La prima volta che Catalina vide il desierto vestido erano trascorsi quasi cinque anni dalla morte di suo padre. Fino a quel momento, la sua conoscenza del deserto si limitava alle serate trascorse insieme a lui a guardare le stelle.
Occorrevano almeno un paio d’ore di cammino partendo da casa loro a San Pedro de Atacama per raggiungere le prime dune, ma il viaggio era sempre ripagato dalla vista della maestosa distesa di sabbia dorata. Le dune sembravano scogliere desolate, una sorta di eremo naturale, un santuario della bellezza. Catalina si sarebbe perfino inginocchiata davanti a loro se non si fosse vergognata a farlo davanti a suo padre.
Durante il giorno il deserto brillava sotto un sole implacabile, ma col calare della notte diventava una finestra aperta sull’Universo. Le stelle accendevano l’oscurità di una miriade di luci scintillanti.
Entrambi distesi sopra una stuoia di canapa, coperti fino al naso per proteggersi dal freddo, facevano a gara a chi riusciva a contarne di più.
“Le vedi quelle specie di nuvolette lassù?” le chiedeva suo padre cercando di farle notare tutti i dettagli del cielo.
Catalina annuiva restando in attesa della spiegazione col cuore che batteva forte, con la frenesia e l’orgoglio di chi sta per ascoltare un segreto.
“Le chiamano le nubi di Magellano, pare che siano delle piccole galassie.”
“Cos’è una galassia, papà?” chiedeva piena di curiosità.
“Dicono che sia un posto dove le stelle sono così fitte che per contarle non basterebbe una vita intera!”
Ignacio, così si chiamava il padre di Catalina, non aveva potuto studiare, ma sentiva di avere una connessione speciale con la natura di quei luoghi. Contemplando i profondi silenzi di quello che considerava il proprio rifugio dalle brutture del mondo, si era convinto che quel territorio avesse la capacità quasi divina di fondere l’immensità del cosmo con l’ambiente.
Era convinto che solo a una vista distratta potesse sembrare arido e spietato perché, al contrario, quella sabbia pullulava di vita: ogni piantina, arbusto o animale dimostrava di sapersi adattare a quelle condizioni. Un prezioso esempio di resilienza e attaccamento alla vita a cui spesso pensava con ammirazione traendone forza per affrontare i momenti più difficili.
Dopo le rare piogge nascevano dei fiori colorati talmente belli da togliergli il fiato. Avrebbe voluto portarne qualcuno a Marcia, sua moglie, ma poi non si decideva a raccoglierli. Per lui sarebbe stato come strappare dei figli al deserto.
La sua famiglia viveva in semplicità, ma il lavoro nei campi non era molto redditizio e spesso i raccolti non erano sufficienti a soddisfare neppure le necessità primarie. Marcia aveva imparato a cucire da bambina e grazie al suo lavoro di sarta i due coniugi riuscivano a integrare le magre finanze. Ma a Ignacio tutto questo non bastava.
Lui voleva dare un futuro diverso a sua figlia. Catalina avrebbe dovuto avere la possibilità di studiare, sperava che proprio lei, un giorno, potesse spiegargli cosa fossero le galassie. Immaginava di vederla lavorare presso i grandi osservatori astronomici situati lassù in alto, dove sembrava quasi di poter raccogliere le stelle con le mani.
Per questo accettò la proposta di un nuovo lavoro. La paga non sarebbe stata molta, ma quei soldi sembravano in grado di esaudire le sue preghiere.
Marcia, però, lo vedeva tornare casa ogni sera sempre più afflitto, spesso Ignacio non toccava neppure il cibo: per la stanchezza, le diceva. Ma col trascorrere dei giorni, si rese conto che non c’era più la luce di un tempo nei suoi occhi, come se una cappa di piombo avesse spento all’improvviso la fiamma che ardeva in lui.
Catalina si accorgeva che sua madre era molto preoccupata, ma non riusciva a capire quale fosse il problema. Spesso, di notte, sentiva i genitori parlare sottovoce a letto.
Suo padre era sempre così provato che aveva perfino smesso di portarla a vedere le stelle.
Ci restò malissimo quando un giorno lui, facendosi scuro in volto, le disse:
“Catalina, promettimi di non andare mai più nel deserto. Mai più” sottolineando la frase con un’enfasi che la sorprese molto.
Avrebbe voluto chiedergli perché, sapere cosa fosse successo di tanto grave, ma lo conosceva troppo bene: non avrebbe avuto quelle risposte. Doveva solo obbedirgli e piangere senza farsi sentire.
Marcia, vedendo la tristezza di sua figlia, cercava di consolarla come poteva:“Ti insegnerò a cucire il vestito più bello che si sia mai visto a San Pedro, vedrai!”.
Catalina si chiuse in sé stessa cercando di comportarsi da brava figlia, ma riusciva a stento a cacciare indietro le lacrime ogni volta che vedeva suo padre.
Un giorno bussò alla loro porta uno sconosciuto. Disse di chiamarsi Romero e di essere un compagno di lavoro di lgnacio. L’uomo aveva un odore acre, affumicato; i suoi occhi sembravano due biglie bianche incastonate tra le pieghe annerite della pelle.
Marcia lo fece entrare, gli offrì dell’acqua fresca del pozzo. Lui non si decideva a parlare: vagava per la stanza con lo sguardo. Lei gli sedette di fronte, versò a sua volta dell’acqua nel bicchiere. Bevve d’un fiato come se volesse farsi coraggio, come se già sapesse la verità. Catalina rimase a guardare la scena in piedi sulla porta, pronta per uscire e andare da suo padre.
Romero, infine, disse loro che Ignacio era morto soffocato dai fumi tossici del materiale che stavano bruciando.
Dopo quel giorno maledetto, la promessa di non tornare mai più nel deserto tormentava Catalina ogni notte. Avrebbe voluto tanto sdraiarsi a guardare il cielo, desiderava riconciliarsi con l’Universo, sentirne l’armonia profonda e contare le stelle come faceva da bambina. In cuor suo sapeva che solo tornando lì avrebbe trovato la pace che cercava.
Ma aveva promesso e non c’era più suo padre a poterla sciogliere da quel voto. Intanto il tempo passava, ma il dolore non diminuiva.
Smise di studiare e si buttò con anima e corpo ad aiutare la madre nel lavoro di sartoria. Usciva di rado solo per le spese e per le . Non le importava di nient’altro.
Una mattina, mentre si recava da una cliente per una consegna, incontrò per strada un gruppo di ragazzini che la incuriosì: indossavano abiti fuori misura, maglie sbilenche, pantaloni troppo larghi e, soprattutto, camminando lasciavano una scia forte di affumicato. L’odore le ricordò quello che anni prima aveva sentito su Romero.
Li seguì per un po’ prima di decidersi a fermarli: “Dove l’hai presa?” chiese a quella che doveva essere la più grande indicando la sua gonna troppo lunga.
La ragazzina, che non aveva più di dieci anni, la squadrò da capo a piedi come se avesse avuto davanti un extraterrestre.
“Nel desierto vestido” rispose come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Catalina si sentì un po’ sciocca e arrossì. Del resto, lei come poteva saperlo?
Perplessa, chiese ancora: “E dove sarebbe questo posto?”
“Se vuoi venire con noi, domani ci torniamo.”
Quella notte non riuscì a chiudere occhio. Marcia si accorse di quanto fosse agitata, le prese la mano sdraiandosi accanto a lei come faceva sempre quando era bambina.
“Manca tanto anche a me tuo padre” le disse accarezzandola con dolcezza.
“Mamma, hai mai sentito parlare del desierto vestido?”
Marcia non avrebbe voluto più sentire quel nome in vita sua. Era stato proprio quel deserto a prendersi il marito, ma ormai la figlia era cresciuta ed era giusto che conoscesse la verità.
“È proprio lì che è morto tuo padre.”
Catalina decise che era giunto il momento d’infrangere la promessa. Il desierto vestido la stava cercando e non sarebbe stata sorda a quel richiamo.
Camminava da più di tre ore sotto il sole cocente quando fu investita da un odore talmente forte da impedirle di respirare.
La tosse non le dava tregua, un fumo acre avvelenava l’aria facendole lacrimare gli occhi. Quando riuscì a riaprirli, si accasciò sulla sabbia per lo stupore: non c’erano le dune dorate che ricordava, ma un immenso accumulo di stracci abbandonati. Camicie strappate, pantaloni logori, maglie di ogni taglia e colore accatastati dappertutto costituivano una smisurata discarica a cielo aperto. Qua e là sulle piccole montagne fumanti, gruppi di bambini inginocchiati si affannavano a rovistare tra i rifiuti alla ricerca di qualche abito ancora buono da indossare o da rivendere.
Di fronte a quel panorama così devastato, Catalina si sentì mancare. Si chiese dove fossero finiti i cespugli, gli animali, i bellissimi fiori di cui le parlava sempre suo padre. Si domandò il perché di un simile scempio.
Scappò via piangendo dicendo a sé stessa che non avrebbe mai più messo piede in quel posto, che era meglio se avesse conservato i ricordi.
D’improvviso le fu chiaro il motivo per cui suo padre le aveva fatto fare quella promessa. Il luogo magico che conosceva non esisteva più. Ignacio non avrebbe mai voluto che lei lo vedesse così: deturpato e violato.
Si chiuse in camera senza mangiare per giorni meditando di andare via per sempre dalla sua terra.
Marcia si sentiva impotente. Vedeva la figlia soffrire tanto senza sapere come aiutarla.
Fu una cliente a darle l’idea. La donna si presentò una sera portando con sé un paio di vecchi jeans, voleva che lei ne ricavasse una borsa. L’autorizzò a tagliarli fino al cavallo. La richiesta le sembrò strana, ma divertente.
Marcia si mise all’opera con tutta la propria creatività. Pensò di staccare il bordo superiore dei pantaloni e di utilizzarlo per creare la tracolla. Con alcuni ritagli di stoffe di vari colori e fantasie cucì delle piccole tasche che andarono a coprire tutte le parti usurate. Alla fine, il risultato fu così soddisfacente che dovette far fronte a molte altre richieste. Ma da sola non poteva certo esaudirle tutte così coinvolse la figlia in quel lavoro.
Per Catalina fu come vedere di nuovo la strada dopo aver camminato per giorni al buio nella nebbia. Doveva smettere di disperarsi e reagire alla situazione.
Montagne di rifiuti di abbigliamento deturpavano l'ambiente. Se chiudeva gli occhi, le sembrava di sentire il lamento soffocato proveniente dal deserto e il grido silenzioso dei vestiti abbandonati e dimenticati, che le chiedevano una nuova vita.
“Mamma, noi abbiamo un compito importante” le disse abbracciandola “dobbiamo recuperare quegli abiti e trasformarli in qualcosa di nuovo.”
Marcia non se lo fece ripetere due volte. Vedere la figlia carica di energia, poter dare il proprio contribuito a risanare il deserto le restituiva la voglia di vivere e lottare.
“Non possiamo farcela da sole. Abbiamo bisogno di aiuto, mamma.”
Fecero girare l’informazione tra le clienti e in breve riuscirono a radunare un gruppo di volontarie che accolsero con entusiasmo l’iniziativa.
Armate di guanti e sacchi da raccolta, s’immergevano ogni giorno con ottimismo nell’enorme montagna di rifiuti. Lavoravano sodo nonostante il caldo e l’odore soffocante.
Catalina riusciva a percepire la nostalgia e la storia intrappolata tra le cuciture di ciascuno di quegli abiti abbandonati.
Dopo aver trascorso ore e ore sotto il sole per il lavoro di cernita, li portavano a casa per la trasformazione.
In breve, l’abitazione di Marcia e Catalina divenne un laboratorio di riciclo creativo.
Con ago e filo trasformavano le vecchie camicie in borse riutilizzabili e i jeans ormai logori in eleganti gonne. Le vecchie stoffe, considerate fino a quel momento come spazzatura da bruciare, avevano l’opportunità di vivere una seconda vita e contribuire a salvare il deserto.
Certo, il loro lavoro non poteva risolvere un problema di quelle proporzione, ma Catalina e la madre guardavano con orgoglio ai risultati: speravano che il buon esempio fosse contagioso.
Molti altri volontari si unirono al gruppo e qualche imprenditore illuminato cominciò a sostenerle con delle generose donazioni.
Negli ultimi anni si sono sviluppate molte industrie per il recupero dei rifiuti tessili provenienti da tutto il mondo che stanno soffocando il deserto di Atacama.
Catalina oggi è un’imprenditrice di successo, ma ciò che le importa davvero non è la fama: è aver dato voce al suo Paese affinché tutti conoscano la realtà e possano contribuire a salvaguardare l’ambiente attraverso comportamenti più consapevoli.
Ogni tanto prende la vecchia stuoia e una coperta per trascorrere la notte nel deserto e, quando il vento accarezza le dune, le sembra di sentirlo sussurrare: «Gracias.»