Commento a Cristalli e orchidee
Esci dal bosco e la luce ti accoglie.
Un passo.
Uno spazio senza più confini.
Un orizzonte distante ti accoglie, ti invita.
Accetti.
Un altro passo.
Ogni sensazione è nuova.
Adesso che i piedi nudi calpestano incerti la sabbia percepisci
calore
formicolio
timore.
Ma devi farti coraggio e proseguire: un piede, poi l’altro. Un piede, poi l’altro.
Vai avanti.
Passo dopo passo, lentamente, ogni paura si stempera e ti godi il fioco tepore che emanano i granelli sottili sotto le piante dei piedi. È uno strano pizzicore: ricorda le dita di papà che ti fanno il solletico di sabato mattina.
È mutevole però, la sabbia. Ingannevole. Prima il piede affonda, il passo reso quasi incerto dalla sua cedevolezza. Poi, camminando, diventa più dura. Si fa umida, bagnata: e ti trovi di fronte a un moto incessante, a un ondeggiare intenso.
Il mare.
Non hai ancora finito di assorbire la quantità di sensazioni incontrate durante il cammino che subito un’altra ti assale.
E guardi smarrito l’immensità che ti sta di fronte, incapace di capire come i tuoi occhi, così piccoli, riescano a contenere l’azzurro, il verde, il bianco che poi si fa ancora azzurro, che si fa ancora verde e poi bianco e poi azzurro e verde...
Sopraffatto, ti lasci cadere; ti siedi. Là, sulla riva, con l’acqua che appena ti lambisce. Mentre un sole pallido ti avvolge, ti rassicura, osservi il moto delle onde: ricorrente, incessante.
Con la mano afferri un pugno di sabbia, che rapida ti sfugge fra le dita.
Clessidra.
Un’onda arriva sulla spiaggia, si frange, fluisce. E subito un’altra la rimpiazza, si frange, fluisce. E subito un’altra.
Il mare.
Il tempo.
Seduto sulla riva del tempo, dove ogni secondo, ogni minuto, ogni attimo si frange e fluisce, si frange e fluisce.
I mesi, le stagioni, gli anni, trascorrono, si frangono, fluiscono.
E ogni onda, e ogni attimo, ti lascia qualcosa: un fiocco di spuma, un granello di sabbia, un legno annerito, un sacchetto sfrangiato; brevi esperienze felici, dolori che paiono infiniti.
E quando infine ti alzi, camminare è fatica.
Ma non per la sabbia.
Esci dal bosco e la luce ti accoglie.
Un passo.
Uno spazio senza più confini.
Un orizzonte distante ti accoglie, ti invita.
Accetti.
Un altro passo.
Ogni sensazione è nuova.
Adesso che i piedi nudi calpestano incerti la sabbia percepisci
calore
formicolio
timore.
Ma devi farti coraggio e proseguire: un piede, poi l’altro. Un piede, poi l’altro.
Vai avanti.
Passo dopo passo, lentamente, ogni paura si stempera e ti godi il fioco tepore che emanano i granelli sottili sotto le piante dei piedi. È uno strano pizzicore: ricorda le dita di papà che ti fanno il solletico di sabato mattina.
È mutevole però, la sabbia. Ingannevole. Prima il piede affonda, il passo reso quasi incerto dalla sua cedevolezza. Poi, camminando, diventa più dura. Si fa umida, bagnata: e ti trovi di fronte a un moto incessante, a un ondeggiare intenso.
Il mare.
Non hai ancora finito di assorbire la quantità di sensazioni incontrate durante il cammino che subito un’altra ti assale.
E guardi smarrito l’immensità che ti sta di fronte, incapace di capire come i tuoi occhi, così piccoli, riescano a contenere l’azzurro, il verde, il bianco che poi si fa ancora azzurro, che si fa ancora verde e poi bianco e poi azzurro e verde...
Sopraffatto, ti lasci cadere; ti siedi. Là, sulla riva, con l’acqua che appena ti lambisce. Mentre un sole pallido ti avvolge, ti rassicura, osservi il moto delle onde: ricorrente, incessante.
Con la mano afferri un pugno di sabbia, che rapida ti sfugge fra le dita.
Clessidra.
Un’onda arriva sulla spiaggia, si frange, fluisce. E subito un’altra la rimpiazza, si frange, fluisce. E subito un’altra.
Il mare.
Il tempo.
Seduto sulla riva del tempo, dove ogni secondo, ogni minuto, ogni attimo si frange e fluisce, si frange e fluisce.
I mesi, le stagioni, gli anni, trascorrono, si frangono, fluiscono.
E ogni onda, e ogni attimo, ti lascia qualcosa: un fiocco di spuma, un granello di sabbia, un legno annerito, un sacchetto sfrangiato; brevi esperienze felici, dolori che paiono infiniti.
E quando infine ti alzi, camminare è fatica.
Ma non per la sabbia.