Come nome comanda.
Non per dire, ma se uno cresce con un nome così, è mica facile.
‘Colui che ragiona in ritardo’.
Insomma, mio padre e mia madre – che sia sempre lode a loro – hanno deciso come sarei stato prima ancora che emettessi un vagito.
Con fratelli come i miei, poi. Non che io sia più piccolo o meno forte di loro, siamo tutti grandi, grossi e possenti. Ma uno è cupo e piegato, manco reggesse sulle spalle il peso del mondo. E l’altro, be’, l’altro è di quei tipi ‘troppo avanti’.
Appunto: troppo.
Io gliel’avevo detto, quella sera.
Stavamo stretti nel nostro rifugio, freddo e buio. Selene chissà dov’era, quei puntini d’argento in cielo non scaldavano e non facevano luce e noi tremavamo nell’oscurità.
«Nessuno dovrebbe patire il gelo e vagare nella tenebra mentre quelli lassù, sul Sacro Monte, hanno luce e calore» aveva detto mio fratello.
«Ognuno sta al posto dove l’ha messo la sorte.»
«Non è giusto. Devo fare qualcosa.»
«Lascia perdere.»
«No.»
«Santi numi, che hai in mente?»
Un piano bello e pronto, ha in mente. Tipico. Una follia. Tipico anche questo. Ho cercato di dissuaderlo. È un fratello scomodo, ma sempre un fratello.
Lui niente. Testa dura come una pietra.
L’ha fatto, e adesso sta lì a rodersi il fegato.
Cioè, glielo rode qualcun altro, si dice in giro. Un uccellaccio agli ordini del Capo, sia sempre lodato perché non si sa mai, quello ha occhi e orecchie dappertutto.
Ma adesso ci devo parlare, con mio fratello. Mi toccherà scalare il monte dove sconta la pena e dirglielo. È l’unica famiglia che ho, visto che il musone è sparito dalla faccia della terra e i nostri genitori sono troppo impegnati a brigare sull’Olimpo, o a impicciarsi nelle beghe dei mortali. I quali, detto per inciso da uno scemo per definizione, starebbero molto meglio se i miei la smettessero di ficcarci il naso.
Però certe cose la famiglia le deve sapere.
Le rocce del Caucaso sono più dure e fredde di quelle di casa prima che mio fratello rubasse il fuoco, la luce e il calore.
Brutto posto, sferzato da Eolo e ghiacciato di notte. L’uccellaccio deve aver appena finito il suo sporco lavoro, e Prometeo sanguina, incatenato, la testa sul petto.
Non è un bel vedere, anche se se l’è cercata e non si può dire che non abbia tentato di fermarlo. Poi sarei io, il fratello scemo.
«Ho conosciuto una ragazza» gli dico.
«Argh» fa lui.
«Stava accanto a una fonte con un orcio. Bella come Afrodite, con tutto il rispetto. La pelle come il cielo all’alba d’estate, i capelli come un fiume al tramonto, la cintura come…»
«Argh.»
«Certo, capisco. Però te lo devo dire. Per farla breve: le ho parlato e lei mi ha risposto. Ci siamo intesi subito. Ha un nome bellissimo. ‘Colei che possiede tutti i doni’. Non è fantastico?»
«Aargh.»
«Be’ sai, uno che si chiama come me ai nomi ci fa caso. Il suo deve essere benedetto dagli dèi. Insomma, me lo sposo. Pensavo che dovessi saperlo. Per quando tornerai.»
«Aaargh.»
«Sì che tornerai. Magari ci rimarresti male a trovare un’estranea per casa.»
Non aspetto risposta. Tanto la so.
Pandora è povera in canna e non ha memoria dei suoi genitori. Neanche uno straccio di dote, ma che me ne frega. La sua bellezza è più che sufficiente, e che il paese si tenga pure giudizi e mugugni sulle straniere senza beni e parentele. Tutta invidia.
Ho dovuto provvederla di tutto, abiti, pettini, monili. Di suo ha solo quell’orcio sigillato, che guai a chi glielo tocca. L’ha ficcato in un angolo della cucina e lo controlla a vista.
«Che ci tieni lì dentro?» le ho chiesto una volta alla fine del pasto serale.
«Epimeteo, luce dei miei occhi, poesia per le mie orecchie, miele per…»
«Pandora.»
Sarò pure tardo, ma quando le donne fanno così c’è sotto qualcosa.
«Dimentica quell’orcio, marito adorato. E soprattutto non aprirlo. Mai.»
«Perché?»
«Così mi ha chiesto di fare quello che me l’ha donato.»
«E chi sarebbe costui?»
«Non… non me lo ricordo.»
«Che scemenza. Andiamo, che mi nascondi?»
«Niente. Ti prego, non parliamone più.»
«Sai, Prometeo tornerà, prima o poi. Quella pena orrenda dovrà avere una fine. E magari passerà di qui anche Atlante. Che penserebbero i fratelli, a sapere che mia moglie mi nasconde le cose?»
«Non m’importa niente dei tuoi fratelli, m’importa di te. Non farlo, Epimeteo. La sventura si abbatterebbe su questa casa.»
Era così turbata che ho lasciato perdere.
Però.
Però da quella sera mi è venuto un tarlo. A dire la verità, prima di allora non avevo pensato per niente ad aprire l’orcio. È stata lei a mettermi l’idea in testa.
Sapete com’è, quando ti vietano una cosa non vedi l’ora di farla.
E poi, chi è questo che fa regali e dà ordini a mia moglie? Non mi piace.
Come si comporterebbe Prometeo? mi chiedevo. Figuriamoci. L’avrebbe aperto da un pezzo, mi rispondevo.
Del resto, io sono lento. In fondo, Giapeto e Climene non hanno sbagliato a darmi il nome. E forse non è un male essere riflessivi, no?
Perciò ci ho messo qualche giorno a decidermi.
Lascio Pandora fra le braccia di Morfeo, dopo le fatiche d’amore.
Vado in cucina e prendo il vaso di coccio. È così leggero che sembra vuoto.
Sigillato così forte che devo prendere una lama per aprirlo.
Mi dispiace, amore mio. Niente segreti fra noi. Adesso vediamo cosa mi naaa…
«Aaargh!»
Questa casa non è più la stessa. Il mondo non è più lo stesso. Nonostante il dono di Prometeo, tutto sembra buio e stinto. Anche Pandora è meno bella, da quando è arrabbiata con me. È furiosa, veramente. Sembriamo una di quelle coppie sposate da tanto di quel tempo che non ricordano più perché stanno insieme. La notte mi caccia dal letto.
Ha spaccato le stoviglie di casa. Tutte, tranne il maledetto orcio.
Ogni tanto lo prendo sulle ginocchia. Emana una specie di calore, come se dentro fosse rimasto qualcosa. Ma Zeus mi fulmini qui e ora, se ci guardo.
Imparo le lezioni, io.
Quando lo tengo così, sembra che le cose possano tornare a posto, prima o poi.
Meglio prima, perché stiamo invecchiando. In fretta, insieme e soli.
D’accordo. Non avrei dovuto farlo. Avrei dovuto ascoltarla.
Ho capito troppo tardi. Come al solito.
Già.
Del resto.