Ad Adele, Carola, Dina, Emilia, Enrica, Giulia, Giuseppina, Iginia, Luigia e Palmira
Nella piccola stanza, la luce tremula di una candela proietta sulla parete l’ombra della testa di Giulia. I suoi lunghi capelli, stretti in una crocchia che si erge come una piramide alla sommità del capo, la fanno sembrare simile al pendolo di un metronomo. La macchia scura oscilla da sinistra a destra seguendo un ritmo cadenzato. Giulia legge a voce bassa seguendo le parole con l’indice per non perdere il segno.
Dina, seduta di fronte a lei, coi gomiti puntati sul tavolino sorregge il mento con le dita delle mani intrecciate e l’ascolta trattenendo il respiro.
«Eccolo… articolo 24: Tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinanzi alla legge. Tutti godono egualmente i diritti civili e politici, e sono ammissibili alle cariche civili, e militari…»
Giulia solleva lo sguardo dalla pagina: «Tutti i regnicoli. Hai capito? Non dice tutti gli uomini.»
«Per forza, regnicole in italiano non si dice.»
«Appunto, è un termine generico per indicare gli abitanti del regno. Tutti. Ossia, l’intera quantità, il pieno complesso, senza esclusione di alcuna parte o di alcuni elementi dell'insieme. Dunque, si può intendere così: maschi e femmine godono egualmente i diritti civili e politici. Mi sembra chiaro. La legge ci consente di votare e di essere elette.»
«Secondo me, quando hanno scritto questo articolo non hanno pensato affatto ai diritti delle donne. Davano per scontato che non avremmo mai chiesto di partecipare alla vita politica del Paese.»
«Questa è proprio un’altra dimostrazione di quanto siamo sottovalutate. Siamo buone per insegnare ai loro figli a scrivere, leggere e fare di conto, ma non siamo in grado di scegliere chi ci può rappresentare e neppure di essere elette. Se hanno inteso tagliarci fuori, hanno fatto un errore grossolano.»
Dina scuote la testa, si alza e inizia a mangiucchiarsi le unghie camminando avanti e indietro con lo sguardo perso nel vuoto.
Giulia, al contrario, continua a scorrere l’articolo dello Statuto annuendo a ogni parola. La sua voce risuona potente come uno squillo di tromba: «Dina, io dico che dobbiamo provarci!» dice puntandole il dito contro.
Dina si porta le mani al petto per lo spavento. «Giulia, rifletti. Ti hanno appena riammessa… vuoi farti sospendere di nuovo?»
«Incinta senza essere sposata. Eh, già. Davvero una grave pecca per un’insegnante! Quei parrucconi… Tre mesi di sospensione, non mi far parlare… ma se un giorno potessi avere voce al riguardo, le cose cambierebbero. Eccome, se lo farebbero!»
«Smettila, non ti fa bene agitarti. Perché vuoi rischiare?»
Giulia si accarezza il grembo con tenerezza: «Potrebbe essere femmina ed è mio dovere di madre pensare al suo futuro.»
Dina ammutolisce.
«Dai, non preoccuparti. Non saremo sole. Chiederemo anche alle altre maestre di unirsi a noi. Adele, Giuseppina e Palmira non ci diranno di no. Abbiamo la Montessori dalla nostra parte.»
Dina conta con le dita scandendo a voce alta il nome delle colleghe da contattare: «Siamo dieci in tutto.»
«Ottimo! Diamoci da fare, allora. Dobbiamo inviare subito alla Commissione elettorale di Ancona la nostra richiesta d’iscrizione nelle liste dei comuni di Senigallia e Montemarciano.»
* * *
Senigallia, 25 luglio 1906
Sul tavolo coperto da una tovaglia di lino finemente ricamata troneggiano una bottiglia di vino cotto e un vassoio di fristingo tagliato a fette. Dieci fette.
Adele sgrana gli occhi: «Hai dato fondo alle scorte di Natale, Giulia?»
«Mangia, e goditela!» risponde Luigia.
«Con tutte queste calorie, dovranno allargare gli scranni per farci entrare i sederi!» dice Carola. Le fa eco una risata corale.
Dina solleva il bicchiere: «Alla salute del giudice Lodovico Mortara!»
«Sì! Un uomo con la “U” maiuscola!» rispondono all’unisono.
«Si dice che ricorreranno in Cassazione per far annullare la sua sentenza» dice Dina abbassando lo sguardo.
Il cicaleccio cessa all’istante.
«Allora, non ci resta che sperare in una crisi di governo» risponde Giulia. Le colleghe la squadrano con aria interrogativa. «Amiche mie, non capite? Se ci fossero le elezioni anticipate non ci sarebbe il tempo di cancellarci dalle liste…»
Le sue parole sfumano nel tintinnio festante dei calici.