Film “The father – niente è come sembra” (2021)
Alcune sere fa abbiamo visto su Amazon Prime questo bellissimo film: io e mio marito siamo stati affascinati dalla trama fin dall’inizio, e il finale ci ha spiazzato, lasciandoci silenziosi e con tante riflessioni.
Il film è la trasposizione cinematografica di una pièce teatrale di Florian Zeller (che è anche il regista del film) – The Father - e il personaggio principale è un Anthony Hopkins strepitoso, in una delle tantissime interpretazioni con cui tiene la scena dal primo all’ultimo minuto e anche oltre.
Beh, cercarne una in cui non abbia preso e fatto proprio un personaggio è dura.
La storia inizia con l’aria di essere un thriller psicologico, di quelli confezionati con estrema cura, con un crescendo di pathos in cui la tensione – centellinata scena dopo scena - non cala mai, anzi.
Per i patiti del genere è un piccolo gioiellino.
In un bell’appartamento di Londra – e già questo! - vive da solo un uomo anziano, Anthony (ha lo stesso nome dell’attore) che ha problemi di memoria, forse un inizio di demenza senile: scontroso con tutti, attaccato alla propria indipendenza rifiuta ogni aiuto, scorda dove ha lasciato cose e la vicenda inizia proprio con l’accusa alla badante di avergli rubato l’orologio, in realtà da lui nascosto in bagno:
“Non so dove l’ho lasciato, non me lo ricordo, ma là dove l’ho lasciato non c’è più, ne sono certo”.
La figlia – Olivia Colman- preoccupata per il peggiorare delle condizioni, lo vorrebbe far ricoverare in una casa di riposo, anche in previsione del tuo trasferimento a Parigi col nuovo compagno.
Evento questo che da un lato addolora l’anziano, dall’altro ne pare quasi indifferente, sicuro di potersi gestire tranquillamente.
Antony è inoltre convinto che l’altra figlia, una valente pittrice che non vede da anni, tornerà: tiene un suo quadro in salotto, al posto d’onore, sopra il caminetto, per accoglierla degnamente.
In scena entrano poi, alternandosi, altri personaggi: un genero, anzi due – la figlia è divorziata – interpretati da Rufus Sewell e Mark Gatiss, una badante che il giorno dopo però è altra persona.
Tutta una mess’insegna per convincere il vecchio di essere pazzo, che la casa non è sua ma del “genero di turno” che lo vorrebbe mandare via, che la nuova badante, con cui ha un primo incontro molto frizzantino, proprio da anziano che provoca per non essere accettato, sarà molto paziente perché “si piacciono a vicenda”, come tenta di convincerlo la figlia.
Hopkins è straordinario nel rendere le sensazioni di una persona estremamente confusa, con sprazzi di lucidità che ti fanno dire “adesso li smaschera, ‘sti farabutti che vogliono casa e soldi”, soprattutto perché interpreta un personaggio della sua età, di cui potenzialmente potrebbe vivere le medesime situazioni.
Ritengo che, innegabile bravura a parte, proprio questo “essere coetanei” ad aver contribuito alla riuscita della recitazione.
Il finale è di quelli che toccano davvero molto: lui è davvero affetto da demenza senile, ogni situazione era solo nella sua testa, un intrico di ricordi e di sogni, di persone di cui non ha memoria o non ne mai avuta, di stanze che giorno dopo giorno si svuotano, di un ripostiglio che diventa il corridoio di un ospedale. La storia non era altro l’insieme di frammenti confusi della sua vita, che non riesce più a ricomporre, compresa la morte della figlia pittrice.
La scena clou, dove tutto si spiega, è l’ultima: nella camera di una casa di riposo Anthony chiacchiera con l’infermiera, che ha il volto della figlia, sempre rendendo l’impressione di una persona confusa ma che vuole apparire lucida, e che improvvisamente ha la percezione esatta della sua situazione e vive una regressione pazzesca, tornando indietro nel tempo e chiedendo della mamma. Vuole la mamma accanto, perché “sta perdendo le sue foglie”. Un anziano che singhiozzando si rifugia, "sentendosi" bambino, tra le braccia dell’infermiera.
Anche se vi ho raccontato tutta la storia, il filma vale davvero di essere visto.
Probabilmente noi lo rivedremo, come facciamo spesso con i film che lasciano qualcosa nei pensieri.
Alcune sere fa abbiamo visto su Amazon Prime questo bellissimo film: io e mio marito siamo stati affascinati dalla trama fin dall’inizio, e il finale ci ha spiazzato, lasciandoci silenziosi e con tante riflessioni.
Il film è la trasposizione cinematografica di una pièce teatrale di Florian Zeller (che è anche il regista del film) – The Father - e il personaggio principale è un Anthony Hopkins strepitoso, in una delle tantissime interpretazioni con cui tiene la scena dal primo all’ultimo minuto e anche oltre.
Beh, cercarne una in cui non abbia preso e fatto proprio un personaggio è dura.
La storia inizia con l’aria di essere un thriller psicologico, di quelli confezionati con estrema cura, con un crescendo di pathos in cui la tensione – centellinata scena dopo scena - non cala mai, anzi.
Per i patiti del genere è un piccolo gioiellino.
In un bell’appartamento di Londra – e già questo! - vive da solo un uomo anziano, Anthony (ha lo stesso nome dell’attore) che ha problemi di memoria, forse un inizio di demenza senile: scontroso con tutti, attaccato alla propria indipendenza rifiuta ogni aiuto, scorda dove ha lasciato cose e la vicenda inizia proprio con l’accusa alla badante di avergli rubato l’orologio, in realtà da lui nascosto in bagno:
“Non so dove l’ho lasciato, non me lo ricordo, ma là dove l’ho lasciato non c’è più, ne sono certo”.
La figlia – Olivia Colman- preoccupata per il peggiorare delle condizioni, lo vorrebbe far ricoverare in una casa di riposo, anche in previsione del tuo trasferimento a Parigi col nuovo compagno.
Evento questo che da un lato addolora l’anziano, dall’altro ne pare quasi indifferente, sicuro di potersi gestire tranquillamente.
Antony è inoltre convinto che l’altra figlia, una valente pittrice che non vede da anni, tornerà: tiene un suo quadro in salotto, al posto d’onore, sopra il caminetto, per accoglierla degnamente.
In scena entrano poi, alternandosi, altri personaggi: un genero, anzi due – la figlia è divorziata – interpretati da Rufus Sewell e Mark Gatiss, una badante che il giorno dopo però è altra persona.
Tutta una mess’insegna per convincere il vecchio di essere pazzo, che la casa non è sua ma del “genero di turno” che lo vorrebbe mandare via, che la nuova badante, con cui ha un primo incontro molto frizzantino, proprio da anziano che provoca per non essere accettato, sarà molto paziente perché “si piacciono a vicenda”, come tenta di convincerlo la figlia.
Hopkins è straordinario nel rendere le sensazioni di una persona estremamente confusa, con sprazzi di lucidità che ti fanno dire “adesso li smaschera, ‘sti farabutti che vogliono casa e soldi”, soprattutto perché interpreta un personaggio della sua età, di cui potenzialmente potrebbe vivere le medesime situazioni.
Ritengo che, innegabile bravura a parte, proprio questo “essere coetanei” ad aver contribuito alla riuscita della recitazione.
Il finale è di quelli che toccano davvero molto: lui è davvero affetto da demenza senile, ogni situazione era solo nella sua testa, un intrico di ricordi e di sogni, di persone di cui non ha memoria o non ne mai avuta, di stanze che giorno dopo giorno si svuotano, di un ripostiglio che diventa il corridoio di un ospedale. La storia non era altro l’insieme di frammenti confusi della sua vita, che non riesce più a ricomporre, compresa la morte della figlia pittrice.
La scena clou, dove tutto si spiega, è l’ultima: nella camera di una casa di riposo Anthony chiacchiera con l’infermiera, che ha il volto della figlia, sempre rendendo l’impressione di una persona confusa ma che vuole apparire lucida, e che improvvisamente ha la percezione esatta della sua situazione e vive una regressione pazzesca, tornando indietro nel tempo e chiedendo della mamma. Vuole la mamma accanto, perché “sta perdendo le sue foglie”. Un anziano che singhiozzando si rifugia, "sentendosi" bambino, tra le braccia dell’infermiera.
Anche se vi ho raccontato tutta la storia, il filma vale davvero di essere visto.
Probabilmente noi lo rivedremo, come facciamo spesso con i film che lasciano qualcosa nei pensieri.