Ogni volta che il bancomat comincia a dare segni di sofferenza, Giulio pensa al bosco ereditato dal padre e se il suo valore ce la farà a fargli ottenere un nuovo prestito in banca. Non è intenzionato a vendere quella collinetta verde accanto alla sua casa, ci è passato troppi anni davanti, la sua ombra si è frantumata e ricostruita nel percorso circolare coperto da alberi di marca diversa, centomila volte. Il bosco per un bel po’ gli è sfuggito, poi il destino glielo ha fatto riacciuffare. Ora il bosco è il suo bar, la sua cantina, la sua zuppa di erbe selvatiche, la sua scelta musicale, il suo riparo dalla pioggia e dal sole.
Giulio trattiene il respiro sperando non ci siano altre dolorose novità, si sente di poter accettare solo indugi interessanti, ne ha subite troppe ultimamente: la morte quasi contemporanea di tutt’e due i genitori e quello strano fastidio che al mattino gli si aggrappa addosso come una scimmia trattenendolo fino a tardi nel letto a osservare crepe invisibili sul soffitto bianco abbagliante ne è una conseguenza tangibile.
Giulio cerca di curarla la malattia, è lei da salvare, è decorativa della mia età, dice con stravagante generosità. Il dottore anziano, che ha sempre dato un’impressione di grande competenza, lo ha visitato e con voce rallentata ha detto che non ci vede nulla di tragico, solo stanchezza, e che per guarire non servono medicine, deve solo smetterla di concentrarsi sul verde smorto del bosco che lo sta deprimendo. Poi abbassando minacciosamente la serranda si è spostato in un’altra stanza dicendo: Le persone che amiamo non sono immortali, ci passiamo tutti in questo genere di sofferenze, sei giovane, goditi quello che hai, goditi la vita.
Giulio ha poca gente a cui raccontare quel suo disagio sottovalutato, e non gli va di fare il pagliaccio in paese dove hanno sempre criticato la sua scelta di continuare a vivere accanto a ‘querce e tafani’, come chiamano il povero bosco.
La sartoria del paese, per fortuna, gli fornisce svago ed eleganza, qualche chiacchiera in più durante le prove e il ritorno a casa con due dita di Fernet nelle gambe. E questo gli tira su il morale meglio di ogni altra cosa. Quando riempie quelle giacche sartoriali con i suoi bicipiti e vistose camice colorate non passa inosservato, fare la guardia a un magazzino di rami e sassi non ha minato la sua voglia di piacere e di uscire dalla tortura di quel panorama unico.
Bruna, la sua amica dell’infanzia che sembra aver messo radici nella sua amicizia, la incontra davanti a un cappuccino nel bar centrale dove c’è una fila alla cassa che fa diventare complicato offrirglielo. Bruna, scapigliata e sempre vestita in modo precipitoso, non appare come una bella ragazza, ma ha tutte le qualità per farsi volere bene.
- Mi farebbe piacere sapere se verrai al mio matrimonio, o hai preso le distanze dall’avvenimento?
Giulio stringendo delicatamente il giornale non da una risposta precisa, si limita a sorridere. Poi si mette in punta di sedia per avvicinarsi il più possibile a lei rischiando di sbattere il sedere sul marmo sporco di passaggio del bar.
Bruna ride, la scena ha risollevato il suo umore. Fino a poche settimane prima era pazza di lui, ma ora alla vigilia del suo matrimonio, Giulio appare con un viso puntuto come quello di un adolescente . Quel mattino a colazione, Bruna, che Dio la perdoni, pur disgustata continua a frequentare e a marcare il territorio della sua casa lasciando un amorevole disordine di cibo pronto, sul tavolino grande della cucina, anche se i suoi occhi riflettono qualcosa di spietato.
Bruna ha il dono di essere brava ai fornelli. Lei ha le chiavi di casa ed è capacissima di presentarsi al tutte le ore con una scusa qualsiasi e poi mettersi a cucinare. La cucina è una stanza cieca, senza finestre, con un enorme tavolo che si alimenta con la luce di un’altra stanza e con i colori del quadro gigante del boschetto dipinto dal padre di Giulio. Bruna ci passa parecchio tempo a spolverarlo, poi si allontana di un paio di passi e voltandosi di scatto urla : Wow! ora si che è bello. Ha sempre pensato che Dio comunica con gli uomini attraverso la natura e che quelle querce appese al muro valgono più di qualunque immagine sacra.
A Giulio ogni volta si inumidiscono gli occhi e bacia Bruna di slancio sulla fronte, un bacio casto, affettuoso, come glielo avrebbe dato suo padre. Bruna istantaneamente pensa che non avrebbe permesso a nessuna donna di maltrattare quel ragazzo chiuso e antipatico, ma così ingenuo e sofferente. Dopo il suo passaggio la cucina diventa smagliante e tutti gli alberi del dipinto sciabolano gratitudine da sotto il vetro sottile della cornice.
Bruna si sente migliore di chiunque per tenere a bada quel disastro di amico, la loro relazione è durata parecchio senza mai diventare qualcosa di serio. Giulio appare forte, buono e sensibile, ma vigliacco come la maggior parte degli uomini quando devono prendere una decisione definitiva. E poi c’è la figura ingombrante del bosco che procurava a Bruna gelosia più di una rivale in carne ed ossa.
Aspirina e caffè, la colazione di Giulio aspetta sul lavandino di avvicinarsi alle sue labbra.
- Ho un brutto mal di testa, non ci fare caso.
- Tutte le volte hai mal di testa, perché devi mandare giù quella schifezza? E smettila di torturarti le mani.
Giulio si sente maltrattato, non ha capito che Bruna sta scherzando e gira lo sguardo verso il boschetto dipinto, un amico silenzioso e affidabile.
‘Come sono felice di vederti’, lo dice al quadro, ancora imbronciato di sonno e con un frammento di vetro in bocca.
- Sembra sia la prima volta che osservi quel quadro, controlli che gli alberelli siano cresciuti? Che mi sposo l’ho detto per farti sgusciare fuori da questa pozza verde, ma è una menzogna, caro mio, sappilo.
Bruna, in assenza di concorrenza, può essere Bruna con tutto il cuore, senza timore di sbagliare, anche se il bosco appare e scompare nella mente di Giulio come una bella canzone.
Giulio si sente di somigliare a suo padre, di avere lo stesso amore per la natura buona, e questo gli basta per cadere in un vortice di sicurezza e smetterla di pensare che quella macchia verde sia una forma di vita qualunque.
Le ultime parole di suo padre, mentre si dimenava nel letto in preda a dolori inenarrabili, erano state: ‘cura il bosco e Bruna’. Non si sapeva che miracolo fosse, ma al padre prima di morire era tornata una voce comprensibile, fresca e giovanile. Bruna era stata la prima ad accorgersi della mutazione e Giulio aveva pensato che Dio ti fa ringiovanire di colpo prima di lasciarti andare. Il padre quella frase era riuscito a dirla con la bocca di cera, i suoi bei lineamenti li aveva fatti sparire la malattia facendolo diventare una statua senza espressione.
Il cerimoniale essenziale di quella vistosa eredità era sembrato forte e suggestivo a Giulio che molta importanza dava al valore affettivo della collinetta verde, la cui violenta armonia arrivava fino al paese e faceva sentire Giulio conosciuto e importante. Il bosco restava comunque oltre il vetro della finestra e consentiva a Giulio ampie carrellate a destra e a sinistra con lo sguardo, senza mettere a fuoco niente di preciso, solo per il gusto di avere un pacato controllo, anche se a volte la buona compagnia diventava acuta e divorante, specialmente nella brutta stagione.
Lo aveva pure concesso a un raduno rave di due giorni. A Giulio piace la musica ossessiva, quella che ti impedisce di pensare, e piacciono pure quei mezzi matti impasticcati degli organizzatori, amici d’infanzia incoscienti come lui, e tra incoscienti ci si fida. Il bosco è la sua nazione e ha una sua sacralità che lo convince sempre più che i giovani possono capirsi ed essere accolti, fosse pure in uno scosceso spazio verde per un raduno musicale.
In paese avevano masticato male per quella sua scelta e per restituire le sembianze normali al bosco e sistemare i numerosi bivacchi non era bastata una settimana di duro lavoro e di viaggi con un camioncino carico di spazzatura.
La musica ossessiva aveva tenuto Giulio due giorni senza una dormita vera, con una mosca infuriata nelle orecchie. A un certo punto pure il bosco gli era sembrato scollegarsi dopo aver recitato alla perfezione il ruolo di bosco paziente, sempre che potesse avere un’attività mentale.
Dopo la festa rave Giulio continuava a pensare di non aver sbagliato nel dare fiducia a quei ragazzi, convinto che sarebbero stati gli occhi spalancati del suo bosco a tenere a bada quelli più agitati, e quando ci pensava, Giulio si commuoveva, stupidamente.
Bruna oggi è ancora vestita da hostess per l’inaugurazione di un nuovo forno in paese, la sua voce ruggisce comunque contro la superficialità di certe critiche verso il suo migliore amico. Giulio ha la capacità di intenerire qualsiasi donna, se è in difficoltà, ma quello che dice lo lascia di sasso, e non si capisce perché lo dica dopo tre profondi tiri di sigaretta, un mancato ammiccamento sessuale:
- Mi sono ricordata di informarti che una mia amica dell’oratorio vuole conoscerti, il bosco ti sta facendo diventare una celebrità.
Giulio non vede di buon occhio questo genere di cose e ha voglia di farle volare di mano la sigaretta perché si sente deriso. Si è sempre tenuto alla larga dalla chiesa e dalle insegnanti di catechismo, che in paese è fondamentale per conoscersi e riconoscersi, ma è anche l’università dell’invidia, e pensa pure che Bruna sia in cerca di un alibi che giustifichi qualche sua nuova relazione.
Quella che ora Bruna mostra a lui è la foto di un volto e un corpo che avrebbero ammaliato qualsiasi essere vivente. La foto è restata nascosta nel borsone di cuoio di Bruna come una stella tremolante che non vede l’ora di apparire. Giulio e la sua pacata timidezza non trovano nulla da dire oltre che osservare la foto da vicino, senza emozioni visibili, con un prevedibile distacco. E rimane immobile, passa la mano sulla foto come se qualcosa li dentro potesse prendere vita, o almeno dargli qualche notizia in più. Si tocca il nasone, tocca il nasino della foto, l’interstizio rosso sulle labbra della ragazza. Osserva pure la pelle bianca di Bruna che si è avvicinata con il suo profumo da togliergli il respiro, non c’è nulla di artificiale a farla apparire così luminosa.
- Dove sta l’imbroglio?
- Quale imbroglio? Non mi dà fastidio se la vuoi scopare.
Giulio ammutolito, dimenticando la sua mancanza di vitalità, apre il portafoglio caldo di sedia, ci infila la foto e torna a piedi a casa, senza alcuna gioia per quell’inaspettato permesso.
Di cosa può lamentarsi? è lui che ha voluto quella vita, non ha la forza di raccogliere la sfida di una donna forte e corpulenta come Bruna, ha la velocità di una puntina che segue il solco di un quarantacinque giri. Non è abbastanza uomo per poterla raggiungere e tutto quello che avrebbe ottenuto raggiunendola sarebbe stato di farsi lasciare di nuovo.
Il solito panino cede il passo a un più raffinato boccaccio di polpette, un saporito bagaglio a mano portato da Bruna il giorno precedente.
Gli arrivi mattutini di Bruna si sovrappongono e non si capisce quanti altri ne abbia a disposizione. Giulio non mostra nessuna gratitudine, ma anche con la bocca cucita è contento di vederla ciabattare per casa, aprire e chiudere le due uniche finestre, fare il caffè con addosso lo stesso vestito da una settimana e l’odore di cenere nei capelli.
Bruna con un inatteso sospiro di commiserazione che le gonfia tutt’e due le narici chiede:
- Ma come fai a stare sempre qui?
- Questa natura è autentica, mio padre mi ha incaricato di proteggerla come una chiesa.
- Perché non l’hai protetta da quei debosciati del raduno rave?
- Ti sei mai chiesta perché si attaccano alle casse con i loro balli tribali? Lo fanno perché da vicino il gran chiasso provoca silenzio assoluto, meditazione ed eccitazione.
- Non me ne ero accorta , attaccati pure tu a una cassa, no? Ride.
Giulio non si scompone, ma si sente respinto pur non avendo osato nulla.
- Ho riagganciato, dice. Non ti sento.
Bruna, all’ennesima risposta straboccante di indifferenza pensa che sia giusto farlo e lo accompagna in una chiesa vera, senza dargli spiegazioni come una vera assistente spirituale. Sceglie la chiesa del paese dove Giulio non è mai entrato, una gita abbastanza vicina e coinvolgente. La testa di Giulio ha un meccanismo semplice, non ci deve lavorare molto Bruna per normalizzarla, anche se la morte del padre è stata l’occasione per fargli dare di matto.
Dentro la chiesa Giulio si guarda intorno smarrito e vagamente sorridente, poi si inginocchia e prega a lungo. Bruna lo segue in ogni movimento come una cieca con il suo accompagnatore, abbastanza sconcertata che nonostante tutto provi sempre meno affinità con lui. Bruna insegna catechismo ai bambini del paese ed è la prima volta che assiste a una devozione così immediata, convinta.
La minaccia assoluta di vivere con un ‘non Giulio’ sta scomparendo.
Al ritorno a casa scendendo dall’automobile Giulio le urla con una rabbia inversamente proporzionale alla delicatezza di quel viaggio:
- Poi buttala!
- Cosa?
- L’immagine del Santo presa in chiesa. Mi vergogno ad averla davanti in macchina, va bene?
Bruna dopo quella reazione forte e inaspettata invece di prenderla a ridere, scoppia in lacrime, singhiozzando. In fondo alle viscere ricomincia a sentire l’ombra del bosco come una lama. Giulio sembra non esserci, le loro giovani anime sono ferme in cima a una ruota panoramica.
Il giorno dopo Giulio ritorna solo e ammutolito in quella chiesa dove ha sofferto e dove continua a non passarsela bene. Accende un mezzo cero, si fa il segno della croce sbagliando le posizioni della mano, spolvera il banco, cancella le sue impronte con altre impronte e sente che comunque il Santo potrebbe stare dalla sua parte. Tornato a casa, in piena notte è ancora sveglio per la troppa emozione e vede il fuoco, un fuoco rabbioso alimentato dalla siccità delle settimane precedenti, che divora il bosco.
Il telefono squilla, è Bruna che ha già avvertito i pompieri, la protezione civile e i ragazzi dell’oratorio.
Giulio si precipita fuori a piedi nudi.
Non si ricorda più quante espressioni di dolore ha ancora a disposizione, ne ha già usate parecchie.
Sente una mano sulla spalla e la voce melodiosa di una donna che prova a rassicurarlo: Bruna.
- Lo stanno già spegnendo, i pompieri hanno detto che non è un grande incendio.
Giulio scuote le lacrime e la testa. Bruna per esorcizzare tutto quel fumo si accende una sigaretta.
- Cos’hai in mano Bruna?
- Il fuciletto spara acqua di quando eri un piccolo scout . Ride.
- Per favore, Bruna, non mi sembra il momento di scherzare, non ti ci mettere pure tu.
- Ci si è messo lui a salvare il tuo bosco.
- Lui chi?
- Il Santo, e ha fatto diventare pompieri pure i ragazzi del rave party, quelli che non mi hanno guardata in faccia neppure una volta, con tutti i mezzi possibili lo stanno spegnendo.
Giulio l’ascolta, ma non la sente, è come se la sua voce fosse il rumore di una radio fuori stazione.
Un cagnolino bianco e beige sbucato dal nulla corre festoso a baciargli una mano.
- Da dove arriva questo giovanotto? chiede Bruna sensibilmente commossa da una scena che gli calpesta il cuore.
- Era stato abbandonato nel bosco, da ieri razzola qui intorno, gli ho dato un po’ di pane e un nome, non avevo altro da dargli. Ora lo metto al sicuro dentro l’auto di papà.
- Quella arrugginita e con un cacciavite nella pancia dello sportello lato guida per non far scendere il finestrino?
- Proprio quella, se ti piace tanto te la regalo.
- Con tutto il cagnolino dentro?
- Con tutto accetto, dice lei toccandogli il braccio, ho l’impressione che te la cavi benissimo senza di me, ma ti rivorrei indietro, Giulio.
Una pioggia seria e zannuta comincia a cadere, schizzando acqua su tutt’e due.
Bruna sente la necessità di animare con il calore di una nuova profondità espressiva e di un buon caffè quel che resta della notte e quel nuovo sentimento apparso quando sembrava non dovesse più apparire.
Giulio si accontenta di guardarla, non somiglia a nessuna delle donne che ha avuto in precedenza, non somiglia neppure alla lei precedente.
Si è truccata e ha degli orecchini microscopici dorati che la fanno apparire bella.
Il bosco nero, fangoso e deserto, controlla che sia tutto vero.