Un cento amaro, dove nelle ultime righe il protagonista ammette di non essere più capace di connettersi con la sua parte bambina, quella ancora capace di meravigliarsi, di fantasticare e trovare la felicità nel mondo che ci circonda.
Percepire la capacità di giocare come un ostacolo all'immagine di noi adulti che portiamo per il mondo, rende bene l'idea di come al giorno d'oggi sia preponderante la necessità di mostrare agli altri ciò che vogliono vedere, nascondere il vero io e imbrigliare l'indole creativa e forse un pò folle che tutti abbiamo.
Ben resa l'immagine dei bambini del passato che giocano sfruttando al massimo la propria fantasia, diversamente da oggi, dove i piccoli giocano con la fantasia proposta già confezionata da altri: una direzione pericolosa verso la quale i nostri giovani si dirigono con candida spensieratezza, inconsapevoli di ciò che troveranno alla fine del percorso: il guscio vuoto delle loro esistenze.
Un cento che fa riflettere sulla qualità di vita che hanno i nostri ragazzi: una felicità pret a porter di facile consumo che lascia davvero poco dietro di sè.
Stona un pò quel salvano al presente.