Luca sedeva in cucina, le dita ferme sulla tastiera. Con la testa piegata verso la finestra, fissava l’aia.
Era in ritardo con la tesi, ma in quel momento riusciva solo ad aspettare il ritorno del fratello.
Era ormai troppo buio fuori per distinguere qualcosa. Sentiva solo il debole scricchiolio della sedia
a dondolo del padre. Si passò le mani tra i capelli, desiderando che l’attesa finisse e il tempo
smettesse di dilatarsi, poi sentì i passi sulla terra battuta.
«Scusa. Lo so, è tardi.»
La sedia a dondolo si fermò.
«Conosci le regole.»
Luca chiuse gli occhi.
«Avevo finito di piantare l’aglio e ho pensato di dare un’occhiata al campo a nord. C’erano dei cani
randagi e…» disse Matteo. «Non è ancora del tutto notte.»
«Mi fai stupido? Ora che è tornato tuo fratello fai il figo, ti senti grande. Allora ti tratterò da
grande.»
«Mi dispiace.»
«Ti dispiace… adesso. È importante che il tuo rimpianto sia più palpabile.»
Il frustino calò su Matteo, che urlò. Luca digrignò i denti e affondò le mani nei capelli, premendosi i
polsi contro le orecchie per fermare il suono dei colpi sulla carne. Alzò lo sguardo solo quando
un’ombra gli cadde addosso: era lì, sulla soglia, con i capelli arruffati e il frustino puntato verso il
pavimento.
«Aiuta tuo fratello.» Luca si alzò barcollante. I suoi occhi erano fissi sul frustino, macchiato di
sangue. Il padre respirò profondamente. «Vedi cosa mi fai fare.» Si voltò, prese l’auto e andò via.
Luca uscì e trovò il fratello rannicchiato nell’angolo tra il patio e la rimessa dei trattori. Stava
sgranando un rosario.
«Luca, tu credi nei vampiri?»
Nonostante il volto gonfio e le braccia piene di segni, gli occhi di Matteo brillavano. Come se si
fosse meritato quella punizione.
«Lascia perdere. Non credere a tutto quello che dice. Non lasciarti spaventare. Le sue convinzioni
hanno già rovinato la nostra famiglia e minato i rapporti con il vicinato. Teo, i vampiri non
esistono.»
Disse con un tono convinto ma dentro di se, sentiva un grumo di inquietudine. Aveva bisogno che
fossero reali per dimostrare che il padre non era solo un folle violento. Un’ombra attraversò il suo
campo visivo, sobbalzò. Matteo guardò nella stessa direzione.
«Ti sei spaventato? Hai visto un vampiro?» Disse scoppiando a ridere.
Luca si avventò su di lui, lo schiaffeggiò con rabbia. Si fermò solo quando sentì l’auto del padre.
«Vedi cosa mi fai fare.» disse con gli occhi colmi di lacrime. «Vieni, rientriamo in casa.»
Matteo continuava a sgranare il rosario mentre Luca lo sollevava.
«Dove credete di andare voi due? Ora che Teo è diventato grande e non ha più paura del buio, è
bene che impariate a conoscere i mostri.»
Uscì dall’auto e poi dal sedile del passeggero tirò fuori la signora Paschi. Con una lunga vestaglia di
ciniglia, vomitava sangue e muco. Il padre la colpì alla tempia con un pugno, trascinandola verso la
rimessa.
«Aspettate qui. Ho bisogno di renderla innocua.»
I fratelli rimasero impietriti. Luca afferrò la mano in cui Matteo stringeva il rosario e provò a
pregare. Il tempo doveva smetterla di dilatarsi, pensò Luca, quando vide il padre uscire dalla
rimessa.
«Venite.» Rimasero immobili.
«HO DETTO! VENITE.»
Quell’urlo era più spaventoso di qualsiasi cosa avessero trovato all’interno, quindi obbedirono.
Sul bancone da lavoro in legno, illuminato dalla lampada, c’era sdraiata la signora Paschi. Nuda e
avvizzita, distesa supina con corde che la legavano al pavimento.
Matteo nascose il viso contro Luca.
«Papà, i vampiri non esistono, quella è la signora Lia.»
«I vampiri esistono! Ma ora, nel ventunesimo secolo, si sono fatti più scaltri. Vivono normalmente e
si procurano il sangue in modo illegale. Vivacchiano. Chiedono aiuto allo stato. Parassiti» sputò sul
corpo. «Poi si fingono morti. Un colpo apoplettico, una rara malattia, un incidente. Cambiano vita e
ricominciano tutto da capo. Questa qui da un paio di mesi ha iniziato a sputare sangue, la ghiottona.
Chissà dove riuscirà a trovare le prede per ingozzarsi così. Voleva fingersi malata e in paese dicono
che non durerà che pochi giorni.» Si avvicinò al viso della donna. «Che troia che sei. Ma io ti ho
scovato.»
«Papà, finiscila. Ha bisogno di aiuto, portiamola in ospedale.»
«Luca, l’università ti ha annebbiato il cervello. I Paschi sono… vampiri. Tutti credono alla storia
della vecchia nonnina che cresce da sola la nipote perché è rimasta l’unico parente della ragazzina.
Un caso da manuale. Gli altri stanno bene. altroché. Adesso lei finge di morire. Diana finisce in
mano agli assistenti sociali, sparisce dalla circolazione e poi tutta la famigliola felice si riunisce da
qualche parte. Ma ci siamo noi a rompergli le uova nel paniere. Ora cominciamo.»
Con un gesto teatrale, afferrò un paletto con una mano e una mazza con l’altra.
«Frassino. Sempre a portata di mano. Teo, mi spiace averti colpito prima, per farmi perdonare.
Insegnerò prima a te.»
Matteo, che tremava dallo shock, non si mosse. Il padre digrignò i denti.
«Lo farò io.» disse Luca. «Sono il maggiore.»
«Bene.» disse il padre porgendo la mazza a Luca. Poi lo accompagnò vicino al tavolo e posò la
mano tra i seni magri della donna. «Ecco. Devi affondare qui, fino in fondo.»
Luca sistemò il paletto.
«Il primo colpo sarà seguito da lamenti. I maledetti non muoiono facilmente. Non desistere finché
non l'hai impalata.»
Luca fissò la donna, incapace di sollevare la mazza. Stava per togliere il paletto quando il padre lo
conficcò con un’altra mazza. Un urlo acuto risuonò e Luca urlò a sua volta. Il padre gli tappò la
bocca con la mano insanguinata. Il paletto fu spinto per oltre due terzi, il sangue colava freddo e
viscoso. Luca ondeggiava la testa mentre il padre lo abbracciava forte. Solo in quel momento il suo
sguardo si posò sul viso della donna. Aveva la bocca spalancata e i denti superiori piccoli e delicati.
«Dove sono i suoi denti aguzzi?»
«Cosa?» Il padre scosse il capo, «Ah! A volte non li hanno.» Poi si voltò e trovò Matteo rintanato
nell’angolo più lontano, quello vicino alla porta. «Ma come, ora credi di scappare? Non eri
diventato grande? Se Diana non avesse strillato tanto, adesso anche tu potevi imparare la tecnica.
Non temere. Puoi sempre rimuovere la testa e riempirla d’aglio.»
Matteo scosse freneticamente la testa.
«Matteo, non farmi arrabbiare, alzati e vieni qui… ORA!»
Luca approfittò di quel momento per fuggire. Scattò verso la porta e superò il padre. Si avventò
nella macchina e entrò dalla parte del guidatore. L’odore pungente di aglio impregnava l’auto, ma
c’era anche un odore più metallico; si voltò e la vide.
Diana era riversa sul sedile posteriore. La tempia livida e un paletto le spuntava dalla bocca
spalancata, gli occhi vitrei.
Luca non riuscì a percepire più nulla. Il tempo non si stava dilatando, si era fermato. Stringeva
ancora tra le mani la mazza, ma la sentiva leggera. Tornò nella rimessa.
Il padre aveva spinto il fratello davanti al corpo della signora Paschi e stava lottando affinché
afferrasse la sega che gli stava offrendo.
«Sei una fichetta! Fai quello che devi.»
Luca strinse la mazza e colpì il padre alla nuca. Il padre barcollò e, voltandosi, lo guardò con
orgoglio. Luca lo colpì alla mascella, sentendo il colpo vibrare fino al gomito. L’uomo andò a
sbattere contro un vecchio armadio di legno che nessuno aveva mai visto aperto e, cadendo, i
cardini delle ante cedettero. Luca vide una decina di teschi rotolare, ma il suo obiettivo era il padre.
Lo stese sulla schiena e si sedette a cavalcioni su di lui. Posò la punta del paletto e colpì con la
mazza. Gli strilli e le bestemmie finirono rapidamente. Stava per tornare da Matteo quando vide un
teschio accanto al padre; aveva i canini appuntiti.