Valerio apre la portiera della station wagon e recupera la spesa.
«A cena insalata» annuncia, «sono a dieta.»
Fa una smorfia eloquente e invita Stella a seguirlo con un inchino.
Lei ride.
«E adesso dove sta la tua amica?»
«Di nuovo dai suoi, a Bari. Guarda, stava con uno, non ti dico, io non l'ho mai visto, ma ci raccontava certe cose…»
Adesso è Valerio a ridere. Si dà una spazzolata al completo blu, che ha abbinato con una camicia bianca e una cravatta nera, e prende Stella sottobraccio. Certo, si sente un po' strangolato dall'ultimo bottone del colletto e il nodo della cravatta è venuto uno sgorbio, ma ci avrebbe fatto l'abitudine, ne era certo. Come aveva fatto il callo a sentire gli AC/DC nello stereo della station wagon invece che sul pick-up.
«A Bari» dice, mentre aspettano l'ascensore, «e come hai detto che si chiama? Magari la conosco, sai, stesso palazzo…»
«Elisabetta.»
La porta dell'ascensore si schiude, fa un rumore come d'un sospiro.
«Mai sentita.»
Ha rimesso in ordine in fretta e furia, ma è soddisfatto del risultato. Certo, Betta, anzi, Elisabetta lo teneva come uno specchio, ma bisogna sapersi accontentare.
Stella si è tolta il soprabito e si sta guardando in giro, indecisa su dove posarlo. Arriccia il naso, c'è un leggero odore acido.
«Lo posso poggiare sul letto» suggerisce.
Il letto in realtà non c'è, perché nel monolocale dove Valerio abita c'è solo un grande divano-letto, ma l'allusione è chiara. Valerio sogghigna, dopotutto Betta le aveva parlato della sua amica Stella, quella che stava sempre su Tinder con quel nick da mignotta. E proprio grazie a quel nick trovarla era stato semplice. Come gli aveva detto Betta? Sì, aveva detto: "è sempre a caccia di cazzo."
Valerio la cinge in un abbraccio, fino a intrecciare le dita dietro la schiena di lei.
E stringe.
«Piano…» mugugna Stella.
Stringe.
Lei ha le braccia bloccate, l'enorme massa di lui le toglie il respiro.
«Lasciami, cazzo!» urla.
Lui stringe.
Valerio può sentire la cassa toracica che scricchiola, o almeno lo immagina, ormai negli ultimi giorni il confine tra ciò che immagina e la realtà è svanito.
La solleva, fa due passi, si lascia cadere sul divano, lei sotto, con il viso schiacciato dalla spalla con il toro tatuato.
Lei prova a urlare, ne viene fuori un sibilo.
Lui stringe.
Stringe.
Ha apparecchiato per quattro. Stella sembra fissarlo, con la sclera degli occhi rossa e due lividi sporchi di saliva agli angoli della bocca.
I bambini invece sono seduti scomposti sulle sedie, con le facce gonfie, d'un bel grigio bluastro. Tre giorni stipati in uno sgabuzzino con altri due cadaveri li hanno bloccati in una posa innaturale e Valerio ha dovuto legarli agli schienali. Sono loro che emanano quel leggero odore rancido che pervade la stanza.
Avrebbe voluto tenerli in vita, loro e la loro madre, ma urlavano troppo. E poi avevano le facce su tutte le TV e i giornali, non era possibile fare altrimenti. Un'intera famiglia sparita nel nulla era una notizia che questo mondo di formiche coprofaghe del cazzo avrebbe mangiato per settimane.
A Valerio è passato l'appetito e sposta il piatto con l'insalata. Sta pensando all'espressione che farà Betta quando lo vedrà arrivare. Soffoca una risatina e dà un'occhiata all'orologio, sono le undici. Ci vorranno almeno cinque ore per arrivare a Bari e c'è sempre il problema che la polizia o i carabinieri o chi per loro lo trovi prima, quindi deve sbrigarsi. Scoppia a ridere, se lo beccassero diventerebbe famoso, ne farebbero di sicuro una serie su Netflix. Betta schiatterebbe d'invidia.
«Andiamo» dice, battendo le mani. Nessuno gli risponde.
Sente una voce che è ormai un ronzio "voglio una vita".
«Bella vita del cazzo.»
È consapevole che ormai tutto è perduto, che è impazzito o chissà cosa, ma ormai è troppo tardi, deve finire di… be', di fare qualunque cosa stia facendo.
Mi guardai attorno rendendomi conto che non si poteva tornare indietro…
«Fanculo» dice. Lancia uno sguardo alla cravatta. A Betta piacerà?