Rodolfo stava lì.
E ci stava bene.
Su quella panchina verniciata di verde.
Quella panchina su cui molti avevano scritto dediche, iniziali dei propri innamorati con la cornice a cuore, insulti e disegni di genitali decisamente inequivocabili.
Quella panchina verniciata di verde, ma che ormai di verde aveva ben poco, era la panchina su cui Rodolfo aveva deciso di stare, poiché non c’era nessun altro posto al mondo dove lui potesse dire di poter stare veramente.
Stava lì.
Un po' per scelta, un po' per necessità, un po' per destino, così almeno si diceva tra sé e sé ogni tanto.
Aveva scelto di stare su quella panchina perché si affacciava verso l’unico “vero” pseudo-paesaggio verde della città: uno spiazzo di erba, con due alberelli posizionati ai due lati opposti, un’altalena un po' vecchia e arrugginita e un’aiuola piena di terra incolta in mezzo, contornata da piccoli sassolini colorati. L’altalena veniva usata di rado dai bambini, ma quando essi ci giocavano sopra, cercando di spingersi il più in alto possibile o anche quando c’era molto vento, essa produceva un cigolio molto forte. Era un suono che a Rodolfo non dispiaceva per niente, gli faceva compagnia, gli trasmetteva quasi calma, come quei suoni che solo gli oggetti e i mobili della propria casa producono.
Davanti al “parchetto”, se così lo possiamo definire, passavano ogni giorno centinaia di persone.
Alcune ormai era come se le conoscesse, poiché passavano alla stessa ora, tutti i giorni lavorativi, ma troppo di fretta, troppo occupati a non arrivare tardi a chissà qualche impegno o appuntamento per potersi concedere anche solo un saluto verso di lui.
Lui li conosceva tutti, li riconosceva. Ma loro no.
Spesso non lo guardavano nemmeno.
Rodolfo ogni tanto rideva di questo, si metteva addirittura a ridere da solo dicendosi con grande compiacimento di avere il superpotere dell’invisibilità.
Certi giorni invece al pensarci non gli veniva per niente da ridere.
Ma lui vedeva tutti.
Tutti, nessuno escluso.
Ognuno per lui era importante, essenziale per passare la giornata con un senso.
C’erano due momenti che Rodolfo trovava particolarmente piacevoli: il weekend e i giorni di pioggia.
Nel weekend “incontrava” persone nuove, poteva osservarle, notare dettagli, anche imbarazzanti. Inoltre aveva notato che in quei giorni il passo della gente rallentava leggermente. Non accadeva sempre, ma spesso si.
Qualcuno incrociava il suo sguardo, rispondeva al suo “Buongiorno” e per Rodolfo era la rivoluzione, anche se non sempre il saluto era accompagnato da un sorriso sincero, ma piuttosto da occhiate fugaci.
Nei giorni di pioggia invece era costretto a lasciare la sua panchina, ma questo non era poi un grosso problema, perché poteva trovare rifugio sotto un portico lì vicino, da cui poteva sempre tenere d’occhio la sua panchina e il suo parchetto vedendo talvolta qualcosa di nuovo, da una nuova prospettiva.
Rodolfo aveva notato che le persone quando piove, si comportano in modo buffo, soprattutto quando piove molto forte: ci sono spesso bambini che vorrebbero tuffarsi nelle pozzanghere e madri con i tacchi alla mano, sfoggiati stupidamente per l’uscita col figlio, che urlano come pazze alla loro volta. Ci sono ragazzi che corrono coraggiosi schizzando ad ogni balzo l’acqua intorno ai loro piedi, creando suoni con le loro scarpe zuppe che li inseguono fino alla destinazione. Ci sono gli ombrelli, di tutti i generi, quelli grossi e colorati ma anche quelli piccoli e mezzi rotti, dimenticati in fondo allo zaino dai ragazzi di scuola, che non riparano nulla se non forse la frangetta storta sulla loro fronte.
E Rodolfo stava lì.
E ci stava bene.
Ammirava le persone passare davanti a quella piccola cornice verde, immaginava la loro storia, creava conversazioni animate ed impossibili.
Rideva da solo, forse poteva ritenersi addirittura felice.
Ci stava bene.
O almeno così credeva, fino al giorno in cui sentì qualcuno picchiettare sulla sua spalla, ripetutamente.
<< Non trovo più la mia mamma >>
Girandosi vide che sulla sua panchina si era messa in piedi una bambina.
Rodolfo valutò che avesse intorno agli 8 anni.
La guardò confuso e non disse nulla, così lei ripeté: << Non trovo la mia mamma, mi può aiutare per favore? >>.
Rodolfo rimase ancora imbambolato a fissarla. Forse non si rendeva veramente conto che quella bambina si stesse rivolgendo veramente a lui.
La bambina aveva i capelli biondi, corti e un po' spettinati e un giaccone color verde petrolio, un po' troppo lungo sulle braccia e sulle gambe. che sicuramente teneva un gran caldo, considerando le guance rosse che aveva al momento. Forse per il caldo, forse per il timore di non trovare la mamma, o forse per l’imbarazzo di dover rivolgersi ad un signore sconosciuto.
Rodolfo pensò in realtà che si trattasse di vergona per doversi rivolgere ad un barbone come lui.
Non che lui si sentisse un barbone, assolutamente no! Lui aveva “scelto” di stare lì…ma effettivamente aveva le fattezze di un barbone: barba lunga e ingrigita, scarponi consumati e sporchi, una grande giacca grigia e pesante, ma non abbastanza per quell’inverno rigido, cosicché sulle ginocchia aveva bisogno di porre una coperta di lana, anche per riscaldare le mani che nascondeva sempre sotto di essa.
Quelle poche volte che riusciva a scorgere la propria immagine sui riflessi delle vetrine dei negozi, si rendeva conto che chiunque lo vedesse, nonostante in pochi si accorgessero di lui, avrebbe pensato che fosse un barbone.
A destarlo dai suoi pensieri ci pensò la bambina che ricominciò a picchiettare con più forza sulla sua spalla.
<< Signore lei è sordo? Mi sente? Non trovo la mia mamma mi deve aiutare >>
Rodolfo aprì di più gli occhi, guardandola << Non so dov’è la tua mamma >>
La bambina fermò il suo movimento e sorrise sorniona.
<< Ovvio che non lo sa, mi deve aiutare a trovarla >>
<< Non credo di poterti aiutare >>
<< E perché no? >>
Spiazzato dalla risposta, Rodolfo decise che bisognava dare un taglio alla conversazione.
<< Perché … perché io sono invisibile >> Disse come se fosse ovvio.
La bambina si mise a ridere. << Non è vero io ti vedo, sono piccola ma non stupida… e poi sei l’unico che mi può aiutare >>
<< Io? >>
<< Certo! Tu sei qui fermo a fare niente, mi devi aiutare perché non mi dà retta nessuno >>
Non sapeva se dovesse offendersi per quello che la ragazzina gli stava dicendo, ma non fece nemmeno in tempo a rispondere che lei continuò.
<< Io mi chiamo Rosetta, piacere! Tu come ti chiami? La mia mamma si chiama Maria, è molto bella, sicuramente l’hai vista prima! Ti siamo passate davanti e tu ci ha guardate. Ha una giacca marrone pelosissima e profumatissima, ma forse questo tu non lo puoi sapere. Siamo venute qui per comprare un regalo di Natale al nuovo compagno della mamma, un certo Christofer qualcosa. Comunque non è importante. Purtroppo non so in che negozio è entrata, io sono rimasta fuori … quindi dove iniziamo a cercare? >>
Quasi non respirò per dire tutto.
Rodolfo dovette rispondere per forza, anche se a fatica. Non era proprio abituato a parlare con le persone. Forse era anche da mesi che non parlava… non ricordava più l’ultima volta che fosse successo.
<< Io … mi chiamo Rodolfo >>
<< Che nome strano … mi piace. Quindi dove posso trovare la mamma secondo te? Te la ricordi? >>
<< Beh… io non saprei >> Si guardò un po' intorno, cercando di ricordare la donna descritta.
Era deluso da sé stesso, di solito riusciva a vedere tutti. Tutti nessuno escluso.
Erano gli altri a non vederlo.
Invece stavolta quella bambina aveva visto lui e non il contrario.
Proprio quando stava per suggerire un’idea per incominciare le ricerche irruppe un urlo.
<< Rosetta vai via da lì subito!! >>
Una signora stava camminando a passo di marcia verso la loro direzione e pareva infuriata.
<< Mamma! >> rispose di rimando la bambina.
<< Vieni via da lì, scendi subito!! >>
Rosetta si diede la spinta e saltò giù dalla panchina di Rodolfo in un solo balzo, tutta allegra.
Poi si girò verso di lui << Grazie davvero… Rodolfo! >>
<< Ma io non ho fatto niente >>
<< Mi ha vista perché ero sulla tua panchina, è stato come essere su un palcoscenico! >> disse ridendo brevemente, per poi spegnersi << Purtroppo mi sembra arrabbiata >>
La donna arrivò affianco alla panchina di corsa, con il fiatone e prese per il braccio la figlia allontanandola.
<< Via da qui ho detto, ma sei matta! >>
<< Mamma ho solo chiesto una mano a Rodolfo per cercarti, eri sparita >> cercò di giustificarsi.
<< E chi è Rodolfo ? >>
<< Questo signore >> Disse Rosetta come se fosse un fatto ovvio. Poi si girò verso di lui.
<< Non ti aveva visto, incredibile… sei veramente invisibile! >> Disse tutta eccitata.
Rodolfo sorrise imbarazzato, preferendo non rispondere davanti all’agitazione evidente della donna.
<< Allontanati forza >> poi abbassò nettamente il volume della voce, continuando a parlare << sei matta a parlare con certa gente… dammi la mano ora, o finisce che ti perdi nuovamente per strada >> Rodolfo percepì ogni parola con chiarezza e ciò gli lasciò un po' di amarezza, mentre la donna trascinava per il braccio quella bambina gentile che intanto scuoteva con forza la mano per salutarlo mentre si allontanava.
Il giorno seguente Rodolfo ripensò molto a lei, alla bambina che lo aveva visto.
E intanto guardava la gente passare.
Una ragazza un po' in carne si tirava su i pantaloni controllando che nessuno facesse caso al suo gesto.
Un uomo sulla cinquantina, con gli occhiali da sole e la giacca semiaperta, camminava a passo spedito, parlando ad alta voce all’auricolare nel proprio orecchio.
Una donna vestita in tuta e con i capelli disordinati tirati su da un mollettone, portava avanti a sé una carrozzina invece molto elegante, parlando con una vocetta molto buffa mentre da dentro la carrozzina un neonato urlava a squarciagola coprendo quasi la voce della madre.
<< Perché parla così secondo te? Tanto il bambino non la sta a sentire >> sentì dire alla sua destra. Si girò di scatto non aspettandosi che qualcuno fosse lì al suo fianco.
Era Rosetta, la bambina del giorno prima.
<< Ciao Rodolfo ero sicura di trovarti qui, tu qui sei … come il guardiano del parco! >> concluse ridacchiando fra sé e se.
<< Cosa ci fai qui? >> rispose lui spiazzato.
<< Mi ci ha mandato mia madre >>
<< Non credo … non credo sia possibile >> le rispose lui paziente.
<< Certo invece, è andata a ritirare un regalo in quel negozio di gioielli costosissimi là dietro, mi ha detto di giocare un po' al parchetto… ma devi ammettere che questo parco è davvero molto triste, non c’è neanche uno scivolo, poi capisco che sia inverno, ma non c’è nemmeno un fiore >>
Guardò molto criticamente lo spiazzo verde di fronte a sé e anche Rodolfo si mise a guardarlo, come ogni giorno.
<< A me piace >> rispose lui.
<< Impossibile >> esclamò contrariata e beffarda.
<< Si invece, a me piace >>
Rimasero un po' in silenzio. Rosetta stava ragionando sulla sua risposta, provò a piegare la testa prima in un senso, poi nell’altro, ma no, quel parchetto non sembrava neppure lontanamente un parchetto
A chi mai sarebbe potuto piacere?
<< Se fosse per me farei un bel buco li in mezzo e ci metterei dei pesci rossi, sai quelli grossi che si vedono in tv? Poi ci vorrebbe uno scivolo, per i bambini piccoli, anche se io che sono più grande ora preferisco l’altalena, magari ne servirebbe una nuova che non fa quel suono spaventoso…si lì ci metterei un piccolo scivolo, ma almeno potrei guardare i pesci nuotare e sarebbe già un bel passatempo per me. Mi piacerebbe avere un pesce rosso per Natale… beh in realtà mi piacerebbe avere un cane, ma so che alla mamma non piace, perché lascia i peli in giro per casa, quindi spero almeno in un pesce rosso >>
Rodolfo ammirava come riuscisse a fare un discorso così lungo senza mai interrompersi, lui non ce l’avrebbe mai fatta.
<< Tu cosa ci mettersi ? >>
Non si aspettava certo di essere interpellato così direttamente.
<< Beh … non saprei, a me piace così >>
Rosetta alzò gli occhi al cielo << Certo come no >>
A Rodolfo venne da sorridere << È vero perché non mi credi ? >>
<< Non ci credo e basta, è troppo triste … quindi su, cosa ci metteresti per renderlo più bello? Cosa ti piacerebbe? >>
Ci pensò su un po', guardando intensamente quei due alberi e quell’aiuola vuota contornata da sassi.
<< Credo… una tenda >>
<< Una tenda? >>
<< Certo, per poter rimanere qui anche quando piove, mi piacerebbe se ci fosse …una tenda per me >>
<< E credi che diventerebbe più bello? >> domandò dubbiosa.
<< Si >>
Rimasero ancora in silenzio, forse Rosetta si stava convincendo che potesse essere una buona idea.
<< Ieri non mi hai salutato sai ? non sei stato molto carino >>
<< Ah no? >> rispose lui non capendo a cosa si riferisse la bambina.
<< No >> rispose scuotendo la testa << non hai nemmeno tirato le mani fuori da li >> e indicò la sua coperta di lana.
Rodolfo le tirò fuori dalla coperta, come per mostrarle che le mani le aveva, poi le rimise sotto.
<< Hai ragione, è che fa freddo e quindi… >>
<< Cosa riceverai a Natale? >> domandò poi, ripartendo alla carica.
<< Niente >> rispose semplicemente lui.
<< Come niente?! >> esclamò scandalizzata.
Rodolfo sorrise, quella bambina lo faceva sorridere molto. Ma non era un sorriso amaro come quello che gli nasceva di solito sulle labbra. No quello era sincero, gli veniva naturale.
<< Babbo Natale non porta i regali a chi vive in strada >> cercò di spiegarle.
<< Babbo Natale non porta i regali a nessuno perché non esiste! >> rispose pronta lei << Te l’ho detto, sono piccola ma non stupida >> concluse con l’aria sostenuta.
Rodolfo non sapeva più cosa rispondere.
<< Quello che volevo sapere è… cosa riceverai dalle persone che ti vogliono bene? A me per esempio comprerà qualcosa mia mamma, anzi sono convintissima che mi abbia mandata qui proprio per comprarmi il regalo e non farmelo vedere. Insomma, c’è sempre qualcuno che fa “Babbo Natale” per te, mia mamma dice che il regalo arriva solo se sei stato bravo durante l’anno, ma sai, io credo che anche se non brava i regali mi arriveranno sempre e comunque. Poi dopo aver aperto i regali restiamo sempre a tavola tantissimo tempo, mangiamo tantissimo, o meglio, tutti i miei parenti mangiano tantissimo, a me non piace il pesce quindi mangio più pane che altro, con salame, prosciutto… ne posso mangiare più del solito, proprio perché è Natale… ma quindi cosa ti arriverà? >> richiese riprendendo fiato.
<< Te l’ho detto, niente >>
<< Tutti ricevono un regalo a Natale … se sei bravo bravo magari anche due ! >> era per lei una cosa inconcepibile.
<< Forse io non sono stato bravo quest’anno >> rispose semplicemente lui alzando le spalle.
Gli sembrava una spiegazione che potesse chiudere finalmente l’argomento.
Non che gli importasse qualcosa, ma ripensarci troppo lo faceva sentire un po' malinconico.
E lui non voleva sentirsi così.
Lui stava bene.
<< Sai ho un’idea… sarò io il tuo “Babbo Natale”! >>
E concluse così la conversazione, sentendosi apparentemente soddisfatta.
Rodolfo sorrise per la sua testardaggine e decise che era meglio non continuare a contraddirla.
<< Rosetta ma cosa ci fai ancora lì!! >>
Sua madre evidentemente doveva aver finito le compere e stava correndo urlando verso di lei come il giorno precedente.
<< Vieni via! >>
<< Mamma mi hai detto tu di venire qui >>
<< Ma assolutamente no, ti ho detto di andare a giocare al parco >>
<< E al parco c’è Rodolfo >> rispose lei con ovvietà.
La madre rimase interdetta per pochi attimi
<< Adesso risolviamo questa situazione >> esclamò risoluta.
Poi la prese come il giorno prima e si allontanò senza degnare neppure uno sguardo verso Rodolfo.
Rosetta si girò verso di lui e lo vide tirare fuori la mano dalla coperta per salutarla muovendo la mano con lentezza. Sorrise contenta rispondendo al suo saluto. Sorrise anche lui.
Erano ufficialmente diventati amici.
Stava ancora sorridendo, quando dopo pochi minuti si avvicinò a lui un uomo.
Lo aveva già visto altre volte, lavorava nella gioielleria dietro al parchetto, ma non gli aveva mai rivolto la parola.
<< Senta signore, devo chiederle di andarsene >>
Rodolfo rimase in silenzio. Come se non si stesse rivolgendo a lui.
<< Mi ha sentito? Devo chiederle di andarsene, sta disturbando le persone intorno al mio negozio, ho ricevuto lamentele e potrei aver perso dei clienti per colpa sua quindi… o se ne va lei o dovrò chiamare la polizia >> concluse evidentemente irritato e a disagio.
Ancora in silenzio Rodolfo cercò di sforzarsi nel rispondere.
<< Io … sto qui >>
<< Non ha sentito? Deve andarsene, non può danneggiare le attività della zona, è un luogo per famiglie, inoltre è la vigilia di Natale, c’è il pienone >>
<< Ma questo …è il mio … posto >> , poi continuò << Posso spostarmi, ma questo è il mio posto, ritornerò più tardi >> concluse cercando di essere convincente.
Il signore della gioielleria sembrava cercare di mantenere la calma ma era evidentemente molto alterato. Prima di girarsi e rientrare a lavoro lo congedò dicendo << Amico, torna e dovrò chiamare la polizia >>.
Rodolfo rimase immobile per qualche attimo.
Poi capì di doversi alzare.
Prese la sua coperta e il suo zaino e si spostò sotto il portico dove si riparava quando veniva a piovere.
Arrivata la sera tardi decise di ritornare alla sua panchina, proprio come aveva spiegato al signore, nonostante la sua minaccia.
Sotto il portico avevano il loro posto altre persone, non era suo e non poteva rimanerci.
Ormai i negozi erano chiusi e nessuno avrebbe fatto problemi.
Così tornò alla sua panchina.
Si sdraiò e chiuse gli occhi.
Lì ci stava bene.
Si lui ci stava bene, ma doveva ammettere che la notte faceva veramente freddo, al punto che spesso sentiva il proprio corpo irrigidirsi fino a portarlo a svegliarsi.
Guardò avanti a sé, quel piccolo, misero, ma importante parchetto.
Ripensò a quel pomeriggio con la bambina. Si sarebbe stato più bello con una tenda. Sarebbe stato ancora più suo. Sarebbe stato come avere una casa.
Si chiuse ancora più stretto nella sua coperta e cercò di ritrovare il sonno.
Quando all’improvviso sentì un rumore di vetro rotto che gli fece spalancare gli occhi per lo spavento.
In giro per strada non c’era anima viva, era notte fonda. La notte di Natale.
Per un solo breve istante gli venne da ridere da solo, pensando che forse era Babbo Natale che aveva deciso di portagli un regalo, ricordandosi di lui dopo tanti anni. Scrollò leggermente la testa come per mandare via quel pensiero sciocco e si rimise immobile, pronto a cercare di capire da dove provenisse il rumore.
Dietro al parchetto si trovava il negozio di gioielli.
Pensò che potesse venire da lì.
Poi vide una luce muoversi. Forse la luce di una torcia.
Passarono dei minuti, ma non si sentì più nulla.
Era tentato di girarsi, chiudere gli occhi, stringersi nella sua coperta e riprovare ad addormentarsi, ma dentro di lui si era creata perfettamente l’idea di che cosa potesse star succedendo. Ed era l’unica persona ad essersene accorta.
Si costrinse ad alzarsi dalla sua panchina e iniziò ad avvicinarsi alla gioielleria. Quel luogo in cui durante il giorno non avrebbe potuto avvicinarsi per nessun motivo al mondo ed ora men che meno da quando quel signore lo aveva minacciato di chiamare la polizia.
Avvertì un brivido lungo la schiena, ma capì che non era affatto legato al freddo.
Superato il parchetto si trovò in pochi passi di fronte al negozio e poté vedere chiaramente, dietro al vetro dell’entrata, due uomini intenti a riempire di gioielli i propri zaini.
Non sapeva nemmeno lui dove avesse trovato la forza di avvicinarsi così tanto e non avrebbe mai saputo spiegare dove trovò la forza di urlare con tutto il fiato che aveva verso quei due ladri.
Urlò forte, in modo agghiacciante. Non si rendeva conto nemmeno lui delle parole che uscivano dalla sua bocca con coraggio.
Si ricordò di quando Rosetta gli aveva detto che lui era il “guardiano” di quel luogo.
In quel momento sentì di ricoprire veramente quel ruolo.
Era la cosa giusta da fare ed era l’unico a poterla fare.
Qualcuno doveva averlo sentito, infatti sentì gli abitanti delle abitazioni sopra al negozio svegliarsi ed aprire la finestra. Una donna si affacciò al balcone e si mise a urlare anche lei, prima verso di lui, poi urlò rendendosi conto della situazione.
Successe tutto in pochi secondi. I due uomini appena lo videro si fiondarono fuori andandogli incontro di corsa.
Rodolfo si aspettò il peggio.
Strizzò gli occhi per il terrore che provava, quasi non voleva sapere cosa sarebbe successo.
E d’improvviso fu buio.
Completamente buio.
Silenzio.
Completo silenzio.
Poi una luce.
Piccola leggera, poi sempre più forte e fastidiosa.
Iniziava a risentire dei suoni. Per fortuna nessuna donna stava più urlando, perché sentiva la testa scoppiare.
Avvertì un odore acre a cui non era abituato, anche se lo riconobbe.
Disinfettante.
E si rese conto di sentire caldo.
Ed era forse la prima volta che gli succedeva dall’inizio di quell’inverno.
Piano piano aprì gli occhi, mise a fuoco il luogo in cui si trovava, riconoscendo una stanza di ospedale.
Rimase spaesato per qualche istante, cercando di capire cosa fosse successo e ricordando gli avvenimenti della notte. Era vivo, questo era sicuro.
Sentì bussare alla porta. Passarono pochi secondi e si sentì nuovamente bussare, poi la porta si aprì ed entrò l’unica persona che lui avrebbe voluto vedere in quel momento, qualcuno che potesse farlo sorridere dopo aver provato così tante brutte sensazioni: Rosetta.
Entrò stranamente timida, ma vedendo il sorriso di Rodolfo che la incoraggiava ad entrare si aprì lei stessa in un sorriso tornando ad essere quella di sempre e lo dimostrò saltellando fino al suo letto.
<< Buon Natale Rodolfo! >> esclamò tutta allegra.
Rodolfo non ricordava l’ultima volta che qualcuno gli avesse fatto gli auguri per quella festa, sentì il cuore stringersi.
<< Buon Natale anche a te piccola >>
<< Ho saputo che sei stato coraggiosissimo! Hai fatto arrestare due ladri cattivi! >>
La testa gli doleva parecchio e parlare gli costava un certo sforzo, ma voleva informarsi sugli avvenimenti, se Rosetta ne era a conoscenza.
<< Veramente sono stati arrestati? >>
<< Certo! Sai, mi ha raccontato tutto Oliver, il proprietario del negozio di gioielli, ha detto che grazie a te si sono svegliati molti vicini del palazzo ed hanno potuto vedere in faccia quegli uomini, hanno chiamato subito la polizia. Sei stato un supereroe davvero! Solo che tu eri svenuto, a quanto pare hai battuto la testa e non hai potuto vedere niente… e sei finito qui in ospedale. Stamattina sono venuta a cercarti insieme alla mia mamma, ma non trovandoti mi sono preoccupata molto sai? Allora ho chiesto alle persone lì intorno, che sicuramente ti conoscono, perché tu sei sempre lì, ogni giorno. È stato Oliver a dirmi che eri in questo ospedale… credo che tu gli abbia fatto davvero un grande favore >>
Rodolfo non poteva credere alle sue orecchie, era andato tutto per il meglio.
<< E perché sei venuta a cercarmi? Oggi dovresti essere a mangiare a tavola con tutti i tuoi parenti, dovresti scartare i regali… mi sembra che ci tenessi tanto >>
<< Si sicuramente lo farò, ma prima volevo portarti una cosa >> Fece una pausa, come per accrescere la sua curiosità << Il tuo Babbo Natale ti ha portato un regalo! Sei contento? >> e gli mise sotto il naso un piccolo pacchetto, con tanto di fiocco.
<< Lo ha incartato la mia mamma, quando ha saputo che era per te non era molto contenta sai? Ma credo che dopo aver saputo cosa hai fatto stanotte ha cambiato idea, vero mamma? >> Si girò verso la porta, rivelando la figura della madre, che stava sulla soglia, un po' rigida ma con un leggero sorriso sulle labbra.
<< Salve… e Buon Natale >> gli disse molto educatamente.
Rodolfo quasi non riusciva a credere a tutto quello che stava succedendo.
<< Dai aprilo! >>
Scartandolo, il regalo si rivelò essere un paio di guanti di lana, color verde scuro.
Guardò Rosetta non sapendo davvero cosa dire.
<< Lo so che è poco, avrei voluto tanto regalarti una tenda, sai come quella che desideravi da mettere nel parco… ma ho scoperto che con la mia paghetta non si può comprare. Ma ho anche pensato che con dei guanti non avrai bisogno più di tenere le mani sotto la coperta per il freddo… e potrai sempre salutare le persone senza problemi! >>
E dopo aver sentito il discorso di Rosetta, oltre a non sapere cosa dire, sapeva che non avrebbe avuto senso dire nulla se non << Grazie >>.
Sentì il cuore battere in modo più accelerato.
Dentro di sé fece una considerazione: non era mai stato così bene e così felice come in quel momento.
E così si conclude questa storia.
Questa favola urbana.
Questa narrazione.
Questo racconto di vita, forse inventato, forse reale per qualcuno.
La storia di un uomo che stava lì
Su una panchina verniciata di verde, piena zeppa di scritte ignoranti e non.
Un uomo che stava lì e ci stava bene.
Forse non faceva niente.
Forse non farà mai niente.
Forse si tratta veramente solo di un barbone sognatore che osserva la gente che viene e che va.
Ma di una cosa possiamo essere sicuri: quest’uomo non sarà mai più invisibile.