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Senilità ( ovvero Quando s'ncazzano i vecchi)

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mirella
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mirella


Padawan
Padawan

SENILITÀ


«Ma tua madre non viene? Come mai?»
Nunziata non sapeva più cosa inventarsi. Da parecchi giorni aveva un nodo alla gola che non se ne voleva andare; non era preparata ad affrontare la situazione. Suo padre - poveretto, 89 anni - stravaccato in un letto d’ospedale e sua madre che dava i numeri.
«Andiamo a trovare papà?» Le aveva chiesto fino al giorno prima.
«No, basta. Ormai è morto. Preferisco ricordamelo vivo.»
«Mamma non è morto; è tornato in reparto e sta molto meglio.»
«Ma se era in rianimazione?»
«Appunto: era. Ora è in reparto. Il peggio è passato; forse la prossima settimana lo dimettono e può tornare a casa.»
«Quale, quale casa? Io qui non ce lo voglio. Ormai è morto.»
«Ma quando mai! Vivo è; vivissimo e tra un po’ritorna a casa. Non sei contenta? Su, adesso vestiti che andiamo a trovarlo in ospedale. Chiede sempre di te.»
«Che, quale ospedale? Non lo voglio vedere il morto.»

Quando Giacomo aveva avuto l’infarto, la signora Lucia aveva subito uno choc. E così le figlie, Nunziata e Vita, oltre a occuparsi del padre ricoverato dovevano combattere con la madre che, a causa del dolore e della paura, ormai sragionava.
Mentre il marito si trovava in rianimazione, la signora Lucia si era disperata e aveva pianto tutte le sue lacrime, ma non aveva voluto assistere il marito dopo l’intervento perché - diceva - le faceva troppa impressione e di giorno in giorno aveva preso a cambiare discorso ogni volta che le figlie o i generi tentavano di darle notizie sulla salute del marito. Non voleva sentire che l’intervento era riuscito, che per fortuna erano arrivati in tempo e così via.
Lucia era passata dalla disperazione «Matri, viduva arrestai! Ccu me l’ava a diri c’ava a moriri prima iddu?» alla rassegnazione: «Mossi puvareddu; e cchi ci putemu fari?» E non solo.
Mentre il marito, riprendendosi, continuava a chiedere di lei e le figlie si ingegnavano a inventarsi ogni sorta di scuse - che aveva la febbre, che era caduta fratturandosi una spalla - Lucia aveva sgombrato la stanza da letto, eliminato il letto matrimoniale e portato in parrocchia i vestiti e le scarpe del “defunto”.
«Mamma, dove hai messo la biancheria di papà?»
«A’ puvareddi c’ha resi; iddu nun sa po’mintiri. Mortu è!»

Nunziata aveva rinunciato a ribattere e, di corsa - perché l’infermiera aveva chiesto un cambio di biancheria per il paziente - era andata a comprare un pigiama, un paio di magliette e dei calzini.
Alla sorella, che le chiedeva il perché di queste spese superflue, rispondeva: «Vita, nuru è; nunn’avi cchiù nenti. A mamma tutti cosi au parrinu ci arrialau!»
«Ma cchi fa, nisciu pazza? Uora ci vaiu ju ndu parrucu je mi fazzu turnari!»

Vita dovette raccontare al parroco l’accaduto, cercando di non calcare sulla sopraggiunta fragilità mentale della madre e soprattutto raccomandandosi di non fare parola con alcuno dei parrocchiani.
«La prego, padre, come se le avessi dette in confessione queste cose. Che vuole, la mamma è sconvolta dal dolore, ma le passerà; non ha dato mai segni di squilibrio.»
Il marito di Vita, quando vide sua moglie affaccendata tra lavatrice e ferro da stiro, domandò: «Ma di chi sono queste camicie?» E così Vita fu costretta a spiegare, ma per fortuna Enrico era accomodante e si limitò a commentare: «Menomale che non ha buttato tutto nei cassonetti della spazzatura! Sennò ci costava quanto la Germania!»
Il problema s’ingigantì quando il povero Giacomo venne dimesso, perché riaccompagnarlo a casa sua non si poteva, almeno non subito.
Nunziata ne aveva discusso col marito: «Che dici, lo ospitiamo noi per i primi tempi?» Ma quello fu irremovibile.
«E noi, per i capricci di tua madre dobbiamo rinunciare alla nostra intimità? E poi, dove lo sistemiamo? La casa è piccola e una sistemazione di fortuna - nel divano del soggiorno – ti pare adatta per un convalescente?»
«Se arriviamo da mamma con papà, l’infarto viene a lei!»
«Perché non lo sistemiamo a casa di Vita dove c’è più spazio?»
Alla fine fu deciso che Giacomo avrebbe trascorso la sua convalescenza a casa di Vita, e intanto piano piano Nunziata e Vita avrebbero preparato un primo incontro degli anziani coniugi in terreno neutro e tentato di convincere la madre a ripristinare il letto matrimoniale.

L’incontro non fu un successo; la signora Lucia guardava il marito come se avesse avuto di fronte un fantasma e non gli rivolse parola. Giacomo, che era stato avvertito di non abbracciare la moglie e di avvicinarsi a lei con prudenza, a un certo punto non reggendo l’emozione si mise a piangere come un bambino. La situazione si fece sempre più penosa quando Giacomo si rivolse alla moglie e le disse: «Lucia, ‘a mugghieri, per non darti questo dispiacere avissi vulutu moriri ‘ppi daveru, ma che ci posso fare se sono vivo? A scusare a mugghieri, non è colpa mia.»
A queste parole, pronunciate con sincero rammarico, si commossero tutti, tranne Lucia. Nunziata, per stemperare l’emozione, invitò tutti ad andare a tavola e quando arrivarono gli spaghetti al pomodoro, sembrò prospettarsi uno spiraglio di normalità.

Successivi incontri e altri pranzi concorsero al ripristino di una situazione familiare più serena, anche perché ormai la signora Lucia si era dovuta arrendere all’evidenza: suo marito non era morto.
«Mamma» diceva Vita «ora papà sta bene e vuole tornare a casa. Ma tu, non ti preoccupare, Enrico e io ti aiutiamo a rimettere a posto la camera da letto.»
«Che dici? Chi nnicchi nnacchi? Non se ne parla. Non mi ci corico con lui. Ho paura. Prima della malattia, sai che faceva? Mi bastonava.»
Vita si sfogava con la sorella: «’U sai, n’autra ‘nni nisciu a mamma. Dici ca ‘u papà ci dava coppa!»
«Ma quannu mai, ‘a mamma ci n’esceru i sentimenti!» S’affliggeva Nunziata.
«’A nuatri ‘nni fa nesciri!» si disperava Vita.
Fu Enrico a trovare una soluzione. A casa di Lucia c’era uno stanzino che fungeva da ripostiglio, per fortuna aveva anche una finestra. Si trattava di sbarazzare e mettere lì il letto per Giacomo. Dopo tutto, l’importante era fare il primo passo: far rientrare Giacomo a casa sua. Il resto sarebbe venuto pian piano, col tempo forse si poteva pensare a ripristinare il letto coniugale.
Così fu fatto, ma la signora Lucia da quando il marito aveva rimesso piede in casa era presa da attacchi d’ira - con voce stridula e schiuma alla bocca - seguivano il pianto e la depressione. Vita e Nunziata avevano immaginato che la madre non avrebbe accolto di buon grado il ritorno del marito a casa, ma non s’aspettavano una simile reazione, né credevano ai maltrattamenti che Lucia diceva di subire.
«Ti bastona e dove sono i segni? Facci vedere i lividi, mamma.»
Lucia, indispettita dall’incredulità della figlia, cambiava discorso sempre più arrabbiata: «‘Stu vecchiu piscia a tutti banni, in terra, in cucina e pare ca ‘u fa apposta, comu pulizzìu - mancu aju finutu - ca piscia n’autra vota! A casa sta fitennu di pisciazza e candeggina.»
«Pazienza, mamma, non è colpa sua se è incontinente; è l’età.»
«No, quale incontinente, mu fa ‘ppi dispetto! Sugnu vecchia, nnun c’a fazzu cchiù; sugnu ‘ccu u mocio ‘nte manu tutta ‘a jurnata!» e lacrime e singhiozzi. Il disprezzo di Lucia nei confronti di Giacomo aumentava di giorno in giorno. Ora non lo chiamava più “Il morto”, ma “stu vecchiu”, ovviamente di riprenderselo nel letto coniugale non se ne parlava.

Con l’arrivo del caldo Giacomo aveva raggiunto il limite della sopportazione, covando dentro una rabbia che sarebbe esplosa, se non fosse stato l’uomo mite che era. Aveva l’incazzatura fredda, nel senso che non era tipo da dare in escandescenze come sua moglie, ma più tranquillo sembrava, tanto più era adirato. Non voleva più dormire nello stanzino, la misura era colma, lo disse alle figlie.
«Vita, Nunziata, io vado a dormire in camera da letto. Se vostra madre non vuole dormire nella stessa stanza con me, ci va lei a dormire nello stanzino! Capito?»
«E chi glielo dice alla mamma?»
«Nuddu. Ci vaju e basta.»
Così quella sera la signora Lucia andò a dormire nello stanzino. Si chiuse a chiave e la mattina dopo non volle uscire.
«Lucia, a mugghieri, grapi a porta ‘ppi favuri. Nun fari accussì ca mi scantu. Almeno arrispunnimi!»
Dopo diversi tentativi, Giacomo, spiazzato dal silenzio della moglie, non sapendo più cosa pensare e temendo il peggio, fu costretto a chiamare le figlie. Vita chiamò Enrico per abbattere la porta.
La trovarono in lacrime, seduta sul letto. Quando le chiesero il perché di quel pianto, Lucia sbottò rossa in viso e con le vene del collo gonfie, gridando: «Stu vecchiu, voli ca ci cunortu l’alberu maestro! Ma po stari friscu, tanto mortu l’avi je ‘nnun ci si susi mancu ca a ggru!»
Fu a questo punto che il mite Giacomo, umiliato di fronte alle figlie e al genero, uscì fuori dai gangheri. Col volto sfigurato dall’ira e dal dispetto, cominciò a buttare per aria tutto quello che trovava davanti, mandando in frantumi ogni cosa gridando: «Basta, mi nni vaju ‘a casa pro fessa, nunn’a voju viriri cchiù a sta vecchia! Mmmm Matri, tinìtimi, tinìtimi i manu cca l’ammazzu!»
Vita ed Enrico allibiti, superato lo sconcerto per l’inusuale reazione di Giacomo, si sforzavano di separare i due anziani. Mentre Enrico cercava di fermare Giacomo, Vita tentava di trascinare via a forza Lucia che, con gli occhi fuori dalle orbite, urlava: «U viriti? Pazzu è, da ricovero, ci cririti ora?»

Commento a "Ricordi sparsi nel tempo" di Susanna

ImaGiraffe

ImaGiraffe
Cavaliere Jedi
Cavaliere Jedi

Mamma che racconto intenso. Brava. La storia è veramente triste e mi ha fatto riflettere molto. Il dolore lo si affronta in maniere sempre diverse e non è mai bello giudicare. Bello!

Però mi sento di farti un appunto. Il dialetto! Io in qualche punto ho fatto veramente fatica a capire cosa stavano dicendo. 

«Stu vecchiu, voli ca ci cunortu l’alberu maestro! Ma po stari friscu, tanto mortu l’avi je ‘nnun ci si susi mancu ca a ggru!»
Per esempio questa frase che dovrebbe essere importante l’ho dovuta leggere 2 volte per capirla. Rovinando il ritmo. 


In ogni caso complimenti.

Susanna

Susanna
Maestro Jedi
Maestro Jedi

Racconto duro, triste e purtroppo rispecchia tante realtà. Chissà come saremo noi da vecchi, e quali scherzi ci farà la nostra mente?
L'uso del dialetto è stato molto forte ma, senza nulla togliere al racconto, in alcune parti costringe a rileggere il testo per immaginarne la pronuncia e si perde il filo o la sensazione del momento.
Soprattutto per chi è di altra zona, l'effetto non è immediato.
Per il resto, brava.


______________________________________________________
"Quindi sappiatelo, e consideratemi pure presuntuoso, ma io non scrivo per voi. Scrivo per me e, al limite, per un'altra persona che può capire. Spero di conoscerla un giorno… G. Laquaniti"

SisypheMalheureux

SisypheMalheureux
Padawan
Padawan

Nonostante la tematica sia difficile e per nulla comica, il racconto mi ha fatto sorridere.
Secondo me l'uso del dialetto non è esagerato, almeno io che ho imparato un po' siciliano solo tramite i romanzi di Andrea Camilleri, quindi lo mastico proprio poco, non ho avuto grosse difficoltà di comprensione. L'unica frase un po' ostica è stata: "Stu vecchiu, voli ca ci cunortu l’alberu maestro!". Ne ho capito il senso solo grazie a quello che viene detto dopo. Secondo me il problema è il verbo "cunortu". Magari potresti  trovare un sinonimo un po' più simile all'italiano, di più facile comprensione non so... A parte questo il racconto mi è piaciuto molto.

gdiluna

gdiluna
Younglings
Younglings

Ho affrontato questo racconto con circospezione; forse perché sono nuovo preferisco leggere prima i commenti e visto che ho smesso di leggere Montalbano per l'uso del dialetto... Ma l'idea di un racconto triste che fa sorridere mi ha convinto. Ne sono uscito turbato un po' perché non ho capito se e quanto fossero vere le rimostranze della moglie, molto perché non sono riuscito a provare empatia nei confronti di queste due vecchi; non l'ho letta nei loro familiari, impegnati senza amore nella pratica obbligatoria, né, mi dispiace, l'ho sentita nell'autrice che mi sembrava osservare dall'alto come attraverso un microscopio questi poveri esseri in gabbia.

https://parolemiti.net/

Petunia

Petunia
Moderatore
Moderatore

Mirella! Io mi sono divertita un sacco a leggere. Ho sentito più la parte “commedia” che l’aspetto tragico della vicenda. Un tragicomico davvero riuscito. E l’inserimento della “lingua” è vincente in un testo di questo genere. La musicalità delle parole arriva a farne comprendere il significato anche quando non appare così facile. Ma io amo i “dialetti” e tu sei stata formidabile.
Mi è piaciuto davvero molto. U capisti?

A mirella garba questo messaggio

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