Nella Taverna dell’Abbondanza tre avventori giocano a dadi, parlando del più e del meno. In disparte Licinius li osserva distratto, mentre consuma un pasto frugale.
L’argomento del giorno è la sfida che ci sarà domani all’anfiteatro. Non sarà la solita lotta fra i gladiatori della scuola di Capua. Stavolta ci sarà una sfida diversa, all’ultimo sangue, fra valorosi combattenti romani e i gladiatori. L’attesa è spasmodica e la città si sta riempiendo di gente proveniente da luoghi lontani, desiderosa di assistere allo spettacolo.
«Vieni, Licinius. Unisciti a noi!»
Licinius non li degna di uno sguardo.
«Lascialo stare. Lo sai come sono fatti gli artisti! Hanno sempre la testa occupata dalle loro opere!»
«Già! E le opere di Licinius sono “molto” ingombranti!»
Tutti scoppiano in una fragorosa risata!
«Ci credo. Ha usato Quintus, come modello!» Di nuovo scoppiano a ridere.
Licinius alza gli occhi dalla ciotola: «Se avessi usato te, Liburnius, come modello, avrei fatto assai presto e la mie opere sarebbero state molto “meno” ingombranti.» Tutti ridono, eccetto Liburnius.
L’argomento del giorno è la sfida che ci sarà domani all’anfiteatro. Non sarà la solita lotta fra i gladiatori della scuola di Capua. Stavolta ci sarà una sfida diversa, all’ultimo sangue, fra valorosi combattenti romani e i gladiatori. L’attesa è spasmodica e la città si sta riempiendo di gente proveniente da luoghi lontani, desiderosa di assistere allo spettacolo.
«Vieni, Licinius. Unisciti a noi!»
Licinius non li degna di uno sguardo.
«Lascialo stare. Lo sai come sono fatti gli artisti! Hanno sempre la testa occupata dalle loro opere!»
«Già! E le opere di Licinius sono “molto” ingombranti!»
Tutti scoppiano in una fragorosa risata!
«Ci credo. Ha usato Quintus, come modello!» Di nuovo scoppiano a ridere.
Licinius alza gli occhi dalla ciotola: «Se avessi usato te, Liburnius, come modello, avrei fatto assai presto e la mie opere sarebbero state molto “meno” ingombranti.» Tutti ridono, eccetto Liburnius.
Ogni artista ha una predilezione per soggetti particolari o un tipo di tecnica in cui si è specializzato. Licinius non fa eccezione. Nessuno è più bravo di lui nella raffigurazione fallica. Non c’è artista in Pompei o nelle zone limitrofe che abbia dipinto più falli priapeschi di lui. Li ha dipinti ovunque: nelle camere da letto, sulle mura dei lupanare, nelle decorazioni delle taverne, alle terme. Non cerca nemmeno più di resistere alla tentazione di inserirli ovunque, seminascosti da altri disegni, da altre raffigurazioni: sono ormai una specie di firma, di attestato di originalità.
Anni addietro, Licinius aveva conosciuto alle terme il pretoriano Quintus Aurelius Vitellius, quando ancora era nel pieno della sua energia e godeva di ottima salute ed era rimasto turbato nel vedere la dovizia di attributi di cui era dotato. Si era reso conto che il legittimo interessato stesso ne era imbarazzato. Non doveva essere facile portarsi appresso un simile fardello.
Fino a quel momento aveva creduto che le rappresentazioni di Priapus che aveva visto fossero una pura esagerazione degli artisti per esaltare il dio della fecondità e invece si era trovato di fronte a un’immagine vera, in carne e ossa… (sì, insomma, non so se si dice proprio così… lo dico per farmi capire).
Da allora quello era diventato il soggetto pittorico preferito. Lo aveva rappresentato nelle pose e nelle funzioni più varie, ma la sua preferenza andava per quella in cui Priapus esponeva la sua mercanzia sulla bilancia, un gesto che gli ricordava quello antico di Brenno nella pesa dell’oro. Se all’epoca ci fosse stato Quintus a controbilanciare, con il suo attributo, la spada di Brenno, non si sa come sarebbe finita la storia…
Quintus Aurelius Vitellius osservava con gli occhi sgranati tutto l’andirivieni di persone che si agitavano nella sua camera da letto che era diventata da anni il suo rifugio. Non si era più mosso da quella stanza, dopo il grave accidente che gli era incorso durante la campagna militare in Giudea. La coppia di cavalli imbizzarriti che trainavano la sua biga, lo avevano trascinato per una viottola scoscesa. Un’enorme pietra aveva causato il ribaltamento della biga e Quintus Aurelius Vitellius (da ora in poi lo chiamerò semplicemente Quintus per non annoiare), ne era rimasto schiacciato contro il terreno.
Le conseguenze sul fisico erano state insieme tragiche e curiose. Da quel momento non era stato più in grado di muovere un solo arto. Poteva parlare, vedere, muovere leggermente la testa, ma tutte (o quasi tutte) le altre parti del corpo si potevano considerare completamente morte.
I riconoscimenti e gli onori di un eroe di guerra e le ricchezze di famiglia gli avevano consentito di potersi ritirare nella bella villa che sovrastava, in posizione panoramica, la città di Pompei, dominando perfino il grande anfiteatro. Non mancava in casa una nutrita schiera di servi e ancelle che lo accudivano per tutte quelle funzioni di ogni genere che non era più in grado di svolgere.
Se il momento dell’evacuazione mattutina non era certo piacevole per chi doveva provvedere alla pulizia, altrettanto problematica era la funzione urinaria che, imprevedibile come certi temporali estivi, si manifestava ogni volta e più volte al giorno, come una pioggia improvvisa e torrenziale, un getto di fontana incontrollabile che investiva, senza alcun segno premonitore, tutti i presenti.
Per i servi che lo dovevano accudire era quello il momento più temuto, perché non si trattava propriamente di nettare degli dei. Essi usavano tenere a portata di mano dei teli cerati anche se raramente riuscivano a coprirsi in tempo, tanto era improvvisa e inaspettata quella sorta di esplosione vulcanica. Tutto questo era uno degli effetti collaterali all’incidente di cui: degli altri, dirò in seguito.
I riconoscimenti e gli onori di un eroe di guerra e le ricchezze di famiglia gli avevano consentito di potersi ritirare nella bella villa che sovrastava, in posizione panoramica, la città di Pompei, dominando perfino il grande anfiteatro. Non mancava in casa una nutrita schiera di servi e ancelle che lo accudivano per tutte quelle funzioni di ogni genere che non era più in grado di svolgere.
Se il momento dell’evacuazione mattutina non era certo piacevole per chi doveva provvedere alla pulizia, altrettanto problematica era la funzione urinaria che, imprevedibile come certi temporali estivi, si manifestava ogni volta e più volte al giorno, come una pioggia improvvisa e torrenziale, un getto di fontana incontrollabile che investiva, senza alcun segno premonitore, tutti i presenti.
Per i servi che lo dovevano accudire era quello il momento più temuto, perché non si trattava propriamente di nettare degli dei. Essi usavano tenere a portata di mano dei teli cerati anche se raramente riuscivano a coprirsi in tempo, tanto era improvvisa e inaspettata quella sorta di esplosione vulcanica. Tutto questo era uno degli effetti collaterali all’incidente di cui: degli altri, dirò in seguito.
L’incontro si era ripetuto anni dopo, proprio alla villa di Quintus, dopo il grave accidente avvenuto. Licinius era stato chiamato per abbellire le mura interne che delimitavano il lussureggiante giardino della casa.
Licinius lo aveva riconosciuto alla prima occhiata, non tanto per i tratti somatici, ma perché aveva intravisto, nella penombra della camera da letto, un corpo supino e, nel bel mezzo del letto, aveva visto ergersi imponente una protuberanza coperta da un telo di cotone che lo aveva subito fatto pensare ai contorni minacciosi del Vesuvio, sotto al quale covavano le fiamme. Si sa, un artista è tale anche per questo!
Proprio in occasione di quei primi incontri era venuto a conoscenza di alcuni dettagli dell’incidente, di cui aveva solo sentito vociferare in città. A seguito del fatto accaduto in Giudea, per uno strano fenomeno, tutta l’energia che si era dissolta dalle membra ormai inerti di Quintus, si era concentrata in quella particolare parte del corpo che da quel momento non aveva più conosciuto la posizione di riposo. Le stesse dimensioni, già considerevoli, ne erano risultate accresciute a dismisura. Ciò che, per altri, avrebbe potuto essere considerata una fortuna, non era per Quintus che un ulteriore accanimento del fato.
Inizialmente si era pensato a un fenomeno transitorio, passeggero, ma il perdurare (mi si perdoni il verbo che non è allusivo) nel tempo, aveva costretto i familiari a fare disperati tentativi per rimediare all’inconveniente.
Si era provato con bagni alternati di acqua calda e fredda, ma niente. Nemmeno le percosse e la fustigazione del membro avevano sortito alcun effetto. La moglie Domiziana aveva fatto qualche timido tentativo di fiaccarlo, ma si era arresa ben presto perché qualunque pratica era comunque impegnativa, sfibrante e priva di effetti concreti.
Si pensò allora di ricorrere alle abituali frequentatrici dei lupanare, la cui esperienza era innegabile, ma la maggior parte di esse si erano ritirate di fronte alla vista di un simile monumento, rinunciando a tutti i lauti compensi che erano stati loro offerti.
Quella camera da letto aveva assistito, più recentemente, perfino a un dotto consulto di esperti in arti divinatorie e propiziatorie, guidato dal prestigioso Brusaferrus. I saggi avevano affermato che altro non fosse se non una vendetta da parte del divino Priapus che, irritato per la minaccia al suo primato, aveva deciso di punire il povero Quintus.
Dopo molti tentativi, fatti da pozioni magiche, preghiere al divino e altri riti sinistri, si erano dovuti arrendere alla loro impotenza: dopo complicati calcoli pitagorici, avevano sentenziato che niente era possibile fare se non auspicare che un certo valore, che chiamavano Rt (Rigor transeat) scendesse al di sotto del numero I. Con tutta evidenza, niente però era sceso.
Gli esperti lo avevano comunque incoraggiato assicurandogli che, dai calcoli e dalle interrogazioni alle divinità, prevedevano che nel giro di qualche mese le sue pene (forse sarebbe meglio dire “sofferenze”) sarebbero comunque terminate.
Licinius aveva iniziato il lavoro per cui era stato chiamato. Le mura da adornare circondavano tre lati del giardino, mentre il quarto era quello più panoramico: una sorta di terrazzo che si affacciava sulla città e sull’anfiteatro. L’artista aveva deciso che quelle mura avrebbero dovuto essere una continuazione del giardino. Era riuscito con grande maestria, a far sì che le sue rappresentazioni costituissero un unico armonico con le piante rigogliose e i fiori dai mille colori che già abbellivano il giardino. Chi si trovava seduto al centro di quello spazio aperto poteva avere la sensazione che questo si estendesse all’infinito, tanta era la somiglianza con il reale delle opere dell’artista.
Un osservatore attento avrebbe tuttavia distinto fra i rami nodosi degli alberi dipinti, alcune rappresentazioni falliche di enormi proporzioni che Licinius aveva dedicato al suo illustre committente.
Nella lunga frequentazione della casa, Licinius, si era reso conto che quella camera in cui il fato aveva condannato Quintus a trascorrere gli ultimi anni di vita, sarebbe stata per lui una vera a propria prigione.
Facendo ricorso all’ingegno e alle sue doti che non erano solo pittoriche, aveva avuto l’idea di progettare una camera mobile che consentisse al padrone di casa di trasferirsi abbastanza agevolmente in giardino e nello stesso tempo, soddisfare un’altra sua grande passione.
L’unico forte desiderio che era rimasto a Quintus in quella vita meschina, era poter assistere ai giochi che si svolgevano nell’anfiteatro. Quando le condizioni fisiche ancora glielo permettevano e quando non era lontano per ragioni di servizio, non aveva mai perso una delle lotte dei gladiatori che venivano organizzate periodicamente a Pompei.
Licinius aveva capito, parlando con il povero Quintus, che l’unico suo desiderio rimasto era proprio quello: assistere alle sfide dei gladiatori che per lui erano da sempre l’unica vera passione. Avrebbe potuto farsi portare direttamente all’anfiteatro, ma sapeva che ormai la notizia della sua “disgrazia” si era diffusa in città e non avrebbe potuto sopportare l’onta dello scherno.
Licinius aveva pensato allora di unire con assi di legno due bighe leggere che si fronteggiavano dai lati aperti. Aveva così creato un letto dotato di ruote che, all’occorrenza, potesse essere trasferito con una certa facilità in fondo al giardino, dove c’era quella vista stupenda, nel punto in cui si poteva assistere, in zona ombreggiata e da posizione privilegiata, agli spettacoli che si svolgevano nel sottostante anfiteatro. Era una specie di tribuna d’onore.
Facendo ricorso all’ingegno e alle sue doti che non erano solo pittoriche, aveva avuto l’idea di progettare una camera mobile che consentisse al padrone di casa di trasferirsi abbastanza agevolmente in giardino e nello stesso tempo, soddisfare un’altra sua grande passione.
L’unico forte desiderio che era rimasto a Quintus in quella vita meschina, era poter assistere ai giochi che si svolgevano nell’anfiteatro. Quando le condizioni fisiche ancora glielo permettevano e quando non era lontano per ragioni di servizio, non aveva mai perso una delle lotte dei gladiatori che venivano organizzate periodicamente a Pompei.
Licinius aveva capito, parlando con il povero Quintus, che l’unico suo desiderio rimasto era proprio quello: assistere alle sfide dei gladiatori che per lui erano da sempre l’unica vera passione. Avrebbe potuto farsi portare direttamente all’anfiteatro, ma sapeva che ormai la notizia della sua “disgrazia” si era diffusa in città e non avrebbe potuto sopportare l’onta dello scherno.
Licinius aveva pensato allora di unire con assi di legno due bighe leggere che si fronteggiavano dai lati aperti. Aveva così creato un letto dotato di ruote che, all’occorrenza, potesse essere trasferito con una certa facilità in fondo al giardino, dove c’era quella vista stupenda, nel punto in cui si poteva assistere, in zona ombreggiata e da posizione privilegiata, agli spettacoli che si svolgevano nel sottostante anfiteatro. Era una specie di tribuna d’onore.
Alla prima prova all’aperto del suo nuovo giaciglio, Quintus si era subito reso conto che quella presenza che svettava dal basso ventre gli impediva ogni vista del campo d’azione. Così Licinius aveva dovuto costruire un marchingegno basato su leve che sollevavano il letto dalla parte della testa, fino al punto che lo sguardo potesse travalicare l’ostacolo, senza altri impicci. Quindi si era ritrovato così in posizione quasi eretta. La mancanza di resistenza muscolare al peso del corpo sulle gambe veniva ovviata imbracando Quintus al letto con robuste cinghie di cuoio.
A.D. V ID. QVINT. DCCCXXXII A.U.C. (*)
È proprio in quella condizione che Quintus, dal limitare del giardino si accinge ad assistere allo spettacolo del secolo, affiancato dai familiari e dal fedele Licinius, diventato ormai di famiglia,
Sì, perché quella è una sfida che non si è mai vista prima. Da un lato undici combattenti scelti dopo una lunga selezione fra tutte le legioni romane, dall’altra undici schiavi provenienti dalla provincia germanica, allenati per i duelli a morte presso la scuola di Capua.
Sì, perché quella è una sfida che non si è mai vista prima. Da un lato undici combattenti scelti dopo una lunga selezione fra tutte le legioni romane, dall’altra undici schiavi provenienti dalla provincia germanica, allenati per i duelli a morte presso la scuola di Capua.
Quintus ha conosciuto durante la sua vita militare molti dei valorosi che hanno accettato di sfidare i gladiatori. Ci sono Paulus Ruber, Claudius Gratiosus, Scirejus, Altobellus, Antonius Cabrinus, Fulvius Collovatus, Marcus Tardellus e altri eroi. Nella schiera opposta, quella degli schiavi germanici, i più noti sono Stielikus, Rummeniggus, Brieghelus, Schumacherus, imbattibile quest’ultimo con la rete, oltre agli altri, tutti di grande valore.
Negli occhi di Quintus brilla una strana luce che non si vede da anni. L’attesa di quella sfida sembra averlo riconciliato con la vita.
Negli occhi di Quintus brilla una strana luce che non si vede da anni. L’attesa di quella sfida sembra averlo riconciliato con la vita.
Gli incontri sono previsti a coppie, secondo un sorteggio con i dadi. Le coppie iniziano ad affrontarsi con un certo equilibrio.
Il dramma viene sfiorato quando Cabrinus sta per trafiggere con il suo gladio Schumacherus che ormai giace a terra e pare ormai vinto. Quintus, con gli occhi sbarrati, aspetta il colpo decisivo, pronto a esplodere in un grido liberatorio. Tutti trattengono il fiato, così come gli spettatori nell’anfiteatro.
Improvvisamente avviene l’imprevedibile: Schumacherus, con un colpo d’astuzia, riesce ad avvolgere nella sua rete il povero Cabrinus e lo fa cadere al suolo. Schumacherus si avventa su di lui, trafiggendolo con il tridente.
Un mormorio di delusione pervade l’anfiteatro. Nemmeno un suono esce dalla bocca di Quintus, ma la sua delusione si esprime nell’unico altro modo possibile. Dopo anni di impertinente tracotanza, quel suo curioso accessorio mostra per la prima volta, un segno di cedimento e, per alcuni minuti, l’altura che faceva “pendant” (mi si perdoni il francesismo, ma mi è sembrato un termine insostituibile per la situazione) con il Vesuvio che si staglia all’orizzonte, si acquatta docile e mansueto come un cagnolino ai piedi del padrone.
L’effetto tuttavia è temporaneo perché, subito dopo, Paulus Ruber, abbatte senza pietà Schumacherus e le successive vittorie, sugli ultimi germanici rimasti, da parte di Tardellus e di Altobellus, riportano lo scomodo compagno di Quintus alla sua abituale irreversibile imponenza.
A nulla vale la vittoria temporanea di Breitnerus, l’ultimo rimasto della compagine avversaria.
La folla è entusiasta, così come Quintus e tutti gli altri che assistono insieme a lui in giardino. Anche Licinius, preso dall’entusiasmo per la vittoria, afferra un labaro con le insegne di Roma e lo lega all’unica asta disponibile nei pressi, quella sorta di obelisco egizio che è un tutt’uno con il suo mecenate. Il vessillo con la lupa, i gemelli e la scritta S.P.Q.R. si dispiega al vento nell’ovazione generale del pubblico dell’anfiteatro. Anche il Vesuvio sembra partecipare alla festa, con un piccolo sbuffo di fumo.
Il dramma viene sfiorato quando Cabrinus sta per trafiggere con il suo gladio Schumacherus che ormai giace a terra e pare ormai vinto. Quintus, con gli occhi sbarrati, aspetta il colpo decisivo, pronto a esplodere in un grido liberatorio. Tutti trattengono il fiato, così come gli spettatori nell’anfiteatro.
Improvvisamente avviene l’imprevedibile: Schumacherus, con un colpo d’astuzia, riesce ad avvolgere nella sua rete il povero Cabrinus e lo fa cadere al suolo. Schumacherus si avventa su di lui, trafiggendolo con il tridente.
Un mormorio di delusione pervade l’anfiteatro. Nemmeno un suono esce dalla bocca di Quintus, ma la sua delusione si esprime nell’unico altro modo possibile. Dopo anni di impertinente tracotanza, quel suo curioso accessorio mostra per la prima volta, un segno di cedimento e, per alcuni minuti, l’altura che faceva “pendant” (mi si perdoni il francesismo, ma mi è sembrato un termine insostituibile per la situazione) con il Vesuvio che si staglia all’orizzonte, si acquatta docile e mansueto come un cagnolino ai piedi del padrone.
L’effetto tuttavia è temporaneo perché, subito dopo, Paulus Ruber, abbatte senza pietà Schumacherus e le successive vittorie, sugli ultimi germanici rimasti, da parte di Tardellus e di Altobellus, riportano lo scomodo compagno di Quintus alla sua abituale irreversibile imponenza.
A nulla vale la vittoria temporanea di Breitnerus, l’ultimo rimasto della compagine avversaria.
La folla è entusiasta, così come Quintus e tutti gli altri che assistono insieme a lui in giardino. Anche Licinius, preso dall’entusiasmo per la vittoria, afferra un labaro con le insegne di Roma e lo lega all’unica asta disponibile nei pressi, quella sorta di obelisco egizio che è un tutt’uno con il suo mecenate. Il vessillo con la lupa, i gemelli e la scritta S.P.Q.R. si dispiega al vento nell’ovazione generale del pubblico dell’anfiteatro. Anche il Vesuvio sembra partecipare alla festa, con un piccolo sbuffo di fumo.
“Superquark” 11 luglio 2025 h.21.30
“Pompei ci regala sempre nuove sorprese. Durante gli scavi nella zona ancora inesplorata è stata fatta una scoperta straordinaria. Sono stati ritrovati i resti di un letto di foggia inusuale, munito di ruote e finemente decorato con motivi fallici. Fu realizzato con la congiunzione di due bighe. A quello che ci risulta sembra il primo esempio nella storia, di letto mobile. Gli esperti ritengono che sia stato utilizzato l’ultima volta per trasportare un infermo intrasportabile, durante l’eruzione del 79 d.C., con l’intento di metterlo in salvo.
La cosa più sconcertante è stata però la scoperta del corpo di un uomo nelle immediate prossimità del letto. Il calco in gesso ha mostrato l’esistenza di una protuberanza, si… insomma… un’appendice al basso ventre di notevoli dimensioni, che è stata attribuita a un troncone di un “pilum”, una sorta di lancia in uso nelle armate di Roma, con cui presumibilmente l’uomo era stato trafitto a morte. L’anatomo-patologo che fa parte dell’equipe di esperti non è convinto di questa interpretazione. Sono in corso esami più approfonditi.”
La cosa più sconcertante è stata però la scoperta del corpo di un uomo nelle immediate prossimità del letto. Il calco in gesso ha mostrato l’esistenza di una protuberanza, si… insomma… un’appendice al basso ventre di notevoli dimensioni, che è stata attribuita a un troncone di un “pilum”, una sorta di lancia in uso nelle armate di Roma, con cui presumibilmente l’uomo era stato trafitto a morte. L’anatomo-patologo che fa parte dell’equipe di esperti non è convinto di questa interpretazione. Sono in corso esami più approfonditi.”
(*) 11 Luglio 79 d.C.