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Si guardò riflessa e si confrontò con il disegno di Gabriele; provò la stessa posa ma non era facile restare in equilibrio e, nello stesso momento, avere un occhio allo specchio e uno al foglio.
Sciolse la coda di cavallo e si vide abbastanza uguale. C’era però un particolare che non coincideva, anche se non era evidente dal disegno.
Mi somiglia?
No, lei è bionda.
Gettò i cuscini giù dal letto e poi, non appagata, lì rilanciò tutti sopra, ripensando alle parole di Gabriele. Fuori dalla finestra, riapparì la ragazzina bionda; mascherata da Supergirl, si atteggiava accarezzandosi i capelli.
Cosa fa Black Canary quand’è incazzata?
Canta.
Cristina mise le mani a megafono intorno alla bocca e affrontò l’immagine con la parte femminile di Somebody that I used to know. La ragazzina bionda scappò. Era davvero tanto tempo che non interagiva con un’allucinazione, forse più di un anno, e si sentì in colpa.
Si guardò le mani inguantate e il body. Ansimava. Che cosa direbbe Black Canary? pensò. Si voltò verso lo specchio; provò a immaginarsi bionda e a rispondersi con la voce da adulta.
«Cristina, la prossima volta devi stare più attenta!»
Ecco: avrebbe avuto qualcosa di nuovo da dire alla visita dalla neuropsichiatra.
Sì spogliò. Forse da lavare c’era solo il body, ma comunque piegò tutto con attenzione e lasciò le cose sopra il tavolo della cucina.
Iniziò i compiti, ma non riusciva a fare a meno di pensare ai suoi capelli: se li arrotolò con le dita, li annusò, li ciucciò mentre faceva i conti di geometria, si esercitava con la grammatica e studiava storia. Nemmeno con i desideri più intensi e le continue carezze riuscì a fargli cambiar colore.
Ci voleva qualcosa di più e così decise di affrontare i genitori durante la cena.
«Posso farmi la tinta?»
«Cosa?»
«Per favore.»
«Ma non se ne parla nemmeno!»
Il padre la guardò con un mezzo sorriso. «Da dove viene questa richiesta?»
Cristina attorcigliò il tovagliolo stretto attorno alle dita. «Black Canary è bionda e vorrei essere bionda anch’io per la festa di carnevale.»
Lui sospirò e alzò l’indice. «E per un pomeriggio vuoi farti la tinta per… quanto dura?»
La madre annuì. «Finché non li tagli; ma nel frattempo c’è la ricrescita, che se non ti piace la devi coprire oppure ti rifai la tinta; insomma devi starci dietro diversi anni. È un bel casino. Ne vale la pena, se ti serve una sola volta?»
Cristina sbatteva gli occhi; le punte delle dita erano diventate rosse e pulsavano, il respiro era irregolare. «No…»
La madre sollevò le spalle.
Il padre sorrise. «Non è meglio una parrucca?»
La donna lo guardò male.
La ragazzina si risvegliò. «È vero!»
«In questo periodo è pieno di parrucche dai cinesi. Domani, prima di tornare a casa, ti fermi e ne prendi una, ok?»
«Sì-ì! Grazie, papà!» Si alzò e lo abbracciò.
Finito di mangiare, Cristina sparecchiò canticchiando e poi corse in camera a cercare i tutorial su come indossare le parrucche. Scoprì così di aver bisogno anche di una retina per i capelli e tante, tante forcine.
La festa di carnevale era stata organizzata di domenica pomeriggio. Quel giorno a pranzo a casa di Cristina erano stati invitati degli amici di famiglia, per cui si trovò a prepararsi tutta da sola. Non ebbe difficoltà a vestirsi, ma avrebbe tanto desiderato un aiuto per sistemare la parrucca.
Nel frattempo ascoltava i discorsi degli adulti in sala da pranzo.
«Ma la mandate lo stesso?»
«Sì, è solo una festa di carnevale.»
«Che bello però che i suoi amici la accettino anche così com’è.»
«No, questi sono i suoi compagni della ludoteca.»
«Ah, quindi sono tutti come lei?»
«Più o meno; ci sono tante patologie: down, autistici, dislessici…»
«Ho capito! Ma sì, in fondo è giusto che i ragazzini speciali se ne stiano tra di loro.»
Cristina strinse i pugni, facendo crollare per l’ennesima volta il castello di capelli che tentava di costruire sulla sua testa.
«Uffa!»
Gli adulti smisero di parlare; forse aveva alzato troppo la voce? Il cuore batteva forte.
«Tutto bene?»
Aveva ancora il controllo del respiro. «No; non riesco a mettermi la parrucca!»
Ci fu un rumore di sedie e subito arrivarono la madre e l’amica, che congiunse le mani.
«Wow! Ma che bel costume; che cos’è?»
«Black Canary.»
Si girò verso la madre con aria interrogativa.
«Una supereroina.»
Tornò a guardare la ragazzina. «Ah! E che abilità ha?»
Cristina afferrò le due ciocche in cui aveva separato i capelli e fece il broncio. «Le arti marziali, il grido del canarino e i capelli biondi!»
«Uhm, allora vediamo che cosa possiamo fare per sistemare questo superpotere. Poi mi spieghi che cos’è il… come si chiama?»
«Grido del canarino?»
«Ecco! Intanto questa ciocca la facciamo girare così…»
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