Marzo 2128
- Hai deciso, dunque.
- Ho deciso, padre, lo amo e quella adesso è la mia vita. Non può che essere questa la decisione giusta.
-Bene figliola. Citerò un vecchio poeta umano che ritengo saggio come un elfo: “Ben oltre le idee di giusto e sbagliato c'è un campo. Ti aspetterò laggiu”.
- E io ci arriverò, padre.
- Puoi lasciare un dono per Miranda, con la tua rinuncia all'immortalità. Cosa scegli, Vidoranda?
- Cento vite, padre.
- Molto bene, figlia mia. Sei sicura che Miranda possa sopportarle?
- Non lo so, ma così ho deciso, padre.
- Non approvo ma accolgo la tua decisione. Così sarà, e nessuno lo saprà mai. Ora sei mortale, fai attenzione, figlia. Ti prego.
- Ci proverò, padre. Ci proverò con tutte le mie forze.
Marzo 2160
Raymond Pettibon era sempre stato un tipo paziente. Dalla nascita. Si narrava che avesse aspettato con calma che sua madre decidesse quando allattarlo senza lamentarsi mai, tranquillo e senza ansie.
La sua pazienza lo aveva sempre portato un passo avanti nel lavoro.
Le Onoranze Funebri Pettibon & Myself, legalmente riconosciute dal 2110, erano in cima alle preferenze di tutti i newyorchesi, senza distinzione di specie. E le lodi per il “sempre impeccabile Pettibon” lo rendevano se non felice, quantomeno pienamente soddisfatto del proprio operato.
Ma quel giorno non ne poteva davvero più. La giornata si era presentata piena di difficoltà, di richieste assurde e di pretese ancora più assurde; e dire che negli ultimi duecento anni di cose strane se ne erano viste tante.
Aveva deciso di chiudere dieci minuti prima e di tornarsene a casa senza pensare più ai morti. La porta del suo ufficio si era spalancata prima che avesse il tempo di chiuderla a chiave.
- Buonasera, emerito Pettibon, ho bisogno di lei. È una questione di vita o di morte.
- Se è un questione di vita, non posso fare molto. In caso di morte, sono al suo servizio, dottor Flapper. Come posso aiutarla?
- Si tratta di mia figlia Miranda. È morta.
Di nuovo? Pensò Pettibon. Era già la terza volta, quell'anno.
I sanguemisto umani-elfi sviluppavano sempre strane mutazioni, misteriosi doni dal mondo elfico; in questo caso la figlia del dottor Flapper moriva e rinasceva ciclicamente. Per quante volte poteva accadere, nessuno lo sapeva.
Per le onoranze funebri della città, però, questa storia stava diventando un po' pesante.
All'inizio i funerali erano puro lavoro di routine, ma poi Miranda aveva cominciato a fare “testamento” e quindi ogni funerale aveva diversi livelli di difficoltà. Ormai nessuno voleva più avere a che fare con quella famiglia della morte perpetua. Se li rimbalzavano da un'agenzia all'altra con qualsiasi tipo di scusa.
Pettibon non lo faceva mai. Non diceva mai di no a un cliente.
Quando hai davanti un essere vivente che sta attraversando un lutto, anche se momentaneo (o forse no), non puoi pensare ai tuoi problemi. Se pensi ai tuoi problemi, hai sbagliato mestiere.
E Raymond non sbaglia, mai.
- Mi spiace moltissimo, dottor Flapper. Ci sono speranze per il ritorno?
- Non lo so, emerito. Non lo so. Vorrei poterne parlare con qualcuno, qualcuno che abbia avuto la stessa esperienza, ma al mondo non c'è nessuno che mi sappia dare una risposta. Oh, certo, io ho provato qualsiasi tipo di esperimento, ricerca, macumba, riti elfici, lettura delle stelle, incantesimi. Ho provato tutto sommato al tutto più qualcosina, ma non c'è risposta. Solo probabilità.
- E queste probabilità danno speranze?
- Siamo a un cinquanta e cinquanta. Devo comportarmi come se Miranda non dovesse tornare più. E ci ho fatto il callo, lei lo sa, emerito. Ormai quando muore neanche mi sussulta più il cuore. Eppure lo so, che potrebbe non tornare. Ma non riesco a struggermi. La speranza del ritorno cavalca sovrana dentro di me. Ma cavalca insieme all'ansia di non fare tutto come si deve. Se Miranda torna e si accorge che non ho seguito le sue volontà testamentarie, il prossimo funerale potrebbe essere il mio. Ma non si preoccupi, il mio sarebbe poco impegnativo.
I due scoppiarono in una risata che rese l'atmosfera rilassata.
Pettibon si sistemò più comodamente sulla sedia, mani giunte sul ventre prominente e viso teso all'ascolto.
- Di cosa si tratta questa volta, dottore?
- Miranda vuole essere tumulata nella sala da ballo, precisamente al centro della stanza, e in quel punto dovrà suonare un violino elfico una volta al mese.
- Ma in casa sua non c'è una sala da ballo, dottore.
- Non c'era, emerito. Ora c'è. Miranda non ha lasciato nulla al caso.
I due si guardarono a lungo, in silenzio.
Entrambi sapevano molto uno dell'altro ed entrambi erano due esseri viventi di intensa e vividissima discrezione. Si guardarono e basta. Pettibon annuì con solennità e il dottor Flapper, finalmente, rilassò le spalle.
- Quando vogliamo celebrare la funzione, dottore?
- Sabato pomeriggio, emerito.
- Manca poco ma possiamo farcela. Saranno due giorni molto intensi e avrò bisogno del suo aiuto. Ora lei se ne torna a casa e io comincio a prendere un po' di contatti. Domani mattina alle nove sarò a Villa Vidoranda per il sopralluogo. Tutto chiaro, dottore?
- Cristallino, emerito. Allora ci vediamo domattina.
Si salutarono con una stretta di mano bella vigorosa.
Poi la frenesia colse Pettibon, che si chiuse a chiave nell'ufficio a lavorare fino a notte inoltrata. Due giorni sono nulla, per un perfezionista. Non c'era tempo per riposare.
Pettibon si fece carico di tutta la gestione.
Il dottor Flapper si era fatto travolgere dalle emozioni che gli umani provano da sempre ma che non hanno ancora imparato a gestire. Erano sentimenti troppo complicati per Pettibon, i nani sono pragmatici e per lui comprendere gli umani era molto al di là della nanesca comprensione. Cercava di star loro vicino nei momenti della sofferenza, era sempre disponibile e su di lui si poteva contare per tutto il tempo necessario e anche di più, ma che potesse comprenderli era davvero impossibile.
Il sopralluogo gli aveva fatto scoprire tutte le modfiche che erano state apportate alla grande villa dopo la morte di Madame Flapper; erano passati vent'anni da quando l'aveva percorsa in lungo e in largo per organizzare il funerale di Vidoranda Flapper, elfa di nobile stirpe che aveva rinunciato all'immortalità (ed era stata portata “altrove” da un brutto male squisitamente mortale), e a quei tempi al piano terra c'era solo il grande studio del dottore, medico biologo infettivologo ricercatore e chiururgo estetico. Ma il dottore non praticava da moltissimo tempo e lo studio si era rimpicciolito, lasciando giusto lo spazio per un laboratorio di ricerca sui mezzosangue e una biblioteca piccola ma ben fornita.
La vera sorpresa era stata la sala da ballo, che Pettibon si era immaginato come una stanzetta con pavimenti lucidi e poco di più, dove “sala da ballo” era giusto un nome. Invece, con enormi vetrate che affacciavano sul giardino, aveva trovato una vera sala da ballo, di quelle di una volta, con lampadari a goccia che scendevano dal soffitto, stucchi finemente cesellati alle pareti, dorature sistemate ad arte, soffitti affrescati e pavimenti di lucido parquet elfico, pieno di vibranti venature che agitano le gambe in movimenti danzanti.
Una vera meraviglia, quasi un peccato seppellirci qualcuno.
Miranda Flapper aveva pensato a ogni cosa: al centro della stanza aveva fatto sistemare una botola, bastava aprirla e si accedeva a una piccola cripta, dove sistemare il corpo. Al possibile risveglio, Miranda, in pochi movimenti e senza chiedere aiuto, poteva risalire in superficie. Una perfezionista anche lei.
Il lavoro di Pettibon si rivelò quindi di una semplicità disarmante e il sabato tutto era pronto, come da ultime volontà della defunta.
Il dottore aveva perso tutta la sua concentrazione e si aggirava come un folle nel giardino in attesa che arrivassero i convenuti per l'ultimo (ma no che non sarà l'ultimo, pensava) saluto a Miranda.
Era agitato.
Non riusciva ancora a gestire tutta la pressione che lo schiacciava quando Mirando moriva e all'improvviso nessun sapeva dirgli se sarebbe tornata o no, se doveva piangere o no.
Quando Vidoranda era ancora con loro, le bastava sfiorare la fronte della bambina con la mano per voltarsi verso di lui con un sorriso e dire: tornerà. Lui neanche riusciva a ricordare con esattezza quante volte fosse morta la sua bambina, un numero tra cinquanta e sessanta, ma aveva perso il conto, non era stato abbastanza attento, non aveva prestato la giusta attenzione a tutte le cose che lo circondavano, aveva provato troppo a capire e alla fine non solo non aveva capito ma aveva perso totalmente il controllo della situazione.
Per fortuna Raymond Pettibon era come un grande scoglio al quale aggrapparsi. Gli invidiava la calma, la pazienza e il saper tenere tutto sotto controllo, senza farsi assorbire dagli eventi. Mentre si muoveva agitato e scomposto davanti alle grandi vetrate, si accorse che gli bastava guardare l'emerito Pettibon per calmarsi. Doveva solo continuare a guardarlo, non perderlo mai di vista. Più lo guardava e più sentiva, nel profondo del suo cuore, che tutto sarebbe andato bene. Che Miranda sarebbe tornata. Che finalmente ci sarebbe stato qualcuno a dirgli: funziona così e così, ecco qua.
La salma era avvolta in un drappo color avorio con piccoli ricami di un delicato blu pervinca.
La funzione durò un battito di ciglia, poche parole brevi pronunciate dal dottore, un canto corale per salutare Miranda, poi avevano calato il corpo nella cripta.
Mentre Pettibon stringeva il dottore in un lungo abbraccio, il suo pensiero era rivolto a quell'uomo ormai fragile nella sua mortalità breve, che combatteva contro un mondo molto più complicato di quello umano e che continuava a soffrire, a resistere. Gli sarebbe bastata un briciolo della sofferenza del dottore per morire di dolore. La forza degli umani è questo superpotere – pensò Pettibon – la quantità di sofferenza che possono sopportare e trasformare in bellezza e sorrisi li rende simili a divinità.
Sapeva di dover fare qualcosa per salvare questo umano. Era una delle poche volte che Raymond Pettibon, emerito impresario di pompe funebri e nano tutto d'un pezzo, sentiva un guizzo nel cuore. E sapeva di non poterlo trascurare. Era un perfezionista, lui.
Al momento di prendere commiato, convocò il dottore nel suo ufficio per la settimana successiva. Pettibon sapeva che Miranda a quel punto sarebbe già stata di ritorno. Doveva aiutarli.
Aprile 2160
Miranda aveva lo sguardo luminoso degi elfi e due orecchie meravigliosamente cesellate ma non a punta. Raymond Pettibon avvertiva in lei quell'alone magico e anche un po' fastidioso delle sue origini, ma come un profumo evaporato: c'era solo un lieve sentore, poco di più.
Somigliava in maniera impressionante a sua madre Vidoranda e, assurdamente, anche al dottor Flapper; come in un gioco di illusioni, se la guardavi da destra era sua madre, se la guardavi da sinistra era suo padre. Aveva una certa potenza che la circondava, nonostante il sangue mescolato con quello umano. Ma di quello avrebbero parlato in un altro momento. Ora c'erano cose più urgenti che dovevano sapere.
- Dottore, Miranda. C'è qualcosa di cui vorrei parlarvi, una tradizione elfica che condiziona le vostre vite ma che non conoscete. E oggi ho deciso di svelarvi una piccola parte di una storia che vi riguarda. Non chiedetevi perché io la conosca e voi no, io sono un nano da tempo immemore, da prima che tra i due mondi cadesse la barriera e si tornasse a vivere come alle origini, e conosco tutto del prima del durante e del dopo. Vi basti sapere che sono un sostenitore di questo Mondo e che ho combattuto per lui. Il tempo ci permetterà di parlare del resto, ma ora parliamo di voi. Quando un elfo rinuncia al'immortalità, può lasciare alla sua progenie dei doni. Sono doni di ricchezza, di abilità particolari o doni di protezione. Miranda ha ricevuto in dono “cento vite”, una protezione che permette di ritornare in vita per cento volte. Un dono d'amore. Un fardello d'amore, ecco. Ma ora voi sapete. Ora voi conoscete la verità e potete cominciare a vivere davvero.
Miranda stava piangendo; curioso come i suoi occhi sembrassero stelle ora che erano pieni di lacrime.
Il dottore si era alzato di slancio e aveva abbracciato Pettibon.
- Ora ricordo, emerito, ora ricordo... – gli aveva sussurato nell'orecchio. - è morta cinquantasei volte.
Il sempre impeccabile Pettibon si accorse che non solo era pienamente soddisfatto del suo operato. Quel nodo caldo che gli stringeva il cuore era una sensazione nuova per lui, ma comprese subito di cosa si trattava: felicità.