Flavia ha grandi labbra e piccole mani.
Mani sempre calde.
All’inizio pensavo che fosse una gran botta di fortuna, specialmente dopo Elena che aveva mani gelate come la morte in qualunque stagione, lunghe come tentacoli. Sempre infilate dappertutto.
Ma Elena è il passato.
Flavia lo sta diventando.
«Quindi scusami, Arturo, ma sabato al matrimonio ci vado con Lucia, almeno lei si diverte e io anche. Sei noioso, amore, ma come fai a non accorgertene, dico io…»
Mani fredde, cuore caldo.
Santa saggezza popolare.
Quindi, con le mani calde non si fa un grande affare.
E poi di essere noioso lo so dalle elementari, insieme a spocchioso e saccente. Se la lascio andare avanti, mi rinfaccerà anche questi ovvi difetti, ne sono certo.
Come se non ci convivessi da una vita.
«Certe volte mi sembri autistico, lo sai?»
Eccola qui, che si gioca la carta delle mie paranoie, confessate in un momento di debolezza post coito. Cretino.
«Cosa c’è che non va, nella tua testa, Arturo? Ma possibile che non te ne frega mai niente di niente?»
Forse è il momento di dire qualcosa. E sono certo che se me ne importasse anche solo un po’ più di niente, avrei tutto pronto e cristallino nella mia mente, parole ordinate pronte a rimettere al suo posto anche Flavia.
Flavia. Ma poi che nome di merda è, Flavia?
Un nome che, francamente, mi sono anche stufato di pronunciare.
«Ma vedi che ho ragione io, allora? Di me non te ne frega niente.»
Flavia singhiozza, e io la guardo. Quando piange diventa davvero bruttina, le si formano subito delle chiazze rosse sul viso distribuite a caso, abbastanza impressionanti.
No.
Flavia è stata una pessima scelta. Meglio farla finita in fretta.
«Ma tesoro, cosa dici? Vieni qui tra le mie braccia, su.»
Si getta sul mio petto appena finisco di parlare.
Mi illude che tutto sommato potrebbe funzionare.
Ma è un attimo.
«Sei cattivo, con me.»
E niente, questa ennesima ovvietà mi fa prudere le mani che le stringono la testa.
Il collo cede con un crack quasi musicale.
Peccato. Il nome non era un granché, ma Flavia era una figa pazzesca.
Peccato sul serio.
Va be’, sarà per la prossima.