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REGGLE
Jack spense la sigaretta sul muro. Guardò il coltellaccio nella sua mano e si chiese cosa stesse facendo lì. Una goccia di sangue cadde sul pavimento, il rumore gli sembrò un colpo di pistola nelle orecchie. Cadde in ginocchio, la testa fra le mani, la stanza girava. Dopo un tempo indefinito vide la luce che filtrava attraverso le persiane. Udì quel suono così familiare. Si rimise in piedi, stringendo i denti e i pugni. Fissò quella luce, e provò a urlare, ma riusciva solo a provare più dolore. «Eccomi», disse, facendo un passo avanti: «Non pensare di farla franca!» In realtà era lui a essere fuori combattimento.
Jack pensò che non avrebbe dovuto provarci nemmeno. Non era mai stato portato per certe cose e poi la vista del sangue lo mandava in tilt; più d’una volta gli era capitato di svenire. Ma ora, nel perdere i sensi, aveva battuto la testa contro un ferro appuntito. E proprio all’altezza della tempia. Per un momento aveva visto tutto nero. Un buio fitto, picchiettato da mille spilli luminosi. Ecco cosa significa vedere le stelle. Pensò.
Maddie aveva insistito tanto; e così non aveva potuto esimersi. Non avrebbe certo voluto passare per pavido ai suoi occhi. Per questo aveva acconsentito, ma l’impresa si era rivelata più difficile del previsto.
Si stava dando da fare nella semioscurità di quella cantina già da più di un’ora, tanto che ormai era l’alba e lei, Maddie, dietro la porta con la sua voce bassa, così vellutata, con quel tono familiare a chiedergli: «Allora, a che punto sei?»
«Ci sono quasi.» rispose Jack, ma temeva di non essere neppure all’inizio.
Lo aveva ferito, questo sì. Quello, chiuso nel sacco, a tratti sembrava già morto, ma ogni tanto dava segni di vita, emettendo suoni terribili e muovendosi all’improvviso con gesti sconnessi che facevano rotolare il sacco ora di qua ora di là. No, non aveva finito. Ma dopo tutto che fretta c’era? L’importante era portare a fine il suo compito. Maddie poteva giurarci, ne sarebbe venuto a capo; anche se non aveva mai fatto niente di simile in vita sua.
Forse gli occorreva maggiore determinazione; avrebbe dovuto concentrarsi meglio, evitare di colpire alla cieca.
Si accese un’altra sigaretta. Magari era troppo nervoso quando aveva iniziato e i colpi, inferti con mano insicura, non avevano sortito l’effetto desiderato; nessuna coltellata era stata mortale. Eppure qualcuna doveva essere andata a buon segno se quello restava immobile. Forse stava morendo, solo che ci metteva del tempo. E poi ora avrebbe potuto eliminare il sacco, e colpire dritto al cuore.
«Vieni qua, Reggle, figlio di puttana, che ti aggiusto io!» Jack colpì ancora il sacco a coltellate cieche. Quello emise suoni strazianti e prese a dimenarsi dentro il sacco. Poi di nuovo silenzio. C’era odore di sangue nella stanza, e di vomito. Jack stava sempre più male, avvertiva fitte acute allo stomaco, dolorosissime.
«Jack, che stai facendo, hai finito?»
«Quasi, Maddie, lasciami fare.»
«Volevo solo sapere se posso entrare.»
«No. Non ancora. Ti chiamo io quando finisco.»
Jack slacciò con cura la corda del sacco: «Ora ti finisco bastardo! Hai i minuti contati.» Ma si sbagliava.
Quello, una volta fuori dal sacco a piedi legati, ingaggiò un combattimento in piena regola, senza esclusione di colpi. Non era facile prendere la mira per assestargli il colpo giusto perché saltellava, come svolazzando per la stanza, facendo un gran fracasso, urtando e facendo cadere tutto quello che si trovava davanti. Beccava a sangue Jack, quando si avvicinava.
«Ma che succede?» domandava Maddie dietro la porta.
Jack avrebbe voluto mandarla a quel paese, lei e le sue idee balzane.
Ho pensato di andare a prendere il tacchino per il Ringraziamento direttamente in fattoria, così i bambini potranno vederlo vivo e ci potranno giocare. Non è una bella idea? E poi con questa scusa facciamo una gita. Gli aveva detto. E lui, scemo, s’era fatto convincere.
«Niente succede. Ormai è fatta.»
Trascorse ancora una mezz’ora, finché Jack uscì dalla cantina. Sanguinante, con le piume incollate alle ferite e l’aria stralunata. Non aveva certo lo sguardo fiero del vincitore, ma il suo stupore giunse al colmo quando Maddie, candida, gli domandò: «Ora, chi lo spenna?»
L’acqua bolliva nel calderone di rame da oltre un’ora. L’animale penzolava a testa in giù; dal becco gocciolavano sangue e schiuma. Maddie portò giù in cantina un grembiule enorme per Jack e lui, che si sentiva più vittima che carnefice, suo malgrado finì per indossarlo.
«Devi finire prima che si sveglino Tom e Alice; i bambini non devono vedere, altrimenti si impressionano.»
«Lo cercheranno, ieri hanno trascorso tutto il pomeriggio correndogli dietro gli hanno dato anche un nome. Lo hanno chiamato Reggle.»
«Ma no. Non vedendolo, non ci penseranno più. Io cercherò di distrarli.»
«Facciamo al contrario? Io li distraggo e tu spenni.»
«Scherzi? Solo a pensarci mi viene la nausea.»
«A me no invece, vero? Non potremmo resuscitarlo? Già non è in nostro potere.»
«Che sciocchezze dici,» gridò esasperata Maddie «possibile che tu abbia sempre voglia di scherzare? Abbiamo ospiti; sbrigati, che devo cucinare.»
«Possibile che tu sia completamente priva di humor?» ora anche Jack era visibilmente alterato «Se i bambini piangono, compriamo un altro Reggle.»
«Jack, non tergiversare. Ci siamo divisi i compiti: tu lo spenni, io lo cucino.»
La discussione si faceva sempre più animata e quando Maddie si innervosiva volava di tutto: piatti, bicchieri, bottiglie…
«No, non quella!» Jack riuscì a stento a salvare una bottiglia costosa di vino francese, custodita religiosamente, strappandola di mano a Maddie. Poi con aria rassegnata si infilò il grembiule.
Tornata la pace in famiglia, Reggle, spennato a dovere, fu portato in cucina e affidato alle cure di Maddie.
Tutto sembrava filare liscio. Nonni e zii cominciarono ad arrivare e i bambini, intenti ai loro giochi con i cugini, non chiesero del compagno pennuto col quale s’erano trastullati il giorno prima.
Per casa si diffondeva un profumo da far venire l’acquolina in bocca a un morto. Tutti non vedevano l’ora di mettersi a tavola. Finalmente Reggle fece il suo ingresso trionfale in sala da pranzo e, posto al centro tavola, suscitò l’applauso dei commensali. Gli occhi verdi di Alice ebbero un guizzo malizioso nel fissarsi in quelli di Tom, il fratellino più piccolo, poi disse non senza cattiveria: «È Reggle.» Lo disse a bassa voce in modo che solo lui potesse sentirla.
Di colpo, la tragedia. Tom scoppiò a piangere disperatamente. Alice prese a beffeggiarlo. Lui le tirò manate di salsa in faccia, lei gli fu addosso. Maddie litigò con sua madre, colpevole d’aver guarnito il piatto con un trionfo di penne, mentre infuriava la guerra della salse, cui si unirono i cuginetti di Tom e Alice prendendo parte per l’uno o per l’altra. Jack si mise in mezzo per fermare gli indiavolati guerrieri e per mettere in salvo dagli spruzzi il tacchino, ma scivolò sulla salsa finita a terra in mezzo al vino e Reggle atterrò in mezzo ai bicchieri in frantumi. Gli ospiti fuggirono in giardino nell’inutile tentativo di salvare i vestiti della festa. Le mamme corsero in bagno a pulire i loro mostrini e quando tutto finì, perché anche le battaglie più cruente hanno termine, Maddie si rivolse a Jack con voce isterica: «Che fai lì impalato, aiutami a pulire, no?»
Quando si dice: una giornata cominciata male, pensava Jack.
REGGLE
Jack spense la sigaretta sul muro. Guardò il coltellaccio nella sua mano e si chiese cosa stesse facendo lì. Una goccia di sangue cadde sul pavimento, il rumore gli sembrò un colpo di pistola nelle orecchie. Cadde in ginocchio, la testa fra le mani, la stanza girava. Dopo un tempo indefinito vide la luce che filtrava attraverso le persiane. Udì quel suono così familiare. Si rimise in piedi, stringendo i denti e i pugni. Fissò quella luce, e provò a urlare, ma riusciva solo a provare più dolore. «Eccomi», disse, facendo un passo avanti: «Non pensare di farla franca!» In realtà era lui a essere fuori combattimento.
Jack pensò che non avrebbe dovuto provarci nemmeno. Non era mai stato portato per certe cose e poi la vista del sangue lo mandava in tilt; più d’una volta gli era capitato di svenire. Ma ora, nel perdere i sensi, aveva battuto la testa contro un ferro appuntito. E proprio all’altezza della tempia. Per un momento aveva visto tutto nero. Un buio fitto, picchiettato da mille spilli luminosi. Ecco cosa significa vedere le stelle. Pensò.
Maddie aveva insistito tanto; e così non aveva potuto esimersi. Non avrebbe certo voluto passare per pavido ai suoi occhi. Per questo aveva acconsentito, ma l’impresa si era rivelata più difficile del previsto.
Si stava dando da fare nella semioscurità di quella cantina già da più di un’ora, tanto che ormai era l’alba e lei, Maddie, dietro la porta con la sua voce bassa, così vellutata, con quel tono familiare a chiedergli: «Allora, a che punto sei?»
«Ci sono quasi.» rispose Jack, ma temeva di non essere neppure all’inizio.
Lo aveva ferito, questo sì. Quello, chiuso nel sacco, a tratti sembrava già morto, ma ogni tanto dava segni di vita, emettendo suoni terribili e muovendosi all’improvviso con gesti sconnessi che facevano rotolare il sacco ora di qua ora di là. No, non aveva finito. Ma dopo tutto che fretta c’era? L’importante era portare a fine il suo compito. Maddie poteva giurarci, ne sarebbe venuto a capo; anche se non aveva mai fatto niente di simile in vita sua.
Forse gli occorreva maggiore determinazione; avrebbe dovuto concentrarsi meglio, evitare di colpire alla cieca.
Si accese un’altra sigaretta. Magari era troppo nervoso quando aveva iniziato e i colpi, inferti con mano insicura, non avevano sortito l’effetto desiderato; nessuna coltellata era stata mortale. Eppure qualcuna doveva essere andata a buon segno se quello restava immobile. Forse stava morendo, solo che ci metteva del tempo. E poi ora avrebbe potuto eliminare il sacco, e colpire dritto al cuore.
«Vieni qua, Reggle, figlio di puttana, che ti aggiusto io!» Jack colpì ancora il sacco a coltellate cieche. Quello emise suoni strazianti e prese a dimenarsi dentro il sacco. Poi di nuovo silenzio. C’era odore di sangue nella stanza, e di vomito. Jack stava sempre più male, avvertiva fitte acute allo stomaco, dolorosissime.
«Jack, che stai facendo, hai finito?»
«Quasi, Maddie, lasciami fare.»
«Volevo solo sapere se posso entrare.»
«No. Non ancora. Ti chiamo io quando finisco.»
Jack slacciò con cura la corda del sacco: «Ora ti finisco bastardo! Hai i minuti contati.» Ma si sbagliava.
Quello, una volta fuori dal sacco a piedi legati, ingaggiò un combattimento in piena regola, senza esclusione di colpi. Non era facile prendere la mira per assestargli il colpo giusto perché saltellava, come svolazzando per la stanza, facendo un gran fracasso, urtando e facendo cadere tutto quello che si trovava davanti. Beccava a sangue Jack, quando si avvicinava.
«Ma che succede?» domandava Maddie dietro la porta.
Jack avrebbe voluto mandarla a quel paese, lei e le sue idee balzane.
Ho pensato di andare a prendere il tacchino per il Ringraziamento direttamente in fattoria, così i bambini potranno vederlo vivo e ci potranno giocare. Non è una bella idea? E poi con questa scusa facciamo una gita. Gli aveva detto. E lui, scemo, s’era fatto convincere.
«Niente succede. Ormai è fatta.»
Trascorse ancora una mezz’ora, finché Jack uscì dalla cantina. Sanguinante, con le piume incollate alle ferite e l’aria stralunata. Non aveva certo lo sguardo fiero del vincitore, ma il suo stupore giunse al colmo quando Maddie, candida, gli domandò: «Ora, chi lo spenna?»
L’acqua bolliva nel calderone di rame da oltre un’ora. L’animale penzolava a testa in giù; dal becco gocciolavano sangue e schiuma. Maddie portò giù in cantina un grembiule enorme per Jack e lui, che si sentiva più vittima che carnefice, suo malgrado finì per indossarlo.
«Devi finire prima che si sveglino Tom e Alice; i bambini non devono vedere, altrimenti si impressionano.»
«Lo cercheranno, ieri hanno trascorso tutto il pomeriggio correndogli dietro gli hanno dato anche un nome. Lo hanno chiamato Reggle.»
«Ma no. Non vedendolo, non ci penseranno più. Io cercherò di distrarli.»
«Facciamo al contrario? Io li distraggo e tu spenni.»
«Scherzi? Solo a pensarci mi viene la nausea.»
«A me no invece, vero? Non potremmo resuscitarlo? Già non è in nostro potere.»
«Che sciocchezze dici,» gridò esasperata Maddie «possibile che tu abbia sempre voglia di scherzare? Abbiamo ospiti; sbrigati, che devo cucinare.»
«Possibile che tu sia completamente priva di humor?» ora anche Jack era visibilmente alterato «Se i bambini piangono, compriamo un altro Reggle.»
«Jack, non tergiversare. Ci siamo divisi i compiti: tu lo spenni, io lo cucino.»
La discussione si faceva sempre più animata e quando Maddie si innervosiva volava di tutto: piatti, bicchieri, bottiglie…
«No, non quella!» Jack riuscì a stento a salvare una bottiglia costosa di vino francese, custodita religiosamente, strappandola di mano a Maddie. Poi con aria rassegnata si infilò il grembiule.
Tornata la pace in famiglia, Reggle, spennato a dovere, fu portato in cucina e affidato alle cure di Maddie.
Tutto sembrava filare liscio. Nonni e zii cominciarono ad arrivare e i bambini, intenti ai loro giochi con i cugini, non chiesero del compagno pennuto col quale s’erano trastullati il giorno prima.
Per casa si diffondeva un profumo da far venire l’acquolina in bocca a un morto. Tutti non vedevano l’ora di mettersi a tavola. Finalmente Reggle fece il suo ingresso trionfale in sala da pranzo e, posto al centro tavola, suscitò l’applauso dei commensali. Gli occhi verdi di Alice ebbero un guizzo malizioso nel fissarsi in quelli di Tom, il fratellino più piccolo, poi disse non senza cattiveria: «È Reggle.» Lo disse a bassa voce in modo che solo lui potesse sentirla.
Di colpo, la tragedia. Tom scoppiò a piangere disperatamente. Alice prese a beffeggiarlo. Lui le tirò manate di salsa in faccia, lei gli fu addosso. Maddie litigò con sua madre, colpevole d’aver guarnito il piatto con un trionfo di penne, mentre infuriava la guerra della salse, cui si unirono i cuginetti di Tom e Alice prendendo parte per l’uno o per l’altra. Jack si mise in mezzo per fermare gli indiavolati guerrieri e per mettere in salvo dagli spruzzi il tacchino, ma scivolò sulla salsa finita a terra in mezzo al vino e Reggle atterrò in mezzo ai bicchieri in frantumi. Gli ospiti fuggirono in giardino nell’inutile tentativo di salvare i vestiti della festa. Le mamme corsero in bagno a pulire i loro mostrini e quando tutto finì, perché anche le battaglie più cruente hanno termine, Maddie si rivolse a Jack con voce isterica: «Che fai lì impalato, aiutami a pulire, no?»
Quando si dice: una giornata cominciata male, pensava Jack.