Dunque, spiegazioni… ci provo, per quel che posso.
Intanto, sì, lui salva la ragazzina, e vi dirò che mi ha veramente stupito ogni volta che leggevo che il finale era dubbio, incerto, ambiguo. Ero talmente tentata di scriverlo nel mio autocommento, che stavo per non commentarmi, questa volta, per paura di tradirmi.
La frase finale, “Ecco. L’ho fatto.”, per me era assolutamente chiara. Quando però un dubbio arriva da così tanti lettori, evidentemente qualcosa non è stato scritto del tutto nel modo giusto.
Ne ho parlato con mia cognata (a cui però non era venuto questa incertezza) e lei mi ha suggerito due cose: la prima, che sarebbe bastato mandare a capo la frase finale, magari staccata da uno spazio. A me questo espediente grafico non piace, ma forse già questo sarebbe bastato. Altro suggerimento, cambiare l’ordine delle ultime frasi, in questo modo:
“Non ha alcun senso.
Lei è solo un mucchietto di cenere…
Non lo farò.
Non lo faccio…
Ecco. L’ho fatto.”
Quest’ultima soluzione in effetti mi piace, e credo che la terrò.
Anche “lei è solo un mucchietto di cenere” può avere contribuito. Di nuovo, a me sembrava chiaro che fosse la ripresa di un concetto già lanciato sopra, che cioè salvare la ragazzina non seguisse una logica razionale. Infatti, il gesto conclusivo del protagonista non segue una logica razionale, ma emotiva e viscerale.
Perché lo fa?
Provo a scrivere quello che so, ma non so tutto, solo quello che ho visto.
Non gli è sufficiente vedere la ragazzina e la vita che fa: come dice, ce ne sono tante come lei, tutte destinate a morire. Ma lei disegna. Non può farne a meno. La vita che scorre in quei gesti è talmente forte da non essere ancora stata schiacciata dall’uso che viene fatto di lei. Significa questo la frase “Perché io lo so cosa cercano le sue mani, cosa stanno facendo. La stessa cosa che facevano le mie.” Anche le mani di lui non potevano fare a meno di disegnare, quando anche lui era un bambino chiuso in una stanza. Anche lui sentiva la vita scorrere, al di là dell’orrore in cui viveva.
Quale orrore? Ecco, qui le immagini si fermano. Adulti che tengono un bambino prigioniero, anche incatenato. Chi sono questi adulti?
Non lo so, non vedo altro.
La porta un giorno “Si apre per un motivo diverso dal solito”. Qual era questo “motivo solito”? Di nuovo, la mia mente si ferma.
Ogni personaggio che noi creiamo è una nostra funzione psichica, una parte interiore di noi. Questi due personaggi di certo rappresentano una sofferenza, ma altro non so.
Davvero intriganti le interpretazioni di Petunia, a cui io non avevo assolutamente pensato, ma che credo in effetti potrebbero “starci” e forse sarebbero spendibili per ampliare il racconto.
Comunque, l’empatia con la ragazzina manda all’aria tutti i discorsi razionali del protagonista, che appunto passa tutto il tempo del monologo a ricordarsi i sensati motivi per cui non dovrebbe fare quello che invece non può impedirsi di fare.
Questa dinamica è presente in quasi tutti i miei racconti, tanto che ogni volta mi stupisce non essere individuata al primo colpo. Tanto per dire, l’immagine del mio avatar è l’illustrazione di Daniele Trombetti per “L’inizio della storia”, il racconto che dà il titolo alla mia raccolta. Ero stata tentata di cambiarla, all’inizio dello step, poi ho lasciato stare, pensando che magari sarebbe stato notato più il cambio che l’immagine che c’era già.
Altre cose… la ragazzina che compare all’improvviso a un terzo del racconto. La ragazzina appare in quel momento perché è in quel momento che mi è apparsa; fino a un istante prima non c’era, poi era lì.
Le domande retoriche. Boh, io non le percepisco come retoriche. Già una volta vivonic me le aveva fatte notare, con mio stupore. Ma voi non vi fate mai domande nella vostra testa? Io ho la testa piena di continue domande che mi faccio (e di cui appunto non capisco la ragione e non conosco la risposta, per cui per me non sono retoriche).
“E nessuno può viverla poi raccontarla”: quei due “la” sono riferiti grammaticalmente a “esperienza” della frase precedente, “se mai ho vissuto un’esperienza simile”.
Questo racconto nasce, come al solito, dalla disperazione, questa volta più acuta perché non riuscivo a mettere insieme i paletti nemmeno a smartellarci sopra e i due generi erano per me uno più terribile dell’altro.
Il mio cervello ha trovato un modo per mettere insieme quello che non riuscivo a mettere insieme, creando una bolla temporale di coesistenza di due momenti e luoghi della storia, ma nel suo viaggio ha trovato l’inaspettato; il viaggio mi ha portata dove all’inizio non potevo immaginare. Per questo, credo, tutti, anche quelli a cui il racconto non è piaciuto tanto, hanno trovato emotivamente forte l’apparizione della ragazzina, perché credo coincida col momento in cui ho fatto un tuffo profondo nel mio inconscio.
Tutti i commenti mi hanno aiutato, soprattutto per dare qualche ritocco.
Certamente, quelli entusiasti allargano il cuore, perché, come tutti noi sappiamo, in quel momento sentiamo di avere toccato qualcuno.