Canzoni
La vita è fatta di piccole felicità insignificanti, simili a minuscoli fiori. Non è fatta solo di grandi cose, come lo studio, l'amore, i matrimoni, i funerali. Ogni giorno succedono piccole cose, tante da non riuscire a tenerle a mente né a contarle, e tra di esse si nascondono granelli di una felicità appena percepibile, che l'anima respira e grazie alla quale vive.
All’uscita di scuola siamo in combutta per la stessa fermata, ma autobus diversi, io e Vida.
Il mio gira per la borgata, il suo arriva fino ai Castelli, dopo parecchie fermate e dopo parecchi alberi.
Vida è una figura ipnotica e umana, solo successivamente femminile, e mi dispiace proprio perderla di
vista, anche solo per un pomeriggio.
- C’è un vero tesoro nei tuoi silenzi, - mi dice ogni volta che ascoltiamo musica con una cuffietta per uno.
Mi sbuffa il fumo in faccia, e mi lascia intendere qualcosa di profondo che non capisco.
Il mio compagno di banco da due anni, Tony, sembra un personaggio immaginario, ma ha gli stessi
ingredienti di un ragazzo buono e simpatico. Quando prende peso la sua testa si rimpicciolisce,
sprofonda nelle spalle. Tony si esprime con difficoltà, si impunta, specialmente se interrogato.
Piace a tutt’e due Vida, ma una ragazza non si può dividere in porzioni. Che poi, noi una
ragazza non l’abbiamo mai avuta, siamo solo svelti a frodare il flipper con le rotelle del ferramenta, e a
imbucarci al cinema attraverso le uscite di sicurezza non allarmate.
Chissà come le è venuto in mente, un giorno, di invitarci a casa sua con la frottola di studiare insieme.
Alle nove del mattino ci apre la porta con i capelli umidi di doccia e un accappatoio bianco lungo che non
mostra nulla.
La cucina è deserta, c’è solo una moka, gonfia di caffè caldo, e dei biscottini così piccoli, da prendere
con le pinzette, come quando ti fai una canna e non vuoi sprecare nulla.
- Non pensavo che sareste arrivati così presto, ma sono contenta, - dice, mentre piazza tre tazzine su una
tovaglia di plastica.
- Be’ Tony sta dalle otto sotto casa mia, nemmeno in bagno sono andato.
- Qui ce ne sono due, vai a quello degli uomini, a quello delle donne c’è sempre la fila. Ride.
Per cinque minuti le dita di Tony tamburellano sul tavolo della cucina un ritmo ossessivo, che nessuno
ascolta.
Attaccata al muro una collezione di orologi dozzinali fa più rumore del traffico sulla provinciale.
- Ragazzi, cosa vi va di fare? - Non voglio vedervi annoiati.
Trasformato in roditore, a bocca chiusa dico: Ascoltiamo musica?
- Bravo, Andrea, pensaci tu, - dice, puntando un giradischi, due casse ravvicinate, enormi, e
una collezione di 45 giri, catalogati come in un negozio del centro.
Ubbidiente, metto un disco di Bowie, l’unico che conosco.
Dopo le prime note mi giro per vederne l’effetto.
Vida e Tony si baciano con furore.
Perché ho messo quella canzone? Perché sono qui?
Mi sento spacciato.
Sconcertato faccio quello che non dovrei fare, cerco altre canzoni.
Non ho il coraggio di girarmi. Si è spento il mio motore.
Sento un fruscio alle mie spalle, sento l’odore di shampoo dozzinale, appena fatto.
Mi giro. Le sue labbra si incollano alle mie. Un bacio intenso, forte, profondo.
Per non soffocare, mi stacco bruscamente.
- Non riesco a credere che stai facendo tutto questo per noi, - dico.
- Avete fatto fuori un pacchetto di sigarette da dieci e una moka da sei, non ci vuole molto a capire che
vi mancavano i miei baci. Ride.
Finalmente Tony riacquista la parola.
- Come me la gioco questa? - dice, pedalando al massimo su una cyclette da camera scorticata dagli anni e
dal sudore.
- Ci tengo molto a voi, ogni volta che comincio a odiare i compagni di classe,
incrocio i vostri sguardi e mi rassereno, siete la mia medicina, dolce, - dice Vida.
Faccio un mezzo sorriso, tipo quello che accompagna i non vedenti per farsi perdonare di essere ciechi.
Se penso a quanto tempo sono stato senza una ragazza mi viene voglia di uccidermi, e lei si sta offrendo.
Il momento meno intimo della mattinata diventa quando mi infilo un paio di infradito gialle trovate sotto il
letto.
- Abbiamo lo stesso numero, - dico raggiante, mentre nascondo i calzini in tasca e sistemo le mie scarpe
lerce nel porta riviste vuoto.
- No, ti prego, sono di mia madre quelle.
-Tua madre dorme qui?
- Sì, dove la vuoi far dormire? In garage?
- E che ne so io, tuo padre pure?
- Non ce l’ho un padre.
Tony mi tira un calcetto sulla caviglia e mi sbrigo a dire:
- Non ti sei persa niente, sono solo una rottura di palle i padri. - Il mio pretende che la domenica stia due
ore seduto a vedere come si abbuffa, per poi darmi cinquemila miserabili lire che mi bastano appena per la
Cantina, e tre sigarette Nazionali.
Offrire un velo al suo imbarazzo per la perdita del padre, mi riesce abbastanza bene.
- Ecco perché fai spesso l’autostop.
- Tu cosa vuoi veramente, Vida?
- Credevo di saperlo.
I suoi occhi sono sotto una cascata di lacrime, la sua leggerezza è scomparsa, ora c’è posto per una
sconcertante sconfitta personale.
Guardo Tony atterrato sul bracciolo del divano con un tubetto di maionese che esce dalla tasca. Non ho
altro fratello, altro amico, altro prossimo che Tony.
- Scusatemi se vi ho piantati in asso, - dice. - Cercavo di farmi un panino e ho trovato solo la maionese.
- In questa casa non c’è pane, io e mamma siamo celiache.
- Insultami per quello che ho pensato.
- E cosa?
- Che fosse solo per perdere peso.
- Ti sembro grassa? - Sono grassa solo qui, - dice, toccando il seno abbondante.
Gli occhi di Tony sanguinano per come li spalanca, io bevo un altro caffè, mi specchio nella latta di
una scatola di biscotti.
Vida si mette in una specie di custodia punitiva, pentita di averci turbati, abbiamo un anno di meno per
aver anticipato la scuola, siamo i suoi piccoli amici.
- Mi ci porterete nella Cantina?
- Certamente, se a te fa piacere, Vida.
- Ma la Cantina sta proprio sotto sotto?
- Dalle finestrelle con le sbarre si vedono le scarpe della gente che passeggia su via Ostiense, per fortuna
c’è la retina.
- E a cosa serve la retina?
- A non far entrare gatti, topi e zanzare e a non farci sputare sulle scarpe dei passanti. Rido.
- Ma quanto siete pazzi. Ride.
- Dai, non ti spaventare, è un bel posto, allestito da bravi ragazzi, un po’ comunisti. Ma ascolti musica
‘House’, mica ‘ El pueblo unido ’.
Si libera dell’accappatoio a un passo dall’armadio, facciamo in tempo lo stesso a vederla nuda.
Indossa un abitino corto popolato di fiori. Per dirla in modo semplice, io e Tony la osserviamo orgogliosi e
felici, come se ci appartenesse tutto quel colore.
Tony trova una canzone dei Beatles, per un’illusione psichedelica i suoi ricci si mischiano ai disegni
della carta sul muro.
Agguanto Vida e faccio finta di ballare fino al marmo della cucina, solo per avere di nuovo un suo bacio.
Tony sorride. Ho due chiazze di sudore sotto le braccia che arrivano fino alle tasche del jeans.
Viscido di saliva, Vida, con un gesto improvviso riesce a sfilarsi l’unico anello che ha al dito, lo tira a Tony.
- La mia vita ricomincia, - dice con la voce che non sembra di una sedicenne.
-Tua madre lavora lontano? - chiedo mentre spedisco un barattolo di frutta sciroppata con il cucchiaino di
Toni ficcato dentro, nel lavandino.
- Ha un negozio di maglieria proprio all’angolo.
- Se vende roba confezionata economica, ci andrò.
- Fa maglioni su misura. -Tu scegli la lana, il colore, e lei con una macchina li esegue. -Te lo regalo io,
un maglione fatto da lei, se mi dici il mese del tuo compleanno.
- Non riuscirei a ricambiare
- Insisto, Andrea, non mortificarmi.
- Va bene, il mio compleanno è tra poco, a dicembre, ti farò assaggiare il vino di nonno mio che ho a casa,
ma non vorrei apparire troppo campagnolo, troppo grezzo. Rido.
- Hai detto ‘nonno mio’, si vede che gli vuoi molto bene.
- Parecchio. Mi si lucidano gli occhi.
- Dai che ti prendo le misure, e portami il vino, che a mamma piacerà di sicuro.
Da un cassetto sfila un metro arrotolato, da sarto. Misura larghezza delle spalle, lunghezza delle braccia.
Partendo dal collo arriva sotto la cinta. Il mio sguardo diventa ansioso.
- Che hai paura che ti tocchi? Ride.
Tony che segue la scena addossato alla lavatrice, ride pure lui.
- Non sono abituato a farmi misurare, - tutto qui.
- Devi dirmi il colore.
- Avana, lo voglio avana e peloso, che si apre davanti con i bottoni. - Però lo pago, ho qualche lira
favolosamente da parte, niente regali.
- D’accordo, ti farò solo lo sconto, dirò a mia madre di anticipare i saldi invernali per te.
- Sei un tesoro.
- Lo so.
Ora i mozziconi gettati dal balcone coprono metà del giardino condominiale, siamo nel cuore di un mattino
freddo, la gente esce talmente coperta che non li vede.
In disparte c’è un altro divano, elegante, ma con i cuscini di pelle sventrati.
Vida ci si siede senza accavallare le gambe, i suoi occhi sono acquosi e neri in modo assurdo.
Non se la sente di tenere il segreto.
- Era il divano di papà. Ci stava le ore a leggere libri e giornali. Era uno scrittore, pure conosciuto.
- Morto?
- Macché, ci ha solo abbandonate.
Dopo la rivelazione siamo meno contenti per quel boccone non inghiottibile.
Nel più piccolo teatro che conosciamo sta per finire la nostra apparizione, io e Tony ce ne andiamo
considerando che la vita per lei sarà bella comunque.
La salutiamo con la mano, con rispetto per il suo dolore.
A modo nostro ognuno è innamorato di lei, a modo nostro ognuno rinuncia a lei.
Guardo Tony e mi commuovo, non mi aspettavo un esempio così potente della nostra amicizia.
Lei resta sulla porta a osservarci, le scale si inclinano dolcemente verso un portone gigante.
Le nostre ombre appuntite si allontanano in fretta. Eravamo stati lì solo perché avevamo finito i posti dove
non eravamo mai stati, ci sforziamo di pensare .
Vida non percepisce la nostra sofferenza, il nostro finto cinismo, e grida dal balcone:
- Tornate quando volete, - pure se c’è mia madre.
La vita è fatta di piccole felicità insignificanti, simili a minuscoli fiori. Non è fatta solo di grandi cose, come lo studio, l'amore, i matrimoni, i funerali. Ogni giorno succedono piccole cose, tante da non riuscire a tenerle a mente né a contarle, e tra di esse si nascondono granelli di una felicità appena percepibile, che l'anima respira e grazie alla quale vive.
All’uscita di scuola siamo in combutta per la stessa fermata, ma autobus diversi, io e Vida.
Il mio gira per la borgata, il suo arriva fino ai Castelli, dopo parecchie fermate e dopo parecchi alberi.
Vida è una figura ipnotica e umana, solo successivamente femminile, e mi dispiace proprio perderla di
vista, anche solo per un pomeriggio.
- C’è un vero tesoro nei tuoi silenzi, - mi dice ogni volta che ascoltiamo musica con una cuffietta per uno.
Mi sbuffa il fumo in faccia, e mi lascia intendere qualcosa di profondo che non capisco.
Il mio compagno di banco da due anni, Tony, sembra un personaggio immaginario, ma ha gli stessi
ingredienti di un ragazzo buono e simpatico. Quando prende peso la sua testa si rimpicciolisce,
sprofonda nelle spalle. Tony si esprime con difficoltà, si impunta, specialmente se interrogato.
Piace a tutt’e due Vida, ma una ragazza non si può dividere in porzioni. Che poi, noi una
ragazza non l’abbiamo mai avuta, siamo solo svelti a frodare il flipper con le rotelle del ferramenta, e a
imbucarci al cinema attraverso le uscite di sicurezza non allarmate.
Chissà come le è venuto in mente, un giorno, di invitarci a casa sua con la frottola di studiare insieme.
Alle nove del mattino ci apre la porta con i capelli umidi di doccia e un accappatoio bianco lungo che non
mostra nulla.
La cucina è deserta, c’è solo una moka, gonfia di caffè caldo, e dei biscottini così piccoli, da prendere
con le pinzette, come quando ti fai una canna e non vuoi sprecare nulla.
- Non pensavo che sareste arrivati così presto, ma sono contenta, - dice, mentre piazza tre tazzine su una
tovaglia di plastica.
- Be’ Tony sta dalle otto sotto casa mia, nemmeno in bagno sono andato.
- Qui ce ne sono due, vai a quello degli uomini, a quello delle donne c’è sempre la fila. Ride.
Per cinque minuti le dita di Tony tamburellano sul tavolo della cucina un ritmo ossessivo, che nessuno
ascolta.
Attaccata al muro una collezione di orologi dozzinali fa più rumore del traffico sulla provinciale.
- Ragazzi, cosa vi va di fare? - Non voglio vedervi annoiati.
Trasformato in roditore, a bocca chiusa dico: Ascoltiamo musica?
- Bravo, Andrea, pensaci tu, - dice, puntando un giradischi, due casse ravvicinate, enormi, e
una collezione di 45 giri, catalogati come in un negozio del centro.
Ubbidiente, metto un disco di Bowie, l’unico che conosco.
Dopo le prime note mi giro per vederne l’effetto.
Vida e Tony si baciano con furore.
Perché ho messo quella canzone? Perché sono qui?
Mi sento spacciato.
Sconcertato faccio quello che non dovrei fare, cerco altre canzoni.
Non ho il coraggio di girarmi. Si è spento il mio motore.
Sento un fruscio alle mie spalle, sento l’odore di shampoo dozzinale, appena fatto.
Mi giro. Le sue labbra si incollano alle mie. Un bacio intenso, forte, profondo.
Per non soffocare, mi stacco bruscamente.
- Non riesco a credere che stai facendo tutto questo per noi, - dico.
- Avete fatto fuori un pacchetto di sigarette da dieci e una moka da sei, non ci vuole molto a capire che
vi mancavano i miei baci. Ride.
Finalmente Tony riacquista la parola.
- Come me la gioco questa? - dice, pedalando al massimo su una cyclette da camera scorticata dagli anni e
dal sudore.
- Ci tengo molto a voi, ogni volta che comincio a odiare i compagni di classe,
incrocio i vostri sguardi e mi rassereno, siete la mia medicina, dolce, - dice Vida.
Faccio un mezzo sorriso, tipo quello che accompagna i non vedenti per farsi perdonare di essere ciechi.
Se penso a quanto tempo sono stato senza una ragazza mi viene voglia di uccidermi, e lei si sta offrendo.
Il momento meno intimo della mattinata diventa quando mi infilo un paio di infradito gialle trovate sotto il
letto.
- Abbiamo lo stesso numero, - dico raggiante, mentre nascondo i calzini in tasca e sistemo le mie scarpe
lerce nel porta riviste vuoto.
- No, ti prego, sono di mia madre quelle.
-Tua madre dorme qui?
- Sì, dove la vuoi far dormire? In garage?
- E che ne so io, tuo padre pure?
- Non ce l’ho un padre.
Tony mi tira un calcetto sulla caviglia e mi sbrigo a dire:
- Non ti sei persa niente, sono solo una rottura di palle i padri. - Il mio pretende che la domenica stia due
ore seduto a vedere come si abbuffa, per poi darmi cinquemila miserabili lire che mi bastano appena per la
Cantina, e tre sigarette Nazionali.
Offrire un velo al suo imbarazzo per la perdita del padre, mi riesce abbastanza bene.
- Ecco perché fai spesso l’autostop.
- Tu cosa vuoi veramente, Vida?
- Credevo di saperlo.
I suoi occhi sono sotto una cascata di lacrime, la sua leggerezza è scomparsa, ora c’è posto per una
sconcertante sconfitta personale.
Guardo Tony atterrato sul bracciolo del divano con un tubetto di maionese che esce dalla tasca. Non ho
altro fratello, altro amico, altro prossimo che Tony.
- Scusatemi se vi ho piantati in asso, - dice. - Cercavo di farmi un panino e ho trovato solo la maionese.
- In questa casa non c’è pane, io e mamma siamo celiache.
- Insultami per quello che ho pensato.
- E cosa?
- Che fosse solo per perdere peso.
- Ti sembro grassa? - Sono grassa solo qui, - dice, toccando il seno abbondante.
Gli occhi di Tony sanguinano per come li spalanca, io bevo un altro caffè, mi specchio nella latta di
una scatola di biscotti.
Vida si mette in una specie di custodia punitiva, pentita di averci turbati, abbiamo un anno di meno per
aver anticipato la scuola, siamo i suoi piccoli amici.
- Mi ci porterete nella Cantina?
- Certamente, se a te fa piacere, Vida.
- Ma la Cantina sta proprio sotto sotto?
- Dalle finestrelle con le sbarre si vedono le scarpe della gente che passeggia su via Ostiense, per fortuna
c’è la retina.
- E a cosa serve la retina?
- A non far entrare gatti, topi e zanzare e a non farci sputare sulle scarpe dei passanti. Rido.
- Ma quanto siete pazzi. Ride.
- Dai, non ti spaventare, è un bel posto, allestito da bravi ragazzi, un po’ comunisti. Ma ascolti musica
‘House’, mica ‘ El pueblo unido ’.
Si libera dell’accappatoio a un passo dall’armadio, facciamo in tempo lo stesso a vederla nuda.
Indossa un abitino corto popolato di fiori. Per dirla in modo semplice, io e Tony la osserviamo orgogliosi e
felici, come se ci appartenesse tutto quel colore.
Tony trova una canzone dei Beatles, per un’illusione psichedelica i suoi ricci si mischiano ai disegni
della carta sul muro.
Agguanto Vida e faccio finta di ballare fino al marmo della cucina, solo per avere di nuovo un suo bacio.
Tony sorride. Ho due chiazze di sudore sotto le braccia che arrivano fino alle tasche del jeans.
Viscido di saliva, Vida, con un gesto improvviso riesce a sfilarsi l’unico anello che ha al dito, lo tira a Tony.
- La mia vita ricomincia, - dice con la voce che non sembra di una sedicenne.
-Tua madre lavora lontano? - chiedo mentre spedisco un barattolo di frutta sciroppata con il cucchiaino di
Toni ficcato dentro, nel lavandino.
- Ha un negozio di maglieria proprio all’angolo.
- Se vende roba confezionata economica, ci andrò.
- Fa maglioni su misura. -Tu scegli la lana, il colore, e lei con una macchina li esegue. -Te lo regalo io,
un maglione fatto da lei, se mi dici il mese del tuo compleanno.
- Non riuscirei a ricambiare
- Insisto, Andrea, non mortificarmi.
- Va bene, il mio compleanno è tra poco, a dicembre, ti farò assaggiare il vino di nonno mio che ho a casa,
ma non vorrei apparire troppo campagnolo, troppo grezzo. Rido.
- Hai detto ‘nonno mio’, si vede che gli vuoi molto bene.
- Parecchio. Mi si lucidano gli occhi.
- Dai che ti prendo le misure, e portami il vino, che a mamma piacerà di sicuro.
Da un cassetto sfila un metro arrotolato, da sarto. Misura larghezza delle spalle, lunghezza delle braccia.
Partendo dal collo arriva sotto la cinta. Il mio sguardo diventa ansioso.
- Che hai paura che ti tocchi? Ride.
Tony che segue la scena addossato alla lavatrice, ride pure lui.
- Non sono abituato a farmi misurare, - tutto qui.
- Devi dirmi il colore.
- Avana, lo voglio avana e peloso, che si apre davanti con i bottoni. - Però lo pago, ho qualche lira
favolosamente da parte, niente regali.
- D’accordo, ti farò solo lo sconto, dirò a mia madre di anticipare i saldi invernali per te.
- Sei un tesoro.
- Lo so.
Ora i mozziconi gettati dal balcone coprono metà del giardino condominiale, siamo nel cuore di un mattino
freddo, la gente esce talmente coperta che non li vede.
In disparte c’è un altro divano, elegante, ma con i cuscini di pelle sventrati.
Vida ci si siede senza accavallare le gambe, i suoi occhi sono acquosi e neri in modo assurdo.
Non se la sente di tenere il segreto.
- Era il divano di papà. Ci stava le ore a leggere libri e giornali. Era uno scrittore, pure conosciuto.
- Morto?
- Macché, ci ha solo abbandonate.
Dopo la rivelazione siamo meno contenti per quel boccone non inghiottibile.
Nel più piccolo teatro che conosciamo sta per finire la nostra apparizione, io e Tony ce ne andiamo
considerando che la vita per lei sarà bella comunque.
La salutiamo con la mano, con rispetto per il suo dolore.
A modo nostro ognuno è innamorato di lei, a modo nostro ognuno rinuncia a lei.
Guardo Tony e mi commuovo, non mi aspettavo un esempio così potente della nostra amicizia.
Lei resta sulla porta a osservarci, le scale si inclinano dolcemente verso un portone gigante.
Le nostre ombre appuntite si allontanano in fretta. Eravamo stati lì solo perché avevamo finito i posti dove
non eravamo mai stati, ci sforziamo di pensare .
Vida non percepisce la nostra sofferenza, il nostro finto cinismo, e grida dal balcone:
- Tornate quando volete, - pure se c’è mia madre.