La luce dei lampadari è soffusa e il suo debole chiarore traspare leggero dalla bottiglia di nebbiolo del 2013 che il cameriere mi ha appena fatto assaggiare, posandola poi sulla tavola. Il mio stomaco tira calci e borbotta come la marmitta di una ritmo, ho una fame da lupi e non vedo l’ora di mangiare.
Mi servono l’antipasto, una tartare di Fassona al coltello con un tuorlo d’uovo delicatamente appoggiato sopra. Divina come divino è il retrogusto misto che mi lascia il nebbiolo. Penso che avrei potuto optare per una grattata di tartufo bianco d’Alba al posto dell’uovo. Avrei potuto, ma va bene comunque. Come primo arriva un bel piatto di tajarin ai carciofi, fumante, il cui profumo inonda quasi tutta la sala e gli altri commensali si girano a guardarmi. La pasta è stata impastata da mani esperte prima di essere trafilata al bronzo e finire dentro l’acqua bollente e salata per pochissimi minuti. I carciofi sono teneri e saporiti. Ma non sono ancora soddisfatto.
Mentre sorseggio il mio vino, osservo la sala e scorgo il mio cameriere che si dirige in cucina. Ne esce con il mio piatto, sul quale è adagiata una succulenta tagliata di manzo, a cottura media, con contorno di porcini e finferli stufati. Ah, che goduria! La carne è morbida, quasi si scioglie in bocca. I funghi sono deliziosi e il loro sapore porta con sé tutti i profumi e l’aria buona dei boschi in cui sono stati raccolti. Il nebbiolo scende come l’acqua.
Perché non deliziare il palato di questo lauto pasto con un pezzettino di castelmagno e uno di toma di Lanzo? E’ la morte del nebbiolo…e della sua bottiglia.
Mi viene voglia di stiracchiarmi e di ruttare tutta la mia soddisfazione così forte da far tremare i vetri. Suvvia, non è educato. Come non lo sarebbe non completare il tutto con una porzione di bônet, accompagnata da uno shot di barolo chinato. Al caffè non posso dire no. Mi offrono un San Simone che su due piedi vorrei rifiutare. Ma non lo faccio.
Finalmente mi sveglio.
Sono affamato come un panda e il mio stomaco urla tutta la sua pena. La fame sta iniziando a innervosirmi, soprattutto se penso che dovrò fare almeno mezz’ora di metropolitana per raggiungere la “piola” che mi hanno consigliato, ad Hankou, sull’altra sponda dello Yangtze River.
Finalmente arrivo ma fatico un attimo a trovare il ristorante senza l’ausilio di google maps, che qui è bandito come whatsapp o facebook. Poi scopri però che tutti hanno l’I-phone e che se ti vedono con l’Huawei ti ridono in faccia. Boh, misteri cinesi.
La “piola” si rivela in quanto tale. Una gentile signora mi accoglie. Lei parla solo cinese e io solo inglese. E’ la prima con cui, da quando sono arrivato, riesco a farmi capire pur parlando due lingue diverse. M’invita in cucina a scegliere la mia pietanza. Scelgo e mi fa accomodare su uno dei tavoli di legno su cui sono adagiati un posacenere, un contenitore per tovaglioli e, confezionati insieme come in aereo, un piattino, una ciotolina e gl’immancabili bastoncini. Mi porta l’aperitivo a base di semi di girasole che inizio avidamente a sgranocchiare. Mi porta il thè, bollente e di color arancione scuro. Sa di erba del prato.
Non devo attendere molto perché arrivi il mio piatto. Ho optato per un piatto unico e ho fatto bene, perché si rivela abbondante. E’ cucinato con olio, zenzero, pepe verde, erba cipollina e peperoncino, porta con sé tutti i sapori orientali e di questa terra. Insieme, mi servono un’insalata – anche se definirla insalata è un eufemismo – di cetrioli e aglio. Pardon, di aglio e cetrioli. Va bene che in Cina vampiri non ce ne sono, però…
La gentile signora ci tiene a spiegarmi come fare per gustare meglio il mio piatto. Basta prendere due stuzzicadenti, cercare un pezzo, infilarli nel midollo alle due estremità, e gustare. Tanta roba, anche abbinato al thè che sa di erba del prato.
Non lascio nulla a parte lo zenzero che mi piace ma senza esagerare. Mi sento sazio e soddisfatto. Vorrei ruttare e nessuno ci farebbe caso, tantomeno i commensali nel tavolo accanto al mio che hanno optato per un cobra, a quanto pare più rinomato e più costoso. Non importa, io mi sono accontentato del mio Zaocys Dhumnades, per cui sto impazzendo a cercare il nome in italiano. Vabbè, voi che potete, cercatevelo su google. Buon appetito.
China, I really miss you.