Chaima, che in arabo significa “piena di vita”, portava quel nome come un abito cucito sulla pelle.
Sua madre Lunja, con tutto l'orgoglio di una donna berbera, raccontava che quel nome le era stato affidato dal padre medesimo. Voleva essere un augurio per una vita piena di felicità e di prosperità, sebbene fosse venuta al mondo in quel villaggio, così arcaico e sperduto, ai confini del deserto.
Fin dal primo momento, mentre si approcciava alla vita con il vagito dei nascituri, tutti avevano riconosciuto in Chaima una particolare forza nei suoi lineamenti perfettamente simmetrici e nella particolare luminosità della sua pelle.
Lunja custodiva i segreti di una sapienza millenaria, tramandata di donna in donna, per la lavorazione dei frutti dell'argan.
Ogni anno a fine agosto, quando erano già caduti e giacevano preziosi ai piedi degli argan, andava a raccoglierli insieme alle donne del villaggio. Poi li metteva a seccare, così sarebbe stato più facile eliminarne la polpa. Infine, quando rimanevano solo i noccioli, estraeva le mandorle.
Lunja seduta su un antico tappetto di seta, seguendo saperi millenari, le frantumava con una pietra per estrarne il prezioso olio.
Dopo averlo lasciato decantare, lo consegnava al marito Hassan, che sapeva come venderlo al giusto prezzo ai mercati della città vicina. Una parte di quei soldi servivano per provvedere ai modesti bisogni della sua famiglia e quelli che rimanevano venivano messi da parte.
Sarebbero serviti un giorno per far studiare Chaima, perché fin da subito, lei e il marito, avevano riconosciuto nella figlia una forza fuori dal comune.
La stessa forza che è racchiusa nella bellezza dei tramonti nel deserto, quando i canti si mescolano al profumo delle foglie di menta e a quello di mandorla dell'olio di argan. Il cielo si fonde con i colori delle spezie e della sabbia e scorre lungo le dune fino a diventare di un unico colore oro rosa.
Il vento in sottofondo, che inciampa tra i cespugli e muove le ombre degli argan, leva nell'aria nuvole di sabbia e preghiere nell'ora del salatal-maghrib.
Anche Hassan e Lunja insieme alla piccola Chaima, nella loro umile dimora, sono in ginocchio rivolti alla mecca, prostrati su tappetti sapientemente ricamati. Con la fronte in terra cantavano le lodi a Dio: Sami'a Allah li-man hamida, rabbana la-ka l-hamd!
Sembra di stare immersi in un mare di onde dorate, cullati dalla forza di una preghiera trasversale.
Dall'altra parte del mondo, intanto, in una vecchia casa di sassi, ai piedi delle alpi Cozie, nel piccolo e sperduto paese di Countadin, circondato da boschi secolari, si stanno recitando altre preghiere. Mentre gli ultimi raggi di sole attraversano boschi e radure, Catarina, una giovane vedova dalla schiena già ingobbita e le mani nodose che stringono un rosario di finta madreperla, insieme alla piccola Nora, recita i vespri della sera. Questa preghiera della Liturgia delle Ore, tramandata da secoli e imparata a memoria, serviva alla povera donna per ringraziare Dio per tutto ciò che le era stato dato, nonostante la fatica di quella vita.
I prati, i pascoli, l'acqua, il sole, la pioggia e la neve, le stagioni e la bellezza dei fiori, in particolare delle viole che qui esplodono nella loro piena fioritura da maggio a giugno erano per lei, insieme alla figlia e al bosco, consolazione e forza.
Catarina, custode di antichi saperi contadini, sapeva bene che durante la fioritura delle viole il latte delle sue mucche, dopo un rigido inverno trascorso legate nelle vecchia stalla, ora libere sui pascoli d'alpeggio, era particolarmente prezioso. Lo usava secondo ataviche tradizioni e segreti per produrre il plaisentif, l'antico formaggio delle viole che racchiude tutto il profumo del burro, delle foglie di castagno bagnate, di sottobosco e di stalla pulita. Tutto permeato da quel lieve sentore di mandorla.
Dopo circa ottanta giorni di stagionatura, la giovane Catarina, era certa di avere un buon prodotto che le avrebbe permesso di racimolare un po' di denaro. Una parte le sarebbe servito per i bisogni quotidiani e quello che rimaneva lo avrebbe messo da parte per poter mandare un giorno la piccola Nora a studiare a Torino. Non voleva che alla figlia toccasse la sua stessa sorte. Quella rimaneva pur sempre una vita grama e piena di sacrifici, nonostante la generosa bellezza di quei luoghi che spazia dalle tonalità ocra della terra fino a quelle più lacustri del verde dei prati e del bosco che donano un tocco di sacralità a quella valle alpestre così sperduta e amena.
Così, a distanza di migliaia di chilometri, si sarebbero avverati i sogni custoditi nel cuore di due madri, Lunja e Catarina, a cui la terra dove erano nate e cresciute, aveva fatto loro sputare sangue e fatica.
E i sogni e le speranze si erano avverate sia per Chaima che per Nora. Attraverso gli studi universitari tutte e due avevano trovato la loro strada, ma soprattutto la loro dimensione nel mondo.
Nora, per un certo orgoglio montanaro e perché sentiva di doverlo alla madre, si occupava della ricerca e della salvaguardia di prodotti gastronomici piemontesi di nicchia, legati alla più autentica tradizione contadina,come il Plaisentif, il formaggio delle viole che, nonostante fosse prodotto da secoli, rischiava di scomparire.
Grazie all'interesse e all' impegno di Nora che aveva creduto e partecipato a un preciso progetto di riscoperta e valorizzazione, ora quello stesso formaggio che produceva anche sua madre, veniva finalmente marchiato a fuoco.
Chaima, per la sua forza berbera e per il legame con la madre e con il padre Hassan, seguiva un progetto di ricerca per la valorizzazione della cultura berbera, quella del suo popolo che, dopo il colonialismo francese, stava rischiando di perdere la propria identità.
In un giorno di fine ottobre, con un cielo trasparente che pareva presagire un lungo autunno dai colori pacati, le due giovani donne si incontrarono casualmente, sempre se il caso esiste, sullo stesso volo diretto a Copenaghen.
Nora stava verificando le ultime cose sul suo portatile, quando venne completamente invasa da un profumo intenso di mandorla, emanato dalla la donna che stava per sedersi accanto al suo sedile.
Forse per quel profumo in cui ha riconosciuto lo stesso di quello del formaggio delle viole o forse per il bruciante e nostalgico ricordo della madre e della sua infanzia, Nora non può fare a meno di chiedere alla donna, che ormai è già seduta accanto a lei, da dove provenga tutto quel profumo.
Chaima, con un sorriso di una dolcezza disarmante, le risponde che proviene semplicemente dall'olio di argan che lei usa per mantenere lucidi i suoi capelli.
Accomunate dalla stessa lingua, il francese, e dallo stesso profumo riusciranno a raccontarsi le loro storie, impregnate di terra, di colori, di fatiche, di preghiere, ma anche di straordinaria bellezza .
Il riscatto per loro è arrivato grazie ai sacrifici e ai sogni delle loro madri, Lunja e Catarina.
Entrambe hanno potuto studiare e condurre così una vita migliore.
Tutte e due però, in qualche modo, sentono che non potranno comunque mai spezzare quel legame profondo, quasi ombelicale, che le tiene legate alla loro terra e ai suoi frutti; l'una l'olio di argan e l'altra il formaggio delle viole, che hanno in comune, guarda caso, lo stesso sentore di mandorle.
Quando l'aereo sta per atterrare, si guardano negli occhi: da una parte il deserto e dall'altra il bosco che si fondono in un'unica e fertile entità di terra e di madre.
Pachamama, la definirebbe qualcuno, che si unì a Pachacamac, dio del cielo, e rimase vedova e sola con i suoi figli.
Pachamama, direbbe qualcun' altro, invocando l'antica divinità inca che, esposta in Vaticano in occasione del sinodo sull'Amazzonia e portata in processione nel giorno della festa della Madonna del Rosario, ha destato scalpore e fomentato accuse di idolatria.
Pachamama, dea pagana o semplicemente Madre Terra, come direi io.