Quando abbandonai il nido famigliare, andai a vivere in un appartamento ubicato nel quartiere adiacente all’aeroporto.
Appena trasferito trascorsi diverse notti insonni, per via del continuo passaggio di aerei, ma le pillole acquistate in una televendita mi permisero di superare indenne tale scocciatura. E tutto al solo prezzo di sporadici svenimenti e taluni episodi di incontinenza urinaria.
La mia palazzina non si poteva certamente definire una bella struttura, però aveva carattere.
Il color verde sporco la rendeva mimetica e stoicamente resistette ai bombardamenti della Seconda guerra mondiale.
In verità non fu mai bombardata, ma certamente dava quell'impressione. Quell'aspetto in stile Sarajevo anni '90.
Incassato il primo stipendio, con baldanza e con incauto orgoglio, provai a chiedere un mutuo per acquistare casa.
L'impiegato della banca, dopo aver minuziosamente scrutato la mia situazione finanziaria, mi riferì con una certa spocchia "Al massimo potresti chiedere un mutuo per un box auto. Piuttosto quando esci chiudi la porta, fai il bravo."
Mi appropinquai all’uscita, ma con un ultimo sprazzo di dignità stipulai un mutuo per un box auto, in una palazzina color verde sporco in zona aeroporto.
Il passo successivo fu andare in una autoscuola e prendere la patente.
In seguito al sopralluogo del box auto notai che uno dei bilocali al piano terra era sfitto, quindi presi un appuntamento con l’agenzia immobiliare.
Con quella che credetti provvidenza, l'appartamento mi fu assegnato, senza averlo neppure visionato.
Non ero bravo a leggere tra le righe, ma la reazione dell'agente immobiliare, nel momento in cui firmai il contratto di locazione, mi avrebbe dovuto suggerire qualcosa: mi strinse la mano e poi sogghignando con i colleghi disse "Bel pirla."
L’appartamento lo trovai già arredato. I mobili furono disposti durante gli anni dal proprietario, il quale, vivendo sullo stesso pianerottolo, preferiva ammassare a casaccio il vergognoso arredo nella sua proprietà sfitta, piuttosto che chiamare la nettezza urbana.
Una ragazza che invitai in casa la descrisse altezzosamente come "Uno di quei posti dove metti i vecchi, ma quelli che odi davvero."
Dopo quella volta la ragazza sparì, ma il misterioso e pungente odore di naftalina non abbandonò mai le stanze.
Ricordo che lo sfratto giunse un martedì di dicembre. La mia reazione fu un misto di malinconia e di sollievo. Un malinconico sollievo. In fondo quell’appartamento significò la mia prima esperienza di emancipazione, ma consapevole effettivamente di com’era: beh, pazienza.
Almeno mi restò il box auto, tra l'altro senza aver mai acquistato un'automobile.