L’estratto conto online parlava chiaro: il suo patrimonio era leggero, molto leggero – un palloncino pronto a prendere il volo – ma non abbastanza per riuscire a saltare (saldare?) la montagna di bollette e solleciti impilata sul tavolo di cucina. Sorrise appena alla battuta che le era balenata in testa. Non le restava molto per essere allegra, ma non voleva neppure che la tristezza prendesse il sopravvento.
Amanda chiuse il portatile e bevve l’ultimo sorso di caffe ormai freddo, rimuginando sul fatto che, davvero, l’onestà paga troppo poco, o non paga affatto. Eppure ce l’aveva messa tutta, si era impegnata allo spasimo, per uscire dal giro delle bische. Non tanto perché ormai era ben conosciuta ed erano altrettanto note le sue abilità, ma soprattutto per la nascita di suo figlio Marco, quattro anni prima, e che ora era intento a giocare con le macchinine sul tappeto del soggiorno.
E, da tutto quell’impegno, cosa ci aveva guadagnato?
Un lavoro da guardarobiera al teatro cittadino, che almeno le lasciava abbastanza tempo per accudire il piccolo; un bilocale in affitto all’estrema periferia; bicicletta o autobus per gli spostamenti; abiti sempre più economici se non usati e troppo pochi soldi per tirare avanti. Il tutto accompagnato da una quantità sempre più grande di fili grigi fra i capelli, una volta nerissimi, da una ragnatela sempre più fitta di piccole rughe agli angoli degli occhi e della bocca e dalla voglia sempre più forte di spaccare tutti gli specchi di casa.
Sperare in un aiuto da parte del padre del bambino era voler credere ai marziani. Marco non era ancora nato e già quel disgraziato aveva fatto perdere le sue tracce. Anche se qualcuno le aveva sussurrato che, se proprio avesse voluto rintracciarlo, le sarebbe bastato fare un salto alla vicina casa circondariale.
Non si era mai scoraggiata, Amanda, neppure vedendo il suo gruzzolo che, fra pappe, pannolini e vestiti e scarpe che andavano fuori misura troppo in fretta, si prosciugava alla velocità della luce. Ma ora, la situazione sembrava proprio senza via d’uscita.
Il suo vecchio cellulare, posato lì sul tavolo, pareva un diavoletto tentatore, pronto a farle comparire sotto gli occhi certi contatti che non era ancora riuscita a cancellare.
E come se bastasse guardarlo per fargli prendere vita, il telefono, proprio in quel momento, cominciò a emettere la sua musichetta. Amanda lo afferrò e rimase di sasso quando lesse “Pretino” sullo schermo. Strusciò il dito per rispondere e, ancor prima che dall’altro capo arrivasse una sola parola, quasi gridò:
«Ma che, sai anche leggere nel pensiero?»
Una bordata di nostalgia la colpì duro, evocata dalla risata chioccia che le arrivò dall’altro capo e che conosceva bene.
«No, no. Macché lettura ‘e pensiero. Volevo solo sapere se eri a casa, fare due chiacchiere… Se stavi bbuono. Ma mi sa che invece stai un po’ inguaiata, eh? Tieni ‘na voce…»
Come al solito, Gennaro – detto Pretino – ostentava il suo accento napoletano: un omaggio alle sue origini partenopee che non avrebbe mai tradito, nemmeno per tutto l’oro del mondo.
«È già tanto se ancora ce l’ho, una voce. Diciamo che è una delle poche cose che mi sono rimaste.»
«A questo punto stiamo? Ascolta, se per te vabbuono fra un quarto d’ora sono da te e mi spieghi tutto quanto, ok?»
«Va bene, ti aspetto.»
Gennaro uscì nel sole settembrino al tramonto che inondava la via, strascico di un’estate che, anche lì al nord, non sembrava voler passare le consegne. Dette un’occhiata distratta ai riflessi rossastri che accendevano finestre e vetrine lungo la strada e si avviò a piedi verso casa di Amanda con la sua andatura a passi brevi, quasi indossasse una lunga tonaca.
Era quella una delle ragioni del suo soprannome, insieme alle mani agili dalle dita magre e le unghie curate: mani che, da buon napoletano, erano in costante movimento e pareva fossero sempre sul punto di impartire una solenne benedizione.
Ma le somiglianze terminavano lì. Ben altre erano le caratteristiche e le abilità delle sue dita, esperte in operazioni non proprio opportune all’interno di una chiesa, ma perfette ed essenziali a un tavolo da gioco. Le carte, in quei momenti, diventavano farfalle e c’era sempre gente che si incantava a guardarlo, fino a formare fitti anelli di pubblico intorno ai tavoli.