Si avvicinò al congelatore, uno di quelli con l’apertura verso l’alto e fece scorrere lo sportello: vapore bianco di condensa ghiacciata. Prese un pezzo di carne avvolto nel cellophane, forse sotto-spalla, duro come il marmo: magari ci avrebbe fatto uno spezzatino, con patate e piselli. Quel parallelepipedo azzurro con la scritta sbiadita Sammontana - Gelati all’Italiana, recuperato abusivamente alla discarica, faceva ancora il suo porco lavoro consumando una quantità smodata di corrente, come ogni buon vecchio elettrodomestico Classe D. Tanto non pagava lui la bolletta ma il condominio, come gli aveva fatto notare il prof. Bindella.
«Gironi», gli aveva detto con tono di disprezzo, senza aggiungere neanche un misero signor davanti al nome, «se legge il regolamento condominiale, c’è scritto che nei box non si possono ricaricare veicoli elettrici di alcun genere, né collegare elettrodomestici, a parte quelli utilizzati per i piccoli lavoretti».
Beccato! Non c’era volta che riuscisse a fare nulla in barba alle più elementari regole di civile convivenza che il Bindella, il prof. Bindella, l’ex prof. Bindella, essendo ormai in pensione da una decina d’anni, non lo cogliesse in flagranza di reato. E anche quella volta, lo aveva atteso alla fine della rampa, gambe divaricate e braccia conserte, mentre il povero Marco Gironi conduceva lungo la discesa il suo fidato mezzo di trasporto, con il già menzionato parallelepipedo in precario equilibrio.
«Gironi, mi ha sentito?»
Sentito sì, visto meno. Aveva urlato così forte da superare il fastidioso lamento delle piccole ruote del carrello, rubato al Lidl in Forze Armate, sul fondo antisdrucciolo zigrinato della rampa di accesso all’autorimessa. Quanto al vederlo, data la statura del Bindella, era stato più difficile, considerando che l’ingombrante elettrodomestico gli impediva una corretta visuale.
Marco Gironi aveva dovuto lottare con la sua coscienza per scacciare il pensiero di lasciare che il carrello con il pesante carico seguisse liberamente la sua corsa lungo la discesa fino ad abbattersi sul delizioso vecchietto. Si era limitato quindi a un tranquillizzante: «Non si preoccupi, non funziona più: cerco solo di aggiustarlo e poi lo porto via». Poi, con un tono più basso: «Comunque, chi si fa i cazzi suoi campa cent’anni!»
Aveva spinto il carrello fino al box, al suo box, e vi si era messo davanti, gambe divaricate, braccia conserte, guardando di sbieco il professore in attesa che se ne andasse. Ce n’era voluto perché il pensionato, vedovo e sfaccendato, aveva faticato a rinunciare all’occasione di una discussione che gli avrebbe fatto passare tutto il pomeriggio, ma alla fine aveva ceduto la posizione. Il Gironi era così riuscito, senza essere visto, ad aprire la saracinesca, scaricare il frigorifero e parcheggiare all’interno il carrello. Guardingo e sospettoso, aveva infine richiuso, lui dentro, attento a non fare il benché minimo rumore.
Si rimbalzò il pezzo di carne da una mano all’altra, quasi a volerlo scongelare con il calore del proprio corpo: e pensare che fino a qualche settimana prima non si sarebbe potuto permettere neanche una bistecca!
Da quando aveva perso il lavoro, la sua vita era precipitata in un abisso di disperazione e solitudine; e sì che erano passati già sette anni da quando si era ritrovato disoccupato, ma forse, di cercare un’altra occupazione, non ne aveva avuto neanche troppa voglia. Il colpo di grazia l’anno prima: i condomini gli avevano pignorato la casa, esasperati dopo anni che non pagava le spese condominiali. E quando il piccolo e squallido monolocale in cui abitava era ufficialmente passato in asta giudiziaria, Marco aveva trovato rifugio nel vecchio box nel seminterrato del palazzo, un misero spazio che chiamava ancora casa, essendo l’unica cosa che gli rimaneva.
«Hai trovato dove andare?» gli aveva chiesto Luisa, la vicina, l’unica con la quale era rimasto un minimo di dialogo, salvo poi essere la prima a fare un’offerta al giudice fallimentare per annettere il monolocale di Marco al suo.
«Ma sì, non ti preoccupare»: sapeva di non potersi confidare neanche con lei.
Nel box, ci entrava e ci usciva facendo attenzione che nessuno lo notasse e, chiuso là dentro, tendeva l’orecchio e rimaneva impietrito a ogni minimo rumore. Se solo avessero sospettato di quello che ci faceva nel box! Fortuna che era un poco defilato, isolato dagli altri, dietro l’angolo in fondo al corridoio d’accesso.
Pian piano, la notte, era riuscito ad attrezzarlo con un letto sgangherato, un tavolo traballante, una poltrona sdrucita e, ora, con un congelatore, ingiallito qua e là, ma ancora funzionante. Un fornellino a gas per cucinare, un secchio per l’acqua di prima necessità; per i bisogni impellenti, lo squallido bagno comune era sufficiente, per una doccia, se proprio necessaria, la piscina comunale non era una brutta opzione.
Si appoggiò al tavolino, scartò il pacchetto e iniziò a farne piccoli pezzetti, con fatica, l’interno ancora ghiacciato. Tritò una cipolla e qualche spicchio d’aglio; ci buttò dentro patate, carote e piselli, con un po’ d’olio a rosolare. Poi abbassò la fiamma per scongelare la carne a fuoco lento e non farla diventare dura.
Era una soluzione temporanea, lo sapeva: il suo box faceva gola a tanti, anche alla Luisa, che c’aveva la Smart elettrica e sperava di ricaricarla a sbafo del condominio.
Se l’avessero scoperto non l’avrebbe passata liscia; già aveva rischiato grosso con il Bindella e non era andata affatto bene.
Era accaduto in una calda sera d'estate: Milano, abbandonata dal popolo dei vacanzieri, soffocava sotto un sole implacabile e nel seminterrato dei box l’aria stagnava, creando un'atmosfera tetra e malsana.
Marco si trascinava stancamente per la città alla ricerca di qualche moneta per sopravvivere, in attesa che la notte gli portasse un poco di refrigerio.
Quella sera, approfittando del palazzo disabitato, aveva lasciato sollevata la serranda del box, gustandosi spaparanzato in poltrona un paio di cicche di sigarette raccolte sull’asfalto bollente.
«Chi fuma?»
La voce, autorevole e perentoria, lo aveva fatto sobbalzare: un sudore copioso aveva immediatamente imperlato la fronte e la canottiera già lasciava intravedere un alone sotto le ascelle.
Non c’era tempo da perdere: Marco gli si era precipitato incontro, lungo il corridoio, sperando di fermare il Bindella prima che si fosse avvicinato tanto da scoprire il segreto del suo piccolo nascondiglio.
«Ah, è lei, dovevo immaginarlo. Non ha visto i cartelli Vietato Fumare?»
«Ha ragione, spengo subito.»
Non era il caso di iniziare un battibecco: meglio assentire e cercare di tenerlo alla larga.
Il prof. Bindella lo aveva squadrato schifato. Capelli arruffati e piuttosto unti, barba sfatta di parecchi giorni, canotta pezzata, pantaloncini e infradito: aveva più l’aria di un barbone che di un ex vicino di casa.
«Non va qualche giorno in vacanza? Mi sa che ne avrebbe bisogno.»
– E con che soldi, se mi avete portato via tutto? – Aveva trattenuto il pensiero: gli toccava mandare giù.
«Più avanti, forse. E lei? Pensavo stesse via tutto agosto.»
«Troppa gente in giro. Me ne sono tornato solo soletto senza dire niente a nessuno.»
«Comunque, me ne stavo andando», aveva detto il Gironi, allargando il braccio, nel tentativo di accompagnare il Bindella verso l’uscita.
«Ma se ha lasciato il box aperto!» Agli occhietti vigili del pensionato, non era sfuggito che la saracinesca, seppur piuttosto lontana, fosse ancora sollevata: «Mi vuole nascondere qualcosa? Non è che ha attaccato il congelatore alla corrente del condominio, vero?» e sfuggendo alla presa, che si faceva via via più insistente, si era diretto con passi corti ma sorprendentemente rapidi verso il luogo del sospetto crimine.
«È diventato matto? Cosa pensa di fare?»
Si era voltato, giusto in tempo per vedere il povero Gironi, crollare sulle ginocchia con le mani a coprire il volto, disperato.
«Questa è un’autorimessa, un locale destinato al parcheggio di autoveicoli, non un posto dove fare i propri porci comodi!»
«Porci comodi? Ma dove pensavate che andassi a vivere, a CityLife?»
«Questo non è affar nostro! Ma lei, oltre a ciucciarci la corrente a sbafo, ci tiene anche una bombola di gas. E se scoppia un incendio? I danni ce li paga lei… morto di fame com’è?»
«Mi ci avete costretto voi!»
«Ma la pianti di dare le colpe agli altri. Ah, no! Questa volta chiamo i carabinieri… l’ASL… i NAS… i vigili del fuoco…i servizi sociali.»
Rosso come un peperone, il Bindella aveva perso il controllo, agitando in modo minaccioso l’indice della mano a qualche centimetro dal naso del poveretto.
Il mondo gli stava crollando addosso. Che ne sarebbe stato di lui? E lui aveva reagito… come mai si sarebbe aspettato.
«Lei deve piantarla di rompermi i coglioni, professorino della mia minchia!»
L’omino si era azzittito, terrorizzato, fulminato da due occhi iniettati di sangue, specchio di una rabbia troppo a lungo repressa.
«Tu, non dirai proprio niente a nessuno.» Aveva iniziato a spingerlo indietro, una mano al collo: più avanzava, più il vecchietto retrocedeva, più la presa si stringeva.
Giunto alla parete, ve lo aveva appiccicato con forza.
«Ti è chiaro adesso che non dirai un cazzo a nessuno, o no?»
E lo aveva tenuto là, non si ricordava più neanche per quanto tempo, sollevato da terra una ventina di centimetri, finché le gambette non avevano smesso di agitarsi.
Panico, angoscia: rimorso no, non ancora. Si era guardato intorno circospetto anche se era certo non vi fosse anima viva, poi aveva preso il corpo per le braccia e lo aveva trascinato nel box. Il danno era fatto e da lì non si tornava indietro.
Doveva ragionare con rapidità ma anche con freddezza.
Che fare di quel corpo? Certo non poteva abbandonarlo nel cassonetto del palazzo. Caricarlo nel carrello e portarlo a un cassonetto qualche isolato più in là? E se avesse incrociato qualcuno nel tragitto? Con quel caldo, tempo un giorno o due e avrebbe iniziato a emanare una puzza orrenda, facendolo immediatamente scoprire.
Poi c’erano quelle maledette telecamere, piazzate ovunque, ai semafori, fuori dai negozi, sui marciapiedi davanti alle banche: Milano ne era tappezzata, in barba a ogni più elementare diritto alla privacy. No, troppo rischioso.
Doveva guadagnare qualche giorno, meglio qualche settimana: dopotutto nessuno sapeva che il Bindella fosse tornato a Milano. Non aveva partenti, non era un tipo socievole: ora che qualcuno si fosse accorto della sua scomparsa, sarebbe passata qualche settimana.
Accovacciato di fianco al cadavere in attesa che le idee si schiarissero un poco, gli aveva frugato nelle tasche: un portafogli coi documenti e qualche banconota, un paio di monete, un fazzoletto mezzo usato, le chiavi dell’inconfondibile Fiat Duna azzurro metallizzato.
Ecco, aveva deciso: primo, sbarazzarsi dell’orribile vettura, visto che nessuno avrebbe dovuto sapere del rientro del Bindella, al cadavere avrebbe pensato più tardi.
In effetti l’auto era lì, subito a destra della rampa, parcheggiata nella solitudine dei posti liberi di quelle calde giornate. Triste e pulita, come il suo proprietario. Salito a bordo, aveva arretrato il sedile, troppo vicino al volante, aggiustato lo specchietto. E così, una mezz’ora dopo, nella periferia sud di Milano, un’autovettura senza targa prendeva fuoco nel bel mezzo di un campo isolato.
Si mise a mangiare, direttamente dalla pentola, seduto sullo sgabello, col tavolino che ballava ad ogni movimento. Si guardò in giro alla ricerca di uno spessore da infilare sotto la gamba. Eccolo, Guida Pratica al Condominio, del Sole 24 Ore, sembrava avere lo spessore giusto: forse gliel’aveva data proprio il Bindella.
Avesse avuto una TV! Alla discarica avrebbe anche potuto recuperarne una, ma poi? L’antenna? Il rumore? Gli altri condomini?
C’era un bicchiere di vino a tenergli compagnia, 1,99 euro la bottiglia, quella da un litro. Il Tavernello veniva anche meno, ma piuttosto avrebbe bevuto acqua.
Lo spezzatino era venuto bello tenero. Vitello o agnello? Sembrava un misto tra i due, anche se il colore era più chiaro: maiale, ecco cosa sembrava! Ne era avanzato un altro piatto: appena freddo l’avrebbe congelato per una cena futura.
I giorni successivi al delitto, erano stati un tourbillon di ansia e paranoia per Marco. Ogni suono, ogni passo all'esterno del box sembrava essere un'ombra della giustizia che si avvicinava sempre di più. Le notti erano punteggiate da incubi in cui vedeva il volto senza vita del Bindella fissarlo con un ghigno malefico.
L’uomo però è un animale che si adegua a tutto… e così era stato anche per lui. Complici le vacanze, la gente prima assente, era tornata nel palazzo a spizzichi e bocconi, e lui si era abituato pian piano a quel nuovo vecchio via vai, riacquistando calma e tornando alle sue abitudini di un tempo. Anche il suo sguardo mostrava più sicurezza, tranquillità.
«Ti trovo bene,» gli aveva detto la Luisa, «sei stato via qualche giorno?»
«No, ma a Milano ci sono stato bene… con la poca gente rimasta.»
«Magari organizzo una cenetta: che ne dici?»
– Nel mio appartamento che ti sei accattata a un prezzo stracciato? – pensò Marco.
«Idea carina, grazie. Non carne, in questo periodo ne sto mangiando troppa.»
«A proposito, sai dov’è finito il Bindella?»
Qualcun altro glielo aveva chiesto quando lo aveva incontrato. E perché avrebbe dovuto saperne qualcosa lui?
«Sicuramente sarà ancora al mare, a gustarsi la pensione» rispondeva, ma il cuore gli batteva forte e vampate di calore gli arrossavano il viso.
Riassettò la tavola, lavò pentola e posate nel catino. Prese una vaschetta di alluminio, riciclata già due o tre volte, e vi mise gli avanzi. Aprì lo sportello del congelatore posizionando la confezione in mezzo agli altri pezzi di carne. Domani cos’avrebbe fatto per cena? Una tartare? Ma no, la carne cruda lo nauseava, dopo due o tre bocconi. Una tagliata! Con rucola e un paio di rametti di rosmarino.
Fece scorrere il portello per prendere un MaxiBon: quella sera voleva festeggiare.
Due occhi lo squadrarono dal fondo del congelatore. Occhi vitrei, che avevano perso la prontezza e la vivacità di quando il professore gli rompeva i coglioni: piccoli ghiaccioli imperlavano ciglia e sopracciglia. In effetti quella testa, buttata là tra gli altri pezzi di carne, chiusa in un Cuki Gelo trasparente, era veramente inquietante. Alla prima occasione avrebbe dovuto sbarazzarsene.