https://www.differentales.org/t1966-zia-matilde
L’ombra grigia del cielo ammantava il viale alberato e la facciata dell’Hôpital S. Antoine di Parigi. I passi affrettati di Marie Skłodowska Curie facevano da contrappunto alle grida dei feriti ammassati nei corridoi, col ritmo incalzante di un tamburo sul campo di battaglia. L’abito nero, i capelli stretti in uno chignon ordinato, il piglio deciso, Marie si fermò un istante davanti alla porta del laboratorio del dottor Antoine Béclère, luminare della neonata disciplina della radiografia. Prese un lungo respiro ed entrò senza indugi.
Il radiologo era in piedi davanti alla grande finestra che dava sul giardino. Lo sguardo perso a cercare risposte introvabili tra le cime delle piante agitate dal vento. La guerra esplosa con tutta la sua violenza, gli ospedali affollati, le strutture inadeguate, la mancanza di medici e infermieri… la frustrazione gli curvava le spalle.
Marie gli sfiorò il braccio con delicatezza. Negli ultimi mesi aveva collaborato spesso con lui e avuto modo di apprendere l’uso dei radiografi in dotazione alla sua equipe.
«Antoine…»
Il medico sollevò lo sguardo e la invitò a sedersi. «I ragazzi che ci portano sono carne morta, Marie. Certe ferite dovrebbero essere curate prima possibile, ma non ce la facciamo. Arrivano solo casi disperati» disse sottovoce proseguendo il filo dei propri pensieri.
«Antoine, ascoltatemi. Forse so come aiutarli.»
«Stiamo già facendo il massimo. Molti colleghi si sono trasferiti negli ospedali da campo, gli ambulatori in città sono svuotati, le infermiere sono quasi tutte al fronte.»
«Dovremmo operare subito i feriti. È assurdo far affrontare loro il viaggio verso l’ospedale.»
«Marie, i nostri macchinari sono qui. Sapete bene che senza le radiografie agiremmo alla cieca. Almeno qui abbiamo qualche possibilità di salvarli. Fuori è impossibile, ne perderemmo ancora di più.»
«È come dite voi, Antoine. Infatti, la mia idea è quella di attrezzare un’automobile con tutto il necessario per fare le radiografie e portarla dove si combatte.»
Béclère si tolse gli occhiali, prese un fazzoletto immacolato e si asciugò la fronte. «Marie, Marie… Voi non avete idea dei problemi da affrontare. Le apparecchiature hanno bisogno di energia per funzionare. Dove la troviamo la corrente in un campo di battaglia?»
«Certo, lo so. Ma è proprio per questo che un’autovettura sarebbe perfetta. Pensateci. Potremmo collegare un generatore al motore. Sono convinta che sarebbe sufficiente.»
«Anche se aveste ragione, non c’è personale formato. Sapete quanto è rischioso maneggiare certi materiali.»
Marie si morse le labbra alcuni istanti in silenzio prima di tornare a insistere.
«Antoine, vi prego. Aiutatemi a trovare i fondi per acquistare almeno un’auto. Non deve essere troppo grande, potrei imparare a guidarla io stessa. Se l’esperimento funzionerà vi assicuro che mi dedicherò alla formazione dei medici e delle infermiere. So come lavorare con certi strumenti.»
Béclère allargò le braccia. «Mi spiace» disse senza guardarla negli occhi, «non abbiamo disponibilità.»
«Capisco…» Uscì dallo studio senza voltarsi indietro.
***
Nella sala gremita dell’Union de Femmes de France le sue parole risuonavano dolci come il crepitio della pioggia sulla terra riarsa.
«Molti soldati muoiono durante il trasporto in ospedale, altri arrivano con infezioni troppo avanzate e, nel migliore dei casi, devono subire amputazioni. Con l’impiego dei raggi X sul posto, potremo individuare la posizione esatta di schegge e proiettili. Potremo guidare le mani dei chirurghi. Intervenire subito, in certi casi, è fondamentale.»
Le dame della migliore società parigina non le staccavano gli occhi di dosso. Marie Curie, la vincitrice del premio Nobel, la scienziata al centro delle conversazioni in tutti i salotti buoni, era di fronte a loro nella sua prorompente umanità.
«Signore, mogli, madri, fidanzate… noi non possiamo andare a combattere al fianco dei nostri uomini, ma possiamo provare ad alleviare le loro sofferenze. Per questo vi chiedo fiducia e confido nella vostra generosità.»
«Signora Curie,» dal fondo una donna chiese la parola: «sono vedova e da settimane non ho più notizie di mio figlio,» deterse gli occhi col dorso della mano, «vi donerò io l’automobile che vi occorre. E che Dio vi aiuti e aiuti tutte noi.»
Un brusìo si levò dalle presenti.
«Io non possiedo un’auto, ma vi darò del denaro per acquistare gli strumenti necessari» disse un’altra seduta in prima fila.
«Io non so fare niente. Ma posso imparare se lei mi insegnerà. Conti pure su di me» intervenne una ragazza.
Le braccia si alzavano una dopo l’altra e Marie Curie annuiva con le mani giunte in un muto ringraziamento alla platea.
Grazie ai fondi raccolti, al lavoro instancabile della scienziata e l’aiuto di ex studenti, volontari, medici e infermieri che credevano nel suo progetto, fu allestita la prima vettura radiologica e fu chiamata “Petite Curie”.
L’automobile trasportava una piccola quantità di lastre e altri materiali fotografici, uno schermo per la radioscopia, i teli necessari per oscurare il luogo in cui si effettuava l’esame, un grembiule e altri materiali destinati a proteggere l’operatore; oltre ad apparecchiature per convertire l’elettricità disponibile sul posto e un tavolo leggero su cui adagiare il paziente.
Viaggiando su strade dissestate alla velocità di quaranta chilometri l’ora, la vettura con a bordo un tecnico, un’assistente e un medico partì ad affrontare la sua prima emergenza.
Il soldato ferito aveva meno di vent’anni e un proiettile in testa. L’elmetto lo aveva protetto dalla morte immediata, ma si doveva estrarre la pallottola prima che il danno fosse irreversibile. Osservando le lastre, il medico rilevò la presenza di diciotto frammenti che furono rimossi nel giro di due ore d’intervento.
«Signora Curie, un’auto soltanto è come una goccia nel mare.» Henriette Perrin, infermiera volontaria, sottolineava quanto era già ben chiaro a tutti, meno che ai pubblici poteri.
Marie ricordava a memoria ogni parola della lettera ricevuta dal Service de Santé:
“Signora le giunga tutta la nostra ammirazione per l’ardore con cui desidera mettersi a disposizione del servizio al fronte, ma i nuovi regolamenti proibiscono l’accesso delle donne alle zone di guerra, pertanto confidiamo nella sua stretta osservanza di quanto stabilito.”
Intanto, grazie alla sua tenacia, molti altri donatori offrirono automobili, e con i fondi raccolti dalla Croce Rossa e le associazioni femminili, furono equipaggiate venti “Petite Curie”. Alla fine, anche i funzionari del Service de Santé si convinsero a rilasciare dei permessi speciali per le infermiere a bordo delle vetture radiologiche. Quello che mancava era il personale formato. Marie non si stupì quando il dottor Béclère la contattò.
«Marie, vi devo le mie scuse» disse «la vostra idea ha salvato molte vite.»
«La guerra non è ancora finita, Antoine.»
«Già… Per questo, a rischio di sembrare inopportuno, devo chiedere il vostro aiuto.»
Marie osservò il disordine che regnava nell’ambulatorio «Vi ascolto» rispose senza distogliere lo sguardo dalle lastre radiografiche disseminate sulla scrivania.
«All’ospedale Val de Grace è stato attivato un centro di formazione per medici e tecnici radiologi, negli ultimi tempi ho tenuto corsi per addestrare almeno trecento specialisti. Abbiamo reclutato anche molti volontari, donne soprattutto, che si sono offerte per dare assistenza, ma i risultati sono mediocri. C’è bisogno di voi, Marie. Non ditemi di no.»
«Immagino, Antoine. La carenza di personale specializzato è una vera minaccia.»
«Sì, per questo anche l’esercito ha approvato il progetto.»
Era il mese di ottobre del 1916 quando la scuola per manipulatrices, i tecnici radiologici donne, aprì i battenti presso un nuovo centro di formazione medica parigino.
«Prima di tutto voglio ringraziarvi per la vostra scelta. Saranno settimane intense di studio e so bene che molte di voi non hanno alcuna confidenza con le materie scientifiche. Qui acquisirete i concetti fisici necessari per operare e mantenere funzionali le apparecchiature radiologiche prima di essere assegnate alle vostre mansioni negli ospedali da campo.»
Marie annotava su un quaderno i progressi delle loro prestazioni: “Mediocre all’inizio, è molto migliorata”, scrisse di un’allieva, un’altra fu giudicata “brava studentessa, vivace e intelligente”.
«Sono davvero orgogliosa di loro» disse un giorno a Marthe, la sua assistente «in generale, il loro operato è stato del tutto soddisfacente. Pensate che la giovane Claire Lalique mi ha confidato di essere riuscita a utilizzare i raggi X in assenza del medico radiologo e di aver portato a termine il compito con successo.» Si alzò e proseguì: «È stato come seminare delle rose in un campo di battaglia. All’inizio non avrei mai creduto possibile di ottenere un risultato così. E invece sono sbocciate.»
«L’albero è due volte più utile dei frutti… Sono davvero orgogliosa di lavorare al vostro fianco, avete una grande anima.»
La scienziata era al lavoro nel suo laboratorio di Parigi quando le salve dei cannoni annunciarono la firma dell’armistizio.
«Marie, che ne dite di andare a festeggiare?» Marthe continuava a camminare avanti e indietro senza riuscire a fermarsi.
«Certo! Chiedete a René di prendere la “Petite Curie”.»
Le due donne andarono su e giù per le strade gremite. La vecchia Renault, usurata dal servizio prestato durante la guerra, fu costretta a fermarsi più volte. La gente si arrampicò sul tetto e sui parafanghi e, quando ripartì, l’auto trasportava una dozzina di passeggere in più.