[url=Commento a %E2%80%9CUna Casa Tutta di Legno%E2%80%9D di Novelle Vesperiane]Commento a “Una Casa Tutta di Legno” di Novelle Vesperiane[/url]
Il Giardino di Pietra
Nagoya 1950
Una chiarità d’argento inondò la stanza. Il ladro si accostò alla finestra, guardò dentro e vide le due culle uguali. “Amakudari!” pensò “Schiatta discesa dal cielo; tutto è dato loro in abbondanza, anche i figli!”
Si era avvicinato alla casa del ricco funzionario dopo averne studiato a lungo le abitudini ed essersi assicurato che la parte laterale del giardino, affacciata sulla boscaglia, era la via d’accesso migliore.
Quella notte il bottino sarebbe stato più ricco del solito.
Quando l’uomo scomparve nel buio, allontanandosi a passi felpati come un gatto, la luna illuminò la culla rimasta vuota.
Osaka 2009
Mizuki aveva approvato la scelta di Yoshiaki di vivere in quella fascia verde di trecento metri che dava l’illusione di stare in campagna pur restando vicini alla città. Osaka era da respirare e guardare a distanza. Del resto non era solita contraddire il marito; non l’aveva fatto nemmeno quando Yoshiaki, dopo il prepensionamento, aveva rifiutato la carica prestigiosa offertagli da una società finanziaria privata.
«Non ti annoierai, senza lavorare?» aveva timidamente obbiettato. «Quell’incarico avrebbe potuto aprirti prospettive allettanti.»
«Passare da controllore a controllato? No, grazie. Preferisco godermi le mie nipoti e il mio giardino. Sono abbastanza ricco di mio per permettermi la vita del pensionato; meglio se sono ancora giovane.»
Il giardino era la sua passione. Da quando aveva visitato il tempio Koyasan era rimasto affascinato dal kare sansui. Per anni aveva studiato l’arte del giardino zen creando piccoli contenitori con sabbia e sassi utilizzati poi come oggetti d’arredo in casa. Ora finalmente ne aveva uno vero, sul bordo del quale sedersi e meditare. Sei metri quadrati in cui aveva realizzato il classico giardino a secco con ghiaia e pietre. Un gruppo di cinque era stato posto in posizione eccentrica. La ghiaia ricopriva la superficie, rastrellata in senso circolare, in modo da rappresentare il mare.
Yoshiaki continuava a rastrellarla ogni volta che una raffica di vento ne cancellava le onde.
“Quel giardino lo sta facendo diventare matto”, pensava Mizuki e lei non aveva intenzione di impazzire dietro a lui.
Come ogni sera, Yoshiaki si sedette a un paio di metri dal suo kare-sansui, gambe incrociate e busto eretto, si concentrò su quelle cinque isole immerse nel mare e cominciò la meditazione, lasciando navigare la sua mente. In quei momenti riusciva a rasserenarsi; il fardello imbarazzante che pesava sulla sua coscienza si faceva più lieve.
Così lo trovò Mizuki, preoccupata per il silenzio che regnava in giardino. Non fece alcun rumore e lo osservò per qualche minuto prima che avvertisse la sua presenza. Lui la guardò e atteggiò le labbra a un lieve sorriso, perché in quei mari lontani aveva navigato con lei.
Mizuki si avvicinò e gli pose una mano sulla spalla: «Rientriamo che già fa buio.» Gli disse dolcemente.
I due conducevano una vita tranquilla, allietata dalle visite del figlio, delle nipoti e di alcuni amici. Abbandonato l’appartamento in città, avevano realizzato il sogno di vivere in una casa tradizionale, come quelle dei contadini di una volta. La veranda a scomparsa univa la casa al giardino quando in estate le porte scorrevoli restavano aperte. La vicinanza alla natura rendeva la loro vita armoniosa.
Una sera a Yoshiaki accadde un fatto strano. Mentre era immerso nella meditazione di fronte al suo giardino Zen, venne interrotto da un fruscio, come di passi che si avvicinavano. Si volse e alle sue spalle vide… se stesso!
La cosa lo sconvolse; pensò a un abbaglio. Forse si era spinto troppo oltre meditando? Doveva tornare alla realtà. Respirò profondamente. Si girò con movimenti lenti. L’altro era ancora dietro di lui. Rimase immobile, assalito da un vortice di pensieri. “Uzo, è proprio come me. So bene come sono fatto. Lo guardo e riconosco il mio aspetto. Come se mi guardassi allo specchio. È uguale a me. Gamba, piede, statura. Capelli, occhi, naso, mento, barba. A vedermelo davanti mi sembra d’esser morto e di avere di fronte il mio fantasma. È lui che ha rubato la mia identità o dove l’ho persa? Mi sono lasciato troppo laggiù e me ne sono dimenticato? O di quale demone sono vittima? Ho forse chiuso la mia ombra nella bara di un morto?”
«Chi sei?»
«Io sono Yoshiaki.»
“Dice di chiamarsi come me. Dunque è così: si è preso la mia immagine e pure il mio nome. Come è possibile? Non sono io nel mio giardino, non ho in mano il rastrello, non sto parlando? E allora di che dubito?»
Non ebbe più ragione di dubitare quando s’accorse che l’Altro s’era allontanato. In silenzio, come era venuto.
Trascorsero alcuni giorni.
Yoshiaki aveva considerato lo strano incontro una sorta di allucinazione e non ci aveva più pensato, ma una mattina – Mizuki era andata a fare acquisti in città – mentre stava chiudendo l’engava per recarsi in giardino, vide il riflesso dell’Altro nella porta traslucida.
“Quando è arrivato questo qui? Come ho fatto a non accorgermene?” Rimase interdetto qualche secondo, si girò. L’Altro gli era accanto.
«Insomma, si può sapere chi sei, cosa vuoi e perché entri ed esci da qui?»
La risposta lo lasciò allibito e in preda alla confusione: l’altro parlava come lui e si esprimeva in prima persona.
«Be’, dovrei chiedere a te che ci fai a casa mia, sei attratto dal mio Kare sansui, questo lo capisco. Bello vero? L’idea mi è venuta dopo un soggiorno a Koyasan. Soggiogato da quell’atmosfera di pace ho voluto riprodurla, creando il mio giardino di pietra. Ho consolidato il terreno ai bordi, ne ho sistemato il fondo, e cercato per cantieri edilizi o lungo i letti di fiume la ghiaia della giusta grana per riempirlo. Sapevo dove trovare le pietre capaci di evocare particolari situazioni della natura, in grado di stimolare lo spirito, ma la fatica più grande è stata il trasporto delle pietre. Ho dovuto farmi aiutare, non ce l’avrei mai fatta da solo… »
“Oh Illuminato, costui ruba le mie parole, le mie idee, i miei pensieri!”
«… poi è capitato un fatto grave. Ne sono rimasto scosso pur non avendone colpa.»
«Che è successo?» domandò Yoshiaki allarmato.
«È il mio segreto. Non l’ho confessato nemmeno a mia moglie Mizuki. Lei dormiva la notte che uno degli uomini, che qualche giorno prima si erano occupati del trasporto delle pietre, entrò nel giardino.»
“Buddha saggio!”
«Che voleva quell’uomo?»
«Denaro. Voleva derubarmi e poiché non intendevo cedere alle sue richieste mi colpì. Io reagii difendendomi col rastrello. Quello cadde, urtando la testa in una pietra e non si mosse più.»
« E tu che hai fatto, hai denunciato l’accaduto?»
«Volevo farlo. Era notte fonda. L’uomo veniva da un’altra provincia. Nessuno l’aveva visto entrare… ero sconvolto. L’ho seppellito in una cassa sotto il ciliegio.»
“Come fa costui a conoscere i miei segreti, le mie azioni? Calma Devo stare calmo.”Yoshiaki fece un respiro profondo, cercando di riflettere. Si domandò se la visione dell’altro se stesso non fosse la materializzazione di una sua seconda natura talvolta percepita e repressa. Era come se il suo rimorso avesse preso corpo. Egli infatti aveva davvero ucciso quel ladro e seppellito il cadavere dentro una cassa sotto il ciliegio.
“Forse la mia ombra è entrata nella cassa?” si domandò angosciato. “No, no. Si tratta solo di una falsa parvenza. Niente è come appare. Conosco lo scarto tra realtà e illusione. L’esistenza stessa è un’illusione coi suoi echi, riflessi, trappole cui è impossibile sfuggire. Forse nulla esiste e quel che vediamo non è che un riflesso.”
Però l’Altro esisteva. “Si è preso anche i miei segreti. Non mi resta che arrendermi. Sono vittima di un incantesimo e non so dove ho dimenticato me stesso. Dove sono morto? O è l’Altro il fantasma?” Yoshiaki doveva affrontarlo, chiedergli come fosse al corrente dei suoi segreti, cosa volesse da lui. Di certo voleva ricattarlo. Pur di toglierselo di torno sarebbe stato disposto a pagare. Era sul punto di chiedere spiegazioni, quando si accorse che l’Altro non c’era più.
“ È sparito come un fantasma. È lui il fantasma! Ma sì, un’illusione. Un inganno dei sensi.” Cercò di convincersi.
Yoshiaki si avviò verso il suo angolo preferito per meditare e là vide l’Altro seduto nella posizione del loto.
«Ancora qui! Cosa vuoi da me? Dimmelo, oppure non tornare più e lasciami in pace.»
«Voglio la tua esistenza, la tua casa, tua moglie, voglio essere te. Avere tutto ciò che hai.»
«Pensi che ti lascerei agire indisturbato? E se volessi impedirtelo?»
«La tua volontà, mio caro, non è in gioco. La partita è già chiusa. Non vedi? Yoshiaki sono io.»«No, caro, non mi convinci. Avvicinati. Voglio toccarti.»
«Toccami, vedi sono fatto di carne e pelle e ossa come te.»“È vero. È reale quanto me. Conosce i miei segreti e mi vuole ricattare. Se non l’assecondo mi denuncerà. Questa situazione è assurda, ma ci sarà pure una via d’uscita. Devo ucciderlo; qualcosa però mi trattiene. E se uccidendo lui, uccidessi me stesso?”
Come se ne avesse intuito i pensieri, l’Altro si avvicinò a Yoshiaki con fare minaccioso.
«Stai pensando di uccidermi, non è vero?» sghignazzò «Invece morirai tu. Finalmente è giunto il momento che ho atteso da anni.»
«Perché? Almeno dimmelo.»
«Sei nato a Osaka?»
«No. A Nagoya. Ma che c’entra?»
«Anch’io sono nato a Nagoya.»
«E allora?»
«Quanti anni hai?»
«Cinquantanove. Continuo a non capire.»
«Anch’io ho cinquantanove anni. Ancora non capisci? Scendi dalle nuvole. È saggezza affrontare la realtà. Prendi tempo o davvero non hai capito? »
«Non ho capito perché mi odi tanto da volermi uccidere. Quale offesa ti ho fatto, come fai a conoscere tanti fatti della mia vita?»
«Semplice. Li conosco perché ti ho seguito per molto tempo come un’ombra. A Koyasan c’ero anch’io. C’ero la notte che hai seppellito la cassa. Ti ho spiato tante volte mentre ti univi a Mizuki.»
«E perché mi seguivi?»
«In principio solo per vedere come sarebbe stata la mia vita, se non fossi stato rapito ancora in fasce.»
«Chi ti ha rapito, e che c’entro io? Perché rispondi in modo ambiguo e solo in parte?»
«Non è colpa mia se mi fai tante domande. Sei confuso? Chiedimi una cosa per volta.»
«Dimmi il motivo del tuo odio.»
«Dei del sole e della luna! Avremmo dovuto avere lo stesso destino, invece abbiamo avuto vite diverse. Sai quanto ho sofferto io? Mentre per te è stato tutto facile. Hai ereditato anche la mia parte di beni; la condizione sociale della famiglia ti ha permesso di divenire un alto funzionario. Io invece, rapito dai briganti, ne ho condiviso la vita grama. Ho vissuto come loro, malfattore io stesso. Finché la vecchia Hikari mi rivelò le mie origini. Da quel momento mi misi alla ricerca del mio gemello. Ora è mio quel che mi spettava da sempre.»
«Vuoi dire che siamo fratelli? Chi mi dice che sia vero? Chi è Hikari?»
«Invece di pensare ai fantasmi, guardami! Non vedi che siamo uguali come due gocce di latte? La vita è più semplice della filosofia.»
«Chi è la vecchia che ti rivelò le tue origini? Come le conosceva?»
«Hikari, la donna del brigante che mi aveva rapito, non poteva avere figli. Convinse il suo uomo a rinunciare al riscatto per tenermi con sé; mi allevò con l’amore di una madre vera. Prima di morire mi raccontò la verità e mi disse il tuo nome.»
« E tu come hai fatto a trovarmi?»
«Davvero pensi che sia stato difficile rintracciare un burocrate importante come te, di cui spesso si sono occupate le cronache finanziarie? Un alto funzionario di famiglia illustre da tutti conosciuto in città e non solo? Credimi: è stato facilissimo.»
«Mi hai convinto. Ti credo. Cerchiamo dunque di accordarci da buoni fratelli. Siamo gemelli, no? Sono disposto a cederti la metà dei miei beni.»
«Ecco che spunta fuori il burocrate! A quali cavilli stai pensando? Cerchi la mediazione. Pensi di poter aggiustare tutto con un compromesso e dimmi, come dividiamo Mizuki? Ci hai pensato a questo? Ne prendiamo metà per uno o facciamo un mese a testa? E la vita agiata, che mi spettava e non ho mai avuto, come me la risarcisci?»
«Per gli dei, che situazione paradossale! Mi sembra di vivere un incubo. Dammi un pizzicotto perché mi convinca di esser sveglio.»
«Altro che, ti servo subito. Vieni qui che ti prendo a calci, così ti accorgi se sei desto.»
«Aspetta, aspetta! Ragioniamo. Se non ti basta la metà dei miei beni, allora affrontiamoci in leale combattimento secondo le regole. Chi vincerà si prenderà tutto.»
«Ah, ah! Sei patetico. Lealtà, regole. Di che parli? Non so cosa siano. Io sono un delinquente, non l’hai capito?»
Così dicendo l’Altro si avventò di colpo su Yoshiaki, lo gettò a terra e lo percosse con forza. Il poveretto, colto di sorpresa e stordito, si trovò due mani avvinghiate alla gola. «Vigliacco!» ebbe appena tempo di sibilare con odio. Le mani si strinsero sempre più forte intorno al suo collo in una presa mortale, finché gli occhi restarono fissi, sbarrati nel vuoto.
L’Altro trascinò il corpo fino all’albero di ciliegie e lo seppellì. Poi entrò in casa, s’immerse nella vasca da bagno. “Dovevo ucciderlo” pensò “ho fatto la cosa giusta.”
Quando si sentì rilassato, uscì dalla vasca, si asciugò e si distese trepidante nel futon dove Mizuki dormiva nuda, immersa in un sonno profondo. Era una donna matura, ancora splendida. “D’ora in avanti, bella mia, non aspetterai più invano.”
In principio Mizuki non si accorse di nulla. Col passare del tempo cominciò ad avere qualche perplessità. Certo non poteva non avvedersi che nel marito era sopraggiunto un cambiamento Da meditativo era divenuto sempre più irruente; da malinconico, allegro.
Trascorreva sempre meno tempo in contemplazione e Mizuki pensò che, passato l’entusiasmo per la novità, avesse finito per stancarsi; ma la cosa non le dispiaceva affatto perché il tempo sottratto alla meditazione lo dedicava a lei.
Soprattutto a letto era cambiato. La cercava sempre più spesso e mentre prima, quando lavorava, era spesso frettoloso, talora distratto e perfino incurante delle sue esigenze di donna, ora vi prestava grande attenzione. Mizuki pensò che l’abbandono del lavoro, con lo stress e le preoccupazioni conseguenti, aveva fatto bene a suo marito. Lui del resto lo aveva sempre detto che in pensione bisognava andare da giovani e non in età avanzata, non più in grado di godersi a pieno la vita.
La verità le venne incontro quasi per caso al capezzale della madre di Yoshiaki.
La donna, gravemente ammalata e in preda al delirio della febbre invocava spesso un nome «Hisashi! Hisashi!» Mizuki l’assisteva con affetto e un giorno, che la donna appariva più sollevata sebbene avesse ancora la febbre alta, le domandò: «Cara okaasan, chi è questo Hisashi che continui a chiamare?»
«Mio figlio.» Rispose lei.
«Yoshiaki verrà a momenti, okaasan, ma chi è Hisashi?»
«No. Non è Yoshiaki quello che viene a trovarmi. È Hisashi, il gemello di Yoshiaki. Non vedi che non ha il neo dietro l’orecchio?»
Mizuki se n’era accorta, e per la verità s’era accorta anche di altro, ma non aveva voluto farsene un problema. Da quando Yoshiaki era in pensione, ed erano già trascorsi alcuni anni, lei lo amava più di prima ed era più felice che mai. D’altra parte, come dare credito alla storia dei gemelli? Se quello senza neo non era Yoshiaki, lui che fine aveva fatto? Perché era sparito? L’avrebbe mai abbandonata senza dire una parola? Era fuggito con un’altra donna? Era forse morto? Mizuki si perse in un intrigo di congetture inquietanti. I morsi dell’angoscia le toglievano il respiro solo a ripensare ai primi anni di matrimonio. Era una donna fragile; rifuggiva, come per difendersene, da tensioni e complicazioni che non era in grado di reggere. Infine decise di non dare peso al vaneggiamento di una moribonda.
Dopo la morte della okaasan, mentre metteva ordine in casa della suocera, Mizuki trovò vecchi giornali ingialliti in un cassettone dove la suocera teneva lettere e documenti appartenuti al marito, morto ormai da tempo. Cose messe da parte in fretta – come si fa in queste casi – forse senza guardare né leggere, poi dimenticate in fascicoli ormai polverosi. Mizuki lesse del bimbo rapito nella culla e altri articoli che raccontavano l’inutilità delle ricerche, la disperazione della famiglia e in particolare della madre, resa quasi folle dal dolore da non sopportare che si parlasse del figlio rapito. Così, come testimoniava il carteggio tra il padre di Yoshiaki e un cugino, per rispettare la volontà della famiglia e per il trascorrere del tempo parenti ed estranei non ne parlarono più.
Il resto della vicenda Mizuki lo aveva intuito da tempo. Non poteva sapere con sicurezza cosa fosse accaduto al marito, certo nulla di buono. Che fare? Denunciarne la scomparsa a distanza di anni, col rischio di non essere creduta e magari di passare per matta, non le avrebbe garantito il ritrovamento di Yoshiaki, ma di sicuro avrebbe messo in crisi il suo rapporto con Hisashi. Sollevare un polverone su quella drammatica vicenda le avrebbe soltanto sconvolto la vita. Mizuki non avrebbe saputo stabilire con sicurezza quando Yoshiaki era scomparso, né era certa in tal caso che lui volesse essere ritrovato.
Se invece era morto, come e quando era accaduto, e come mai non s’era trovato il corpo? Se poi fosse stato ucciso, Hisashi sarebbe stato il primo a essere indiziato di reato perché da quella morte aveva tratto vantaggio, e lei stessa considerata complice per il suo silenzio. Mizuki si rese conto che la cosa avrebbe potuto avere risvolti pericolosi. Lentamente cominciò a bruciare i giornali e le carte.
Non disse mai ad alcuno quel che aveva scoperto, né quanto aveva sospettato e Hisashi fu Yoshiaki, per sempre.
C’erano giorni, al tramonto, che la luce scendeva sul giardino zen alterandone le forme, trasformandolo come per magia. Mizuki si sedeva lì a meditare, congiungendo le mani e alzando le braccia e abbassandole, come se stesse per volare. Era l’unico modo per dissipare la malinconia che a volte sembrava sopraffarla. Così la trovava Yoshiaki. Una presenza silenziosa e impalpabile di cui appena percepiva il tocco lieve sulla spalla. Si avvicinava senza rumore, le metteva una mano sulla spalla: «Rientriamo. È quasi buio.»
«Sei tu? Ti aspettavo.»