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https://www.differentales.org/t84-la-lucentezza-di-graceA Martina piace il suo nome: lo associa a simpatia, allegria e semplicità.
Martina adora la “Libreria dei bambini”, piccola e accogliente. Sua.
Era diventata sua quando aveva deciso di non entrare a far parte delle imprese di famiglia: non si sentiva all’altezza del ruolo che avrebbe sicuramente occupato dopo una sana gavetta. Troppo fragile.
Assieme a un appartamentino al piano superiore, la libreria è tutto il suo mondo, dove si sente protetta e padrona del suo tempo.
La compagnia di piccoli lettori non manca mai: per loro ci sono comode poltroncine, tavoli per disegnare, e, se serve, anche un’amica per ascoltare confidenze e piccoli segreti.
Il nonno Virginio l’aveva sostenuta in questa scelta: questa ragazza minuta, intelligente, dal volto dolcissimo era quanto di più prezioso avesse. Erano legatissimi, cosa che portava anche a qualche accenno di gelosia da parte dei genitori di Martina, che spesso si erano sentiti messi da parte.
Il legame che univa Martina e il nonno era molto particolare ma da tempo non parlavano più della ragione di questo legame così forte.
A Martina piace in numero 8: due bei circoletti paffuti, precisi e netti. Quando una paura lontana l’assale, prende un quadernetto e lo riempie di tanti otto, tutti ben allineati, tracciati con cura: pagine e pagine, fino a quando torna la calma. Poi lo ripone in un piccolo baule, assieme ad altri.
Il “suo” otto assomiglia ad un pupazzo di neve.
A Martina piacciono i pupazzi di neve: quando nevica in città ne fa di piccoli che mette in una ciotola vicino alla vetrina della libreria. Una volta ci aveva trovato delle monetine!
I più belli però sono quelli che costruisce sulla radura davanti alla piccola casa in montagna, sulla Montagna Nera, là vicino alla cima, dove i boschi finiscono all’improvviso e la neve arriva sempre presto. La casetta di legno è il posto segreto suo e del nonno, dove Martina ogni tanto si rifugia quando certi pensieri si fanno troppo invadenti.
Nessuno sa della casetta: l’avevano costruita alcuni amici del nonno. Amici strani, silenziosi, che parlavano pochissimo e in una lingua straniera.
Anche la casetta è diventata sua: un’eredità segreta di cui si occupano amici fidati.
Oggi Martina ha costruito un pupazzo di neve molto grande, perfetto e solido, ben riparato dal vento dentro a una grotta. Posto strano per un pupazzo!
La ragazza sta dando gli ultimi ritocchi: vuol scendere presto a valle, prima che la neve che sta cominciando a cadere renda impraticabile il sentiero anche per la motoslitta che aveva usato, il giorno prima, per salire in cima.
È nervosa, si muove a scatti, e parla da sola.
No, Martina non parla da sola.
«Allora, hai freddo vero? Come si sta nudi sotto la neve? Il caffè era buono?»
Martina sistema per bene la base del pupazzo.
«Dormito bene? Stai comodo sulla sedia? È vecchia ma robusta. Mica come quella a cui mi hai tenuto legata due settimane… due settimane… dodici anni fa!»
Martina sistema dei rametti a mo’ di braccia.
«Sì, caro amico dei bambini, dodici anni, sono passati dodici anni ma è come se fosse successo ieri: due settimane al freddo, un pomeriggio anche sotto la neve! Diventerai un pupazzo, mi dicesti… poco cibo e tante parole crudeli con cui volevi annientarmi, mentre aspettavi il denaro per il riscatto.»
Martina avvolge al collo del pupazzo una sciarpa a quadrettoni rossi e gialli.
«Pensavi di farmi impazzire, volevi i soldi per sentirti ricco, ricordi cosa mi dicevi? “Tu non meriti tutti quei soldi, sei inutile come i tuoi genitori, dovete soffrire”. Però con quei soldi anche tu saresti diventato ricco.»
Martina si sta calmando: il pupazzo ormai è quasi finito, l’uomo nascosto al suo interno ha smesso di tremare, forse è già morto o forse solo svenuto, non le interessa, anche se spera sia ancora cosciente per ascoltare le sue ultime parole.
«Eri sicuro che io ne sarei uscita talmente devastata da non ricordare nulla di te! Sbagliato! Io ero molto osservatrice, come sono spesso i bambini, e quella voglia a forma di otto sulla tua mano non l’ho mai dimenticata! Quanto ho odiato il numero otto! Eppure ero brava in matematica. Il nonno e il suo amico Marco…
Martina ora sistema una cuffia rossa in testa al pupazzo.
«È stato lui, anzi sono stati loro ad aiutarmi ad uscire da quell’incubo in cui quelle due settimane avevano racchiuso la mia mente: venivamo qui, in questo posto che nessuno conosceva, e io piano piano ricordavo. Sai che non sono più tornata quella di prima? Ero piena di energia, sempre in movimento, dicevano che dove il pericolo non c’era io me lo inventavo. Ma quando mi hai lasciato andare, sporca, scarmigliata, terrorizzata, non c’era più quella Martina. E detestavo i cagnetti.»
La neve comincia a cadere fitta, ma Martina deve finire di raccontare, con la speranza di guarire dai ricordi.
«Sai cosa significa aver paura della propria ombra? Non voler uscire dalla camera perché dietro a ogni porta c’eri tu? Non giocare con gli amici, non andare a scuola come gli altri bambini? No, tu non lo sai! Quanto ti sono durati quei soldi maledetti? Poco, tanto? Ma non erano i soldi ad interessarti, ma solo la possibilità di farmi del male! E a quanti altri hai riservato lo stesso trattamento?»
Martina osserva compiaciuta il proprio lavoro: è un pupazzo massiccio, la neve ben pressata sul corpo legato saldamente alla sedia.
«Scommetto che eri venuto a caccia, nella mia libreria! Tanti bambini, innocenti, indifesi, con quel cagnetto così carino! Anche se non avessi visto la mano, ti avrei riconosciuto dalla voce. Gentile, suadente. Subdolo. Sapessi che fatica a non mettermi a urlare!»
Martina si allontana di qualche passo per osservare meglio in pupazzo.
«E per fortuna tua non tengo forbici sul bancone, sai coi bambini ci vuole prudenza. Ma non ti avrei fatto niente con loro presenti. L’idea del pupazzo di neve mi è venuta quando hai ammirato le foto di questo posto che ho in negozio. Ti ricordi?»
«Che posto magnifico, signorina!» dicesti, «Mi piacerebbe proprio farci una capatina! Mi sa dire dov’è?»
«Certo, è un po’ lontano ma vale la pena.»
«E sa dirmi se è possibile affittare… non so, una baita, una villetta… magari per qualche mese.»
«Beh, direi che lei è fortunato: la casa della foto è mia, ci vado spesso, anzi ci andavo, ora con la libreria non ho tanto tempo. Se le interessa, possiamo andare a vederla, con la neve è stupenda.»
Si erano accordati per un fine settimana. Arrivati in paese, si erano fermati in un garage dove Martina aveva recuperato la motoslitta ed erano saliti in quota: l’uomo aveva un po’ paura, ma l’idea di un posto così solitario per le sue necessità lo elettrizzava.
Dopo aver visitato la casetta, Martina, con aria cospiratoria, gli aveva confidato di avere un posto segreto dove andava da ragazzina: una piccola grotta dove lei e i suoi fratelli giocavano a Robinson Crusoe.
«Alcuni boscaioli ci hanno aiuto a costruirci davanti una piccola capannuccia, e dentro, per ripararci dal freddo, l’hanno rivestita con delle assi! D’estate ci abbiamo pure dormito, a quell’età chi lo sente il freddo!»
L’uomo non credeva alla propria fortuna. Forse avrebbe fatto meglio a essere più prudente, ma era troppo eccitato. Quel che successe dopo, sarebbe diventata storia che, se la fortuna portava con sé un po’ di giustizia, nessuno avrebbe mai raccontato
«Te l’avevo detto che era freddina, la grotta: toglierò anche queste assi in fondo, così l’aria che arriva da questo cunicolo ti conserverà intatto, penso anche a primavera finita. I vecchi dicono che dal cunicolo una volta usciva un ruscello, ma una frana ne ha deviato il corso. Che fortuna! Per me, non per te!»
Martina toglie le assi e una folata di aria gelida invade la stanzetta, fuggendo poi dalla porta aperta.
«Ora mi spiace ma devo proprio andare. Non preoccuparti per Chicco, passo io al canile a recuperarlo. Carinissimo davvero, e come piace ai bimbi del parco vero? Mentre loro giocano con Chicco, tu ti ecciti, dici parolacce, racconti sottovoce le tue fantasie perverse! Loro non capiscono, ma tu godi, vero? Beh, ora hai finito di essere un pericolo, spero che ci siano davvero gli orsi da queste parti, e che tu abbia molta paura. Però è un peccato che tu muoia una sola volta.»
Martina esce dalla grotta, indifferente ormai al destino dell’uomo e torna nella casetta di legno più in basso: accende il camino e finalmente può bruciare tutti i quaderni. Ora il numero otto le sta molto più simpatico.
Mentre sale sulla motoslitta, un trillo la sorprende.
La sveglia.
Era solo un sogno, un sogno che le ha lasciato una strana sensazione di leggerezza, di compiutezza.
Si stiracchia, sorridendo: sulla poltrona, ben ripiegati, gli abiti pesanti pronti per la gita in montagna.
Guarda fuori dalla finestra: in strada, impaziente, quel cliente strano, con una orribile sciarpa a quadri rossi e gialli e una cuffia con improponibili pon pon. Ideali per decorare un pupazzo di neve.