Mi ero ripromessa di non scendere più nel nostro garage. Nel tuo garage. Nel tuo regno. Di non aprire quella porta che separa la nostra casa da quello che era stato un luogo tutto tuo. Avevo paura di non reggere il vuoto che la tua assenza avrebbe creato. Oppure di trovarti ancora lì, intento a lavorare sulle tue auto. Le tue bambine, come amavi chiamarle. Sempre sporco di olio ma con un sorriso stampato sulle labbra. Quella era la tua vita. La tua passione. E di lei ero gelosa. Con lei ho dovuto sempre combattere, perché spesso ti portava via da me, anche solo per pochi giorni. Fino a quando non ti ha portato via per sempre.
Ho sopportato tutto questo solo perché ti vedevo felice. Il tuo volto era raggiante quando sfidavi il vento sul tuo bolide rosso. Io avevo paura, ma tu cercavi sempre di tranquillizzarmi. Mentivi, lo sapevo, me lo facevo bastare.
Mi ero ripromessa di non entrare più, non ce l’ho fatta. Forse perché spero di trovare qualcosa rimasto nascosto sotto la polvere di questi mesi. Qui tutto parla ancora di te. La tua vita racchiusa in una stanza. Le tue immagini, i tuoi trofei, i tuoi momenti felici. Prendo una foto in cui scherzavi col tuo amico Tom. C’è scritto “Road America 1971”. Eravate felici e spensierati. Ora vi immagino ancora insieme, chissà dove, a ridere e scherzare. Come sono cambiate le cose a distanza di un paio d’anni. Faccio fatica Roger! Faccio una fatica enorme ad andare avanti senza di te!
Ecco! Ho bagnato la foto con le lacrime. Che stupida. Non posso farci nulla, mi dispiace. Avrei dovuto dirti basta! Avrei dovuto chiederti di smettere. Di lasciare quel mondo che amavi, forse più di me. Forse più della tua stessa vita. Avrei potuto chiederti di abbandonare tutto dopo il primo incidente al Glen, quando ti fratturasti il braccio. Avrei dovuto chiedertelo dopo la morte di Tom, a Sebring. Ricordo ancora le lacrime di Nella, e quel brivido mentre mi abbracciava, quella sensazione, quel presagio che prima o poi sarebbe toccato anche a me. Avrei dovuto? Avrei potuto? No, non ne avevo il diritto. Avevi fatto la tua scelta Roger, e nessuno aveva il diritto di fermarti. Di impedirti di sfidare il vento.
La tua vecchia auto, quella rimasta nel nostro garage, ha ancora i tuoi guanti sul cruscotto. Amata e abbandonata anche lei. Da quando è arrivata la nuova auto, più veloce e più performante, lei è rimasta qui. Come me. In lei trovo una compagna di sventura. Un’amica con la quale condividere i momenti felici passati insieme a te. Te ne sei andato con la tua nuova fiamma in quella maledetta curva. Cosa hai pensato in quel momento Roger? A chi è andato il tuo ultimo pensiero? Mi illudo pensando che fosse per me.
Non hai voluto che venissi con te in quella maledetta domenica al vecchio Glen, un cavallo indomabile che ha portato ancora una volta dolore. Non mi hai voluto per la tua ultima corsa. Sentivi qualcosa? Una sensazione? Un presagio? Ti ho sempre accompagnato al Glen. Non è lontano da casa. Mi hai sempre voluta al tuo fianco. Ricordo le serate a ridere e scherzare sotto la veranda del camper. Con i tuoi amici, i nostri amici. Pazzi come te. Ma innamorati delle loro auto e della passione per la velocità. E noi. Le vostre compagne. Sempre con quel velo di tristezza negli occhi. Compagne di vita e di sventura.
Su una mensola vedo il tuo vecchio casco. Lo prendo e lo stringo al petto. Rosso con la bandiera americana. Rosso come la tua auto. Rosso come la Ferrari che sognavi un giorno di pilotare. Un sogno infranto nel rogo del Glen. Nessuno ti ha aiutato a uscire da quell’inferno. Di notte vedo la tua mano che cerca disperata un appiglio. Immagino le tue grida, il tuo tentativo di aggrapparti alla vita. Dave mi ha raccontato tutto, è stato l’unico che si è fermato nel disperato tentativo di liberarti da quell'inferno. Tutti gli altri hanno continuato a girare, imperterriti, ipnotizzati, quasi a voler esorcizzare la morte. A chiudere gli occhi per non vederla. E ciò che non si vede non può esistere, vero Roger? Altrimenti sarebbe difficile continuare così. Toccare il limite. Cercare di andare sempre oltre, con la consapevolezza che la prossima volta toccherà a uno di loro. Mi dicevi che devi sentirti immortale per affrontare certe velocità, certe curve percorse senza respirare. Ora lo sei, immortale, mentre corri tra le nuvole su una rossa Ferrari.
Ora vado, amore mio. Mi volto a guardare un'ultima volta questa stanza. La prossima volta che entrerò non sarò sola, Roger. Ci sarà anche Liza. La bambina che da nove mesi porto nel grembo. La bambina che non conoscerà mai suo padre di persona, ma che ne potrà respirare lo spirito e la passione in questo vecchio garage. Porterà il nome di tua madre, come desideravi. Non sapevi che saresti diventato padre, Roger. Quando te ne sei andato non lo sapevo ancora nemmeno io. Sarebbe cambiato qualcosa? Non credo. Avresti fumato un sigaro con i tuoi compagni, avresti abbassato la visiera del tuo casco ancora una volta, schiacciando l'acceleratore sempre più a fondo cercando di raggiungere l’infinito.