Mai un ritardo dal primo giorno, mai un’ora di permesso, solo un mese di ferie in quattro anni, e “è questa l’ora di arrivare”?
Sente distintamente un “manco se risponne più ora”, prima di sedersi alla sua scrivania e dire: «Arrivo quando cazzo mi pare.»
«Come hai detto, scusa?»
Il responsabile del personale si è materializzato davanti a Valerio.
«Ho detto che se sono arrivato in ritardo avrò avuto un contrattempo, no?»
«E allora si avvisa quando si è in ritardo, altrimenti viene decurtata l’ora. Devi recuperare due ore intere, sia chiaro.»
«Ma sono e zero otto.» prova a ribattere, ma le ultime parole che sente sono di nuovo “due ore intere”.
Questa è la sua giornata tipo. Colazione al bar, pranzo nella trattoria convenzionata, cena da asporto a casa, soprusi e rimpianti. Tutti i giorni così, da quando Betta non fa più parte della sua vita. Ma oggi no. L’incontro con quella famiglia in mattinata ha fatto scattare qualcosa. Non è scritto da nessuna parte che lui non possa avere una vita felice, una donna con cui condividere la quotidianità, una famiglia con la quale progettare il futuro.
È tutto pronto. Manca solo l’ultima spunta e poi il profilo sarà visibile online. Clicca “accetto”.
Solite quattro paste, AC/DC, ufficio, ma oggi c’è qualcosa di diverso.
«’o vedi che sai arrivare puntuale?» gli grida Mario, ma stavolta ignorarlo non è un segno di sottomissione, ma di totale indifferenza.
Dopo il lavoro ha appuntamento con Stellalucente, quindi l’unico scopo della giornata è aspettare che le lancette scorrano veloci e che il sole tramonti.
La stanchezza di una notte quasi in bianco si fa sentire. A pranzo resta leggero, o il pomeriggio non sarebbe possibile restare sveglio alla scrivania.
Arriva a casa in un battibaleno, si infila in doccia e si veste elegante. A quest’ora, ci vuole meno di mezz’ora ad arrivare a Ponte Milvio. È da un po’ che non va in un vero ristorante e, soprattutto, è da un po’ che non mangia fuori in un tavolo che non sia apparecchiato per una sola persona.
«Bull85?»
«Stellina! Ciao, piacere. Valerio.»
«Stella, – ride lei – è il mio vero nome. Le mie amiche dicono che “Stellalucente” fa un po’ mignotta, ma a me piaceva come nick.»
«Infatti è bellissimo. Il mio, invece, è abbastanza banale, ma ho pensato che usando la mia data di nascita la gente potesse scambiarla coi miei chili e guadagnarne qualcuno.»
Ridono entrambi ed entrano nel locale.
«Qui fanno la migliore cacio e pepe d’Italia. Un romano non può che mangiarla qui. Ti piace il vino rosso? Per secondo fanno un abbacchio scottadito che neanche te lo dico, guarda.»
Chiacchierano, ridono, si guardano. Il cameriere ha chiesto se gradissero dei dolci, ma hanno risposto di no.
Passeggiano sul Ponte Milvio. È pieno di gente, come sempre del resto. Lei si avvicina, lui asseconda il movimento del suo braccio, e in un attimo sono a braccetto sul ponte simbolo degli innamorati romani.
«Certo che con questi lucchetti un po’ ovunque hanno rotto le palle.»
«Dici? Io invece lo trovo così romantico…»
«Davvero, Stella? Mah, a me sembra un po’ un’illusione adolescenziale, di quelle destinate a ferirti di brutto quando ti accorgi che la realtà poi ti prende a schiaffoni.»
Non fa tanto freddo. Passeggiare è piacevole, ma è tardi, e la stanchezza si fa sentire.
«Ci vediamo ancora? Sei stata bene?»
«No, sono stata di merda, ma sono masochista e mi piace restare sei ore con una persona che non conosco, così, per sport. Ma che domande fai? Ci vediamo domani?»
«Domani?» balbetta Valerio.
«Sì, domani. Perché, hai impegni?»
«No, no. Va bene domani.»
«Ok, però non usciamo. O vieni tu da me o vengo io da te, va bene?»
Gli stampa un bacio in bocca e lo saluta.
«Ciao Valerio! Ma sai che qui ci abitava una mia amica carissima? L’ho accompagnata a casa non sai quante volte! Com’è proprio piccolo il mondo.»
«Ciao Stella! Eh sì, il mondo è piccolo. E adesso non ci abita più?»
«No, no. Una storia lunga. Ce ne abbiamo messo per convincerla ad andarsene…»