Dopo un’estenuante giornata di lavoro, Mantas Bajarunas stava rientrando a casa. Aveva trascorso ore davanti al computer per svolgere il suo lavoro di grafico. Dedicava anima e corpo alla sua professione, s’impegnava con passione, sempre alla ricerca dell’innovazione e dell’originalità. Il suo lavoro gli permetteva di lasciare libera la fantasia e far fluttuare le idee tra creatività ed estro. Come hobby aveva la passione per lo sport, il calcio in particolare. Non era un semplice tifoso, né un appassionato. Adorava quello sport, ammirava i campioni. Tuttavia, non tifava nessuna squadra in particolare: era un arbitro, imparziale fino al midollo.
Ci fu un punto nella sua vita, il classico bivio di fronte al quale gli uomini si trovano. Non ne sono consci in quel preciso istante, ma soltanto col senno di poi. La strada giusta? A destra o a sinistra? Per Mantas, da una parte c’era la sua passione per la grafica digitale, professione che agli albori della sua carriera soltanto intravedeva il progresso che avrebbe avuto. Dall’altra la passione per l’arbitraggio, per cui si vedeva già nella terna per la finale di coppa campioni al Santiago Bernabeu di Madrid. Quale carriera avrebbe avuto più possibilità di realizzazione?
Divenne un grafico, mentre il fischietto e i cartellini li utilizzava soltanto nelle partite di calcio tra dilettanti. Con senno di poi, ora, meglio non fare i conti.
Durante il tragitto dall’ufficio alla sua abitazione, si rendeva conto di quanto fosse stanco sia nel corpo che nella mente. Si chiedeva spesso quanto avrebbe potuto resistere in quelle condizioni. Per questo, non aveva una risposta, soltanto certezze. Doveva spingere ed essere lucido anche nei minuti di recupero.
Guardando l’immagine che non poteva far a meno di vedere varcando lo sgangherato cancello di ferro che separava la strada dalla sua proprietà, trovava una risposta parziale ai suoi dubbi esistenziali: Kryžių Kalnas, con tutto il suo alone suggestivo, il mistero nascosto e il potente carico simbolico, riusciva a penetrare i suoi occhi e a specchiarsi nelle lenti degli occhiali da sole nello stesso momento.
Mantas non era un uomo religioso, né nella vita né in campo. Da regolamento, per il colpevole di bestemmia c’era il rosso diretto. Con la collina delle croci aveva un forte legame, spesso la guardava, come faceva con i guardialinee per una segnalazione di fuorigioco.
Era poco più di un bambino quando nel 1988 suo nonno fu rapito dagli agenti del KGB. L’impero sovietico stava implodendo e lo stato lituano, come altri paesi satelliti, iniziava ad assaporare quella pillola dolce chiamata libertà. O almeno la pregustava, la immaginava, insomma, la credeva possibile. C’era fermento, ottimismo, era l’alba di una nuova era. Il nonno fu accusato dal regime di essere un sovversivo e di fare propaganda per l’occidente. Il pericolo imminente, il crollo del sistema, aveva spinto le vespe fuori dal vespaio che, disorientate e timorose, cercavano alla cieca vittime innocenti da sacrificare sull’altare del capro espiatorio. “All’epoca non c’era il var” pensava spesso l’arbitro.
Mantas ricordava bene il giorno in cui portarono via il padre di suo padre. Si chiamava come lui, Mantas. Non lo rivide mai più, né mai poté piangerlo davanti a una lapide. Elaborato il lutto, crescendo e diventando un uomo, un giorno si decise ad acquistare una croce di legno chiaro, di medie dimensioni. Con uno scalpello incise il nome del nonno e si avviò verso Kryžių Kalnas, per dare al suo caro la tomba, ancorché simbolica, che non aveva mai avuto. Giurò su se stesso che in qualche modo l’avrebbe vendicato. Senza uccidere altre persone, senza commettere reati, ma seguendo un ideale. Gli assassini di suo nonno erano da rosso diretto. Nessuna moviola.
Una necessità, più che un ideale, una commistione tra geopolitica e servizio segreto, l’unione tra abilità informatiche e social network. Come tra tifosi che tifano e ultrà che manovrano, la prontezza nell’applicare il regolamento e il var dove l’arbitro e i suoi assistenti non arrivano. I social come se fossero il var: per vedere ciò che subito non si vede e che di primo acchito può essere mal interpretato.
Mantas era un elfo.
“Si dice che Putin stia preparando un attacco su larga scala contro le repubbliche baltiche” esclamò Alina, non appena il marito varcò l’ingresso.
“Non lo faranno mai, tutta propaganda” sbuffò Mantas posando le chiavi dell’auto sulla credenza.
“Ho mandato i bambini da mia madre stasera” cambiò discorso la donna.
“Hai fatto benissimo!” esclamò Mantas, “così potrò iniziare a lavorare in anticipo e avrò più tempo.”
“In realtà immaginavo una serata diversa per noi due ma…” s’interruppe Alina.
“Sei conscia che il mio lavoro extra, diciamo così, è per un bene superiore, almeno in questo periodo” continuò il marito.
“Non facevi l’arbitro come lavoro extra?” ribatté la moglie.
“Lo chiami lavoro con quei quattro spiccioli che prendo?” fece una pausa, “tralasciando la valanga d’insulti,” rise.
“Ti appoggio, lo sai” disse Alina avvicinandosi al marito. Lo abbracciò e gli diede un dolce bacio sulle labbra.
“Lo so” rispose lui sorridendo e baciandola a sua volta.
“Non è ora di cambiare quella maledetta abat-jour di questo scarno salotto?” chiese Alina portando le mani ai fianchi. “Quella sì che meriterebbe un bel rosso, espulsa dal nostro salotto!” aggiunse.
“Scarno?” esclamò lui sorpreso, “hai un divano, una televisione, una poltrona massaggiante e la splendida abat-jour vintage, cosa vuoi di più? Non puoi espellere l’abat-jour, non ha fatto fallo intenzionale, al massimo si becca una giornata di squalifica e te la ritrovi al suo posto in men che non si dica.”
Alina lo guardò divertita, voleva capire dove sarebbe andato a finire quel discorso così esilarante: “Dove la vedi la poltrona massaggiante?”
“Non bisogna vederla, bisogna sentirla” disse Mantas, “Gli acari sanno fare la loro parte!”
Risero entrambi e guardarono fuori dalla finestra come se stessero contemplando un futuro più incerto che mai.
Calava la sera e nubi minacciose si scorgevano all’orizzonte. Da una parte le luci di Šjauljaj, dall’altra la collina, che sembrava un grosso capo sul quale era posta una corona di spine.
“Andrà tutto bene!” disse Mantas con voce decisa, porgendo il pugno alla moglie.
“Speriamo che quella collina non si trasformi in un cimitero” sussurrò Alina, battendo a sua volta il pugno su quello del marito.
Seduto sulla poltrona massaggiante, con il laptop sulle ginocchia, Mantas iniziava il suo lavoro notturno per contrastare i troll e la loro disinformazione. Come un attaccante di razza, doveva fiutare l’azione, la palla, il goal. Evitando di finire in off side anche solo per un capello.
La guerra in Ucraina ha scatenato una reazione a catena che ha allarmato l’occidente e risvegliato i nostalgici del regime sovietico, quei filorussi che se ne stavano nascosti attendendo il momento propizio. Come gli ultrà che non vedono l’ora di tornare allo stadio per fare casino, dando le spalle al gioco più bello del mondo. Certo, qui si tratta di tutto, fuorché di un gioco.
Mantas era dubbioso sul fatto che l’Ucraina e la sua distruzione fossero un pretesto per scatenare una guerra mondiale. Ci doveva essere qualcosa di più, poiché anche la conclamata indipendenza delle repubbliche del Donbass o l’annessione della Crimea nel 2014 gli sembravano questioni minori. La sua indole creativa gli faceva pensare questo. La sua indole sportiva, se così si poteva chiamare, lo portava a concludere il match e a lottare fino al triplice fischio, comunque fosse andata a finire.
“Qui si tratta di scardinare il sistema democratico occidentale” scrisse in conclusione all’articolo che voleva pubblicare sulla sua pagina facebook. Aveva creato un’immagine animata con Putin che chiudeva il rubinetto del gas, poi bloccava l’importazione del grano attraverso il mar Nero, contava i dollari a Wall Street e combatteva una sfida di arti marziali mettendo ko Joe Biden. Al centro, noncuranti di ciò che accadeva intorno, tutti i leader europei seduti a un tavolo a discutere di sanzioni. Come dire: voi discutete che intanto lo Zar fa quello che gli pare. La simulazione comporta un cartellino giallo. E Mantas, senza tante storie, lo avrebbe estratto per la Von Der Leyen.
“Ti ho portato una tazza di caffè” disse Alina sedendosi sul bracciolo della poltrona.
“Grazie” sussurrò lui.
“Novità?” chiese la moglie.
“Pare ci sia stato un attacco hacker russo alla televisione lituana. Per qualche minuto è apparso un falso articolo nel quale il nostro ministro della difesa ammetteva di essere indagato per molestie sessuali.”
“Immagino che i troll abbiano preso la palla al balzo,” annuì Alina.
“L’articolo è stato prontamente rimosso, molti elfi lo hanno segnalato come fake news. Ma questo non ne ha impedito una rapida diffusione.”
“Sarà una battaglia lunghissima, probabilmente il conto aperto tra elfi e troll non si chiuderà mai, non vedremo mai il finale” aggiunse Mantas.
“Ciò che stai facendo è la tua Champions League. Lo so quanto ci tieni. Il sogno calcistico che avevi, rimarrà tale. Ora stai facendo qualcosa di veramente concreto” disse la donna accarezzandogli il viso. “Io vado a letto, ti lascio al tuo lavoro,” concluse sbadigliando.
“Che ne dici se lasciamo i bambini da tua madre anche domani sera?” esclamò Mantas.
“In panchina?”
“No no, in tribuna. Non convocati. Sarò tutto per te, niente caccia ai troll.”
I loro sorrisi s’incrociarono trasmettendosi amore e felicità.
Intanto i troll trasmettevano odio cercando di sovvertire la società lituana. L’America, l’Unione Europea, la Nato, tutto uno schifo. E poi, il capitalismo, foriero di sventure: immigrazione incontrollata, bassa natalità, alti costi per l’energia. I lituani avrebbero dovuto guardarsi bene dai servi dell’occidente, unendosi fisiologicamente ai veri patrioti che vedono la Lituania sotto l’ala protettiva della Russia.
Mantas era stufo di sentire quelle menzogne. Non ne poteva più. Dall’inizio della guerra in Ucraina la disinformazione filorussa era aumentata in modo esponenziale. Nella guerra convenzionale i soldati possono essere uccisi. Nella guerra dove si spara, per terra, dal mare o dall’aria, non c’è la parte giusta o quella sbagliata, almeno non più. Non di questi tempi.
Nella guerra d’informazione i combattenti possono essere convinti a cambiare colore della divisa e a combattere per il nemico. “Ma chi è il nemico?” si chiese Mantas. “Sotto le bombe non si distingue più tra il buono e il cattivo. E al diradarsi dei fumi, rimane solo una distesa di croci che somiglia a Kryžių Kalnas ma in realtà è un cimitero”. Lo scrisse pensando alle parole di sua moglie Alina pronunciate poco prima.
“I russi fanno esercitazioni militari su larga scala appena oltre il confine, i loro jet violano sistematicamente lo spazio aereo lituano senza annunciarsi per raggiungere Kaliningrad; attraverso i media ci minacciano di attaccare la nostra sovranità. Atsparumas! Continuiamo a combattere questa battaglia fantastica!”
Nel volley la chiamerebbero invasione, nel basket fallo tecnico. Nel calcio il contrario di fair play. Sarebbe il caso che nel mondo si facesse un bel terzo tempo. Questo pensava Mantas anche se non lo scrisse poiché non tutti, probabilmente, avrebbero capito. E il suo obiettivo, come quello di tutti gli elfi, era di raggiungere più utenti possibili puntando ad azzerare la disinformazione dei troll.
Mantas decise di chiudere su facebook la sua rassegna notturna di fake news filorusse scovate nei meandri del web. Sorrise quando vide la notifica dell’email del suo amico elfo Tomas: esperto informatico, hacker a tempo perso, gli mandava tutte le notti l’elenco dei “troll uccisi” ovvero tutti i filorussi lituani, ma anche estoni e lettoni, che aveva reso temporaneamente inattivi in rete. Lui sì che era un vero mastino in area di rigore, neanche il var l’avrebbe smascherato.
Sorridendo, alzò il capo dal computer dopo ore. Anche quella sera aveva concluso la sua partita in salotto giungendo al novantesimo più recupero. Aveva ammonito, avrebbe voluto espellere, ha espulso. Ha subito gli insulti dei tifosi. Ma al triplice fischio ha imboccato il tunnel soddisfatto.
Si passò una mano sul viso e chiuse il computer. Alla finestra, vide le luci della città che sbiadivano cancellate dall’alba. I raggi solari dribblavano le croci piantate sulla collina. Era la fine di quella giornata, per Mantas era arrivato il triplice fischio. Su per giù, poteva farsi un paio d’ore di sonno. Più recupero.