Come ci sei arrivata quassù? Io non l’ho ancora capito. Forse dovrei dire apparsa, e non mi meraviglierebbe se con gli anni tu avessi raggiunto anche questa abilità.
Le ninfe non portano scarpe, ma il fruscio di quel passo sospeso, col piede leggero librato a mezz’aria, mi ha distolto dai pensieri molesti, in queste noiose serate di forzato confinamento.
Ricordo la prima volta che ti vidi.
Parlavi, dietro di me, a tuo agio sulla scomoda panchina di un tram, quasi fosse stato un salotto.
Incuriosito dal tono malandrino della tua voce, inventavo scuse per girarmi e scrutavo l'insegna di un’anonima bottega per animali, mai stata così importante, mentre fingevo di aver mancato la fermata.
Come avrò fatto ad attaccare bottone?
A dispetto della mia timidezza, in quel momento ho creduto che tutto fosse fattibile, e da lì in poi nessun ostacolo mi avrebbe impedito di cambiare la mia vita, anche mille volte, se solo l’avessi voluto.
Qualche minuto dopo già mi sorridevi e cercavi quella stessa allegria sul volto della tua amica, sicura che la nostra intesa fosse una bellezza assoluta, una gioia da condividere con tutti.
Seduto in terrazzo, fiuto l’aria odorosa e densa, come il respiro eccitato di un’animale in calore, e mi abbandono a questi ricordi che sembrano davvero parte di un racconto d'amore.
Poco fa, un colpo di vento ha trascinato a terra un vaso di gerani e il pavimento è ricoperto di un grumo di terra nera, invisibile nel buio della sera, calata all’improvviso in questa Milano assonnata di fine agosto.
Adesso c’è calma piatta là fuori. La strada, trenta metri giù in basso, è deserta. Dal piano di sotto sale un buon odore di cucina lombarda. Lo respiro. Quasi mi sembra di mangiarlo questo piatto di osso buco alla milanese, anche se adesso assaggerei ogni cosa, pur di evadere dalla monotonia.
Rivivo le serate in tua compagnia, ed era faticoso. Nulla era chiaro: l'ambiguità era la tua forza. Io, invece, amavo la semplicità, e soffrivo per quel tuo vorticoso cercarmi e abbandonarmi.
Mi accoglievi come un figlio che doveva espiare tutte le colpe del mondo. Ero la preda perfetta da sacrificare sull’altare della tua vanità.
Decidevi tu ogni giorno, ogni santo giorno, per i nostri incontri e per i tuoi incantesimi.
Amavi bere e fumare. Nulla t’intimoriva, tanto meno gli sguardi maschili, sedotti dalle tue indecenti scollature.
Quando ho intravisto una sagoma evanescente vicino alla ringhiera, incurante del vaso rotto, non ho pensato che avresti potuto essere tu.
Già nel vago eri diversa, diversissima dalla ragazza prosperosa che avevo conosciuto sul tram.
Ma la tua presenza su questa terrazza di città adesso è reale, lo devo ammettere. Così hai fatto un passo avanti, come di sfida.
E di sfide me ne hai sempre lanciate tante, tu.
Quando ti baciai per la prima volta, tanti anni fa, fu sorprendente riconoscere quanto poco coraggio ci volesse per poggiare le mie labbra sulle tue, morbide e senza una linea di trucco.
Inizialmente baciavi male: mordicchiavi, veloce e isterica, vinta da un’involontaria emozione. Poi è arrivata quella dolcezza che ho sempre cercato.
È arrivata con il tuo profumo e il colore dei tuoi occhi, belli e nitidi, anche da così vicino.
Mentre felice li mettevo a fuoco, tu mi hai detto:
«Questo bacio non è reale, non è accaduto. Non sono nata per dare baci agli uomini».
In effetti, ora sei cambiata tanto, come se qualcuno o qualcosa ti abbia consumata. Non ti ricordavo così magra, la tua faccia adesso è più dura, puntuta, con due zigomi sporgenti. Hai i capelli curati, biondi ormai. Due file di riccioli perfetti scendono ai lati del tuo volto delicato, illuminato da un sorriso languido e sfuggente.
Vesti da donna vera… adesso. Calze trasparenti, camicetta ricamata, e una vaporosa gonna scura. Sono le impronte di una nuova vita, o forse il nero del tuo abito è solo un annuncio di lutto?
All'epoca parlavo tanto con le tue amiche, sempre pronte a malignare e inondarmi con i dubbi e le incertezze che nutrivano su di te. Eravamo giovani, e loro mi sembravano delle vecchie decrepite, logorate anzitempo dall'invidia, e spossate dall'ambizione. M’informavano che tu non avevi mai avuto un uomo e mai saresti stata capace di una sola carezza. Secondo loro certe cose non t’interessavano. Forse avevano ragione, ma tutto quel parlare m’incendiava come non mai.
Hai sempre avuto un bel fisico, ma ora sei più attenta al tuo aspetto. Adesso padroneggi quelle tecniche di seduzione che allora goffamente utilizzavi.
Vieni verso di me, e tutto quel costruire la tua immagine mi dice che hai abdicato a tante tue vecchie teorie, noi compresi.
Il male fra noi era cominciato prima che ci fosse un vero “fra noi”.
O meglio, proprio quando fra i nostri corpi non c'era più niente, tu trovavi il modo di farmi avvilire.
Ogni volta pensavo che avrei superato i tuoi limiti, come quando da ragazzino avevo tardato di notte, e scavalcavo il cancello di casa. Ero convinto che tu, come mia madre, avresti prima urlato “al ladro” e poi mi avresti abbracciato e accolto. Ma a te nemmeno sfiorava la paura di essere derubata. La ladra eri tu.
Non è stato il tuo nuovo aspetto a sconvolgermi. È stato il tuo desiderio diverso e misterioso, che mi emoziona più della scoperta di un tesoro, sepolto su una spiaggia deserta da un pirata in fuga.
Abbandonata alle mie carezze, sei qualcosa di assolutamente buono e appagante. Guardarti, toccarti, è incantevole, ma non saprei assegnarti un nome.
Immagino come la gente ti faccia mille complimenti al solo vederti camminare per strada. Questo alimenta tutti i miei piaceri, ma allontana crudelmente il mio capire cosa sei.
Se non dico quella parola, non me lo perdonerò mai, ma se la pronuncio, mi logoro, divento un nulla.
“Bellissima!”
Ecco l'ho detta. Ora il tempo potrà riprendere a scivolare normalmente.
Negli anni dell'università credevo che non mi sarei mai stancato di te, delle tue storie. Invece mi stancai, pur avendo sopportato quella situazione surreale per molto tempo.
Un giorno smisi di cercarti e tu facesti lo stesso.
Per la prima volta ci intendemmo senza esitazione, quasi fossimo due musicisti che improvvisavano una sinfonia.
Non svanisti subito. Prima dovetti partecipare allo spettacolo della tua metamorfosi, ma senza soffrirne. Io trovai una nuova ragazza, tu ritornasti dai tuoi amici sgangherati e fu quello il momento in cui scegliesti di iniziare a decadere, come un impero ricco d'arte ma incapace di lottare.
So che lasciasti la città e fu la scelta più giusta.
Erano arrivati i barbari, e la Milano da bere ora puzzava di burro e cipolla.
Scrivo la nostra storia al mio solito tavolino di lavoro.
Ho ripreso a fumare.
Tu dormi.
Prima o poi verrà sonno anche a me.
All’improvviso mi torna in mente una strana avventura capitatami da bambino: sognavo sempre due tizi, con un paio di grugni immondi, vestiti da gitani. Ero terrorizzato e non c'era notte priva della loro orribile compagnia. Così un pomeriggio, invece di fare i compiti, presi una matita e li disegnai. Li guardavo prendere forma fra le mie mani, veri, concreti. Sembrava potessero uscire dal foglio, conquistare profondità. Da quel giorno sparirono per sempre.
Domani mattina tornerò alla mia dichiarata normalità.
Mi sveglierò come sempre un po' in diagonale, occupando con soddisfazione tutto il letto a due piazze.
Questo però non è un mio pensiero, adesso non penso. Ho solo voglia di fumare.
Dopo si fuma sempre.
Ultima modifica di almarc il Ven Ago 12, 2022 2:59 pm - modificato 2 volte.