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Dompes guarda il cielo verde pallido. Da alcuni zet, poco prima del tramonto, nota rigature strane che appaiono, si condensano e poi svaniscono. Ultimamente tendono ad avere una forma arrotondata, somigliando a un cerchio. O un buco.
«Che pensieri hai?»
Ruota lentamente la testa di centottanta gradi e vede la moglie, Gave.
«Dompes? Hai l’occhio strano, che succede?»
«Uhm…» anche il resto del corpo si gira verso lei. «Sono preoccupato.»
«Perché?»
«La leggenda dice che arriveranno dal cielo» torna a guardare in alto «e temo che il tempo sia giunto.»
Gave vorrebbe ridere, ma qualcosa la trattiene. Quando il suo compagno ha quello sguardo, parla seriamente.
«Non crearti problemi prima del tempo, li affronterai quando ci saranno.»
«Preferisco essere preparato. Vieni, andiamo all’osservatorio.»
Le sottili braccia destre circondano dolcemente il corpo della moglie. Si incamminano.
«A che punto siamo? Il tempo stringe, dobbiamo almeno tentare.»
«Beh, per la verità, una prova saremmo già in grado di farla, Capitano.»
«E cosa aspettavi a dirmelo, Jonas? Che scadesse il termine?»
«Mi scusi, credevo lo sapesse. Non possiamo mandare esseri viventi, ma con gli oggetti non c’è problema. Aspettavo il via.»
L’ufficiale lo guarda in malo modo.
«Dammi qualche dettaglio.»
Nel salone l’aria è tesa, la preoccupazione palpabile.
Dompes si alza sulle corte gambe.
«Signori!»
Cinquanta occhi convergono su di lui.
«Non era leggenda: il nemico doveva arrivare dal cielo e ora sta tentando di farlo. È solo questione di tempo. Forse di pochi zet, o di un fero, non ne ho idea. Spero non sia tardi, altrimenti sarà difficile affrontarlo.»
Guarda la sua gente, seduta sui cuscini delle occasioni ufficiali. Estrae alcuni oggetti da una cassa e ne mostra uno.
«Guardate. È uscito dal cielo alcuni zet or sono. Un macchinario per immagini, ma si è rotto. Probabilmente nel viaggio o quando ha toccato il nostro suolo. Peccato, forse avremmo potuto capire la forma di chi lo ha inviato.»
Lo rimette nella cassa e prende altro.
«Questo era un essere vivente. Non è del nostro mondo, viene da là. Ha le ali ed è coperto di piume, pertanto è un volatile. Questo, invece, è un animale a quattro zampe» dice, dopo averlo preso da terra.
«Ricorda i nostri seci: muso appuntito, coda lunga. Di certo non è il creatore della macchina che vi ho mostrato prima.»
Qualcuno sorride.
«Sono tentativi, prove. E ce la faranno, lo so. Per questo vi chiedo di aiutarmi nel progetto, per fermare il nemico subito, prima che sia tardi!»
Torna a sedersi, mentre si levano alcune voci: «Sì, ha ragione.»
«Fermiamoli!»
«Certo che ti aiutiamo.»
Una sovrasta le altre: «Dompes, la leggenda dice che arriverà dal cielo, ma non afferma che sia il nemico.»
Il Capitano Velic annuisce. È soddisfatto dei risultati che la macchina sta dando e ha deciso di presentare ufficialmente i risultati ai superiori.
Il suo unico problema consiste nel non riuscire a comprendere come funzioni.
«Hai detto che è basata sui quanti, giusto?»
«Sì, Capitano.»
«E tramite i quanti si può andare in qualsiasi altro posto.»
«Beh, no. Non è proprio così.»
«Allora spiegati meglio, Jonas.»
Il tecnico lo fissa un istante, poi risponde: «Capitano, conosce la fisica quantistica?»
«Ne conosco le basi, come tutti, ma non sono ferrato sull’argomento.»
«Proverò a essere semplice. La macchina è come un cannone: spara atomi surriscaldati e, così facendo, crea un buco nero. Lei sa cos’è, no?»
«Certo che lo so» risponde, seccato.
«Bene. In questo buco possiamo far passare di tutto. Assorbe ogni cosa, basta riuscire a controllarlo, evitando si richiuda prima del dovuto.»
«Altrimenti?»
«Tutto quello che c’è dentro si disintegra.»
Il capitano rimane in silenzio e Jonas fa altrettanto.
Poi: «Pare che tutto vada bene, finora non abbiamo avuto incidenti.»
«In realtà non lo sappiamo. Abbiamo inviato oggetti e animali, ma non ne conosciamo la sorte. Di certo sono arrivati da qualche parte, non si sono disintegrati.»
«Ok. Vado a parlare con i capi, poi proviamo la penultima fase.»
«D’accordo, Capitano.»
Il silenzio è assoluto. Dompes entra nella stanza del Madan. Ossequioso, pieno di rispetto per Colui Che Sa, reggente del loro mondo.
«Vieni, non avere timore. La riverenza è gradita, la paura no» dice una voce dal fondo sala.
Non ha paura, ma ha imparato bene le regole e sa come comportarsi. Si ferma a pochi passi dalla figura leggermente curva che gli ha parlato. Il Madan lo osserva, fissandolo nell’occhio.
«Hai capacità e intelligenza superiori alla media. Più volte ho pensato di chiamarti per insegnarti ciò che so, ma ho sempre rinunciato.»
«Perché, Maestro?»
«A causa della tua indole estremamente pessimistica. Vedi il male ovunque, o quasi. La negatività è sempre in vantaggio, dal tuo punto di vista.»
Dompes non ribatte. Sa di essere così.
«Vieni con me» prosegue il vecchio.
«Guarda questo libro» dice, indicando un tomo sul tavolo. «È antico come noi, l’hanno scritto i nostri padri e contiene tutto ciò che è dato sapere. Tu sei il primo che lo vede, dopo tanto tempo.»
Solleva la copertina in pelle, mostrando fogli scritti in una lingua ormai dimenticata.
«Avvicinati. Io so leggere queste parole, vuoi imparare?»
Se il volto è lo specchio dell’anima, non ci sono dubbi su come si senta il Capitano Velic: gli angoli della bocca arrivano quasi alle orecchie.
«È andata bene, vedo.»
«Cosa te lo fa pensare, Jonas? Sei un indovino?» risponde l’ufficiale, accigliandosi un poco.
«Ehm, sì, ho proprio tirato a indovinare.»
«Ah, ecco. Comunque è così. Abbiamo l’autorizzazione per la prossima fase, l’ultima, prima di fare il salto personalmente. Queste sono soddisfazioni, Jonas. Se penso che qualcuno voleva estromettermi…»
«Ok» dice Jonas, interrompendo l’ufficiale «comunico ai ragazzi di cominciare subito.»
Si allontana, lo sguardo del Capitano è perso nel vuoto.
«Se è vero, cosa possiamo fare?»
«Non dubito certo della parola del Madan, Gave. E poi, il mio occhio ha visto quelle pagine e ho imparato a leggere quella strana scrittura. Non è difficile.»
«Dunque non siamo nati su questo mondo.»
«No, veniamo da un altro luogo della Galassia, e siamo arrivati qui nello stesso modo in cui qualcuno sta cercando di fare: da un buco nel cielo. Il libro dice che i primi trovarono un mondo che pareva vergine, ma in realtà era già stato abitato da esseri senzienti.»
«E che fine hanno fatto?»
«Non sappiamo. Comunque la natura era tornata padrona e noi l’abbiamo sempre rispettata.»
Lei è pensierosa, lui preoccupato. Gli è stato detto di aspettare, ma non si fida.
«Non so chi verrà, ma non possiamo restare inermi. Sul libro c’è scritto come costruire una macchina per difendersi, e ho convinto il Maestro che è meglio iniziare subito. Nei prossimi zet sarò dunque molto impegnato. Perdonami.»
Lo guarda.
Otto braccia si incrociano, due corpi si stringono per poi scivolare lentamente a terra. Non importa il luogo, quando l’amore sovrasta ogni cosa.
Sette uomini decidono le sorti del mondo, sette persone cui è stato affidato il futuro dell’umanità. Così credono tutti, loro per primi.
Tè, spremute, whisky, ginseng, birra, vino.
E acqua.
«Ma lascia perdere, Velic è un idiota. Pensa di andare per primo.»
«Davvero? Non lo facevo così…»
«Stupido?»
«No, facilone. Avete provato a nascondergli le cose, ma i suoi lo hanno informato. Ha la loro fiducia.»
«Hai ragione. Rimane il fatto che sta lavorando per noi e non lo sa.»
«Non ne sarei così sicuro, Ahmed. Gli slavi sono furbi, più di quel che sembra.»
«Bah, l’importante è che arrivi in fondo, al resto penseremo noi.»
«Sono d’accordo, ma terrei gli occhi aperti. E lo spronerei, manca poco all’impatto.»
«Neppure al progetto manca molto. Siamo all’ultima fase: andata e ritorno.»
L’osservatorio è in fermento. Gente che va, viene, discute. L’eccitazione permea l’aria.
Lo stesso Madan, solitamente molto riservato, è arrivato a farsi vivo. Non è contento di quanto accade, ma sa di non poter fare altrimenti per evitare problemi maggiori.
«Mi raccomando, Dompes: è tutto nelle tue mani. Sappi gestire ogni cosa al meglio.»
«Non temere, Maestro. Ho promesso che prima di usare l’arma valuteremo ogni altra possibilità, e così faremo. Sono pure curioso di vedere chi arriva, che forma ha…»
«Ricorda che potrebbero essere simili a noi; il libro dice che forse veniamo dallo stesso mondo.»
Dompes lo scruta, poi volge lo sguardo tutto intorno, ruotando la testa. Infine dice: «Non importa chi è e da dove viene, se lo fa in pace. Conoscere fratelli di un altro pianeta può aiutare molto tutti quanti, ma può anche essere deleterio. Per questo costruiamo la macchina.»
«Chissà chi è l’autore» dice Ahmed, visualizzando sul monitor le pagine scannerizzate di un libro che pare vecchio come il mondo.
«Già. E tra poco sapremo se è fonte di verità o meno.»
Xin Li osserva e sorride. Viene dal suo paese, il libro.
«Ve ne sono altri, ma questo è il più chiaro.»
«Scoprire che veniamo da un altro mondo sconvolge ogni cosa, religione compresa» ribatte Ahmed. «Resto scettico fino all’ultimo.»
«Finora tutto ciò che abbiamo applicato, prendendolo da lì, sta funzionando. Macchina compresa.»
«Questo è vero. Come è vero che un libro antichissimo parla di quantistica, che noi studiamo da poco.»
«Credo ci siano innumerevoli cose ancora da scoprire, dobbiamo solo interpretare.»
«Speriamo di fare in tempo.»
«Funziona! Il piccione è tornato vivo» urla Jonas.
Velic guarda il volatile muoversi confuso sulle zampe, davanti a loro. Ha fatto un viaggio su di un altro pianeta senza accorgersi di nulla, in pochi istanti.
«Tenetelo sotto osservazione per vedere se mostra qualche sintomo. Fra quarantott’ore lo rimandiamo con una microcamera e lo lasciamo per un minuto.»
È euforico.
«Stanno arrivando, manca poco.»
«Come puoi affermare una cosa simile?»
«È apparso un volatile e poco dopo è sparito, probabilmente richiamato nel suo mondo d’origine.»
Il Madan rimane in silenzio, Dompes prosegue: «La macchina è terminata, ma non sappiamo se funziona.»
«Funzionerà se ce ne sarà bisogno. Tienila pronta, ma non usarla.»
Dompes annuisce e se ne va. È triste.
Le immagini sullo schermo mostrano un paesaggio scarno, quasi desertico e di un colore verde pallido. Come clorofilla slavata.
«Non si vede molto e il verde pare il colore base. Anche il cielo ha quella tonalità.»
«Vero, ma ciò che importa è che ci si possa vivere. Il piccione è tornato indenne e non mostra problemi, quindi c’è un’atmosfera come la nostra. O simile.»
«Credo ci si possa preparare all’evento. Diamoci una settimana, poi ci ritroviamo qui per l’ultima volta. L’ultima su questo pianeta, ovviamente. Siete d’accordo?»
«Certo che sì.»
«Sicuro.»
Sette uomini si alzano. In mente una sola cosa, che ormai ritengono certa: salvarsi.
Jonas sghignazza. Il Capitano Velic sta osservando, perplesso, la macchina che può trasportare in un altro mondo.
«È davvero tutta qua?»
«Certo, Capitano.»
«E riesce a fare un miracolo come quello che abbiamo visto?»
«Non è un miracolo, è scienza. Questo cilindro crea nello spazio-tempo un tunnel dove possiamo passare e, in un istante, trovarci di là.»
Velic guarda ancora il misterioso apparecchio. Scuote la testa, poco convinto.
«Ora possiamo solo aspettare, Gave. È tutto pronto.»
La moglie lo accarezza dolcemente. Dompes apprezza. È stanco, ma soddisfatto.
«E se non arriva nessuno?» chiede, quasi schernendolo.
«Arriveranno.»
Da padroni incontrastati a prigionieri. Un percorso lungo da fare, eppure, per i sette designati a gestire la salvezza di tutti, è bastato un attimo.
Centinaia di militari di ogni razza e colore, come sono loro, circondano il palazzo.
Non se l’aspettavano.
Seduti, guardati a vista e con fucili puntati, sanno di avere perso.
«Credevate di avere il potere assoluto? Vi è stato concesso tanto, ma non tutto. Potevate sapere ogni cosa su chiunque, e vi è servito. Ma non avete mai pensato che, forse, anche voi eravate sotto controllo? Vi sentivate già onnipotenti?»
Le parole del Generale Raminsky, comandante della MFWU, colpiscono come martellate.
«Vi rendete conto di cosa stavate per combinare? Andare in un mondo sconosciuto con amici e parenti, così, alla cieca. E portare con voi i tecnici e tutte le istruzioni, per evitare di essere raggiunti. Complimenti, bella idea. Ora andrete in un altro posto, ma non credo sarà di vostro gradimento.»
Si rivolge ai suoi uomini: «Portateli via.»
«Non potete farlo» ribatte Ahmed «Allah vi distruggerà.»
«Allah sta già distruggendo tutto. Stai zitto e cammina.»
«Ma è tutto verde, per la miseria!» esclama Velic al primo sguardo sul mondo nuovo. Fucile col colpo in canna, muove alcuni passi. Con lui un drappello di uomini, avanguardia di una razza pronta a raggiungerli.
Terreno solido e compatto, aria respirabile e fresca. Paesaggio quasi piatto, poche colline. Vegetazione varia e sconosciuta, ma nessuna traccia di vita.
«Venite, andiamo a scoprire se c’è qualcuno» dice «o qualcosa.»
S’incamminano senza una meta precisa, ma non devono allontanarsi molto per rendersi conto che non tutto è quello che sembra.
«Capitano, ho l’impressione che quei cespugli si muovano» afferma un soldato, indicando davanti a loro.
Velic guarda. È vero, si muovono.
«Preparatevi!»
Imbracciano le armi. I cespugli si avvicinano e cominciano a prendere una forma diversa, definita. Uno di loro alza quattro rami. Se rami sono.
«Porc… sembrano dei cartoni animati» dice Velic.
Tensione palpabile e distanza che si riduce.
«Non sono rami, sono braccia» osserva qualcuno.
Figure esili. I terrestri scrutano in silenzio gli abitanti del pianeta. Un solo occhio, quattro braccia, due corte gambe.
Tutto sommato non sono poi così diversi.
La figura davanti alle altre emette alcuni versi, incomprensibili per Velic e i suoi uomini.
Chissà cosa sta dicendo, sempre ammesso che stia parlando.
Il nativo si avvicina ancora, abbassando le braccia.
Un colpo di fucile. Due. Dieci, cento colpi.
«Non sparate, idioti! Sono disarmati» urla Velic. Troppo tardi, però.
«Imbecilli!»
Furibondo, si avvicina ai caduti. Nessuno pare muoversi. Accanto ai corpi si allargano chiazze verde scuro. «Chi ha esploso il primo colpo?» chiede, sapendo che non avrà risposta.
È sconsolato. «Non doveva andare così, ora ci sarà una reazione.»
«Li accoglieremo» borbotta qualcuno.
Inutile. Sono soldati, prima che uomini.
«Andiamo. Fra poco arriveranno gli altri e decideremo con loro come comportarci. Speriamo bene.»
Pochi minuti dopo sono testimoni di un fatto irripetibile. Vedono materializzarsi, come pensavano, alcuni commilitoni. Poi arriva solo mezzo corpo. E un altro pezzo. Basta.
«Che diavolo succede?» grida Velic, preoccupato.
«Non ne ho idea» risponde una voce. «Forse interferenze?»
«Che diavolo succede?» grida Raminsky, preoccupato.
«Non so» ribatte Jonas «pare ci siano interferenze.»
«Continua a lanciare.»
«Sissignore.»
«Signore, siamo circondati. Non possiamo ucciderli tutti. Che facciamo?»
Il Capitano Velic non ha dubbi: «Deve essere successo qualcosa alla macchina, deponiamo le armi.»
A malincuore, i soldati obbediscono. Non sono abituati alla resa, ma questo è un caso limite.
«Facciamo tutti un passo indietro, poi sediamoci.» C’è chi lo guarda in modo strano, ma poi esegue gli ordini. Non c’è altro da fare. Una cinquantina di uomini contro una popolazione: improponibile.
I nativi capiscono e si siedono a loro volta. Alcuni raccolgono le armi lasciate dai terrestri e le portano via.
Velic sta guardando un’apparecchiatura simile a quella che li ha portati qui. Poche ore prima era a capo delle truppe che dovevano preparare l’arrivo di parte dell’umanità, ora è prigioniero su un mondo sconosciuto, forse senza possibilità di ritorno. O salvezza.
Mio Dio, da avanguardia a ultimi sopravvissuti? Spero non sia così, ma temo sia molto probabile.
«Li abbiamo mandati al macello, maledizione. Come avete potuto non accorgervi di niente?» Raminsky è disperato. Migliaia di uomini nel tunnel quantico ridotti a polvere cosmica.
E se non fosse apparso un braccio, chissà quanti avrebbero fatto la stessa fine.
«Jonas, convoca subito tutti. Dobbiamo risolvere il problema, a costo di costruire una nuova macchina.»
Il tecnico lo scruta, cupo. «Non so se ne avremo il tempo, Generale.»
«Proveremo fino all’ultimo istante.»
Sul pianeta verde passano gli zet, i fero e anche i parima senza che altri alieni cadano dal cielo. Velic e i suoi sono rassegnati a morire su un mondo straniero.
Dompes ha imparato la loro lingua, aiutato dal vecchio libro.
Ora dialogano, cercano di spiegarsi.
«Per noi non c’è nulla da fare. Siamo rimasti in trenta, dopo gli ultimi suicidi. Tutti maschi. Volevamo un mondo nuovo e ora ci stiamo estinguendo. La Terra non esiste più, ormai si sarà disintegrata.»
«Ti ripeto che siamo esperti in genetica. Non disperare, soldato, forse si può fare qualcosa. Anche il Madan la pensa così.»
«Credo sia meglio di no» ribatte Velic «entreremmo di nuovo in conflitto. L’uomo non riesce a vivere in pace.»
«Il libro è scritto in una lingua molto simile alla tua. Significa che veniamo dallo stesso ceppo. Ci riproduciamo come voi, solo la forma estetica è diversa. Potremmo anche divenire una razza unica. Chi lo sa?»
Velic scuote il capo. «Vedremo. Ma una cosa desidero sapere: come avete fatto a bloccare l’arrivo del resto dei nostri?»
Dompes sorride: «Ho seguito le istruzioni del libro, costruendo una macchina in grado di raffreddare ciò che la vostra surriscaldava: il tunnel spazio-temporale è collassato su se stesso, chiudendosi. È stato scritto da chi sapeva che, prima o poi, sareste arrivati. Cioè dai vostri e nostri antenati, molto previdenti.»
La punta di sarcasmo non disturba comunque Velic che commenta: «Un tappo bianco per il nostro buco nero.»
Sorride e alza lo sguardo al cielo. «Il verde è sempre stato il mio colore preferito.»
zet = giorno
fero = mese
parima = anno
Dompes guarda il cielo verde pallido. Da alcuni zet, poco prima del tramonto, nota rigature strane che appaiono, si condensano e poi svaniscono. Ultimamente tendono ad avere una forma arrotondata, somigliando a un cerchio. O un buco.
«Che pensieri hai?»
Ruota lentamente la testa di centottanta gradi e vede la moglie, Gave.
«Dompes? Hai l’occhio strano, che succede?»
«Uhm…» anche il resto del corpo si gira verso lei. «Sono preoccupato.»
«Perché?»
«La leggenda dice che arriveranno dal cielo» torna a guardare in alto «e temo che il tempo sia giunto.»
Gave vorrebbe ridere, ma qualcosa la trattiene. Quando il suo compagno ha quello sguardo, parla seriamente.
«Non crearti problemi prima del tempo, li affronterai quando ci saranno.»
«Preferisco essere preparato. Vieni, andiamo all’osservatorio.»
Le sottili braccia destre circondano dolcemente il corpo della moglie. Si incamminano.
«A che punto siamo? Il tempo stringe, dobbiamo almeno tentare.»
«Beh, per la verità, una prova saremmo già in grado di farla, Capitano.»
«E cosa aspettavi a dirmelo, Jonas? Che scadesse il termine?»
«Mi scusi, credevo lo sapesse. Non possiamo mandare esseri viventi, ma con gli oggetti non c’è problema. Aspettavo il via.»
L’ufficiale lo guarda in malo modo.
«Dammi qualche dettaglio.»
Nel salone l’aria è tesa, la preoccupazione palpabile.
Dompes si alza sulle corte gambe.
«Signori!»
Cinquanta occhi convergono su di lui.
«Non era leggenda: il nemico doveva arrivare dal cielo e ora sta tentando di farlo. È solo questione di tempo. Forse di pochi zet, o di un fero, non ne ho idea. Spero non sia tardi, altrimenti sarà difficile affrontarlo.»
Guarda la sua gente, seduta sui cuscini delle occasioni ufficiali. Estrae alcuni oggetti da una cassa e ne mostra uno.
«Guardate. È uscito dal cielo alcuni zet or sono. Un macchinario per immagini, ma si è rotto. Probabilmente nel viaggio o quando ha toccato il nostro suolo. Peccato, forse avremmo potuto capire la forma di chi lo ha inviato.»
Lo rimette nella cassa e prende altro.
«Questo era un essere vivente. Non è del nostro mondo, viene da là. Ha le ali ed è coperto di piume, pertanto è un volatile. Questo, invece, è un animale a quattro zampe» dice, dopo averlo preso da terra.
«Ricorda i nostri seci: muso appuntito, coda lunga. Di certo non è il creatore della macchina che vi ho mostrato prima.»
Qualcuno sorride.
«Sono tentativi, prove. E ce la faranno, lo so. Per questo vi chiedo di aiutarmi nel progetto, per fermare il nemico subito, prima che sia tardi!»
Torna a sedersi, mentre si levano alcune voci: «Sì, ha ragione.»
«Fermiamoli!»
«Certo che ti aiutiamo.»
Una sovrasta le altre: «Dompes, la leggenda dice che arriverà dal cielo, ma non afferma che sia il nemico.»
Il Capitano Velic annuisce. È soddisfatto dei risultati che la macchina sta dando e ha deciso di presentare ufficialmente i risultati ai superiori.
Il suo unico problema consiste nel non riuscire a comprendere come funzioni.
«Hai detto che è basata sui quanti, giusto?»
«Sì, Capitano.»
«E tramite i quanti si può andare in qualsiasi altro posto.»
«Beh, no. Non è proprio così.»
«Allora spiegati meglio, Jonas.»
Il tecnico lo fissa un istante, poi risponde: «Capitano, conosce la fisica quantistica?»
«Ne conosco le basi, come tutti, ma non sono ferrato sull’argomento.»
«Proverò a essere semplice. La macchina è come un cannone: spara atomi surriscaldati e, così facendo, crea un buco nero. Lei sa cos’è, no?»
«Certo che lo so» risponde, seccato.
«Bene. In questo buco possiamo far passare di tutto. Assorbe ogni cosa, basta riuscire a controllarlo, evitando si richiuda prima del dovuto.»
«Altrimenti?»
«Tutto quello che c’è dentro si disintegra.»
Il capitano rimane in silenzio e Jonas fa altrettanto.
Poi: «Pare che tutto vada bene, finora non abbiamo avuto incidenti.»
«In realtà non lo sappiamo. Abbiamo inviato oggetti e animali, ma non ne conosciamo la sorte. Di certo sono arrivati da qualche parte, non si sono disintegrati.»
«Ok. Vado a parlare con i capi, poi proviamo la penultima fase.»
«D’accordo, Capitano.»
Il silenzio è assoluto. Dompes entra nella stanza del Madan. Ossequioso, pieno di rispetto per Colui Che Sa, reggente del loro mondo.
«Vieni, non avere timore. La riverenza è gradita, la paura no» dice una voce dal fondo sala.
Non ha paura, ma ha imparato bene le regole e sa come comportarsi. Si ferma a pochi passi dalla figura leggermente curva che gli ha parlato. Il Madan lo osserva, fissandolo nell’occhio.
«Hai capacità e intelligenza superiori alla media. Più volte ho pensato di chiamarti per insegnarti ciò che so, ma ho sempre rinunciato.»
«Perché, Maestro?»
«A causa della tua indole estremamente pessimistica. Vedi il male ovunque, o quasi. La negatività è sempre in vantaggio, dal tuo punto di vista.»
Dompes non ribatte. Sa di essere così.
«Vieni con me» prosegue il vecchio.
«Guarda questo libro» dice, indicando un tomo sul tavolo. «È antico come noi, l’hanno scritto i nostri padri e contiene tutto ciò che è dato sapere. Tu sei il primo che lo vede, dopo tanto tempo.»
Solleva la copertina in pelle, mostrando fogli scritti in una lingua ormai dimenticata.
«Avvicinati. Io so leggere queste parole, vuoi imparare?»
Se il volto è lo specchio dell’anima, non ci sono dubbi su come si senta il Capitano Velic: gli angoli della bocca arrivano quasi alle orecchie.
«È andata bene, vedo.»
«Cosa te lo fa pensare, Jonas? Sei un indovino?» risponde l’ufficiale, accigliandosi un poco.
«Ehm, sì, ho proprio tirato a indovinare.»
«Ah, ecco. Comunque è così. Abbiamo l’autorizzazione per la prossima fase, l’ultima, prima di fare il salto personalmente. Queste sono soddisfazioni, Jonas. Se penso che qualcuno voleva estromettermi…»
«Ok» dice Jonas, interrompendo l’ufficiale «comunico ai ragazzi di cominciare subito.»
Si allontana, lo sguardo del Capitano è perso nel vuoto.
«Se è vero, cosa possiamo fare?»
«Non dubito certo della parola del Madan, Gave. E poi, il mio occhio ha visto quelle pagine e ho imparato a leggere quella strana scrittura. Non è difficile.»
«Dunque non siamo nati su questo mondo.»
«No, veniamo da un altro luogo della Galassia, e siamo arrivati qui nello stesso modo in cui qualcuno sta cercando di fare: da un buco nel cielo. Il libro dice che i primi trovarono un mondo che pareva vergine, ma in realtà era già stato abitato da esseri senzienti.»
«E che fine hanno fatto?»
«Non sappiamo. Comunque la natura era tornata padrona e noi l’abbiamo sempre rispettata.»
Lei è pensierosa, lui preoccupato. Gli è stato detto di aspettare, ma non si fida.
«Non so chi verrà, ma non possiamo restare inermi. Sul libro c’è scritto come costruire una macchina per difendersi, e ho convinto il Maestro che è meglio iniziare subito. Nei prossimi zet sarò dunque molto impegnato. Perdonami.»
Lo guarda.
Otto braccia si incrociano, due corpi si stringono per poi scivolare lentamente a terra. Non importa il luogo, quando l’amore sovrasta ogni cosa.
Sette uomini decidono le sorti del mondo, sette persone cui è stato affidato il futuro dell’umanità. Così credono tutti, loro per primi.
Tè, spremute, whisky, ginseng, birra, vino.
E acqua.
«Ma lascia perdere, Velic è un idiota. Pensa di andare per primo.»
«Davvero? Non lo facevo così…»
«Stupido?»
«No, facilone. Avete provato a nascondergli le cose, ma i suoi lo hanno informato. Ha la loro fiducia.»
«Hai ragione. Rimane il fatto che sta lavorando per noi e non lo sa.»
«Non ne sarei così sicuro, Ahmed. Gli slavi sono furbi, più di quel che sembra.»
«Bah, l’importante è che arrivi in fondo, al resto penseremo noi.»
«Sono d’accordo, ma terrei gli occhi aperti. E lo spronerei, manca poco all’impatto.»
«Neppure al progetto manca molto. Siamo all’ultima fase: andata e ritorno.»
L’osservatorio è in fermento. Gente che va, viene, discute. L’eccitazione permea l’aria.
Lo stesso Madan, solitamente molto riservato, è arrivato a farsi vivo. Non è contento di quanto accade, ma sa di non poter fare altrimenti per evitare problemi maggiori.
«Mi raccomando, Dompes: è tutto nelle tue mani. Sappi gestire ogni cosa al meglio.»
«Non temere, Maestro. Ho promesso che prima di usare l’arma valuteremo ogni altra possibilità, e così faremo. Sono pure curioso di vedere chi arriva, che forma ha…»
«Ricorda che potrebbero essere simili a noi; il libro dice che forse veniamo dallo stesso mondo.»
Dompes lo scruta, poi volge lo sguardo tutto intorno, ruotando la testa. Infine dice: «Non importa chi è e da dove viene, se lo fa in pace. Conoscere fratelli di un altro pianeta può aiutare molto tutti quanti, ma può anche essere deleterio. Per questo costruiamo la macchina.»
«Chissà chi è l’autore» dice Ahmed, visualizzando sul monitor le pagine scannerizzate di un libro che pare vecchio come il mondo.
«Già. E tra poco sapremo se è fonte di verità o meno.»
Xin Li osserva e sorride. Viene dal suo paese, il libro.
«Ve ne sono altri, ma questo è il più chiaro.»
«Scoprire che veniamo da un altro mondo sconvolge ogni cosa, religione compresa» ribatte Ahmed. «Resto scettico fino all’ultimo.»
«Finora tutto ciò che abbiamo applicato, prendendolo da lì, sta funzionando. Macchina compresa.»
«Questo è vero. Come è vero che un libro antichissimo parla di quantistica, che noi studiamo da poco.»
«Credo ci siano innumerevoli cose ancora da scoprire, dobbiamo solo interpretare.»
«Speriamo di fare in tempo.»
«Funziona! Il piccione è tornato vivo» urla Jonas.
Velic guarda il volatile muoversi confuso sulle zampe, davanti a loro. Ha fatto un viaggio su di un altro pianeta senza accorgersi di nulla, in pochi istanti.
«Tenetelo sotto osservazione per vedere se mostra qualche sintomo. Fra quarantott’ore lo rimandiamo con una microcamera e lo lasciamo per un minuto.»
È euforico.
«Stanno arrivando, manca poco.»
«Come puoi affermare una cosa simile?»
«È apparso un volatile e poco dopo è sparito, probabilmente richiamato nel suo mondo d’origine.»
Il Madan rimane in silenzio, Dompes prosegue: «La macchina è terminata, ma non sappiamo se funziona.»
«Funzionerà se ce ne sarà bisogno. Tienila pronta, ma non usarla.»
Dompes annuisce e se ne va. È triste.
Le immagini sullo schermo mostrano un paesaggio scarno, quasi desertico e di un colore verde pallido. Come clorofilla slavata.
«Non si vede molto e il verde pare il colore base. Anche il cielo ha quella tonalità.»
«Vero, ma ciò che importa è che ci si possa vivere. Il piccione è tornato indenne e non mostra problemi, quindi c’è un’atmosfera come la nostra. O simile.»
«Credo ci si possa preparare all’evento. Diamoci una settimana, poi ci ritroviamo qui per l’ultima volta. L’ultima su questo pianeta, ovviamente. Siete d’accordo?»
«Certo che sì.»
«Sicuro.»
Sette uomini si alzano. In mente una sola cosa, che ormai ritengono certa: salvarsi.
Jonas sghignazza. Il Capitano Velic sta osservando, perplesso, la macchina che può trasportare in un altro mondo.
«È davvero tutta qua?»
«Certo, Capitano.»
«E riesce a fare un miracolo come quello che abbiamo visto?»
«Non è un miracolo, è scienza. Questo cilindro crea nello spazio-tempo un tunnel dove possiamo passare e, in un istante, trovarci di là.»
Velic guarda ancora il misterioso apparecchio. Scuote la testa, poco convinto.
«Ora possiamo solo aspettare, Gave. È tutto pronto.»
La moglie lo accarezza dolcemente. Dompes apprezza. È stanco, ma soddisfatto.
«E se non arriva nessuno?» chiede, quasi schernendolo.
«Arriveranno.»
Da padroni incontrastati a prigionieri. Un percorso lungo da fare, eppure, per i sette designati a gestire la salvezza di tutti, è bastato un attimo.
Centinaia di militari di ogni razza e colore, come sono loro, circondano il palazzo.
Non se l’aspettavano.
Seduti, guardati a vista e con fucili puntati, sanno di avere perso.
«Credevate di avere il potere assoluto? Vi è stato concesso tanto, ma non tutto. Potevate sapere ogni cosa su chiunque, e vi è servito. Ma non avete mai pensato che, forse, anche voi eravate sotto controllo? Vi sentivate già onnipotenti?»
Le parole del Generale Raminsky, comandante della MFWU, colpiscono come martellate.
«Vi rendete conto di cosa stavate per combinare? Andare in un mondo sconosciuto con amici e parenti, così, alla cieca. E portare con voi i tecnici e tutte le istruzioni, per evitare di essere raggiunti. Complimenti, bella idea. Ora andrete in un altro posto, ma non credo sarà di vostro gradimento.»
Si rivolge ai suoi uomini: «Portateli via.»
«Non potete farlo» ribatte Ahmed «Allah vi distruggerà.»
«Allah sta già distruggendo tutto. Stai zitto e cammina.»
«Ma è tutto verde, per la miseria!» esclama Velic al primo sguardo sul mondo nuovo. Fucile col colpo in canna, muove alcuni passi. Con lui un drappello di uomini, avanguardia di una razza pronta a raggiungerli.
Terreno solido e compatto, aria respirabile e fresca. Paesaggio quasi piatto, poche colline. Vegetazione varia e sconosciuta, ma nessuna traccia di vita.
«Venite, andiamo a scoprire se c’è qualcuno» dice «o qualcosa.»
S’incamminano senza una meta precisa, ma non devono allontanarsi molto per rendersi conto che non tutto è quello che sembra.
«Capitano, ho l’impressione che quei cespugli si muovano» afferma un soldato, indicando davanti a loro.
Velic guarda. È vero, si muovono.
«Preparatevi!»
Imbracciano le armi. I cespugli si avvicinano e cominciano a prendere una forma diversa, definita. Uno di loro alza quattro rami. Se rami sono.
«Porc… sembrano dei cartoni animati» dice Velic.
Tensione palpabile e distanza che si riduce.
«Non sono rami, sono braccia» osserva qualcuno.
Figure esili. I terrestri scrutano in silenzio gli abitanti del pianeta. Un solo occhio, quattro braccia, due corte gambe.
Tutto sommato non sono poi così diversi.
La figura davanti alle altre emette alcuni versi, incomprensibili per Velic e i suoi uomini.
Chissà cosa sta dicendo, sempre ammesso che stia parlando.
Il nativo si avvicina ancora, abbassando le braccia.
Un colpo di fucile. Due. Dieci, cento colpi.
«Non sparate, idioti! Sono disarmati» urla Velic. Troppo tardi, però.
«Imbecilli!»
Furibondo, si avvicina ai caduti. Nessuno pare muoversi. Accanto ai corpi si allargano chiazze verde scuro. «Chi ha esploso il primo colpo?» chiede, sapendo che non avrà risposta.
È sconsolato. «Non doveva andare così, ora ci sarà una reazione.»
«Li accoglieremo» borbotta qualcuno.
Inutile. Sono soldati, prima che uomini.
«Andiamo. Fra poco arriveranno gli altri e decideremo con loro come comportarci. Speriamo bene.»
Pochi minuti dopo sono testimoni di un fatto irripetibile. Vedono materializzarsi, come pensavano, alcuni commilitoni. Poi arriva solo mezzo corpo. E un altro pezzo. Basta.
«Che diavolo succede?» grida Velic, preoccupato.
«Non ne ho idea» risponde una voce. «Forse interferenze?»
«Che diavolo succede?» grida Raminsky, preoccupato.
«Non so» ribatte Jonas «pare ci siano interferenze.»
«Continua a lanciare.»
«Sissignore.»
«Signore, siamo circondati. Non possiamo ucciderli tutti. Che facciamo?»
Il Capitano Velic non ha dubbi: «Deve essere successo qualcosa alla macchina, deponiamo le armi.»
A malincuore, i soldati obbediscono. Non sono abituati alla resa, ma questo è un caso limite.
«Facciamo tutti un passo indietro, poi sediamoci.» C’è chi lo guarda in modo strano, ma poi esegue gli ordini. Non c’è altro da fare. Una cinquantina di uomini contro una popolazione: improponibile.
I nativi capiscono e si siedono a loro volta. Alcuni raccolgono le armi lasciate dai terrestri e le portano via.
Velic sta guardando un’apparecchiatura simile a quella che li ha portati qui. Poche ore prima era a capo delle truppe che dovevano preparare l’arrivo di parte dell’umanità, ora è prigioniero su un mondo sconosciuto, forse senza possibilità di ritorno. O salvezza.
Mio Dio, da avanguardia a ultimi sopravvissuti? Spero non sia così, ma temo sia molto probabile.
«Li abbiamo mandati al macello, maledizione. Come avete potuto non accorgervi di niente?» Raminsky è disperato. Migliaia di uomini nel tunnel quantico ridotti a polvere cosmica.
E se non fosse apparso un braccio, chissà quanti avrebbero fatto la stessa fine.
«Jonas, convoca subito tutti. Dobbiamo risolvere il problema, a costo di costruire una nuova macchina.»
Il tecnico lo scruta, cupo. «Non so se ne avremo il tempo, Generale.»
«Proveremo fino all’ultimo istante.»
Sul pianeta verde passano gli zet, i fero e anche i parima senza che altri alieni cadano dal cielo. Velic e i suoi sono rassegnati a morire su un mondo straniero.
Dompes ha imparato la loro lingua, aiutato dal vecchio libro.
Ora dialogano, cercano di spiegarsi.
«Per noi non c’è nulla da fare. Siamo rimasti in trenta, dopo gli ultimi suicidi. Tutti maschi. Volevamo un mondo nuovo e ora ci stiamo estinguendo. La Terra non esiste più, ormai si sarà disintegrata.»
«Ti ripeto che siamo esperti in genetica. Non disperare, soldato, forse si può fare qualcosa. Anche il Madan la pensa così.»
«Credo sia meglio di no» ribatte Velic «entreremmo di nuovo in conflitto. L’uomo non riesce a vivere in pace.»
«Il libro è scritto in una lingua molto simile alla tua. Significa che veniamo dallo stesso ceppo. Ci riproduciamo come voi, solo la forma estetica è diversa. Potremmo anche divenire una razza unica. Chi lo sa?»
Velic scuote il capo. «Vedremo. Ma una cosa desidero sapere: come avete fatto a bloccare l’arrivo del resto dei nostri?»
Dompes sorride: «Ho seguito le istruzioni del libro, costruendo una macchina in grado di raffreddare ciò che la vostra surriscaldava: il tunnel spazio-temporale è collassato su se stesso, chiudendosi. È stato scritto da chi sapeva che, prima o poi, sareste arrivati. Cioè dai vostri e nostri antenati, molto previdenti.»
La punta di sarcasmo non disturba comunque Velic che commenta: «Un tappo bianco per il nostro buco nero.»
Sorride e alza lo sguardo al cielo. «Il verde è sempre stato il mio colore preferito.»
zet = giorno
fero = mese
parima = anno
Ultima modifica di Arunachala il Lun Gen 03, 2022 8:10 am - modificato 2 volte.