascati come pere cotte!” pensarono tutti.«Il primo aprile! Che bastardi gli admin! E adesso chi ci crede, sul forum, se raccontiamo quello che ci è successo?» Per Digito la credibilità era importante.
«Probabilmente tutti, ma non rischierei la reputazione.» Molli concordò, stiracchiandosi.
«Beh, qualcuno aprirebbe una discussione su cosa ci siamo fumati!» Petunia e Giraffa furono concordi che non sarebbe stata una questione velocemente archiviata.
«Ammesso che lo raccontiamo.» Viv era preoccupato: “Non è che abbiamo esagerato?”
«Comunque, era proprio l’avventura che mi aspettavo! Però, insomma… non saprei… Sono stato davvero contento di esserci, però poi ho pensato che ero felice perché non mi capitano mai cose così, mentre vorrei viverle più spesso.» Pure confuso.
«Cioè, ti rammarichi di aver vissuto un momento che vorresti capitasse più spesso, però sei triste perché ti è successa proprio quella cosa mentre, se non fosse successa, non saresti triste perché non avresti pensato al fatto che di solito non ti capita?» Petunia sfoderò le ultime energie.
«Esattamente!»
«Viv, facci un favore! Vai a giocare là in fondo, che ci sono dei tombini aperti! Ti chiamiamo noi quando è ora!» Decisamente stanza, Susanna.
«Caffè e brioscina?» Molli era già oltre il momento: Digito prese le ordinazioni, Giraffa cercò di individuare un bar; mentre attraversavano il mercato cercando di passare inosservati, le persone davanti alle bancarelle abbassarono le mascherine: i loro avatar o quel che se ne poteva umanizzare, con dei gran sorrisi divertiti!
Nessuno disse: «Non ci posso credere!» ma ognuno scelse il suo pesce da portare a casa: hai voluto partecipare? Prendi e porta a casa!
Partiti loro, il villaggio tornò tranquillo e in apparenza deserto: nella prima aria primaverile, una musica rotolava tra le vie del borgo, semplice e ipnotica.