La porta si aprì di schianto, mostrando in controluce una sagoma scura sullo sfondo del tramonto. Peppe, dietro il bancone, alzò lo sguardo e fece mezzo sorriso.
- Guarda un po’ chi è arrivato… Gino! Ti aspettavo un paio di settimane fa…
Gino, con passo malfermo, entrò, e arrivò, con procedere incerto, fino al bancone.
- Ciao Peppe… - Disse con un filo di voce. - Mi piacerebbe molto avere un bicchiere d’acqua…
Peppe la stava già versando, e posò bicchiere e caraffa davanti al nuovo arrivato. Alcuni tardivi avventori dello spaccio guardavano la scena, muti. Era arrivato Gino. Anche quest’anno ce l’aveva fatta. Appariva invecchiato, a quelli fra i presenti che lo conoscevano; piegato, affaticato. Mezza dozzina di paia d’occhi lo scrutava per cogliere segnali, indizi, storie taciute, per avere di che raccontare, la sera, a cena.
L’uomo bevve. Si versò un altro bicchiere e bevve anche quello, più lentamente. Poi tirò un lungo sospiro e si guardò attorno. Il viso era scavato, la barba di diversi giorni, i pochi capelli erano più bianchi dell’ultima volta. La magrezza dell’uomo era impressionante, ben visibile sotto la camicia di cotone, ma si capiva che c’era un fascio di nervi ancora vigoroso, sotto quella figura apparentemente fragile.
- Come mai in ritardo, questa volta?
- Ho avuto alcuni problemi…
- Niente di grave, spero.
L’uomo sogghignò. - Come definisci ‘grave’?
- Beh… non saprei… Immagino che se ti rompi una gamba sarebbe grave.
- Oh, sì. Direi che sarei morto.
- Oppure una malattia, che ne so…
- Ecco, una malattia.
- Sei stato malato?
- Sì.
- E adesso come stai?
- Male. Mi sa che questa volta non guarisco.
Peppe meditò qualche istante: - Ma allora, perché non ti fermi, questa volta? Ma cristodiddio cosa ci stai a fare là in quel buco, tutto solo? Eh? Quanti chilometri sono, centocinquanta, duecento?
- Credo centonovanta…
- Ma santiddio, centonovanta chilometri di deserto, a piedi…!
- A me piace così.
Uno dei ragazzi seduti nello spaccio si fece ardito e intervenne.
- Signor Gino! Peppe ha ragione, perché non si ferma qui? Abbiamo tutto…
- Tutto?
- Ma sì, qui abbiamo l’acqua e il deserto si è fermato, poi c’è il porto, e dal nord ci arrivano rifornimenti abbastanza regolari… Abbiamo il medico…
- Non è davvero un medico, - interruppe Peppe; - diciamo che è una via di mezzo fra un infermiere e un veterinario, ma sa aggiustare le ossa e riconoscere una polmonite…
- Quindi, tu dici - fece Gino rivolto al ragazzo - che dovrei mollare tutto e stabilirmi qui? Perché avete l’aggiustaossa e arrivano le barche coi rifornimenti, è così?
- Mi sembrerebbe logico…
- Allora spiegami, ragazzo: tu di cosa ti occupi?
- Beh… sono addetto alla concimazione nelle colture idroponiche comunali.
- Mmh… Una cosa importante, mi pare di capire…
- Beh, insomma… qui ognuno fa la sua parte…
- E dopo che hai concimato per bene, cosa fai?
- Mah… Sto con gli amici…
- Qui, nello spaccio di Peppe?
- Qui, o al circolo… Abbiamo un circolo, sa? Si gioca a carte… c’è anche un biliardo!
- Una vita fantastica! - Concluse Gino con un sarcasmo che non fu colto.
- No, davvero, Gino… - riprese Peppe. - Si vede che sei uno straccio. E dici di essere malato. Come fai a ritornare?
- Immagino nello stesso modo che ho usato per venire qui…
- Centonovanta chilometri… Almeno una settimana di camminata…
- Dieci giorni, in realtà.
- Dieci?
- Sette giorni li impiegavo anni fa. Poi sono diventati otto, questa volta dieci… e penso che al ritorno ne impiegherò di più…
- E comunque vuoi andare!
- E comunque voglio andare.
- E ti serve la solita roba, immagino?
- Più o meno, ma stavolta c’è qualche differenza…
- Cioè?
- Beh… meno viveri in scatola e qualche medicina in più; meno attrezzi da lavoro e qualche libro in più; meno petrolio e più grappa. Questa è la lista.
Gino posò il foglio sul bancone. - Sul carrello fuori ci sono le pelli di coniglio e di serpente, anche alcune di volpe. Troverai anche le solite piante grasse e l’olio di palma. Vedi tu di fare il prezzo e cosa riesci a darmi di quella lista. Le preferenze sono per la grappa e i libri.
- Grappa non ne ho…
- Gin?
- Quello sì.
- Vada per il gin. E adesso ti chiedo di potermi stendere e passare la notte qui da te.
- Come sempre.
- Come sempre.
- La stanza è sempre quella. Al tuo carrello ci penso io, vai tranquillo.
L’uomo fece un leggero cenno con la testa e si incamminò verso il retro, dove c’era una stanzetta dove usualmente riposava quando arrivava a Otranto. Si buttò sulla branda e crollò, vinto dalla stanchezza.
Nella bottega, Peppe lesse mentalmente la lista scuotendo la testa.
- Che succede, Peppe? - Chiese uno degli uomini seduti.
- Ha cambiato la lista.
- Cioè?
- Gino viene qui da trent’anni. C’era ancora mio nonno, pensa tu… Porta i suoi prodotti, le sue pelli, due volte l’anno, prima dell’estate e prima dell’inverno, e più o meno la lista è sempre quella… Petrolio per il generatore, poco perché pesa, lui lo usa solo per le emergenze… Poi scatolame, cibi a lunga conservazione, capite? Si stufa di mangiare carne di lepre e altri animali selvatici, lo capisco… Poi qualche attrezzo, trappole… Invece questa volta chiede medicine, liquori e libri. Libri, capite?
- No…
- Si prepara a morire, stupido! Ha chiesto cose per trascorrere gli ultimi mesi, o forse le ultime settimane, passando il tempo su un letto, aspettando la morte.
- Ma è scemo? E perché torna ad attraversare il deserto per andare… dove poi?
- Su a nord… Il paese si chiamava Gioia del Colle, un tempo…
- E perché sta là? Non c’è più nessuno, che io sappia…
- Nessuno. Per molti chilometri tutt’intorno, solo deserto, città abbandonate, case distrutte.
- E allora? È vecchio, è malato, è solo… Deve essere pazzo!
***
Il mattino dopo, quando Gino fece il suo ingresso dopo una notte inquieta sulla branda nel retro, lo spaccio era affollato. La notizia aveva fatto il giro del paese e diverse persone volevano vedere il pazzo, Gino, che tutti conoscevano di nome, di fama, che aveva deciso di stare fuori dal mondo, nel mezzo del nulla, e fare qual viaggio rischioso e infame. Adesso, poi, che era vecchio e malato!
- Ciao Gino. Dormito?
- Poco.
- Ti preparo qualcosa da mangiare?
- Mmh… Uova ne hai? Pancetta? Sono mesi che mi sogno le uova fritte con la pancetta.
- Arrivano.
Gino fece un cenno con la testa, indicando la piccola folla assiepata nello spaccio. - E questo comitato di benvenuto?
- Beh, lo capisci… - rispose Peppe. - Non capita tutti i giorni di incontrare uno come te…
- Uno come me?
- Un folle, sì. - Rispose Peppe sogghignando.
- La roba l’hai trovata?
- Quasi tutto. Per i libri ho chiesto a Marisa, la nostra maestra. Ha detto che manderà la cugina appena possibile, che lei non si può spostare. Le medicine ci sono quasi tutte, il gin… C’è più o meno tutto.
- Lo scambio era sufficiente?
- Ma sì, non preoccuparti Gino… Siamo a posto così… Io adesso vado a prepararti le uova. Quante ne vuoi?
- Quattro.
- Ah!
- Beh… Mi devo togliere la voglia, no? Con tanto pane scuro e una bella birra, se la fai ancora…
- Certamente. Tu siediti.
Gino si sedette a un tavolino d’angolo, e in attesa delle uova passò lo sguardo, divertito, sui presenti, che lo guardavano a occhi sgranati, non osando parlare o muoversi, quasi senza respirare.
- Avanti, forza! - Fece Gino - Morite dalla voglia di farmi una decina di domande stupide. Avete tempo fino alle uova, che dopo voglio mangiare in santa pace.
I presenti, una ventina, stavano zitti, finché una ragazza alzò la mano. - Signor Gino…?
- Spara.
- Ecco, mi chiedevo… Ci chiedevamo… Perché lei attraversa questo deserto per tornare non si sa dove, restare da solo, senza comodità…
- E questa è la domanda delle domande, giusto?
- Come?
- Lascia stare… Intanto non torno “non si sa dove”. Siete voi che non lo sapete. Io torno a casa mia, e so benissimo dov’è.
- Casa sua?
- Già. Era la casa dei miei nonni, in realtà, poco fuori da una città che si chiamava Gioia del Colle.
- È molto distante, vero?
- Poco meno di duecento chilometri… Una volta non era considerata una grande distanza. Lo sapete com’era il mondo una volta, vero?
La ragazza rispose un po’ risentita: - Ma certo, studiamo storia a scuola!
- Brava. All’epoca dei miei nonni il deserto aveva conquistato ormai tutta la Puglia, la Basilicata, il Molise… Sapete cosa erano le regioni, vero? Bene. Era già tutto un deserto, che ormai la desertificazione, inarrestabile, era iniziata molto tempo prima, ma il governo, all’epoca, si sforzava di mantenere i collegamenti fra i principali centri. Io, in realtà, da bambino vivevo a Roma coi miei genitori…
- Roma?
- Già…
- Quanto mi piacerebbe andarci!
- Beh, io abitavo lì. E i miei nonni a Gioia del Colle. E poiché ancora si transitava, qualche estate andavamo da loro, ché i nonni non intendevano muoversi. Ah, quanto si arrabbiava mia padre! Discussioni continue, e perché non abbandonate questo posto, e perché non venite a Roma da noi, che invecchiate e restando qui non possiamo prenderci cura di voi… Ma loro niente, non sentivano ragioni…
- E perché? - Chiese il giovanotto della sera prima.
- Già, perché? Mio padre non lo capì mai. Né io potevo capirlo da bambino… Ma quella villa in campagna, in quella che una volta era stata una campagna, mi piaceva molto. Mi piaceva il nonno, col suo barbone bianco, e la nonna che cercava sempre di prepararmi dolci buonissimi, ché a quell’epoca riusciva ancora a trovare zucchero, farina e quelle cose lì…
Arrivarono le uova.
- E quindi? - Chiese uno in fondo allo stanzone.
- E quindi adesso mi mangio le mie uova e mi bevo la mia birra, e voi state buoni senza rompere i coglioni.
Il vecchio mangiava a piccoli bocconi, masticando a lungo, per far durare il più possibile il sapore. Per i dieci minuti del desinare non degnò d’uno sguardo gli spettatori che, da parte loro, cercavano di non muoversi sulle sedie scricchiolanti, di non respirare, di non fiatare. Poi finì. Posò il boccale di birra, fece un rutto sonoro, si pulì la bocca col dorso della mano e, come niente fosse, proseguì il suo racconto.
***
Man mano che la situazione peggiorava, e succedeva in fretta, un sacco di gente partiva per venire più a nord, dove il deserto non mordeva le terre, e le città, e le vite. Ci furono disordini, e morti, e governi cialtroni che semplicemente non sapevano che fare. Roma era praticamente assediata, ma anche Napoli, Firenze… Io ero molto piccolo, non ho grandi ricordi… Tranne della fila di cadaveri a Piazza dei Cinquecento, dove spararono sulla folla; ah, sì, quelli me li ricordo… A un certo punto chiusero le strade, impedirono gli ingressi. Coi nonni ci sentivamo via Internet. Era… un sistema per comunicare a distanza… Durò pochissimo. Mio padre non si dava pace per i genitori rimasti lontani. Eppure io mi ricordo quando ancora li vedevo al computer… Sorridevano, erano tranquilli… Poi tutto precipitò. Lo sapete, no? Dite che avete studiato, no? Napoli, Roma, tutte le grandi città diventarono “città chiuse”. Chi era dentro era dentro, chi era fuori ci restava. Non si sapeva più nulla di governi o non governi, ogni comunità si arrangiava. Mia madre morì negli scontri per l’acqua del ’72. E poco dopo mio padre decise questa follia, di andare alla casa dei genitori, che sperava ancora vivi e immaginava soli. Che pazzo! Io avevo tredici anni… Mi prese, caricò un po’ di cose sulla macchina, un fucile che non avrebbe saputo usare, viveri, batterie di riserva, e partimmo. Era vietato entrare, ma se volevi uscire gli facevi un favore, potete immaginarlo… E insomma, fu un viaggio complicato. In città non sapevamo nulla della realtà fuori. Specie andando a sud, verso il deserto. Impiegammo cinque giorni, e voi non potete capirne l’assurdità. Anni prima, con un veicolo elettrico, sarebbero bastate alcune ore. Quando partimmo noi, invece, fra strade bloccate, città-fortezza da aggirare, predoni… Onestamente non so come ce l’abbiamo fatta.
I nonni stavano bene. Ci accolsero con grande festa. Avevano una piccola fonte d’acqua che gli permetteva di crescere un orto, qualche gallina… Lì erano andati via tutti tranne loro, e papà disse che erano stati protetti da san Filippo Neri, ché una casa ben messa, con ancora l’acqua potabile e tutto, poteva essere un boccone ghiotto per qualunque malintenzionato. La loro era una casa bellissima, di almeno due secoli e passa, con affreschi che si chiamavano ‘decò’, una grande biblioteca di libri di ogni genere… Ma cosa ve lo dico a fare? Cosa potete capire, voi, di quella bellezza? Di quella libertà?
Poi morirono i nonni. Poi mio padre. Sono tutti sepolti sotto grandi ulivi, secchi e morti ma imponenti. E io, ormai, ero nella casa e, credo, della casa. Luogo meraviglioso di fughe e prospettive, di tramonti maestosi e paesaggi entusiasmanti, silenzi commoventi e colori struggenti. Tutto crollava, e io vivevo nella solitudine, sì, ma anche in una sorta di beatitudine. C’è una bellezza, un fascino nella morte di un mondo…
Rari viandanti mi raccontavano di un mondo in sfacelo, e io non potevo che considerarmi sempre un privilegiato, in quella piccola isola tranquilla. Una volta si fermò una viaggiatrice… è rimasta cinque anni e ci siamo amati, poi, non so… lei volle partire e io la salutai senza rammarico, perché non potevo più staccarmi da quel luogo.
Infine, anche i viandanti cessarono di venire, e l’alternarsi delle stagioni sempre più secche e calde, non ci voleva particolare acume, mi convinsero che il mondo era davvero finito.
E io, come parte di quel mondo, non potevo fare altro che attendere, aspettare, facendo pace con me stesso.
Sapevo di questo presidio a Otranto, e molti anni fa decisi che valeva la pena venire. È difficile spiegare… È stata una sfida, il desiderio di vedere un viso, la voglia di mangiare prosciutto… non lo so… Ma mi misi in viaggio. Avevo fatto un calcolo di massima delle distanze, capite? Avevo ideato questa specie di volano al carrello, per cui una volta messo in moto non si fa molta fatica a tirarlo… E insomma sono arrivato qui. Peppe era ancora giovane ma certamente se lo ricorda… Suo nonno era vecchietto, e la baracca la gestiva il padre. Non era così difficile; imparata la strada, sapendo che servivano sette, otto giorni, bastava portarsi un po’ d’acqua… E così, anno dopo anno, sono venuto e ripartito, e mai ho pensato di cambiare vita. Mi chiedete il perché? Ma che sciocchi siete!
Ho una poltrona di prima fila in questo spettacolo fantastico, la fine del mondo! E credete che me la voglia perdere?
***
Entrò Peppe sfregandosi le mani sul sinale. - La maestra Marisa ha già mandato la cugina a portare i libri, pensando tu avessi fretta… Ha fatto sapere che non ne ha altri, spera che ti piaceranno.
- Andranno benissimo. Il resto?
- Tutto a posto. Il carrello è carico.
- Le cinghie?
- Mi pare siano ben tese; controlla anche tu.
Gino si alzò, si stirò la schiena con una smorfia e si avviò verso l’uscita. La gente dentro lo spaccio lo seguì all’esterno.
Il vecchio controllò le cinghie e si voltò verso Peppe. - Addio Peppe, è improbabile che ci rivedremo. Grazie di tutto.
- Addio, stupido di un Gino. Mi mancherai.
Gino si voltò verso tutti gli spettatori e fece un cenno con la mano. Stava infilandosi l’imbracatura per tirare il carrello quando una voce, dal gruppo, lo richiamò.
- Signor Gino!
Il vecchio si voltò.
- Signor Gino, capisco il suo punto di vista. Davvero. Ma prima che lei parta, col suo permesso, vorrei esporle un punto di vista differente.
- Sentiamo.
- Il mondo soffre, sì, e il pensiero di un vecchio, se posso permettermi, è un pensiero di morte. Io sono giovane, la mia compagna aspetta un bimbo, e io non vedo la morte. Cioè… sì, anche la morte… Ma vedo la vita e la speranza. Noi qui siamo una speranza, mio figlio è una speranza… Una possibilità. Ecco: io credo nella possibilità. Vede signore, io credo che il deserto, in realtà, sia entrato dentro di lei. Lei ha il deserto dentro e percepisce solo il disfacimento e la morte. Io, la mia compagna… tutti noi, qui… vediamo il deserto fuori, un deserto che certamente è una rappresentazione tangibile di morte… Ma dentro, signor Gino, dentro… noi non abbiamo il deserto ma il mare, il cielo, i boschi… la vita, insomma.
Gino guardò il ragazzo per qualche istante, assentì leggermente con la testa storcendo un poco la bocca, come per fare mezzo sorriso. Poi, senza dire una parola, si girò verso nord e cominciò a tirare il carrello, prima lentamente e con sforzo poi, man mano, sempre più spedito.
La gente fuori dallo spaccio, e Peppe fra loro, lo videro allontanarsi fin quando, più avanti, la strada piegava a sinistra e non fu più visibile.
***
Nota dell’Autore: i processi di desertificazione sono in atto da decenni in tutto il mondo. Secondo dati di osservatori istituzionali (p.es. Ministero dell’Ambiente) e di organizzazioni tecnico-scientifiche, questa evoluzione, in Italia, colpirà prevalentemente le regioni del sud: Sicilia, Puglia, Basilicata, Molise (ma non solo…). Ho collocato la storia in un futuro prossimo, grosso modo fra la fine di questo secolo e l’inizio del prossimo, ma non sarà necessario aspettare così tanto prima di sperimentare gli effetti disastrosi del fenomeno.
11 feb 2024
- Guarda un po’ chi è arrivato… Gino! Ti aspettavo un paio di settimane fa…
Gino, con passo malfermo, entrò, e arrivò, con procedere incerto, fino al bancone.
- Ciao Peppe… - Disse con un filo di voce. - Mi piacerebbe molto avere un bicchiere d’acqua…
Peppe la stava già versando, e posò bicchiere e caraffa davanti al nuovo arrivato. Alcuni tardivi avventori dello spaccio guardavano la scena, muti. Era arrivato Gino. Anche quest’anno ce l’aveva fatta. Appariva invecchiato, a quelli fra i presenti che lo conoscevano; piegato, affaticato. Mezza dozzina di paia d’occhi lo scrutava per cogliere segnali, indizi, storie taciute, per avere di che raccontare, la sera, a cena.
L’uomo bevve. Si versò un altro bicchiere e bevve anche quello, più lentamente. Poi tirò un lungo sospiro e si guardò attorno. Il viso era scavato, la barba di diversi giorni, i pochi capelli erano più bianchi dell’ultima volta. La magrezza dell’uomo era impressionante, ben visibile sotto la camicia di cotone, ma si capiva che c’era un fascio di nervi ancora vigoroso, sotto quella figura apparentemente fragile.
- Come mai in ritardo, questa volta?
- Ho avuto alcuni problemi…
- Niente di grave, spero.
L’uomo sogghignò. - Come definisci ‘grave’?
- Beh… non saprei… Immagino che se ti rompi una gamba sarebbe grave.
- Oh, sì. Direi che sarei morto.
- Oppure una malattia, che ne so…
- Ecco, una malattia.
- Sei stato malato?
- Sì.
- E adesso come stai?
- Male. Mi sa che questa volta non guarisco.
Peppe meditò qualche istante: - Ma allora, perché non ti fermi, questa volta? Ma cristodiddio cosa ci stai a fare là in quel buco, tutto solo? Eh? Quanti chilometri sono, centocinquanta, duecento?
- Credo centonovanta…
- Ma santiddio, centonovanta chilometri di deserto, a piedi…!
- A me piace così.
Uno dei ragazzi seduti nello spaccio si fece ardito e intervenne.
- Signor Gino! Peppe ha ragione, perché non si ferma qui? Abbiamo tutto…
- Tutto?
- Ma sì, qui abbiamo l’acqua e il deserto si è fermato, poi c’è il porto, e dal nord ci arrivano rifornimenti abbastanza regolari… Abbiamo il medico…
- Non è davvero un medico, - interruppe Peppe; - diciamo che è una via di mezzo fra un infermiere e un veterinario, ma sa aggiustare le ossa e riconoscere una polmonite…
- Quindi, tu dici - fece Gino rivolto al ragazzo - che dovrei mollare tutto e stabilirmi qui? Perché avete l’aggiustaossa e arrivano le barche coi rifornimenti, è così?
- Mi sembrerebbe logico…
- Allora spiegami, ragazzo: tu di cosa ti occupi?
- Beh… sono addetto alla concimazione nelle colture idroponiche comunali.
- Mmh… Una cosa importante, mi pare di capire…
- Beh, insomma… qui ognuno fa la sua parte…
- E dopo che hai concimato per bene, cosa fai?
- Mah… Sto con gli amici…
- Qui, nello spaccio di Peppe?
- Qui, o al circolo… Abbiamo un circolo, sa? Si gioca a carte… c’è anche un biliardo!
- Una vita fantastica! - Concluse Gino con un sarcasmo che non fu colto.
- No, davvero, Gino… - riprese Peppe. - Si vede che sei uno straccio. E dici di essere malato. Come fai a ritornare?
- Immagino nello stesso modo che ho usato per venire qui…
- Centonovanta chilometri… Almeno una settimana di camminata…
- Dieci giorni, in realtà.
- Dieci?
- Sette giorni li impiegavo anni fa. Poi sono diventati otto, questa volta dieci… e penso che al ritorno ne impiegherò di più…
- E comunque vuoi andare!
- E comunque voglio andare.
- E ti serve la solita roba, immagino?
- Più o meno, ma stavolta c’è qualche differenza…
- Cioè?
- Beh… meno viveri in scatola e qualche medicina in più; meno attrezzi da lavoro e qualche libro in più; meno petrolio e più grappa. Questa è la lista.
Gino posò il foglio sul bancone. - Sul carrello fuori ci sono le pelli di coniglio e di serpente, anche alcune di volpe. Troverai anche le solite piante grasse e l’olio di palma. Vedi tu di fare il prezzo e cosa riesci a darmi di quella lista. Le preferenze sono per la grappa e i libri.
- Grappa non ne ho…
- Gin?
- Quello sì.
- Vada per il gin. E adesso ti chiedo di potermi stendere e passare la notte qui da te.
- Come sempre.
- Come sempre.
- La stanza è sempre quella. Al tuo carrello ci penso io, vai tranquillo.
L’uomo fece un leggero cenno con la testa e si incamminò verso il retro, dove c’era una stanzetta dove usualmente riposava quando arrivava a Otranto. Si buttò sulla branda e crollò, vinto dalla stanchezza.
Nella bottega, Peppe lesse mentalmente la lista scuotendo la testa.
- Che succede, Peppe? - Chiese uno degli uomini seduti.
- Ha cambiato la lista.
- Cioè?
- Gino viene qui da trent’anni. C’era ancora mio nonno, pensa tu… Porta i suoi prodotti, le sue pelli, due volte l’anno, prima dell’estate e prima dell’inverno, e più o meno la lista è sempre quella… Petrolio per il generatore, poco perché pesa, lui lo usa solo per le emergenze… Poi scatolame, cibi a lunga conservazione, capite? Si stufa di mangiare carne di lepre e altri animali selvatici, lo capisco… Poi qualche attrezzo, trappole… Invece questa volta chiede medicine, liquori e libri. Libri, capite?
- No…
- Si prepara a morire, stupido! Ha chiesto cose per trascorrere gli ultimi mesi, o forse le ultime settimane, passando il tempo su un letto, aspettando la morte.
- Ma è scemo? E perché torna ad attraversare il deserto per andare… dove poi?
- Su a nord… Il paese si chiamava Gioia del Colle, un tempo…
- E perché sta là? Non c’è più nessuno, che io sappia…
- Nessuno. Per molti chilometri tutt’intorno, solo deserto, città abbandonate, case distrutte.
- E allora? È vecchio, è malato, è solo… Deve essere pazzo!
***
Il mattino dopo, quando Gino fece il suo ingresso dopo una notte inquieta sulla branda nel retro, lo spaccio era affollato. La notizia aveva fatto il giro del paese e diverse persone volevano vedere il pazzo, Gino, che tutti conoscevano di nome, di fama, che aveva deciso di stare fuori dal mondo, nel mezzo del nulla, e fare qual viaggio rischioso e infame. Adesso, poi, che era vecchio e malato!
- Ciao Gino. Dormito?
- Poco.
- Ti preparo qualcosa da mangiare?
- Mmh… Uova ne hai? Pancetta? Sono mesi che mi sogno le uova fritte con la pancetta.
- Arrivano.
Gino fece un cenno con la testa, indicando la piccola folla assiepata nello spaccio. - E questo comitato di benvenuto?
- Beh, lo capisci… - rispose Peppe. - Non capita tutti i giorni di incontrare uno come te…
- Uno come me?
- Un folle, sì. - Rispose Peppe sogghignando.
- La roba l’hai trovata?
- Quasi tutto. Per i libri ho chiesto a Marisa, la nostra maestra. Ha detto che manderà la cugina appena possibile, che lei non si può spostare. Le medicine ci sono quasi tutte, il gin… C’è più o meno tutto.
- Lo scambio era sufficiente?
- Ma sì, non preoccuparti Gino… Siamo a posto così… Io adesso vado a prepararti le uova. Quante ne vuoi?
- Quattro.
- Ah!
- Beh… Mi devo togliere la voglia, no? Con tanto pane scuro e una bella birra, se la fai ancora…
- Certamente. Tu siediti.
Gino si sedette a un tavolino d’angolo, e in attesa delle uova passò lo sguardo, divertito, sui presenti, che lo guardavano a occhi sgranati, non osando parlare o muoversi, quasi senza respirare.
- Avanti, forza! - Fece Gino - Morite dalla voglia di farmi una decina di domande stupide. Avete tempo fino alle uova, che dopo voglio mangiare in santa pace.
I presenti, una ventina, stavano zitti, finché una ragazza alzò la mano. - Signor Gino…?
- Spara.
- Ecco, mi chiedevo… Ci chiedevamo… Perché lei attraversa questo deserto per tornare non si sa dove, restare da solo, senza comodità…
- E questa è la domanda delle domande, giusto?
- Come?
- Lascia stare… Intanto non torno “non si sa dove”. Siete voi che non lo sapete. Io torno a casa mia, e so benissimo dov’è.
- Casa sua?
- Già. Era la casa dei miei nonni, in realtà, poco fuori da una città che si chiamava Gioia del Colle.
- È molto distante, vero?
- Poco meno di duecento chilometri… Una volta non era considerata una grande distanza. Lo sapete com’era il mondo una volta, vero?
La ragazza rispose un po’ risentita: - Ma certo, studiamo storia a scuola!
- Brava. All’epoca dei miei nonni il deserto aveva conquistato ormai tutta la Puglia, la Basilicata, il Molise… Sapete cosa erano le regioni, vero? Bene. Era già tutto un deserto, che ormai la desertificazione, inarrestabile, era iniziata molto tempo prima, ma il governo, all’epoca, si sforzava di mantenere i collegamenti fra i principali centri. Io, in realtà, da bambino vivevo a Roma coi miei genitori…
- Roma?
- Già…
- Quanto mi piacerebbe andarci!
- Beh, io abitavo lì. E i miei nonni a Gioia del Colle. E poiché ancora si transitava, qualche estate andavamo da loro, ché i nonni non intendevano muoversi. Ah, quanto si arrabbiava mia padre! Discussioni continue, e perché non abbandonate questo posto, e perché non venite a Roma da noi, che invecchiate e restando qui non possiamo prenderci cura di voi… Ma loro niente, non sentivano ragioni…
- E perché? - Chiese il giovanotto della sera prima.
- Già, perché? Mio padre non lo capì mai. Né io potevo capirlo da bambino… Ma quella villa in campagna, in quella che una volta era stata una campagna, mi piaceva molto. Mi piaceva il nonno, col suo barbone bianco, e la nonna che cercava sempre di prepararmi dolci buonissimi, ché a quell’epoca riusciva ancora a trovare zucchero, farina e quelle cose lì…
Arrivarono le uova.
- E quindi? - Chiese uno in fondo allo stanzone.
- E quindi adesso mi mangio le mie uova e mi bevo la mia birra, e voi state buoni senza rompere i coglioni.
Il vecchio mangiava a piccoli bocconi, masticando a lungo, per far durare il più possibile il sapore. Per i dieci minuti del desinare non degnò d’uno sguardo gli spettatori che, da parte loro, cercavano di non muoversi sulle sedie scricchiolanti, di non respirare, di non fiatare. Poi finì. Posò il boccale di birra, fece un rutto sonoro, si pulì la bocca col dorso della mano e, come niente fosse, proseguì il suo racconto.
***
Man mano che la situazione peggiorava, e succedeva in fretta, un sacco di gente partiva per venire più a nord, dove il deserto non mordeva le terre, e le città, e le vite. Ci furono disordini, e morti, e governi cialtroni che semplicemente non sapevano che fare. Roma era praticamente assediata, ma anche Napoli, Firenze… Io ero molto piccolo, non ho grandi ricordi… Tranne della fila di cadaveri a Piazza dei Cinquecento, dove spararono sulla folla; ah, sì, quelli me li ricordo… A un certo punto chiusero le strade, impedirono gli ingressi. Coi nonni ci sentivamo via Internet. Era… un sistema per comunicare a distanza… Durò pochissimo. Mio padre non si dava pace per i genitori rimasti lontani. Eppure io mi ricordo quando ancora li vedevo al computer… Sorridevano, erano tranquilli… Poi tutto precipitò. Lo sapete, no? Dite che avete studiato, no? Napoli, Roma, tutte le grandi città diventarono “città chiuse”. Chi era dentro era dentro, chi era fuori ci restava. Non si sapeva più nulla di governi o non governi, ogni comunità si arrangiava. Mia madre morì negli scontri per l’acqua del ’72. E poco dopo mio padre decise questa follia, di andare alla casa dei genitori, che sperava ancora vivi e immaginava soli. Che pazzo! Io avevo tredici anni… Mi prese, caricò un po’ di cose sulla macchina, un fucile che non avrebbe saputo usare, viveri, batterie di riserva, e partimmo. Era vietato entrare, ma se volevi uscire gli facevi un favore, potete immaginarlo… E insomma, fu un viaggio complicato. In città non sapevamo nulla della realtà fuori. Specie andando a sud, verso il deserto. Impiegammo cinque giorni, e voi non potete capirne l’assurdità. Anni prima, con un veicolo elettrico, sarebbero bastate alcune ore. Quando partimmo noi, invece, fra strade bloccate, città-fortezza da aggirare, predoni… Onestamente non so come ce l’abbiamo fatta.
I nonni stavano bene. Ci accolsero con grande festa. Avevano una piccola fonte d’acqua che gli permetteva di crescere un orto, qualche gallina… Lì erano andati via tutti tranne loro, e papà disse che erano stati protetti da san Filippo Neri, ché una casa ben messa, con ancora l’acqua potabile e tutto, poteva essere un boccone ghiotto per qualunque malintenzionato. La loro era una casa bellissima, di almeno due secoli e passa, con affreschi che si chiamavano ‘decò’, una grande biblioteca di libri di ogni genere… Ma cosa ve lo dico a fare? Cosa potete capire, voi, di quella bellezza? Di quella libertà?
Poi morirono i nonni. Poi mio padre. Sono tutti sepolti sotto grandi ulivi, secchi e morti ma imponenti. E io, ormai, ero nella casa e, credo, della casa. Luogo meraviglioso di fughe e prospettive, di tramonti maestosi e paesaggi entusiasmanti, silenzi commoventi e colori struggenti. Tutto crollava, e io vivevo nella solitudine, sì, ma anche in una sorta di beatitudine. C’è una bellezza, un fascino nella morte di un mondo…
Rari viandanti mi raccontavano di un mondo in sfacelo, e io non potevo che considerarmi sempre un privilegiato, in quella piccola isola tranquilla. Una volta si fermò una viaggiatrice… è rimasta cinque anni e ci siamo amati, poi, non so… lei volle partire e io la salutai senza rammarico, perché non potevo più staccarmi da quel luogo.
Infine, anche i viandanti cessarono di venire, e l’alternarsi delle stagioni sempre più secche e calde, non ci voleva particolare acume, mi convinsero che il mondo era davvero finito.
E io, come parte di quel mondo, non potevo fare altro che attendere, aspettare, facendo pace con me stesso.
Sapevo di questo presidio a Otranto, e molti anni fa decisi che valeva la pena venire. È difficile spiegare… È stata una sfida, il desiderio di vedere un viso, la voglia di mangiare prosciutto… non lo so… Ma mi misi in viaggio. Avevo fatto un calcolo di massima delle distanze, capite? Avevo ideato questa specie di volano al carrello, per cui una volta messo in moto non si fa molta fatica a tirarlo… E insomma sono arrivato qui. Peppe era ancora giovane ma certamente se lo ricorda… Suo nonno era vecchietto, e la baracca la gestiva il padre. Non era così difficile; imparata la strada, sapendo che servivano sette, otto giorni, bastava portarsi un po’ d’acqua… E così, anno dopo anno, sono venuto e ripartito, e mai ho pensato di cambiare vita. Mi chiedete il perché? Ma che sciocchi siete!
Ho una poltrona di prima fila in questo spettacolo fantastico, la fine del mondo! E credete che me la voglia perdere?
***
Entrò Peppe sfregandosi le mani sul sinale. - La maestra Marisa ha già mandato la cugina a portare i libri, pensando tu avessi fretta… Ha fatto sapere che non ne ha altri, spera che ti piaceranno.
- Andranno benissimo. Il resto?
- Tutto a posto. Il carrello è carico.
- Le cinghie?
- Mi pare siano ben tese; controlla anche tu.
Gino si alzò, si stirò la schiena con una smorfia e si avviò verso l’uscita. La gente dentro lo spaccio lo seguì all’esterno.
Il vecchio controllò le cinghie e si voltò verso Peppe. - Addio Peppe, è improbabile che ci rivedremo. Grazie di tutto.
- Addio, stupido di un Gino. Mi mancherai.
Gino si voltò verso tutti gli spettatori e fece un cenno con la mano. Stava infilandosi l’imbracatura per tirare il carrello quando una voce, dal gruppo, lo richiamò.
- Signor Gino!
Il vecchio si voltò.
- Signor Gino, capisco il suo punto di vista. Davvero. Ma prima che lei parta, col suo permesso, vorrei esporle un punto di vista differente.
- Sentiamo.
- Il mondo soffre, sì, e il pensiero di un vecchio, se posso permettermi, è un pensiero di morte. Io sono giovane, la mia compagna aspetta un bimbo, e io non vedo la morte. Cioè… sì, anche la morte… Ma vedo la vita e la speranza. Noi qui siamo una speranza, mio figlio è una speranza… Una possibilità. Ecco: io credo nella possibilità. Vede signore, io credo che il deserto, in realtà, sia entrato dentro di lei. Lei ha il deserto dentro e percepisce solo il disfacimento e la morte. Io, la mia compagna… tutti noi, qui… vediamo il deserto fuori, un deserto che certamente è una rappresentazione tangibile di morte… Ma dentro, signor Gino, dentro… noi non abbiamo il deserto ma il mare, il cielo, i boschi… la vita, insomma.
Gino guardò il ragazzo per qualche istante, assentì leggermente con la testa storcendo un poco la bocca, come per fare mezzo sorriso. Poi, senza dire una parola, si girò verso nord e cominciò a tirare il carrello, prima lentamente e con sforzo poi, man mano, sempre più spedito.
La gente fuori dallo spaccio, e Peppe fra loro, lo videro allontanarsi fin quando, più avanti, la strada piegava a sinistra e non fu più visibile.
***
Nota dell’Autore: i processi di desertificazione sono in atto da decenni in tutto il mondo. Secondo dati di osservatori istituzionali (p.es. Ministero dell’Ambiente) e di organizzazioni tecnico-scientifiche, questa evoluzione, in Italia, colpirà prevalentemente le regioni del sud: Sicilia, Puglia, Basilicata, Molise (ma non solo…). Ho collocato la storia in un futuro prossimo, grosso modo fra la fine di questo secolo e l’inizio del prossimo, ma non sarà necessario aspettare così tanto prima di sperimentare gli effetti disastrosi del fenomeno.
11 feb 2024