Fino da piccolo ho sempre pensato che un Natale senza neve non fosse un vero Natale. Finalmente è arrivata. Me ne sono accorto subito, anche se sono ancora a letto e con le imposte chiuse. L’ho riconosciuta dal silenzio. Non è tutto uguale. Quello della neve ha un suono particolare e più che ne viene, maggiore è il silenzio. Soltanto dopo tanta neve caduta nella notte il silenzio del mattino è veramente mancanza di rumori e di suoni.
Mi alzo al buio, apro molto lentamente uno scuro e rimango accecato dal candido riflesso del sole che illumina la neve appena caduta. Natale con la neve! Cosa desiderare di più?
Però fa freddo. Meglio tornare un po’ a letto.
Non me la sento proprio di lasciare il letto caldo. Ci ho messo un bel po’ a scaldarlo ieri sera. La mamma aveva messo per un po’ il trabiccolo con lo scaldino, ma le lenzuola erano ancora abbastanza fredde quando sono andato a dormire. La mamma dice che è meglio che non sia troppo caldo, altrimenti vengono i geloni ai piedi. Ora invece la temperatura è perfetta.
Questo Natale voglio godermelo fino in fondo. L’anno scorso ci avevano dato un sacco di compiti da fare perché dovevamo superare l’esame di quinta e quello di ammissione, ma anche quest’anno non hanno scherzato. In più abbiamo materie nuove: il francese e il latino. Il latino! Nemmeno dovessi fare il prete!
Non mi sono mai annoiato il giorno di Natale, soprattutto durante il pranzo. Per me non c’è niente di più divertente dei pranzi di Natale in famiglia e non certo per i regali che da noi arrivano solo per la Befana, quanto per il pranzo di per sé, che ogni anno porta sempre qualche sorpresa che nemmeno le menti più fantasiose potrebbero immaginare.
Ho letto sull’Enciclopedia Motta, che mi hanno regalato per il mio ultimo compleanno, che gli animali confinati in piccoli spazi, a stretto contatto l’uno con l’altro, diventano nervosi e aggressivi. Deve essere per questo che i parenti invitati ai nostri pranzi di Natale, tutti gli anni riescono ad accapigliarsi per qualche motivo. All’inizio va sempre tutto bene e si scambiano baci, abbracci e sorrisi; poi c’è l’arrivo del cibo, che in casa mia è sempre buono e abbondante, ma dopo pranzo tutto cambia. Credo che sia colpa anche del vino e delle altre bevande alcooliche.
Sì, perché durante l’anno, la maggior parte di loro non si scambia mai nemmeno un saluto. Eppure, non sarebbe difficile. Prima ci si doveva scrivere una lettera o una cartolina postale, ma ora molti hanno il telefono. Noi l’abbiamo messo lo scorso anno, in “duplex” con le signore del piano terra ed è proprio una bella comodità. L’unico inconveniente è che con il duplex si può usare solo uno alla volta. Quelle del piano terra sono grandi chiacchierone e il telefono è spesso occupato.
Quindi, per un anno nessun contatto e poi improvvisamente si ritrovano faccia a faccia. Dopo pranzo, a pancia piena e un po’ storditi dal vino, nessuno ha più voglia di fingere e basta una piccolezza che tornano fuori vecchie storie mai dimenticate.
Mi ricordo il Natale del ‘56, tre anni fa. Facevo la terza. C’era mezzo metro di neve, ma era caduta nei giorni precedenti. Stavolta no, è stata precisa: è venuta proprio nella notte di Natale. Tutto avvenne durante la tombola.
Il cognato della mamma, lo zio Emilio e Adele, sua sorella, dichiararono insieme una cinquina e avrebbero dovuto dividersi la posta. Il nonno, addetto fisso al cartellone per diritto di anzianità, come dice lui, controllò i numeri usciti. Risultò che uno dei numeri dichiarati da Emilio non era ancora uscito e così fu proclamata Adele come unica vincitrice. .
Una vecchia ruggine divideva i due fratelli da quando, a detta di Adele, Emilio si era impossessato ingiustamente di libretti di risparmio al portatore di una certa zia Natalina defunta, che avrebbero dovuto appartenere ai due in parti uguali, come parenti più prossimi. Così Adele, anziché limitarsi a incassare con soddisfazione e in silenzio l’intero premio, non riuscì a trattenersi dal commentare quello che lei riteneva un tentativo del fratello di appropriarsi di quella cinquina: “Il lupo perde il pelo …” disse.
A quelle parole lo zio Emilio, già irritato per le trecento lire di quella mezza cinquina persa, si scagliò come un ossesso dall’altra parte del tavolo in cui si trovava Adele, trattenuto a stento dal babbo e dal nonno. Per tutta risposta, Adele agguantò un fiasco impagliato che si trovava ormai vuoto sulla tavola e, con tutta la rabbia accumulata in anni di rancore, colpì senza pietà la testa del povero zio Emilio. La paglia attutì un po’ il colpo ma qualche scheggia di vetro si piantò nel cranio. Le urla della zia Rosina, sorella maggiore della mamma e moglie di Emilio, si placarono solo quando lei vide la testa e il volto del marito coperti di sangue. A quel punto, colta da malore, cadde a terra trascinando con sé il vassoio con gli avanzi del cappone in umido con i gobbi, il pezzo forte del nostro pranzo di Natale.
Sono già le nove. Dovrei farmi coraggio e scendere dal letto. Farò una corsa per il corridoio, verso la cucina che è l’unico posto caldo della casa. È lì che c’è la stufa a legna che serve anche per cucinare. La chiamano cucina economica, ma non so perché. Il babbo ha detto che l’anno prossimo farà mettere nel corridoio una stufa a kerosene che dovrebbe riscaldare un po’ anche le camere.
La mamma e la nonna sono confinate in cucina da un paio di giorni. Il menu è impressionante. Posso descriverlo con grande precisione perché è sempre lo stesso, almeno da quando sono al mondo.
Si parte dai crostini di milza che la nonna prepara raschiando con un coltello la milza di vitello per estrarne il contenuto. Ai crostini si accompagnano salumi portati da Siena dalla zia Vittoria, la sorella del nonno; primo fra tutti il buristo che dalle nostre parti non si trova: è un salume fatto con sangue e grasso di maiale. Poi si prepara il brodo di carne di manzo e pollo o cappone che sarà servito con pasta fine che si chiama sopraccapellini, che sono matassine di pasta all’uovo, un po’ più grossa dei capellini. Il brodo è guarnito con le “cicche”, così le chiama il nonno, che non sono altro che le frattaglie del pollo a pezzettini.
A seguire, si serve il lesso che viene accompagnato da sottaceti e sottoli e dall’acciugata: acciughe e capperi tritati, leggermente scaldati in olio.
Poi ci sono gli altri numerosi secondi. Prima un cotechino rinvoltato in una braciola e cotto al tegame con la stessa ricetta del sugo di carne. Poi viene preparato il piatto più saporito: l’arrosto di uccellini. Sono tordi o allodole presi dal pollaiolo sotto casa. È il periodo peggiore per la Maria, la moglie del negoziante. Deve spennare centinaia di uccellini pur essendo allergica alle penne dei volatili, ma esegue ugualmente il suo compito con un’espressione schifata sul volto che sembra annunciare un attacco di vomito. Proprio come me con il latino.
Vengono preparati gli spiedini che prevedono, nell’ordine, un uccellino, una salsiccia, un pezzetto di lombo di maiale, un crostino di pane. La sequenza si ripete fino a che c’è spazio, intervallando ogni pezzo con una foglia di salvia. Il crostino è il pezzo che preferisco. Racchiude tutti i sapori perché i crostini vengono più volte bagnati in cottura con il liquido che si forma in fondo alla teglia.
Immancabile poi il cappone rifatto con i gobbi, altra specialità senese. I gobbi (o cardi) vengono prima lessati e poi fritti e quindi messi nel tegame insieme al cappone a pezzi e il tutto cotto in umido.
Viene preparato anche un pezzo di roast-beef, perché… non si sa mai… è meglio che la roba avanzi. E certamente avanzerà perché di solito si mangiano avanzi fino all’ultimo dell’anno.
Quanto al fine pasto, ci sarà una gamma infinita di frutta secca: noci, noccioline, nocciole, fichi secchi, datteri e poi le varie dolci specialità senesi portate sempre dalla zia Vittoria: panforte, ricciarelli, cavallucci, copate, ecc.ecc.
Peccato che la zia Vittoria la vediamo solo per Natale, perché è molto simpatica. Arriva sempre con un sacco di cose e anche qualche regalino per noi ragazzi. La zia Vittoria è una bella donna ma ha un vocione da uomo. In famiglia dicono che è l’unica femmina di sette fratelli e che forse qualcosa è andato storto: problemi ormonali, dicevano.
Tutti gli anni il nonno discute con lei a causa del Crociani. Sì, perché il fatto di avere quella vociaccia da uomo non le ha impedito di innamorarsi. E il bello è che probabilmente, stando a quello che dice il nonno, il Crociani non l’ha mai saputo. Come del resto noi non abbiamo mai saputo il nome di battesimo di quest’uomo. La zia lo chiama sempre “il Crociani”.
A quello che ho capito nel paese vicino a Siena dove abitavano il nonno e la zia c’era una fiera una volta l’anno e tutto accadeva in quell’occasione e se non accadeva si doveva aspettare un altro anno, per la nuova fiera.
Fra le attrattive della manifestazione c’era una festa da ballo all’aperto. Era in quella occasione, che i giovani si fidanzavano.
Secondo la versione della zia, il Crociani, durante un ballo, si era fatto avanti. La zia racconta sempre con queste precise parole: “dopo il ballo lui mi chiappò e mi baciò!”. A questa frase il nonno comincia subito a scaldarsi. “Ma che date retta a lei? Ma figurati! L’ha sognato!”. Questi fatti si erano ripetuti, secondo lei, tutti gli anni, e con il tempo la zia si era convinta che sarebbe diventata prima o poi la signora Crociani. Figuriamoci la sorpresa quando venne a sapere che il Crociani si sarebbe sposato, di lì a poco, con un’altra ragazza del paese!
La zia Vittoria racconta tutte le volte di essersi recata ad assistere all’uscita dei due sposini dalla chiesa in cui si era svolta la cerimonia. Era riuscita a trattenersi dal dirgliene di tutti i colori ma lei dice sempre di averlo “maledetto in cuor suo fino alla settima generazione”, proprio così dice.
La delusione era stata così forte che la zia aveva poi deciso di restare zitella. Io non so se abbia ragione lei o il nonno, ma di sicuro, nel tempo, si era convinta che quelle promesse e quei baci c’erano stati, eccome!
Quanto alla maledizione, non si è mai saputo niente delle generazioni future, ma si sa per certo che il Crociani morì molto presto.
Mi alzo al buio, apro molto lentamente uno scuro e rimango accecato dal candido riflesso del sole che illumina la neve appena caduta. Natale con la neve! Cosa desiderare di più?
Però fa freddo. Meglio tornare un po’ a letto.
Non me la sento proprio di lasciare il letto caldo. Ci ho messo un bel po’ a scaldarlo ieri sera. La mamma aveva messo per un po’ il trabiccolo con lo scaldino, ma le lenzuola erano ancora abbastanza fredde quando sono andato a dormire. La mamma dice che è meglio che non sia troppo caldo, altrimenti vengono i geloni ai piedi. Ora invece la temperatura è perfetta.
Questo Natale voglio godermelo fino in fondo. L’anno scorso ci avevano dato un sacco di compiti da fare perché dovevamo superare l’esame di quinta e quello di ammissione, ma anche quest’anno non hanno scherzato. In più abbiamo materie nuove: il francese e il latino. Il latino! Nemmeno dovessi fare il prete!
Non mi sono mai annoiato il giorno di Natale, soprattutto durante il pranzo. Per me non c’è niente di più divertente dei pranzi di Natale in famiglia e non certo per i regali che da noi arrivano solo per la Befana, quanto per il pranzo di per sé, che ogni anno porta sempre qualche sorpresa che nemmeno le menti più fantasiose potrebbero immaginare.
Ho letto sull’Enciclopedia Motta, che mi hanno regalato per il mio ultimo compleanno, che gli animali confinati in piccoli spazi, a stretto contatto l’uno con l’altro, diventano nervosi e aggressivi. Deve essere per questo che i parenti invitati ai nostri pranzi di Natale, tutti gli anni riescono ad accapigliarsi per qualche motivo. All’inizio va sempre tutto bene e si scambiano baci, abbracci e sorrisi; poi c’è l’arrivo del cibo, che in casa mia è sempre buono e abbondante, ma dopo pranzo tutto cambia. Credo che sia colpa anche del vino e delle altre bevande alcooliche.
Sì, perché durante l’anno, la maggior parte di loro non si scambia mai nemmeno un saluto. Eppure, non sarebbe difficile. Prima ci si doveva scrivere una lettera o una cartolina postale, ma ora molti hanno il telefono. Noi l’abbiamo messo lo scorso anno, in “duplex” con le signore del piano terra ed è proprio una bella comodità. L’unico inconveniente è che con il duplex si può usare solo uno alla volta. Quelle del piano terra sono grandi chiacchierone e il telefono è spesso occupato.
Quindi, per un anno nessun contatto e poi improvvisamente si ritrovano faccia a faccia. Dopo pranzo, a pancia piena e un po’ storditi dal vino, nessuno ha più voglia di fingere e basta una piccolezza che tornano fuori vecchie storie mai dimenticate.
Mi ricordo il Natale del ‘56, tre anni fa. Facevo la terza. C’era mezzo metro di neve, ma era caduta nei giorni precedenti. Stavolta no, è stata precisa: è venuta proprio nella notte di Natale. Tutto avvenne durante la tombola.
Il cognato della mamma, lo zio Emilio e Adele, sua sorella, dichiararono insieme una cinquina e avrebbero dovuto dividersi la posta. Il nonno, addetto fisso al cartellone per diritto di anzianità, come dice lui, controllò i numeri usciti. Risultò che uno dei numeri dichiarati da Emilio non era ancora uscito e così fu proclamata Adele come unica vincitrice. .
Una vecchia ruggine divideva i due fratelli da quando, a detta di Adele, Emilio si era impossessato ingiustamente di libretti di risparmio al portatore di una certa zia Natalina defunta, che avrebbero dovuto appartenere ai due in parti uguali, come parenti più prossimi. Così Adele, anziché limitarsi a incassare con soddisfazione e in silenzio l’intero premio, non riuscì a trattenersi dal commentare quello che lei riteneva un tentativo del fratello di appropriarsi di quella cinquina: “Il lupo perde il pelo …” disse.
A quelle parole lo zio Emilio, già irritato per le trecento lire di quella mezza cinquina persa, si scagliò come un ossesso dall’altra parte del tavolo in cui si trovava Adele, trattenuto a stento dal babbo e dal nonno. Per tutta risposta, Adele agguantò un fiasco impagliato che si trovava ormai vuoto sulla tavola e, con tutta la rabbia accumulata in anni di rancore, colpì senza pietà la testa del povero zio Emilio. La paglia attutì un po’ il colpo ma qualche scheggia di vetro si piantò nel cranio. Le urla della zia Rosina, sorella maggiore della mamma e moglie di Emilio, si placarono solo quando lei vide la testa e il volto del marito coperti di sangue. A quel punto, colta da malore, cadde a terra trascinando con sé il vassoio con gli avanzi del cappone in umido con i gobbi, il pezzo forte del nostro pranzo di Natale.
Sono già le nove. Dovrei farmi coraggio e scendere dal letto. Farò una corsa per il corridoio, verso la cucina che è l’unico posto caldo della casa. È lì che c’è la stufa a legna che serve anche per cucinare. La chiamano cucina economica, ma non so perché. Il babbo ha detto che l’anno prossimo farà mettere nel corridoio una stufa a kerosene che dovrebbe riscaldare un po’ anche le camere.
La mamma e la nonna sono confinate in cucina da un paio di giorni. Il menu è impressionante. Posso descriverlo con grande precisione perché è sempre lo stesso, almeno da quando sono al mondo.
Si parte dai crostini di milza che la nonna prepara raschiando con un coltello la milza di vitello per estrarne il contenuto. Ai crostini si accompagnano salumi portati da Siena dalla zia Vittoria, la sorella del nonno; primo fra tutti il buristo che dalle nostre parti non si trova: è un salume fatto con sangue e grasso di maiale. Poi si prepara il brodo di carne di manzo e pollo o cappone che sarà servito con pasta fine che si chiama sopraccapellini, che sono matassine di pasta all’uovo, un po’ più grossa dei capellini. Il brodo è guarnito con le “cicche”, così le chiama il nonno, che non sono altro che le frattaglie del pollo a pezzettini.
A seguire, si serve il lesso che viene accompagnato da sottaceti e sottoli e dall’acciugata: acciughe e capperi tritati, leggermente scaldati in olio.
Poi ci sono gli altri numerosi secondi. Prima un cotechino rinvoltato in una braciola e cotto al tegame con la stessa ricetta del sugo di carne. Poi viene preparato il piatto più saporito: l’arrosto di uccellini. Sono tordi o allodole presi dal pollaiolo sotto casa. È il periodo peggiore per la Maria, la moglie del negoziante. Deve spennare centinaia di uccellini pur essendo allergica alle penne dei volatili, ma esegue ugualmente il suo compito con un’espressione schifata sul volto che sembra annunciare un attacco di vomito. Proprio come me con il latino.
Vengono preparati gli spiedini che prevedono, nell’ordine, un uccellino, una salsiccia, un pezzetto di lombo di maiale, un crostino di pane. La sequenza si ripete fino a che c’è spazio, intervallando ogni pezzo con una foglia di salvia. Il crostino è il pezzo che preferisco. Racchiude tutti i sapori perché i crostini vengono più volte bagnati in cottura con il liquido che si forma in fondo alla teglia.
Immancabile poi il cappone rifatto con i gobbi, altra specialità senese. I gobbi (o cardi) vengono prima lessati e poi fritti e quindi messi nel tegame insieme al cappone a pezzi e il tutto cotto in umido.
Viene preparato anche un pezzo di roast-beef, perché… non si sa mai… è meglio che la roba avanzi. E certamente avanzerà perché di solito si mangiano avanzi fino all’ultimo dell’anno.
Quanto al fine pasto, ci sarà una gamma infinita di frutta secca: noci, noccioline, nocciole, fichi secchi, datteri e poi le varie dolci specialità senesi portate sempre dalla zia Vittoria: panforte, ricciarelli, cavallucci, copate, ecc.ecc.
Peccato che la zia Vittoria la vediamo solo per Natale, perché è molto simpatica. Arriva sempre con un sacco di cose e anche qualche regalino per noi ragazzi. La zia Vittoria è una bella donna ma ha un vocione da uomo. In famiglia dicono che è l’unica femmina di sette fratelli e che forse qualcosa è andato storto: problemi ormonali, dicevano.
Tutti gli anni il nonno discute con lei a causa del Crociani. Sì, perché il fatto di avere quella vociaccia da uomo non le ha impedito di innamorarsi. E il bello è che probabilmente, stando a quello che dice il nonno, il Crociani non l’ha mai saputo. Come del resto noi non abbiamo mai saputo il nome di battesimo di quest’uomo. La zia lo chiama sempre “il Crociani”.
A quello che ho capito nel paese vicino a Siena dove abitavano il nonno e la zia c’era una fiera una volta l’anno e tutto accadeva in quell’occasione e se non accadeva si doveva aspettare un altro anno, per la nuova fiera.
Fra le attrattive della manifestazione c’era una festa da ballo all’aperto. Era in quella occasione, che i giovani si fidanzavano.
Secondo la versione della zia, il Crociani, durante un ballo, si era fatto avanti. La zia racconta sempre con queste precise parole: “dopo il ballo lui mi chiappò e mi baciò!”. A questa frase il nonno comincia subito a scaldarsi. “Ma che date retta a lei? Ma figurati! L’ha sognato!”. Questi fatti si erano ripetuti, secondo lei, tutti gli anni, e con il tempo la zia si era convinta che sarebbe diventata prima o poi la signora Crociani. Figuriamoci la sorpresa quando venne a sapere che il Crociani si sarebbe sposato, di lì a poco, con un’altra ragazza del paese!
La zia Vittoria racconta tutte le volte di essersi recata ad assistere all’uscita dei due sposini dalla chiesa in cui si era svolta la cerimonia. Era riuscita a trattenersi dal dirgliene di tutti i colori ma lei dice sempre di averlo “maledetto in cuor suo fino alla settima generazione”, proprio così dice.
La delusione era stata così forte che la zia aveva poi deciso di restare zitella. Io non so se abbia ragione lei o il nonno, ma di sicuro, nel tempo, si era convinta che quelle promesse e quei baci c’erano stati, eccome!
Quanto alla maledizione, non si è mai saputo niente delle generazioni future, ma si sa per certo che il Crociani morì molto presto.
Dalla cucina mi arrivano le voci concitate della nonna e della mamma che discutono come sempre sul modo migliore di preparare uno dei piatti. Mi rannicchio ancora di più sotto le coperte calde.
Due anni fa, invece, tutto sembrava scorrere liscio. Avevamo già mangiato l’antipasto e aspettavamo che ci venisse servita la pasta a brodo. Nell’attesa, mio cugino Paolino, più grande di me di un paio d’anni, mi disse: “Vieni, si va a guardare le cosce delle donne”. E così dicendo si immerse al di sotto della tovaglia che copriva il grande tavolo del salotto. Era proprio una fissazione la sua. Che ci trovasse di interessante proprio non lo so, ma lo seguii con la curiosità di chi affronta un viaggio fantastico e misterioso.
Avevo letto da poco “Sussi e Biribissi” e del loro viaggio al centro della terra e in fondo io e Paolino assomigliavamo molto ai due protagonisti: io grassottello, lui secco come un chiodo. Così ci immergemmo in quel mondo misterioso, come in partenza per un viaggio avventuroso.
Procedevamo muovendoci lentamente, cercando di evitare le gambe che mano a mano ci si paravano davanti. Il tavolo era abbastanza largo e ci lasciava spazio sufficiente per muoverci. Una delle prime cose che mi colpì furono le cosce enormi di Adele, fasciate come mortadelle da calze grigie, tenute su da robusti elastici. Paolino mi distolse con una gomitata al fianco che mi fece vedere le stelle e mi indicò le gambe di Agnese, la giovane nuora di Adele, con calze color carne, sostenute da un reggicalze nero. Paolino pareva molto soddisfatto ma anch’io pensai che fossero senz’altro meglio di quelle di Adele.
Agnese è di origine abruzzese e aveva già avuto al paese un fidanzato che dicono in casa… aspetta… come dicono? Ah, sì… “aveva fatto il suo comodo e poi l’aveva piantata”. Questa poi non l’ho mai capita. Comunque al suo paese non l’avevano presa bene. Così si era sposata in tutta fretta… dicevano proprio così… con mio cugino Angiolino, che ha un solo pregio: è pieno di soldi. Per il resto è brutto, grasso come un maiale e con un cervello rimasto all’età dell’asilo. Sua mamma aveva tirato un sospiro di sollievo quando lui finalmente si era “sistemato”.
Sullo stesso lato del tavolo c’era la cugina Annalisa, la sorella maggiore di Paolino, con il fidanzato Maurizio, un bell’uomo, esattamente l’opposto di Angiolino.
Nel nostro viaggio sotterraneo, distratto dalle gambe di Agnese, notai una mano indaffarata, appoggiata sulla coscia della ragazza. La mano non era quella bianchiccia e grassa di Angiolino e, visto che da quel lato del tavolo, l’unico uomo seduto vicino ad Agnese era proprio Maurizio, non ebbi dubbi. Accanto a lui un posto vuoto. Mentre pensavo a quella strana situazione, accadde l’imprevedibile: urla e rumori assordanti che ci costrinsero ad abbandonare in fretta la nostra esplorazione. Soltanto dopo che fummo riemersi, riuscii a capire fino in fondo quello che era successo.
Annalisa, dopo gli antipasti a base di crostini di milza, si era alzata per dare una mano in cucina. Le scodelle, con la pastina in brodo, erano già pronte e Annalisa aveva preso con tutte e due le mani la prima scodella per iniziare il servizio a tavola. Qualcuno, dall’interno, aveva aperto la porta di cucina che era proprio alle spalle delle due giovani coppie. La ragazza procedeva lentamente e con passi felpati per evitare che il brodo traboccasse dall’orlo del piatto. Fu allora che Annalisa, in un momento in cui aveva staccato lo sguardo e l’attenzione dal brodo, alla ricerca del primo ospite da servire, notò quella mano: era in parte nascosta dalla tovaglia natalizia rossa con bordature d’oro, e stava dove evidentemente non doveva stare.
Non si sa e non si saprà mai se il suo fu un gesto volontario o casuale, dovuto alla sorpresa del momento, ma accadde che il brodo, appena tolto dal fornello e quindi ancora a bollore, scivolò dalla scodella direttamente lungo il collo di Maurizio che in un attimo ritirò la mano, lanciò un grido feroce e si alzò di scatto in piedi urtando con la testa il grosso lampadario a gocce in finto cristallo di Boemia che cominciò a oscillare paurosamente.
Credo che sia per l’accaduto che Annalisa e Maurizio non passeranno questo Natale con noi.
Non vedo l’ora di arrivare alla Befana. Solo allora mi arriveranno i regali. Questa non l’ho mai capita. I regali li porta la Befana o almeno questo è quello che mi vogliono far credere. Ma non importa, l’importante è che i regali da qualcuno arrivino. Mi piacerebbe che mi arrivasse il “Meccano” con cui riuscirei a costruire un sacco di cose e la pistola a tamburo Susanna che è bellissima: ha il calcio in legno e sembra quasi vera. So che alcuni bambini ricevono i regali per Natale, così ci possono giocare durante tutte le vacanze. A me invece arrivano per la Befana, praticamente quando è il momento di rientrare a scuola. Non lo trovo giusto.
Due anni fa, invece, tutto sembrava scorrere liscio. Avevamo già mangiato l’antipasto e aspettavamo che ci venisse servita la pasta a brodo. Nell’attesa, mio cugino Paolino, più grande di me di un paio d’anni, mi disse: “Vieni, si va a guardare le cosce delle donne”. E così dicendo si immerse al di sotto della tovaglia che copriva il grande tavolo del salotto. Era proprio una fissazione la sua. Che ci trovasse di interessante proprio non lo so, ma lo seguii con la curiosità di chi affronta un viaggio fantastico e misterioso.
Avevo letto da poco “Sussi e Biribissi” e del loro viaggio al centro della terra e in fondo io e Paolino assomigliavamo molto ai due protagonisti: io grassottello, lui secco come un chiodo. Così ci immergemmo in quel mondo misterioso, come in partenza per un viaggio avventuroso.
Procedevamo muovendoci lentamente, cercando di evitare le gambe che mano a mano ci si paravano davanti. Il tavolo era abbastanza largo e ci lasciava spazio sufficiente per muoverci. Una delle prime cose che mi colpì furono le cosce enormi di Adele, fasciate come mortadelle da calze grigie, tenute su da robusti elastici. Paolino mi distolse con una gomitata al fianco che mi fece vedere le stelle e mi indicò le gambe di Agnese, la giovane nuora di Adele, con calze color carne, sostenute da un reggicalze nero. Paolino pareva molto soddisfatto ma anch’io pensai che fossero senz’altro meglio di quelle di Adele.
Agnese è di origine abruzzese e aveva già avuto al paese un fidanzato che dicono in casa… aspetta… come dicono? Ah, sì… “aveva fatto il suo comodo e poi l’aveva piantata”. Questa poi non l’ho mai capita. Comunque al suo paese non l’avevano presa bene. Così si era sposata in tutta fretta… dicevano proprio così… con mio cugino Angiolino, che ha un solo pregio: è pieno di soldi. Per il resto è brutto, grasso come un maiale e con un cervello rimasto all’età dell’asilo. Sua mamma aveva tirato un sospiro di sollievo quando lui finalmente si era “sistemato”.
Sullo stesso lato del tavolo c’era la cugina Annalisa, la sorella maggiore di Paolino, con il fidanzato Maurizio, un bell’uomo, esattamente l’opposto di Angiolino.
Nel nostro viaggio sotterraneo, distratto dalle gambe di Agnese, notai una mano indaffarata, appoggiata sulla coscia della ragazza. La mano non era quella bianchiccia e grassa di Angiolino e, visto che da quel lato del tavolo, l’unico uomo seduto vicino ad Agnese era proprio Maurizio, non ebbi dubbi. Accanto a lui un posto vuoto. Mentre pensavo a quella strana situazione, accadde l’imprevedibile: urla e rumori assordanti che ci costrinsero ad abbandonare in fretta la nostra esplorazione. Soltanto dopo che fummo riemersi, riuscii a capire fino in fondo quello che era successo.
Annalisa, dopo gli antipasti a base di crostini di milza, si era alzata per dare una mano in cucina. Le scodelle, con la pastina in brodo, erano già pronte e Annalisa aveva preso con tutte e due le mani la prima scodella per iniziare il servizio a tavola. Qualcuno, dall’interno, aveva aperto la porta di cucina che era proprio alle spalle delle due giovani coppie. La ragazza procedeva lentamente e con passi felpati per evitare che il brodo traboccasse dall’orlo del piatto. Fu allora che Annalisa, in un momento in cui aveva staccato lo sguardo e l’attenzione dal brodo, alla ricerca del primo ospite da servire, notò quella mano: era in parte nascosta dalla tovaglia natalizia rossa con bordature d’oro, e stava dove evidentemente non doveva stare.
Non si sa e non si saprà mai se il suo fu un gesto volontario o casuale, dovuto alla sorpresa del momento, ma accadde che il brodo, appena tolto dal fornello e quindi ancora a bollore, scivolò dalla scodella direttamente lungo il collo di Maurizio che in un attimo ritirò la mano, lanciò un grido feroce e si alzò di scatto in piedi urtando con la testa il grosso lampadario a gocce in finto cristallo di Boemia che cominciò a oscillare paurosamente.
Credo che sia per l’accaduto che Annalisa e Maurizio non passeranno questo Natale con noi.
Non vedo l’ora di arrivare alla Befana. Solo allora mi arriveranno i regali. Questa non l’ho mai capita. I regali li porta la Befana o almeno questo è quello che mi vogliono far credere. Ma non importa, l’importante è che i regali da qualcuno arrivino. Mi piacerebbe che mi arrivasse il “Meccano” con cui riuscirei a costruire un sacco di cose e la pistola a tamburo Susanna che è bellissima: ha il calcio in legno e sembra quasi vera. So che alcuni bambini ricevono i regali per Natale, così ci possono giocare durante tutte le vacanze. A me invece arrivano per la Befana, praticamente quando è il momento di rientrare a scuola. Non lo trovo giusto.
L’anno scorso non c’erano i due fidanzati Annalisa e Maurizio per l’incidente dell’anno prima e i posti, per evitare nuove scenate, erano stati assegnati in modo da tenere a debita distanza lo zio Emilio e la sorella Adele. Era invece presente Amerigo, il figlio scapolo di un fratello della nonna, morto qualche anno prima, che praticamente si era autoinvitato per Natale.
Non c’è mai stato un bel rapporto fra Amerigo e il nonno e le ragioni erano soprattutto politiche. Per questo erano anni che non si frequentavano. Il nonno, pur non avendo tessere di partito, è sempre stato un simpatizzante dei comunisti, mentre Amerigo era stato, e chissà, forse lo era ancora, un convinto fascista. Ogni dubbio sparì quando si presentò vestito elegantemente con una camicia nera e una spilla al risvolto della giacca che rappresentava una fiamma tricolore e la scritta M.S.I.
Il nonno che anni prima aveva preso alla Casa del Fascio un sonoro schiaffone che ancora gli bruciava, stava per esplodere.
La nonna lo prese sotto braccio e lo portò in cucina. Non so che cosa gli disse ma il nonno tornò più calmo, anche se piuttosto accigliato.
Tutto si svolse tranquillamente durante il pranzo, ma l’aria era già abbastanza pesante. Lo capii dal fatto che le lucine dell’albero di Natale a un certo momento si accesero, senza che nessuno ci avesse messo mano.
All’angolo del salotto c’era, come adesso, la televisione, un Telefunken che era stato acquistato a rate poche settimane prima. Era costato centosettantamila lire. Dal momento dell’acquisto l’apparecchio veniva spento solo la notte. Il telegiornale parlava di una manifestazione degli operai durante la quale la Polizia era intervenuta con il manganello.
Amerigo alla vista di quelle immagini disse, a mezza voce: “Accidenti a quelle che sono andate di fori!” Il nonno non ci vide più e si mise a urlare: “Dopo il 25 aprile ancora parlate, brutti bastardi!”
Amerigo a quel punto si alzò, raccolse le sue cose e se n’è andò sbattendo la porta. Da allora non ce n’è più traccia; non credo che lo rivedremo. Da quel momento l’atmosfera si calmò e il Natale si concluse nel migliore dei modi.
Non c’è mai stato un bel rapporto fra Amerigo e il nonno e le ragioni erano soprattutto politiche. Per questo erano anni che non si frequentavano. Il nonno, pur non avendo tessere di partito, è sempre stato un simpatizzante dei comunisti, mentre Amerigo era stato, e chissà, forse lo era ancora, un convinto fascista. Ogni dubbio sparì quando si presentò vestito elegantemente con una camicia nera e una spilla al risvolto della giacca che rappresentava una fiamma tricolore e la scritta M.S.I.
Il nonno che anni prima aveva preso alla Casa del Fascio un sonoro schiaffone che ancora gli bruciava, stava per esplodere.
La nonna lo prese sotto braccio e lo portò in cucina. Non so che cosa gli disse ma il nonno tornò più calmo, anche se piuttosto accigliato.
Tutto si svolse tranquillamente durante il pranzo, ma l’aria era già abbastanza pesante. Lo capii dal fatto che le lucine dell’albero di Natale a un certo momento si accesero, senza che nessuno ci avesse messo mano.
All’angolo del salotto c’era, come adesso, la televisione, un Telefunken che era stato acquistato a rate poche settimane prima. Era costato centosettantamila lire. Dal momento dell’acquisto l’apparecchio veniva spento solo la notte. Il telegiornale parlava di una manifestazione degli operai durante la quale la Polizia era intervenuta con il manganello.
Amerigo alla vista di quelle immagini disse, a mezza voce: “Accidenti a quelle che sono andate di fori!” Il nonno non ci vide più e si mise a urlare: “Dopo il 25 aprile ancora parlate, brutti bastardi!”
Amerigo a quel punto si alzò, raccolse le sue cose e se n’è andò sbattendo la porta. Da allora non ce n’è più traccia; non credo che lo rivedremo. Da quel momento l’atmosfera si calmò e il Natale si concluse nel migliore dei modi.
Basta, ora mi alzo davvero. Cosa accadrà di nuovo oggi?