Venanzio Gobbi controlla pensieroso il calendario: non che si aspettasse di trovare qualche giorno in più o in meno, ma doveva spendere un po’ di quel tempo che in certi giorni non sapeva più come far trascorrere. Manca poco ormai a Natale, ma quest’anno Venanzio non è per niente in sintonia con la festa. Si ritrova a brontolare a mezza voce:
“Babbo Natale! Bella roba, bella invenzione! Ne trovi dappertutto: sui balconi, agli angoli delle strade come i vigili, si litigano i posti nei corridoi dei centri commerciali con i venditori del Folletto. Che schifo! Manca solo di farsene fare uno su misura, magari giovane, aitante e ben fornito da madre natura sotto il costume. E che cazzo! Scusa Barbara, scusa amore mio, mi è scappato!”
Pensieri che arrivano all’improvviso, veloci e traditori: se riesce ad afferrarli cerca di metterli in ordine, giusto per riempire il vuoto di certi momenti.
Con un sospiro Venanzio si alza, riordina la cucina da quel poco di disordine che la sua frugale colazione può aver lasciato, poi, con passo lento e un po’ strascicato, dentro a vecchie pantofole di velluto, se ne va in giro per casa.
Borbottando tra sé e sé completa il suo rituale mattutino, scandito da una serie di piccole incombenze che lo aiutano a vedere le lancette dell'orologio muoversi. Con calma rassetta il letto, ripiega per bene il pigiama, apre le finestre per cambiare aria e finalmente si decide: dall’armadio tira fuori la custodia della lavanderia con dentro l’abito da Babbo Natale.
Il suo Babbo Natale.
Nel controllare che tutto sia in ordine si accorge che una tasca della giacca si è in parte scucita: sospirando prende il cestino da lavoro di sua moglie, dopo qualche tentativo riesce ad infilare l’ago e, molto concentrato, punto dopo punto, rammenda lo strappo.
«Hai visto, Barbara, come sono diventato bravo? E tu che non ci credevi! Birbantella!»
Sul comò, accanto a un piccolo portagioie, c’è la fotografia di sua moglie: delicatamente toglie un niente di polvere dalla cornice e le manda un bacio.
Sono passati cinque anni da quella maledetta notte in cui la malattia se l'era portata via, senza un Dio che ascoltasse le sue preghiere.
Era appena passato Natale, avevano fatto in tempo a preparare assieme i regali per i bambini del quartiere. Il loro amico Giulio, anche lui senza figli né nipoti, ogni anno, da quando aveva aperto, una trentina di anni prima, un piccolo supermercato in fondo alla via, preparava il Natale con cura. Era il suo modo molto personale di ringraziare per le fortune che la vita gli aveva dato: lavoro, salute, amici e denaro.
A inizio novembre preparava la cassetta per le letterine per Babbo Natale, poi iniziava la ricerca di piccoli giochi per ogni frugoletto che capitasse nel negozio la Vigilia.
Venanzio e Barbara fin da subito si erano prestati volentieri a dare una mano, elfi cresciutelli e mai stanchi. Quando poi la barba di Venanzio si era fatta, quasi improvvisamente, bianca e la pancetta un po' prominente, il ruolo di Babbo Natale divenne naturalmente suo. Senza se e senza ma.
Ogni anno, per qualche settimana, quella che avrebbe dovuto essere la stanza dei loro figli si riempiva di scatole di fiocchi, di carta da regali e di tanti regalini da incartare, semplici ma di buon gusto. Sapevano bene che quei regali non erano niente di speciale, ma in quel quartiere alla periferia di una città che si vedeva elegante e nobile, c'erano famiglie che facevano i miracoli per arrivare a fine mese e loro, un po' più fortunati, cercavano di dare una spintarella a quei miracoli.
Come si erano divertiti! E come si sentivano leggeri portandosi a casa i sorrisi dei bambini e il grazie silenzioso di tanti genitori.
Ma quest’anno questo Babbo Natale è stanco, disilluso. È stanco non per l’impegno necessario a preparare tanti doni o al pensiero della fatica di una giornata senza un attimo di sosta, in mezzo alla confusione, al nervosismo degli ultimi acquisti: non si può essere stanchi della parte divertente del proprio ruolo.
È stanco di ipocrisia, di falso buonismo e di richieste assurde che legge nelle letterine che già a novembre comincia a ricevere. È stufo marcio di narcisismo mascherato dalla facciata di buone azioni, di canti natalizi ripetuti senza capire il significato delle parole.
Non ne può più di essere buono, di passare per fesso.
E poi le cose stavano cambiando, troppo: anche in quel quartiere era andato perdendosi il senso di sostegno reciproco, di solidarietà, spesso scambiata per carità e quindi rifiutata. La comprensione era spesso confusa con la compassione. Molti, pur di non ammettere i propri limiti, si indebitavano per stare al passo con chi pareva potesse permettersi tante cose, poi si incattivivano per scadenze pressanti… un giro perverso che stava rendendo la gente insofferente e indifferente, sempre più chiusa nei suoi egoismi e nelle rabbie che i problemi si portavano appresso.
Sensazioni confuse che Venanzio sentiva sulla pelle ogni giorno, quando usciva per la piccola spesa, in fila alla posta o in banca, ai giardinetti.
Anche i bambini non erano più gli stessi.
Le letterine che con pazienza Venanzio e Giulio leggevano la sera, erano enormemente diverse.
- Ti ricordi Giulio? Chiedevano cibo per i bimbi poveri, pastelli, una bamboletta. Pace.
- Forse non sapevano cosa volesse dire pace, ma si vedeva che le scrivevano da soli. Poi chiedevano un gioco, due. Adesso guarda qua che roba!
- Ah, che schifo! Leggi, leggi questa. Adalberto Giovannimaria Rossi: pensa che avendo tanti nomi abbia diritto a più giochi. Leggi, leggi e dimmi se non ci sarebbe bisogno di due scapaccioni.
- Ai genitori, però! Lo conosco Alberto. E conosco i suoi, hanno una villa a metà di via Manfredi. Pieni di soldi e di boria. Ve’ che roba: scritta persino con il computer.
- Così è sicuro che si capisce.
- Ha fatto persino un elenco numerato e per ogni regalo ha pure messo le alternative! No, sai cosa ti dico? Quattro sberloni ai genitori e un paio a lui, e poi chiamate il telefono di che colore volete, magari ci mettono anche loro l'aggiunta.
- Sai cosa ti dico io, invece? Che vado a dormire così non mi viene il bruciore di stomaco.
A quei desideri avrebbero pensato genitori, nonni, zii, ma per tutti i bambini che si fossero fermati davanti alla casetta di Babbo Natale ci sarebbe stato un piccolo regalino, qualcosa di simbolico, sperando che gli stessi genitori fossero in grado di far capire... cosa poi? Che non si può avere tutto? Che poco è sempre meglio di niente?
Questi pensieri finivano sempre con un Venanzio che scuote la testa sconsolato.
Ma il prossimo Natale sarebbe stato speciale: da tempo sta architettando qualcosa di molto sottile. E di cattivo. Ha deciso: quest'anno si cambia. A qualcuno, che ha cercato con cura certosina, regalerà ciò che si merita: in primis, la paura.
Quella fine fine, che una volta insinuatasi è ben difficile da rimuovere.
Per altri la vergogna, cui qualcuno dovrà mettere finalmente la faccia.
“Babbo Natale sarà anche un mito ma anche i miti possono cambiare!”
La Vigilia è arrivata, puntuale come sempre: i doni per i bambini sono già stati consegnati a Giulio il giorno prima, mentre sul tavolo della cucina c’è ancora uno scatolone, con alcuni regali molto speciali, che Venanzio estrae con cautela, neanche fossero fragili porcellane. Meglio controllare che tutto sia a posto: la Vigilia di Natale è sempre una giornata campale, sembra non finire mai e poi è già mezzanotte. L’ora delle consegne.
Ecco il regalo per l'ex assessore alle iniziative sociali, tal Renata Costantini.
Lo scorso anno alla Costantini era toccata la classica cerimonia di consegna dei "Cesti della Bontà" ai poveri che, stranamente, esistono anche in questa città. Il sindaco aveva inopportunamente scelto quel pomeriggio per farsi venire un infarto.
I frati del convento che si occupano di questi derelitti li avevano aiutati a prepararsi per bene, vestiti decorosamente con gli abiti che altri buttavano, ma la puzza della povertà è difficile da nascondere. Non è la puzza di gente che non può lavarsi ogni giorno, come vorrebbe, o che non ha un cambio d'abito sempre pronto: è la puzza che vedi in occhi tristi, rassegnati, in mani che visi scarni vorrebbero tenere nascoste in tasca, anziché tese per una carità di cui si vergognano.
Renata, tutta sorrisi e sguardi doverosamente compiti, non aveva ritenuto opportuno andare al cenone con lo stesso abito indossato per l'occasione. Si era cambiata, dopo essersi lavata con cura, schifata al pensiero di tutte le strette di mano e baci chissà, magari anche un po' bavosi che non aveva potuto esimersi dal ricambiare.
- Mi raccomando, Dolores, butta quei vestiti nel cassonetto. Senti che puzza!
Dolores invece sentiva un buon profumo e pensò bene di portare l'abito a Venanzio: sapeva che l'uomo raccoglieva abiti per i poveri e nel suo italiano un po' stentato gli aveva raccontato tutto.
Bene, bene. Anche Venanzio era presente alla cerimonia, aveva pure scattato qualche foto, così per diletto e Renata era proprio venuta bene. Andrea, un ragazzo con l'hobby della fotografia, ne aveva fatto un bell'ingrandimento, che padre Antonio aveva già appeso nella sala del convento dove nel pomeriggio si sarebbe tenuta ancora una volta la cerimonia.
“Torroni a chi ha due denti buoni sì e no, spumante a gente che ha più alcool che sangue e panettone a chi non riesce a digerire una minestra da tanto che non è più abituato a cibo vero!”
Venanzio già si pregustava la scena: dapprima la sorpresa di Renata, e la sua vanagloria…
- Ma Padre Antonio, non doveva, quella foto... lo faccio volentieri, ma si figuri!
... e poi la sorpresina! Virginia Gatti, prescelta per ricevere il primo cesto, si sarebbe presentata, facendosi largo tra i presenti, indossando il vestito della foto, ben stirato e odoroso di lavanda.
Purtroppo Venanzio non poteva presenziare, ma Andrea non avrebbe mancato di immortalare il momento. Come si sarebbe spento quel sorriso falso e ipocrita! Impossibile nascondere la figuraccia.
Bene bene: avanti il prossimo. Questa bella scatola è per Bruna Castellini, moglie titolata di Roberto Terrani, un industriale della zona.
Grande villa, auto di lusso, cameriere: tutto sbattuto in faccia agli amici di una volta, con cui aveva diviso pane e pane, sogni e fatiche. A lei era andata bene: si era trovata nella discoteca giusta alla festa di carnevale giusta. Non era stato difficile farsi sposare, e neanche scucirgli dei bei soldi. Lui viveva per il suo lavoro, per il resto andava bene la facciata di un matrimonio riuscito per le cene importanti, una moglie piacente che non gli facesse fare brutte figure.
Una volta al mese Bruna invitava le sue amiche di una volta, quelle che si erano accontentate di fare le operaie, le commesse, le maestre; le stesse che facevano fatica ad arrivare alla fine del mese, che le chiedevano un aiuto per un posto di lavoro per i figli, per una raccomandazione presso un medico nominato.
Oh, lei prometteva, metteva in borsetta le lettere, offriva il caffé facendo scintillare anelli e braccialetti sempre nuovi, regalava loro abiti smessi o con ancora in cartellino del prezzo attaccato; poi le faceva accompagnare a casa dall'autista.
Se qualcuna preferiva non accettare l'invito per non sentirsi stritolata da tutto quel lusso, Bruna ci rideva su e cancellava il nome dalla sua agendina di pelle.
Nella scatola la paura di Bruna: quella di tornare povera, di lavorare per quattro soldi, magari come le donne di servizio che cambiava ogni qualvolta le chiedevano due euro in più al mese. Le foto del marito con una bella ragazza, giovane e allegra. Persino lui sembrava più giovane e più sereno. Un registratore di quelli piccoli piccoli per la conversazione della coppia al ristorante. Quante ore aveva speso Venanzio dietro a quei due, sperando in un piccolo miracolo!
- Ho deciso, Gloria. Chiedo il divorzio. Ho già fatto preparare tutto dall'avvocato.
- Sei sicuro?
- Sicurissimo. Sapevo che non era un gran matrimonio il nostro, ma la morte di Giovanni no, quella no. Era malato, la moglie aveva chiesto a Bruna di farle avere un appuntamento con il professor Moranti, ma lei non ha fatto niente.
Si sentiva chiaramente la commozione dell’uomo, c’era del pianto in quelle parole.
- Guarda, Giovanni l'avrei portato in America se fosse stato necessario, siamo cresciuti assieme. Quando abbiamo visto la foto sul giornale di quel povero cristo che si è impiccato per la malattia, lei non ha fatto una piega, non è neanche venuta al funerale. È lì che ho saputo che le avevano chiesto aiuto.
- Forse…
- Niente forse: un po' di soldi e via, fuori dalla mia vita. Se è stata furba ha messo qualcosa da parte, altrimenti si arrangerà. Avevamo messo tutto nero su bianco, ma lei forse non se lo ricorda. Però mi devi star vicino, almeno tu.
Il resto erano chiacchiere di innamorati, le eterne frasi uguali in ogni tempo e in ogni lingua.
Nello scatolone altre piccole sorprese, maligne e diaboliche… ma è tardi, il supermercato apre tra poco, i bambini aspettano. Anche i grandi aspettano, ma non certamente le sorprese che questo Babbo Natale ha preparato.
Venanzio si avvia a piedi, col suo bel vestito rosso, sorridendo a tutti.
Allunga la strada per controllare un paio di cose: il signor Berti sta lavando la sua bella auto nuova, comprata con i soldi che qualche incauto risparmiatore gli aveva affidato. Un figurone andare alla messa di mezzanotte col macchinone: peccato che la busta che si ritroverà in mano all’uscita dalla chiesa non conterrà il contratto firmato che aspettava da un nuovo cliente!
Un assaggio anche per lui, che pensava di aver messo a posto con due soldi la coscienza di Virginia, la segretaria: carta canta e villan dorma, e quando i villani sono tanti e armati di forconi, sia pure simbolici, un finanziere di provincia improvvisato dovrebbe cominciare ad aver paura.
Alle prime avvisaglie di un sistema scricchiolante, Virginia aveva scoperto che anche i suoi genitori avevano versato a Berti i risparmi di una vita: era rimasta talmente stordita dalla notizia da rischiare di finire investita da Venanzio, che l'aveva soccorsa e ascoltata.
Le copie di contratti falsificati, che Berti credeva essere stati distrutti da Virginia, giovane segretaria ligia e obbediente, erano vivi e vegeti nella cassaforte di un bravo avvocato. Una fotocopia simbolica per un Buon Natale.
Basta, Babbo Natale adesso non vuol pensare ai suoi nuovi regali: davanti alla sua casetta di legno, nell’atrio del piccolo centro commerciale, ci sono già tanti bambini e lui deve essere un Babbo Natale allegro e sereno.
Quando finalmente la confusione di placa, si guarda un po' in giro.
In un angolo una bimbetta di cinque o sei anni, cappottino blu e scarpette di vernice, sta discutendo con suo padre, un uomo giovane, dagli occhi sorridenti che ascolta con attenzione la sua "signorina".
Lo vede ridere, prendere in braccio la bimba ed accennare a un passo di danza.
Poi, velocemente, si dirigono verso la galleria centrale, dove si aprono le vetrine di alcuni negozi. Vede la bambina fermarsi davanti a una di esse, indicare al padre qualcosa, poi qualcos'altro: la scelta è difficile, ad un certo punto la piccola pare innervosirsi, quasi si mette a piangere. Pesta pure i piedi, la piccoletta.
"Un'altra bambina viziata!"
Pochi minuti e la bambina torna, di corsa: si ferma un po' intimorita davanti a Babbo Natale, rivolge lo sguardo a suo padre che la invita a non essere timida.
- Maaa, tu fai davvero tanti regali ai bambini?
- Certo, sono Babbo Natale!
- Eeeee a te chi te li fa i regali?
- Nessuno, nessuno mi fa dei regali, sono io che…
- Vedi, babbo che avevo ragione! A lui non li fanno i regali! Te l'avevo detto! Non è giusto però!
Il ragazzo, con uno sguardo stranissimo, tra il commosso e l'ammirato, prende dalla tasca un pacchettino decorato con tanti nastrini colorati, lo porge alla bambina che si avvicina, ora più sicura, a Babbo Natale.
- Questo è per te! - e gli allunga il pacchettino.
- Per me? Ma davvero? Lo posso aprire?
- Domani, domani è Natale.
- Ma io sono Babbo Natale, non posso far finta…
- No, è per domani!
- Dai, non so resistere fino a domani! Per favore! Ti prego.
- E va bene! Aprilo.
Venanzio inizia a svolgere lentamente il pacchetto, piegando per bene i tanti nastrini, togliendo con cura il nastro adesivo, controllando di sottecchi l'eccitazione della bambina, che non sta più nella pelle per l’emozione.
Finalmente toglie il regalo dalla carta: un paio di guanti di lana, con le dita di colori diversi e tanti piccoli pon pon.
Con aria seria e compita Venanzio se li infila, si rimira le mani per bene, finge di controllare che le dita ci siano tutte; ferma anche Giulio per mostrargli il regalo.
Anche Giulio sta al gioco e per qualche minuto ammirano entrambi il piccolo dono.
- Proprio quello di cui avevo bisogno: fa sempre così freddo la notte di Natale!
- Ma pensa te: nessuno si era mai accorto che Babbo Natale non aveva i guanti.
- Ma saranno belli! Quasi quasi li tengo su, anche se qui fa caldo.
- Ma chi è stato a farti un così bel regalo?
- Oh una bambina molto gentile e carina! Ci vuole un regalo speciale per lei! Vediamo un po'…
- Ma io non voglio un regalo. Sai…
La bambina gli fa cenno di abbassarsi e gli confida il suo segreto, sottovoce.
- Avrò tanti regali, questa notte. Io lo so che Babbo Natale non esiste, che i regali li comprano mamma e papà. Però facciamo finta tutti e due di crederci, per favore.
Prima di andarsene vuole essere presa in braccio da Babbo Natale, per dargli un bacio schioccante: niente tiratina di barba, per controllare, come fanno i bambini che si credono furbetti, solo un bacio e poi di corsa a nascondersi tra le braccia del padre, rossa e confusa per l'emozione del momento
La piccola si allontana, saltellando felice, mentre il padre fa l'occhiolino ad un Babbo Natale dallo sguardo sorpreso e pensieroso.
Il supermercato ha finalmente chiuso. Nelle case si sta consumando l'ennesima vigilia consumistica, le campane stanno radunando abiti, scarpe e cravatte nuove attorno agli altari, mentre si stanno preparando le farse di cerimonie di solidarietà e di pretestuose opere di carità. Da qualche parte, silenziosamente e con modestia, le feste vere, semplici e che scaldano il cuore.
Nella piccola piazza, ormai deserta, un Babbo Natale solitario si sta avviando lentamente verso casa, con gli ultimi regali da consegnare, quei regali, dentro a uno scatolone grigio.
Non è più tanto stanco Babbo Natale. Babbo Natale non può essere stanco.
In cuor suo Venanzio non credeva che avrebbe avuto il coraggio di portare a termine il suo Natale, forse più che la consegna dei suoi regali, era stato il prepararli a soddisfare quel bisogno di rimettere a posto qualcosa, un segno per far capire a qualcuno che non può sempre pensare di farla franca solo perché è ricco e potente, o perché ha parlantina, furbizia e buoni avvocati. Si accorse, con sorpresa, che tutto sommato non gli interessava poi tanto consegnarli. Prima o poi ognuno avrebbe avuto quello che meritava:
“Lasciamogli passare un Buon Natale, dai. Magari sarà l’ultimo davvero buono.”
In un angolo della piazza c’è un cassonetto per l’immondizia, non ancora pieno: lo scatolone vi viene scaraventato dentro da un paio di guanti coloratissimi, coi pon pon.
Babbo Natale è un mito. I miti non possono cambiare. Non possono deludere.
Fatti pochi passi però Babbo Natale si toglie i guanti colorati, torna al cassonetto e recupera lo scatolone:
“E no, piccolina, ti meriti un Natale ripulito da un po’ di sporcizia!”
Venanzio, coi guanti colorati ben riposti in tasca, inizia il giro delle ultime consegne, terminato il quale se ne torna a casa, più leggero. Tempo addietro forse si sarebbe sentito meschino, ma non oggi. Non con quei bei guanti in tasca.
Quando si toglie l’abito, controlla che sia a posto: punti della tasca hanno tenuto ma c’è un piccolo strappo sulla manica:
“Eh, dai, così domani abbiamo qualcosa da fare, mentre le lasagne sono in forno!