https://www.differentales.org/t595-una-porta#7610
questo è un vecchio racconto che ha partecipato a Zodiaco. l'ho riletto e mi è piaciuto ancora, per questo lo ripresento.
“Vivere può costare fatica e la fatica può costarti la vita” ripeteva spesso mia madre.
Oggi so che molto dipende dalle variabili che si intersecano nel periodo in cui sei cosciente, quando il
cervello funge da elaboratore e da centro emissione dati, emanando comandi a iosa. A volte coerenti, altre no.
E poi dipende dalla vita stessa che ti ritrovi addosso.
Già, perché non è che puoi sceglierla tu una volta che sei qua: puoi modificare tante cose, questo sì, ma la linea principale la tracci prima di venire al mondo decidendo dove incarnarti, in che corpo. In che luogo. In che ambiente.
Non conosco la mia data di nascita. Mi hanno trovata, come tanti altri, sui bordi di una fossa comune in Croazia, nelle vicinanze di Vulkovar. La differenza consisteva nel fatto che ero ancora viva e siccome per loro, due reporter di guerra francesi, era impossibile lo fossi, mi diedero il nome di Miracle, che ancora oggi porto ma che nel tempo io stessa ho storpiato in Mira.
Probabilmente ero sul pianeta da sei o sette mesi al massimo, così dissero i medici militari che mi visitarono quel giorno e, pur malnutrita, non ero malata.
«La portiamo con noi, se rimane qui chissà che fine può fare.»
«Danielle, non possiamo. Noi siamo qui per lavoro, per documentare la guerra.»
«Appunto: c’è la guerra. Per questo la porto via.»
«Ma come farai? Mica è tua figlia.»
«No, sarà figlia nostra.»
«Sei scema? Non siamo sposati né altro, non siamo mai andati a letto insieme io e te…»
«Certo, ma gli altri non lo sanno.»
«E quando rientriamo in Francia? Come facciamo?»
«Non so, vedremo. Potremmo anche non rientrare, Fernand.»
«Ah, non so tu, ma io rientro. Eccome se rientro.»
Venni a sapere di questi dialoghi da mia madre. Meglio, da colei che si presentò come tale una volta tornata nel suo paese. Non disse mai niente del padre, ovviamente, e riuscì comunque a tacciare certe voci che la facevano passare per una di quelle che “la dà a tutti”. Voci dovute al fatto che non aveva un compagno fisso e che era tornata dalla Croazia con una figlia.
A un certo punto decise di trasferirsi a Beaurecueil, un paesino poco distante da Aix-en-Provence.
Mi aveva registrato all’anagrafe come nata il ventinove febbraio, giusto per far presente la stranezza, del 1992, anno in cui lei si trovava là, dove mi salvò, come reporter di guerra.
Forse fu per il fatto di avermi tolta dall’orlo dell’abisso, forse per altro, non lo so di preciso, ma con me fu sempre sincera e aperta, raccontandomi ogni cosa e tenendo comunque un diario della sua vita.
Un diario in cui parlava sempre di me. Molte delle cose che riporto sono tratte da lì.
«Mamma, ma sei sempre via…»
«Tesoro, il mio lavoro mi porta lontana da te, lo so, ma non posso rinunciarvi.»
«Non riesci a venire più spesso?»
«Dipende da dove mi mandano, piccola mia. Non sono io a decidere, purtroppo. Però sai che appena torno sono da te. E con te.»
«Sì, certo. Però ti vorrei di più.»
Mi guardò con occhi lucidi, mi abbracciò e strinse forte. «Miracle, tu sei parte essenziale della mia vita, non ti lascerò mai.»
Ogni volta era così.
Quando se ne andava mi portava all’Istituto “La mère”, scuola cattolica per eccellenza in stile collegio e con camere a disposizione, ma al ritorno mi prendeva e mi teneva con sé fino alla ripartenza.
Avevo dieci anni quando mi raccontò ogni cosa. Piansi per un giorno e una notte, delusa dalla scoperta di non essere figlia sua e arrabbiata per non averlo saputo prima. Lei pianse con me, ma al momento non compresi il motivo. Oggi la ringrazio profondamente.
Rimasi arrabbiata per parecchio tempo, poi accadde un fatto che diede una svolta alla mia vita, anche se allora, ovviamente, non ne fui cosciente.
Le mie compagne di classe si divertivano a leggere i loro oroscopi.
«Miracle» mi chiese un giorno Fabiane, una con la quale legavo abbastanza, «tu che ascendente hai?»
Rimasi interdetta. Visto che risultavo venuta al mondo il ventinove febbraio, sapevo che il segno zodiacale era quello dei pesci, ma dell’ascendente non mi ero mai preoccupata.
«Non lo so» risposi, «devo chiedere a mia madre. Tu sai come lo si calcola?»
«Sì, certo. Ho uno schemino che ha preparato mia sorella. È semplice, basta conoscere l’ora e il luogo di nascita.» Come se fosse poco…
«Danielle» dissi una volta a casa, ormai non la chiamavo più mamma, «tu sai come si trova l’ascendente?»
Mi guardò, sorpresa, poi sorrise: «Sì, ma trovare il tuo è impossibile.»
«E perché?»
«Beh, non c’è niente di preciso su di te. Non so nemmeno se eri nata a Vukovar, non so sei i tuoi erano croati, serbi o altro. Non lo troveremo mai, il tuo ascendente.»
«Non potremmo considerare il luogo e l’ora in cui mi hai trovata? Possiamo provare?»
Mi assecondò, pensando che in quel modo un po’ della mia rabbia si sarebbe dissolta, e fu così.
Rimase con me un’altra settimana, poi venne inviata in Iraq.
In quei giorni mi appassionai all’oroscopo, ai segni zodiacali e a tutto ciò che vi gira intorno, tanto che divenne lo scopo della mia vita.
A sedici anni ero un’esperta astrologa e mi cimentavo con le compagne di scuola stilando oroscopi personalizzati. Certo, avevo ancora molto da studiare, anche perché il campo è pressoché infinito, ma nel frattempo facevo esperienza e tutti mi ringraziavano. No, non proprio tutti, visto che se non accadeva quanto previsto, e a quell’età erano soprattutto i fatti d’amore e di sesso a essere in prima linea, qualcuno si arrabbiava con me. Ci fu chi arrivò a dire che avevo fatto previsioni sbagliate di proposito, per soffiare il ragazzo a un’altra e cose simili.
Per fortuna erano casi rari e comunque feci sempre in modo che ogni cosa mi scivolasse via, evitando così di caricarmi dei problemi altrui.
Tra l’altro ero e sono piuttosto carina, pertanto i ragazzi potevo scegliermeli io, visto il numero di quelli che ci provavano. Fu un periodo piuttosto piacevole sotto tutti i punti di vista, compreso quello emotivo in famiglia.
Poi, nel settembre del 2009, Danielle, mia madre, non tornò.
Non fu una sua scelta, visto che saltò in aria insieme ad altri quattro uomini a causa di una mina, in Afghanistan. Non vidi mai il suo corpo martoriato, rientrato dentro un’anonima bara bianca.
Al funerale c’era tutto il paese, ma io non vedevo nessuno. Mi sentivo perduta.
Mi aveva nominata erede unica, ma mancavano alcuni mesi alla mia maggiore età, quindi non potevo entrare in possesso di alcunché. Del resto, non era questo il problema che mi assillava. Ero sola in un mondo che non avevo mai conosciuto appieno, in balìa del dolore.
«Miracle» mi disse la signora Bargond dopo le esequie, «abbiamo delle camere libere a La Mère. Se vuoi puoi venire da noi per un po’, ne saremmo felici.»
Accettai, naturalmente. La Bargond era stata mia professoressa quando frequentavo l’istituto e la conoscevo bene. E, del resto, avrei potuto rifiutare? Seppi in seguito che era un accordo preso con Danielle nel caso le fosse accaduto qualcosa.
Portai con me le cose essenziali, tra cui i libri di astrologia, pensando di rimanere per poco, qualche settimana al massimo. Invece fui loro ospite fino ai diciotto anni, giorno in cui entrai in possesso delle chiavi di casa di Danielle. Di mamma.
Era stata previdente, sapeva che sarebbe potuta accadere la tragedia in qualsiasi momento e aveva dato indicazioni precise a persone di fiducia, che non la tradirono.
Mi ritrovai così con una casa di proprietà e dei soldi in banca, ma senza una figura cui aggrapparmi.
Furono invece parecchi quelli che tentarono di aggrapparsi a me, neomaggiorenne in crisi, e a salvarmi in quei mesi furono ancora la signora Bargond, che si fece carico dei tanti problemi che non riuscivo a risolvere, e la passione per l’astrologia, che mi tenne impegnata la mente.
«Capisco le difficoltà» mi disse un giorno, «ma non puoi certo mollare tutto adesso. Ti manca un anno per la maturità, fatti forza e taglia quel traguardo, poi deciderai con calma cosa fare della tua vita.»
Io sapevo già cosa fare, in realtà, e nell’estate successiva ne presi coscienza definitivamente.
Conobbi Davide, un ventiquattrenne di Genova, che veniva ogni anno dai parenti. Per la Provenza, mi disse in seguito, non per loro.
Venuto a sapere di cosa mi occupavo, mi chiese un oroscopo personalizzato: dopo averglielo fatto finimmo a letto, benedicendo entrambi lo zodiaco, fautore del nostro incontro.
«Tra due giorni rientro a Genova, Mira» esordì rompendo il silenzio che seguiva uno splendido incontro di sessi.
«Ci ritroveremo» risposi, serena. E ci credevo, me lo aveva detto l’oroscopo.
Ci tenemmo in contatto costante, ma senza assilli.
I dodici mesi successivi passarono in un lampo. Presa la maturità comunicai alla signora Bargond la mia decisione, quella che era sempre stata dentro di me.
«Parto.»
«Va bene, Miracle, parti. Ma dove vai? Tua madre avrebbe voluto sapere come trovarti.»
Non mi aspettavo la tirasse in ballo. «Non so fin dove andrò, dipenderà dagli eventi.»
«Che parolone… almeno qualche indicazione ce l’hai? Qualche meta?»
«Oh, sì. Intanto vado a Genova a trovare…»
«Davide, giustamente. E poi?»
«Ho alcuni indirizzi.»
Scosse la testa, poco convinta, ma mi abbracciò fortemente.
«Voglio conoscere altri cieli. Astrali, naturalmente. Non si preoccupi, professoressa, tornerò.»
Mi fissò qualche istante, poi dai suoi occhi cadde qualche lacrima: «Lo diceva sempre anche Danielle.»
Mi fermai da Davide alcune settimane durante le quali, oltre a divertirci, preparammo le basi per il futuro immediato. Il mio, naturalmente, perché il nostro sarebbe arrivato dopo.
Davide era divenuto un perno, per me, e ne era consapevole. Per questo mi aiutò a stilare un programma assurdo dal quale lui era tagliato fuori per parecchio tempo. Chiarimmo anche che nessuno dei due era obbligato ad attendere l’altro: avessimo avuto storie alternative le avremmo accettate.
«Noi diciamo così, Mira, e io credo a quel che dico, ma so anche che sono parole e le parole possono venire travolte dai fatti.»
«Lo so bene, Davide, lo so bene» risposi sorridendogli, «ma vedrai che i tasselli delle nostre vite andranno nei posti giusti.»
«Non so come fai a essere così certa di quel che dici, ma ti credo.»
Partii in un giorno d’agosto, vestita di gioia e speranza nonostante stessi abbandonando una persona amata: cominciavo a camminare da sola, finalmente.
La prima tappa fu Berlino, da sempre città con un cuore astrologico pulsante, dove rimasi quasi sei mesi assimilando informazioni e istruzioni notevoli. Da lì mi trasferii poi in Croazia, Ungheria e Russia, dove ricevetti da Davide una lettera in cui mi comunicava il suo matrimonio.
Non rimasi sorpresa più di tanto, ma un lieve colpo al cuore arrivò comunque.
Per tre anni girai l’Europa imparando anche i più piccoli particolari dell’astrologia classica. Da alcuni mesi sono tornata a casa.
La signora Bargond, con la quale ero sempre rimasta in contatto, mi ha accolto come fossi sua figlia: è stato bellissimo.
Conosco molti segreti dell’arte astrologica, ma è come se fossi alle prime armi: c’è sempre da imparare, da assimilare, comprendere e interpretare. In futuro andrò certamente in India, nel Ladakh, dove la tradizione dei segni zodiacali è ancora marcata come mille anni fa, ma per ora resto qui.
La Provenza è splendida e anche se il mio è un paese tranquillo il lavoro non mi manca. Le persone curiose di sapere qualcosa di ciò che è scritto nel loro cielo sono più di quante si creda, e di ogni strato sociale.
«Miracle, ma che hai combinato?» chiese la signora Bargond quando la feci entrare nel mio nuovo studio.
«Tua ma… Danielle non credo sarebbe stata d’accordo a stravolgere in questo modo la sua casa.»
«Mamma è d’accordo, glielo garantisco» risposi sorridendole, «non lo fosse me lo avrebbe fatto capire. Ogni tanto sento la sua presenza, sa? Credo mi tenga d’occhio.»
Rise. «Se è d’accordo lei non posso certo oppormi io. Tanto più che ormai i lavori sono terminati. Quando apri?»
«Fra pochi giorni. Se vuole, per festeggiare posso farle una carta astrale completa.»
Aveva sempre rifiutato e invece: «Perché no?»
La settimana scorsa Davide mi ha inviato una e-mail nella quale dice che si è separato. L’aspettavo da un po’.
Tra pochi giorni verrà qui. Non so quanto si fermerà, ma di sicuro il tempo sufficiente per fare un bambino, desiderio che mi sale ogni giorno di più.
Ho sempre saputo che saremmo tornati insieme e che avremmo avuto un futuro di coppia. Quanto potrà durare dipenderà da noi e non dalle stelle, dalla libertà che ci sapremo dare.
Probabilmente aveva ragione mia madre dicendo che può costare fatica, ma ogni tanto penso che vivere è un po’come dare respiro al vento.
Tu credi che nei suoi polmoni ci sia aria all’infinito, visto come soffia…
Eppure, a volte anche il vento pare morire e ha bisogno di aria nuova.
Io sono quella di Davide, lui sarà la mia.
Ah, che sciocca. Mi stavo scordando di dirvi che lui è del Leone.
Io? Io ho deciso di essere dell’Ofiuco, un segno che in realtà non esiste, così come non esiste la mia data di nascita.
Però è una costellazione, l’Ofiuco, e nelle costellazioni ci sono le stelle.
questo è un vecchio racconto che ha partecipato a Zodiaco. l'ho riletto e mi è piaciuto ancora, per questo lo ripresento.
“Vivere può costare fatica e la fatica può costarti la vita” ripeteva spesso mia madre.
Oggi so che molto dipende dalle variabili che si intersecano nel periodo in cui sei cosciente, quando il
cervello funge da elaboratore e da centro emissione dati, emanando comandi a iosa. A volte coerenti, altre no.
E poi dipende dalla vita stessa che ti ritrovi addosso.
Già, perché non è che puoi sceglierla tu una volta che sei qua: puoi modificare tante cose, questo sì, ma la linea principale la tracci prima di venire al mondo decidendo dove incarnarti, in che corpo. In che luogo. In che ambiente.
Non conosco la mia data di nascita. Mi hanno trovata, come tanti altri, sui bordi di una fossa comune in Croazia, nelle vicinanze di Vulkovar. La differenza consisteva nel fatto che ero ancora viva e siccome per loro, due reporter di guerra francesi, era impossibile lo fossi, mi diedero il nome di Miracle, che ancora oggi porto ma che nel tempo io stessa ho storpiato in Mira.
Probabilmente ero sul pianeta da sei o sette mesi al massimo, così dissero i medici militari che mi visitarono quel giorno e, pur malnutrita, non ero malata.
«La portiamo con noi, se rimane qui chissà che fine può fare.»
«Danielle, non possiamo. Noi siamo qui per lavoro, per documentare la guerra.»
«Appunto: c’è la guerra. Per questo la porto via.»
«Ma come farai? Mica è tua figlia.»
«No, sarà figlia nostra.»
«Sei scema? Non siamo sposati né altro, non siamo mai andati a letto insieme io e te…»
«Certo, ma gli altri non lo sanno.»
«E quando rientriamo in Francia? Come facciamo?»
«Non so, vedremo. Potremmo anche non rientrare, Fernand.»
«Ah, non so tu, ma io rientro. Eccome se rientro.»
Venni a sapere di questi dialoghi da mia madre. Meglio, da colei che si presentò come tale una volta tornata nel suo paese. Non disse mai niente del padre, ovviamente, e riuscì comunque a tacciare certe voci che la facevano passare per una di quelle che “la dà a tutti”. Voci dovute al fatto che non aveva un compagno fisso e che era tornata dalla Croazia con una figlia.
A un certo punto decise di trasferirsi a Beaurecueil, un paesino poco distante da Aix-en-Provence.
Mi aveva registrato all’anagrafe come nata il ventinove febbraio, giusto per far presente la stranezza, del 1992, anno in cui lei si trovava là, dove mi salvò, come reporter di guerra.
Forse fu per il fatto di avermi tolta dall’orlo dell’abisso, forse per altro, non lo so di preciso, ma con me fu sempre sincera e aperta, raccontandomi ogni cosa e tenendo comunque un diario della sua vita.
Un diario in cui parlava sempre di me. Molte delle cose che riporto sono tratte da lì.
«Mamma, ma sei sempre via…»
«Tesoro, il mio lavoro mi porta lontana da te, lo so, ma non posso rinunciarvi.»
«Non riesci a venire più spesso?»
«Dipende da dove mi mandano, piccola mia. Non sono io a decidere, purtroppo. Però sai che appena torno sono da te. E con te.»
«Sì, certo. Però ti vorrei di più.»
Mi guardò con occhi lucidi, mi abbracciò e strinse forte. «Miracle, tu sei parte essenziale della mia vita, non ti lascerò mai.»
Ogni volta era così.
Quando se ne andava mi portava all’Istituto “La mère”, scuola cattolica per eccellenza in stile collegio e con camere a disposizione, ma al ritorno mi prendeva e mi teneva con sé fino alla ripartenza.
Avevo dieci anni quando mi raccontò ogni cosa. Piansi per un giorno e una notte, delusa dalla scoperta di non essere figlia sua e arrabbiata per non averlo saputo prima. Lei pianse con me, ma al momento non compresi il motivo. Oggi la ringrazio profondamente.
Rimasi arrabbiata per parecchio tempo, poi accadde un fatto che diede una svolta alla mia vita, anche se allora, ovviamente, non ne fui cosciente.
Le mie compagne di classe si divertivano a leggere i loro oroscopi.
«Miracle» mi chiese un giorno Fabiane, una con la quale legavo abbastanza, «tu che ascendente hai?»
Rimasi interdetta. Visto che risultavo venuta al mondo il ventinove febbraio, sapevo che il segno zodiacale era quello dei pesci, ma dell’ascendente non mi ero mai preoccupata.
«Non lo so» risposi, «devo chiedere a mia madre. Tu sai come lo si calcola?»
«Sì, certo. Ho uno schemino che ha preparato mia sorella. È semplice, basta conoscere l’ora e il luogo di nascita.» Come se fosse poco…
«Danielle» dissi una volta a casa, ormai non la chiamavo più mamma, «tu sai come si trova l’ascendente?»
Mi guardò, sorpresa, poi sorrise: «Sì, ma trovare il tuo è impossibile.»
«E perché?»
«Beh, non c’è niente di preciso su di te. Non so nemmeno se eri nata a Vukovar, non so sei i tuoi erano croati, serbi o altro. Non lo troveremo mai, il tuo ascendente.»
«Non potremmo considerare il luogo e l’ora in cui mi hai trovata? Possiamo provare?»
Mi assecondò, pensando che in quel modo un po’ della mia rabbia si sarebbe dissolta, e fu così.
Rimase con me un’altra settimana, poi venne inviata in Iraq.
In quei giorni mi appassionai all’oroscopo, ai segni zodiacali e a tutto ciò che vi gira intorno, tanto che divenne lo scopo della mia vita.
A sedici anni ero un’esperta astrologa e mi cimentavo con le compagne di scuola stilando oroscopi personalizzati. Certo, avevo ancora molto da studiare, anche perché il campo è pressoché infinito, ma nel frattempo facevo esperienza e tutti mi ringraziavano. No, non proprio tutti, visto che se non accadeva quanto previsto, e a quell’età erano soprattutto i fatti d’amore e di sesso a essere in prima linea, qualcuno si arrabbiava con me. Ci fu chi arrivò a dire che avevo fatto previsioni sbagliate di proposito, per soffiare il ragazzo a un’altra e cose simili.
Per fortuna erano casi rari e comunque feci sempre in modo che ogni cosa mi scivolasse via, evitando così di caricarmi dei problemi altrui.
Tra l’altro ero e sono piuttosto carina, pertanto i ragazzi potevo scegliermeli io, visto il numero di quelli che ci provavano. Fu un periodo piuttosto piacevole sotto tutti i punti di vista, compreso quello emotivo in famiglia.
Poi, nel settembre del 2009, Danielle, mia madre, non tornò.
Non fu una sua scelta, visto che saltò in aria insieme ad altri quattro uomini a causa di una mina, in Afghanistan. Non vidi mai il suo corpo martoriato, rientrato dentro un’anonima bara bianca.
Al funerale c’era tutto il paese, ma io non vedevo nessuno. Mi sentivo perduta.
Mi aveva nominata erede unica, ma mancavano alcuni mesi alla mia maggiore età, quindi non potevo entrare in possesso di alcunché. Del resto, non era questo il problema che mi assillava. Ero sola in un mondo che non avevo mai conosciuto appieno, in balìa del dolore.
«Miracle» mi disse la signora Bargond dopo le esequie, «abbiamo delle camere libere a La Mère. Se vuoi puoi venire da noi per un po’, ne saremmo felici.»
Accettai, naturalmente. La Bargond era stata mia professoressa quando frequentavo l’istituto e la conoscevo bene. E, del resto, avrei potuto rifiutare? Seppi in seguito che era un accordo preso con Danielle nel caso le fosse accaduto qualcosa.
Portai con me le cose essenziali, tra cui i libri di astrologia, pensando di rimanere per poco, qualche settimana al massimo. Invece fui loro ospite fino ai diciotto anni, giorno in cui entrai in possesso delle chiavi di casa di Danielle. Di mamma.
Era stata previdente, sapeva che sarebbe potuta accadere la tragedia in qualsiasi momento e aveva dato indicazioni precise a persone di fiducia, che non la tradirono.
Mi ritrovai così con una casa di proprietà e dei soldi in banca, ma senza una figura cui aggrapparmi.
Furono invece parecchi quelli che tentarono di aggrapparsi a me, neomaggiorenne in crisi, e a salvarmi in quei mesi furono ancora la signora Bargond, che si fece carico dei tanti problemi che non riuscivo a risolvere, e la passione per l’astrologia, che mi tenne impegnata la mente.
«Capisco le difficoltà» mi disse un giorno, «ma non puoi certo mollare tutto adesso. Ti manca un anno per la maturità, fatti forza e taglia quel traguardo, poi deciderai con calma cosa fare della tua vita.»
Io sapevo già cosa fare, in realtà, e nell’estate successiva ne presi coscienza definitivamente.
Conobbi Davide, un ventiquattrenne di Genova, che veniva ogni anno dai parenti. Per la Provenza, mi disse in seguito, non per loro.
Venuto a sapere di cosa mi occupavo, mi chiese un oroscopo personalizzato: dopo averglielo fatto finimmo a letto, benedicendo entrambi lo zodiaco, fautore del nostro incontro.
«Tra due giorni rientro a Genova, Mira» esordì rompendo il silenzio che seguiva uno splendido incontro di sessi.
«Ci ritroveremo» risposi, serena. E ci credevo, me lo aveva detto l’oroscopo.
Ci tenemmo in contatto costante, ma senza assilli.
I dodici mesi successivi passarono in un lampo. Presa la maturità comunicai alla signora Bargond la mia decisione, quella che era sempre stata dentro di me.
«Parto.»
«Va bene, Miracle, parti. Ma dove vai? Tua madre avrebbe voluto sapere come trovarti.»
Non mi aspettavo la tirasse in ballo. «Non so fin dove andrò, dipenderà dagli eventi.»
«Che parolone… almeno qualche indicazione ce l’hai? Qualche meta?»
«Oh, sì. Intanto vado a Genova a trovare…»
«Davide, giustamente. E poi?»
«Ho alcuni indirizzi.»
Scosse la testa, poco convinta, ma mi abbracciò fortemente.
«Voglio conoscere altri cieli. Astrali, naturalmente. Non si preoccupi, professoressa, tornerò.»
Mi fissò qualche istante, poi dai suoi occhi cadde qualche lacrima: «Lo diceva sempre anche Danielle.»
Mi fermai da Davide alcune settimane durante le quali, oltre a divertirci, preparammo le basi per il futuro immediato. Il mio, naturalmente, perché il nostro sarebbe arrivato dopo.
Davide era divenuto un perno, per me, e ne era consapevole. Per questo mi aiutò a stilare un programma assurdo dal quale lui era tagliato fuori per parecchio tempo. Chiarimmo anche che nessuno dei due era obbligato ad attendere l’altro: avessimo avuto storie alternative le avremmo accettate.
«Noi diciamo così, Mira, e io credo a quel che dico, ma so anche che sono parole e le parole possono venire travolte dai fatti.»
«Lo so bene, Davide, lo so bene» risposi sorridendogli, «ma vedrai che i tasselli delle nostre vite andranno nei posti giusti.»
«Non so come fai a essere così certa di quel che dici, ma ti credo.»
Partii in un giorno d’agosto, vestita di gioia e speranza nonostante stessi abbandonando una persona amata: cominciavo a camminare da sola, finalmente.
La prima tappa fu Berlino, da sempre città con un cuore astrologico pulsante, dove rimasi quasi sei mesi assimilando informazioni e istruzioni notevoli. Da lì mi trasferii poi in Croazia, Ungheria e Russia, dove ricevetti da Davide una lettera in cui mi comunicava il suo matrimonio.
Non rimasi sorpresa più di tanto, ma un lieve colpo al cuore arrivò comunque.
Per tre anni girai l’Europa imparando anche i più piccoli particolari dell’astrologia classica. Da alcuni mesi sono tornata a casa.
La signora Bargond, con la quale ero sempre rimasta in contatto, mi ha accolto come fossi sua figlia: è stato bellissimo.
Conosco molti segreti dell’arte astrologica, ma è come se fossi alle prime armi: c’è sempre da imparare, da assimilare, comprendere e interpretare. In futuro andrò certamente in India, nel Ladakh, dove la tradizione dei segni zodiacali è ancora marcata come mille anni fa, ma per ora resto qui.
La Provenza è splendida e anche se il mio è un paese tranquillo il lavoro non mi manca. Le persone curiose di sapere qualcosa di ciò che è scritto nel loro cielo sono più di quante si creda, e di ogni strato sociale.
«Miracle, ma che hai combinato?» chiese la signora Bargond quando la feci entrare nel mio nuovo studio.
«Tua ma… Danielle non credo sarebbe stata d’accordo a stravolgere in questo modo la sua casa.»
«Mamma è d’accordo, glielo garantisco» risposi sorridendole, «non lo fosse me lo avrebbe fatto capire. Ogni tanto sento la sua presenza, sa? Credo mi tenga d’occhio.»
Rise. «Se è d’accordo lei non posso certo oppormi io. Tanto più che ormai i lavori sono terminati. Quando apri?»
«Fra pochi giorni. Se vuole, per festeggiare posso farle una carta astrale completa.»
Aveva sempre rifiutato e invece: «Perché no?»
La settimana scorsa Davide mi ha inviato una e-mail nella quale dice che si è separato. L’aspettavo da un po’.
Tra pochi giorni verrà qui. Non so quanto si fermerà, ma di sicuro il tempo sufficiente per fare un bambino, desiderio che mi sale ogni giorno di più.
Ho sempre saputo che saremmo tornati insieme e che avremmo avuto un futuro di coppia. Quanto potrà durare dipenderà da noi e non dalle stelle, dalla libertà che ci sapremo dare.
Probabilmente aveva ragione mia madre dicendo che può costare fatica, ma ogni tanto penso che vivere è un po’come dare respiro al vento.
Tu credi che nei suoi polmoni ci sia aria all’infinito, visto come soffia…
Eppure, a volte anche il vento pare morire e ha bisogno di aria nuova.
Io sono quella di Davide, lui sarà la mia.
Ah, che sciocca. Mi stavo scordando di dirvi che lui è del Leone.
Io? Io ho deciso di essere dell’Ofiuco, un segno che in realtà non esiste, così come non esiste la mia data di nascita.
Però è una costellazione, l’Ofiuco, e nelle costellazioni ci sono le stelle.