12 giugno 82 - Via dei Gelsi n. 8, ore 12
Una donna, decisamente scarmigliata, uscì sbattendo con forza la porta di una villetta anni ’60.
La vetrata che dava su un ampio giardino tremò e quando la donna chiuse dietro di sé il cancelletto che dava sulla via, dalla colonnina che lo sosteneva si staccò dell’intonaco, mentre la cassetta delle lettere piombò a terra.
Un ciclista che transitava, forse soprappensiero, per lo spavento tamponò un’Apecar.
Se non fosse stato per l’incredibile garbuglio creato da un salice piangente, cespugli di rose, piante di pomodoro, di fagioli, di zucchine e cetrioli che popolavano il giardino, chi si fosse fermato a soccorrere il ciclista avrebbe visto che, sotto al portico su cui si apriva la vetrata, c’era un uomo, in pigiama, un po’ stizzito.
«Ma perché se ne va? E poi così, senza preavviso. Adesso chiamo la sua capa e mi sente! Prima però, pillolina per star calmo.»
Dino, così si chiamava l’uomo, rientrò in casa, ingoiò una pillola e prese il telefono.
«Agenzia Noleggio Infermiere, sono Gioia Felice, dica pure.» Inesperienza di genitori primipari!
«Pure. Sono Dino Cori. Il solito, grazie.»
«Dino, ancora! – sospirò la donna – Ma lei mi fa fuori le infermiere come il pane. Vedrò cosa posso fare, ma non le assicuro niente.»
«Posso resistere al massimo fino a domani, poi… non ci voglio pensare!» Una vocina flebile, con un singulto finale.
La donna consultò un elenco e decise: la Betta. L’aveva tenuta come soluzione estrema per questo cliente, ma con le ferie che incalzavano, alternative zero.
Dino era sanissimo, ma da tempo viveva da recluso volontario nella casa che i suoi gli avevano lasciato. Non erano morti, si erano solo trasferiti: un figlio scapolone – andava per i trentacinque – si sopporta, ma uno scapolo ipocondriaco e con la fissa per l’orto-giardinaggio, no.
E pazienza se intasava la segreteria telefonica con lamenti, allarmi per presunti infarti, per un taglietto da 0,3 millimetri.
Dino era stato normale fino a due anni prima.
Poi sfortuna volle che il ramo su cui si era sistemato per disegnare un nido avesse ceduto ed era finito sul greto roccioso di un torrente. Fratture multiple, immobile a letto per tre mesi, collezionando infezioni urinarie, congiuntiviti, orticarie, gastriti e quant’altro: girò tutti i reparti dell’ospedale ma, fratture a parte, non aveva nulla.
Il risultato per aver rimuginato su chiacchiere ospedaliere era lì: un malato immaginario che necessitava di inutile e costosa assistenza continua.
Una manna per Gioia, meno per i dipendenti, che resistevano con Dino al massimo un mese.
«Betta, mi devi aiutare. Dino Cori.» Gioia le allungò il corposo dossier sul cliente.
«Domani mattina va bene? Peccato, pensavo di godermi i mondiali.»
«Ti piace il calcio? Non l’avrei mai detto.»
«Solo i mondiali. Mi rilassano.»
13 giugno 82 – Via dei Gelsi n. 8, ore 9
La mattina dopo Betta di presentò in via dei Gelsi: dopo aver aggirato un roseto, insalate, rosmarino e salvia, trovò un cartello con istruzioni e relativi disegni: soprascarpe da ospedale o scarpe dalla suola pu-li-tis-si-ma.
Impassibile, Betta obbedì: era attrezzata.
Dino l’aspettava in corridoio: magrolino, capelli corti, un filo di barba, in pigiama e con una mascherina da ospedale, anzi due, sovrapposte. Occhialini da intellettuale e orecchie a sventola.
«Sana? Pulita?»
«Sanissima, pulitissima, vaccinata per tutto il vaccinabile.»
Bassina, sui cinquanta e un po’, tracagnotta e con braccia da palestra, Betta era in divisa, come la più classica delle infermiere: cuffietta d’ordinanza, camicetta bianca che scricchiolava tanto era inamidata, gonna al ginocchio anti-tentazioni, calze spesse e scarpe silenziose.
Al collo, una catenella cui erano appesi occhiali dalla montatura rossa.
Con cipiglio deciso, squadrò Dino da capo a piedi, poi incrociò le braccia, aspettando la prima mossa.
«Faccia vedere la suola delle scarpe? Bene.»
«Mi mostri la casa. Poi la visito.» Betta detestava perdere tempo. Dino adorava le visite mediche.
«Questa è la mia camera, io sto sempre qui dentro, pasti compresi. Qui o in veranda, o in giardino. C’è anche il mio bagno, che pulisco io. Per le altre stanze faccia da sola, c’è scritto sulla porta cosa sono.»
La camera dava direttamente sul giardino, era molto spaziosa e luminosa: forse in origine era stata un piccolo salone.
Il letto a due piazze ricordava molto un letto d’ospedale, con a fianco comodini con tavolino per i pasti incorporato e asta porta flebo. Su uno dei comodini, la lettura serale di Dino: un quaderno con gli anelli per la collezione di bugiardini.
Un armadio a due ante ospitava il suo guardaroba: solo pigiami. Tutti uguali: azzurri a righine blu, ben stirati, uno per ogni giorno della settimana.
Accanto, un mobile con cassetti tipici delle farmacie, ognuno con un cartellino: muscoli, digestione, neurologia, cuore, primo soccorso. Farmaci in stretto ordine alfabetico e le scadenze ben evidenziate.
Parte di un’ultima parete era occupata da un tavolo da disegno professionale e da scaffali con un assortimento di cancelleria degno della più fornita cartoleria.
Una nicchia era occupata da una libreria: solo tomi di medicina, con un’aria vissuta che indicava frequenti consultazioni, e lì accanto una poltrona relax.
Un mondo piccolo, o un piccolo mondo.
Betta, impassibile, prendeva appunti stenografici, che Dino tentò inutilmente di decifrare: forse ci voleva una visita oculistica.
Si accordarono sui compiti di Betta: somministrare le medicine, ovviamente soccorrerlo, e fare qualche piccola commissione: lui usciva solo in giardino, per via di microbi e virus in agguato nei negozi, in posta... Cucinare era il meno: il menu era da ospedale.
Per Betta, mezzo pomeriggio libero, salvo complicazioni.
Poi Dino le presentò le piante: su alcuni carrelli posizionati appena dentro la stanza, accanto alla vetrata, c’erano piante da appartamento, ciascuna con appeso un foglietto: nome in latino, il disegno della foglia e il nome che Dino aveva dato loro: Bruno, Zoe, Lisa...
«Mi danno tanto buon ossigeno! Senta, senta, però non me ne respiri troppo.»
«E di notte? In camera da letto le piante di notte non vanno bene.»
«Ah, le metto fuori, in veranda. Vede, rotelline. Anche in inverno: la veranda si chiude e l’ossigeno non scappa.» Convinto lui, convinti tutti.
«Io lavoro qui, sono un disegnatore: raviolatrici, mobili, disegni per libri di botanica, manifesti, roba così. Quando lavoro non voglio essere disturbato, per via dell’ansia. Metterò fuori un cartello dalla porta.»
Alla fine, Betta lo visitò, indifferente alle proteste di Dino che non voleva spogliarsi, per via che poteva buscarsi una bronchite per il freddo… 25 gradi all’ombra, e sorda all’elenco dei disturbi che via via venivano sciorinati: condì la visita con ahah, mmm, però, no no, non ci siamo. Altri appunti e diagnosi silenziosa, ansia per Dino.
Da ultimo Dino le diede un foglio: l’elenco dei farmaci che assumeva, a che ora e modalità di somministrazione, anche per le supposte.
Più tardi il medico confermò, telegrafico: malato immaginario, problema recente, curabilissimo, ma occorreva polso fermo, meglio una terapia d’urto. Auguri.
La giornata passò in fretta, tra vitamine, minestrina di verdure, frullato e una promessa, o forse una minaccia:
«Tre mesi e lei guarisce, parola di Betta. Ultima cosa: le partite del mondiale in cui gioca l’Italia le voglio vedere tutte, senza essere disturbata.»
«E se io sto male in quel momento?»
«Ci sono 581 Dino Cori in Italia: 580 e facciamo cifra tonda. Oppure guarda le partite con me.»
«Ma il calcio non mi piace!»
«Neanche a me, ma il tifo per la nazionale dovrebbe essere obbligatorio per legge.»
«E se veniamo eliminati?»
«Si adotta un’altra squadra. Prendere o me ne vado.»
Occuparsi di Dino risultò molto impegnativo, il suo secondo lavoro era quello di “malato molto malato”, ma Betta non era una che si lasciasse intimorire: chi l’aveva sperimentata sapeva quanto fosse tosta. Per le iniezioni correva addirittura voce che fosse una campionessa di lancio della siringa: chiappa centrata a tre metri con paziente in fuga.
Dino pareva soffrire anche di sdoppiamento della personalità: finché era al tavolo da disegno, nessun problema, anzi. Ogni tanto le mostrava orgoglioso i disegni: erano molto belli, accuratissimi, soprattutto quando si trattava di fiori, piante, piccoli animali. Per i tecnici, una precisione certosina.
Ma per il resto era una lagna unica: e caldo, e freddo, e stitichezza e diarrea, batticuore e ronzii. Pillole, sciroppi, pomate: per sopravvivere a tutti quei medicinali una persona normale avrebbe dovuto avere un fisico bestiale.
Per fortuna l’orto-giardino lo impegnava per un paio d’ore al giorno, anche se col sole non andava per niente d’accordo per via di eritemi e scottature.
Tempo dopo, al termine dell’incarico, Betta riprese il diario di quel periodo e si accorse che le giornate in cui Dino aveva dato il meglio di sé erano quelle in cui l’Italia aveva giocato. E che le sue note, di solito sintetiche come una cartella clinica, raccontavano tanto di quei giorni.
14 giugno 1982 – Italia Polonia 0 a 0
“Paziente tranquillo. Pressione ok. Leggero attacco di ansia. Tolte vitamine. Secchezza oculare davanti alla tv: collirio speciale: acqua distillata. Un’ora in giardino, solo all’ombra. Un chilo di zucchine.”
A metà mattina, post pillole, Dino le aveva chiesto a bruciapelo:
«A proposito, cosa usa per lavarsi i capelli?»
«Shampoo neutro.»
«Provi questo, lo preparo io. Di quelli industriali non mi fido.»
Betta invece non si fidava degli intrugli altrui: testò lo shampoo sull’odioso cagnetto della vicina. Il giorno dopo la bestiola aveva il pelo a chiazze.
All’ennesima richiesta di provare la pressione, Betta cominciò la sua terapia.
«Circolazione a fisarmonica: troppe vitamine intasano il ganglio mediano. Potrebbe essere fatale. Sospendiamo.»
18 giugno 1982 – Italia Perù 1 a 1
“Giornata campale: non so se lo ha fatto apposta, ma proprio oggi che c’era la partita si è scatenato. Stamani disturbi visivi, mal di testa, perdita di capelli (tre), dolori muscolari.
Pranzo leggero. Pomeriggio: gomito del tennista, storta alla caviglia, da seduto, frullato troppo dolce. Misurata glicemia: bassa. Reintrodotto zucchero.”
Quel giorno per Betta, semipartita ma senza audio, per via delle continue chiamate, nonostante l’accordo. Il gol dell’Italia era stato segnato proprio mentre Dino era convinto di morire per diabete fulminante. La replica al TG non fu la stessa cosa.
23-6.1982 – Italia Camerun 1 a 1
“Stamattina giardino, due ore. Potatura rose: stranamente possibili allergie ai pollini non lo impensieriscono. Comunque, mi sono inventata una pomata che spalmata sotto al naso impedisce ai pollini di passare: Glysolid allungata con camomilla e curcuma. Punto da un’ape: adrenalina per scongiurare shock anafilattico. Venti metri di corsa urlando all’infarto.”
Betta riuscì a vedere solo il primo tempo. L’indomani avrebbe controllato se in casa ci fossero dei sonniferi.
La terapia intanto continuava.
«Oggi si inizia l’elioterapia: sole per due ore. Sbrigati col lavoro - ora si davano del tu - che sei pallido come un morto.» Morto, parola magica.
«Ma se mi scotto?»
«Ti vengo a girare, come l’arrosto. Cortesemente, raccogli frutta e verdura, che siamo senza.»
«E se mi viene il mal di schiena?»
«Sono i muscoli che si lamentano perché non li fai lavorare. Tre giorni e passano.»
29 giugno 1982 – Italia Argentina 2 a 1
“Lo fa apposta: oggi c’è la partita e lui è intrattabile. Prima era troppo caldo, ma niente aria condizionata o ventilatore, per via di bronchiti, polmoniti e cervicale. Poi era troppo freddo, ma il plaid lo fa sudare e prudere. Per fortuna domani sarà impegnato con del lavoro urgente. Insalata anche per i vicini.”
A Betta i sonniferi non garbavano, ma forse, adesso, avrebbe dovuti prenderli lei: di notte si svegliava un sacco di volte, sentendosi chiamare da Dino, che invece russava alla grossa, nonostante affermasse di soffrire di insonnia cronica.
Betta di accorse di avere qualche capello bianco in più e un occhio che tremolava.
Quel giorno, in attesa della partita, Betta aveva messo al lavoro Dino: via tutti i libri di medicina, sostituiti con i romanzi di Dino ragazzo, recuperati in soffitta.
«E che non ci siano storie! Più leggi e più ti ammali, testone.»
«Ma questi sono pieni di polvere!»
«Massimo dieci grammi, mentre per quegli altri ne ho calcolata un etto e mezzo.»
«E se ho bisogno di consultarli?»
«Chiedi a me, sai no che le infermiere ne sanno più dei dottori? Forza, che devi finire la raviolatrice superveloce.»
5 luglio 1982 Italia Brasile 3 a 2
“Oggi Dino sembra un’anima in pena: fiacco, letto/poltrona, poltrona/letto, ha carezzato le piante come fosse l’ultimo giorno di vita. Ho dovuto temperargli le matite, male al polso. Pressione normalissima, ma fa caldo quindi è normale la fiacchezza. Per me chilometri e una storta. Però la partita ce la siamo goduta: spuntino proibito compreso.”
«E voilà Dino, pop corn e coca cola, se vuoi ci sono anche le patatine.»
«Il mais mi fa venire i gonfiori di pancia, flatulenza.»
«Strombettar de culo, sanità de corpo.»
«E la coca cola mi gonfia lo stomaco.»
«Poi facciamo la gara di rutti, fanno bene anche all’ugola.»
Di prima mattina si era anche lamentato di strani ronzii neurologici notturni. Una zanzara che aveva superato la zanzariera che pendeva sopra il letto.
8 luglio 1982 – Polonia Italia 0 a 2
“Dramma: Zoe, il photos, ha perso due foglie: considerando quanto è rigogliosa, ci può stare. Attacco di asma, ha passato la giornata in poltrona, circondato dalle piante. Inappetenza, solo un po’ di latte (speriamo non mi venga la diarrea) e poi del tè (che stringe). Per fortuna gli hanno sollecitato dei disegni dall’orto botanico e mi sono goduta la partita.”
Quella mattina citofonò Alba, la mamma di Dino: «Non vengo in casa, non ho voglia del riassunto delle malattie settimanali. Dopodomani è il compleanno di Dino e come al solito festeggiamo assieme. Cena dalle sette di sera in poi, l’ora in cui più o meno stava nascendo. Lei ci deve essere.»
«E la finale dei mondiali?»
«Perché, c’è la finale? Ma toh, che coincidenza!»
Per i sani, arrosto e cappelletti, che anche se fa caldo si godono.
Per il malato, pasta in bianco e scaloppina al limone, senza burro e coi fagiolini nostrani.
La torta l’avrebbe preparata Betta, pasticcera per hobby. Poco zucchero.
11 luglio 1982 – Italia Germania 3 a 1
Alba, al posto dei fiori, aveva portato una composizione di ortaggi, molto salutare.
«Ah, già che ce ne sono nell’orto! Pazienza, li riporto a casa. Spesa fatta.»
Elegante, aveva anche una nuova pettinatura: un bel caschetto che copriva bene le orecchie.
Betta era nervosa: niente divisa e si era fatta pure lei un nuovo taglio di capelli. Uguale a quello della mamma di Dino. Inaudito.
Inaudito anche che si cenasse in soggiorno e non in camera di Dino.
«Betta, ma come ha fatto?»
«Ingessatura promessa: o mangi ‘sta minestra o salti dalla finestra, quella della soffitta.»
La cena sembrava essere uscita da un film di Buñuel: Betta era tutto un andare e tornare dalla cucina, spesso passando non si sa perché dal giardino, con strani tempi morti e ancora più strani tramestii dietro la porta. Rifiutò decisamente ogni aiuto.
Alba era silenziosissima: disse di avere un principio di mal di testa e un po’ di cervicale, per giustificare la sciarpina di seta attorno al collo che aveva impensierito Dino. Faringite contagiosa?
«Scusate se non faccio conversazione: vado un attimo in giardino, ho bisogno di aria.»
La conversazione a tavola languiva, a tratti surreale, imbarazzante.
Dino continuava ad occhieggiare la porta della sua camera.
Finalmente arrivò il momento del dolce, poi ci sarebbe stato il caffè (decaffeinato), un liquorino e finalmente, se Dio vuole, la parola fine a quella tortura cinese.
Doveva essere una torta difficile da allestire per l'entrata in scena, ma finalmente la porta della cucina si aprì: Betta era molto tesa, rossa in viso e con uno strano tremito alle mani.
All'improvviso, un urlo, anzi due: “GOOOOL!” e la torta finì appiccicata al soffitto, dove rimase indecisa per un paio di secondi prima di finire in testa a un esterrefatto Dino, che svenne di botto.
Betta e Alba cominciarono a saltare per il soggiorno, incuranti dello svenuto, ridendo e urlando: due tifose scatenate. Da sotto le nuove pettinature spuntarono gli auricolari di minuscole radioline.
Premurosamente fecero rinvenire Dino e poi vai di telecomando per rivedere i gol che si erano perse causa capelletti e arrosto.
12 luglio 1982 – senza voce per via dei festeggiamenti
Non è dato di sapere se per la caparbietà di Betta, per lo svenimento che aveva smosso qualcosa o per intercessione dei gol segnati, ma il giorno dopo nella villetta ci fu gran movimento di mobili e scatoloni.
Dino venne obbligato da due megere senza voce ma con un linguaggio universale, a smantellare la camera da letto: quello era il soggiorno e soggiorno doveva tornare.
Mal di schiena? Zigulì alla banana. Taglietto? Cerottino con Topolino. Vista annebbiata per il caldo? Canottierina di puro cotone e acqua fresca di rubinetto.
Calo di zuccheri? Pane e mortadella, un bicchierotto di lambrusco e zitto e mosca.
Fu costretto a bruciare i bugiardini e a inscatolare le medicine, donate a Don Mario per i veri malati poveri.
Tempo due giorni e sarebbe toccato al giardino e poi all’orto: settori ben divisi, lavoro ce n’era a iosa e per il mal di schiena, massaggino e una bella dormita.
La meno felice fu Gioia: aveva perso un cliente di quelli altro che buoni!, ma aveva sempre la Betta: un po’ provata, come ammise lei stessa qualche giorno dopo, ma con vitamine e ricostituenti tutto si sarebbe sistemato. Certo, quella punta di ernia, l’occhio che tremava… Però che mondiali!
«Adesso ti prendi una settimana… scusa. Noleggio Infer… signor Cori? Ancor… ora vedo. Betta? Betta!»
Niente Betta, solo una sedia vuota e un cappellino da infermiera che ancora non si era posato per terra.