Ma Nino, non aver paura di sbagliare un calcio di rigore.
Non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore.
Federico spegne l’autoradio con un gesto di stizza, schiaccia il pedale dell’acceleratore mentre mormora "Ma vaffanculo anche te, De Gregori!".
L’auto corre veloce lungo l’autostrada deserta verso Napoli, gli italiani sono ancora chiusi in casa, attoniti, delusi, incazzati neri con lui, il grande campione, il numero uno al mondo.
La cucina è grande, a lui sembra immensa, con il tavolo massiccio proprio al centro.
Gli piace giocare a pallone lì dentro nelle giornate estive piovose, quando fuori non si può andare e la noia prende il sopravvento.
Sa che è vietato, nonna Giovanna non vuole, ma forse è anche questo gusto del proibito a stuzzicarlo; e poi per lui il pallone è tutto, vuole diventare un campione come il suo papà.
Il Motel è di infimo livello, tappezzeria qua e là scrostata, letto che cigola e in bagno il rubinetto del lavandino che gocciola.
Federico, steso sul letto, osserva il soffitto, incapace di prendere sonno, accanto a lui il Mac ha una forza di attrazione che nemmeno una calamita.
Federico resiste, "non mi avrai, maledetto" pensa, poi guardandolo fisso nello schermo gli urla "smettila di fissarmi così, tanto non ti accendo!".
Un quarto d’ora dopo le immagini lo riportano in campo, sono passate soltanto cinque ore ma sembrano mesi.
«Tocca ora a Chiesa mantenere vive le speranze di milioni di italiani incollati allo schermo, chi avrebbe immaginato che dopo tre edizioni saltate, gli azzurri potessero giocarsi il titolo mondiale all’ultimo rigore…
Sono, dunque, affidate al capitano, al grande vecchio di questa squadra completamente rinnovata, le speranze di proseguire con i tiri a oltranza.
Eccolo che si avvicina al dischetto, sistema il pallone, uno sguardo al portiere avversario, uno sguardo all’arbitro.
L’Olimpico è avvolto da un silenzio irreale, vai Federico, facci sognare ancora!
Breve rincorsa, tiro… PALO! Ha colpito il palo! La Francia è nuovamente campione del mondo…»
La cucina è il regno di nonna, la tiene pulita come la sala operatoria di un ospedale.
In quella stanza immensa la nonna crea dei veri e propri capolavori, torte di ogni genere, le famose alici al limone, la focaccia che in nessun bar trovi così buona ma, soprattutto, il famosissimo “pesto della Giovanna”: non c’è vicino nel giro di 20 chilometri che non sia venuto almeno una volta a chiederne un vasetto.
E poi, normalmente, ritornano.
Ecco perché quando lo vede con il pallone in quella stanza perde la sua calma proverbiale e diventa un’altra persona.
Ma Federico è poco più che un bambino, è anche un po’ viziato e, in fondo, prova un piccolo gusto sadico a vedere la nonna che si arrabbia e perde la pazienza.
Alle cinque del mattino Federico è già in macchina, un vago chiarore all’orizzonte cancella le stelle preparando un nuovo giorno sereno e bollente.
Ora la sua andatura è molto più tranquilla rispetto alla sera precedente, la rabbia ha lasciato il posto a un sentimento indefinito, non riesce a capire se è tristezza, delusione o peggio ancora, niente di tutto questo, solo un gran senso di vuoto.
Dopo un’ora si ferma in un autogrill a fare colazione, la cameriera è distratta, non sembra riconoscerlo, forse del calcio non gliene importa nulla.
Risale in macchina giusto un attimo prima che il posto cominci a riempirsi dei primi italiani in viaggio; all’altezza di Caserta esce dalla A1 e prende la A30 diretto a Nola.
Sa che c’è un luna park proprio al centro della cittadina e vi si dirige senza esitazioni.
Accosta e vede un uomo di colore che chiede l’elemosina.
Lo chiama e quello subito si avvicina sperando in qualche spicciolo che gli consenta di mettere un croissant sotto i denti.
"Ehi amico, ho bisogno di un favore".
"Certo signore, cosa devo fare?"
"Questo è un biglietto da 20 euro, vedi quel negozio?"
L’uomo guarda perplesso un negozio di trucchi e travestimenti; lui ha fame.
"Entra e acquistami una parrucca nera e dei baffi finti, li paghi con questo biglietto".
"Tu mi prendi in giro, amico".
"No, fidati! Se fai come ti dico te ne do altri due di biglietti come questo".
Il mendicante non ci pensa su nemmeno un secondo, prende i venti euro e fila dritto nel negozio.
Una decina di minuti dopo è di ritorno con quanto richiesto, Federico gli regala un biglietto da cinquanta euro e lo saluta.
Il tempo di truccarsi e si ritrova a passeggiare per le strade di Nola tra la gente che non lo degna di uno sguardo.
Federico palleggia, piede ginocchio piede, poi un colpo di testa, uno di spalla e poi di nuovo piede ginocchio piede, la palla non deve toccare terra, altrimenti si ricomincia.
Va avanti da ormai più di venti minuti quando la voce di sua nonna, un richiamo forte e chiaro, lo distrae.
La palla cade a terra, il suo record personale era vicino.
Un momento di rabbia, una parola detta nel modo sbagliato, senza riflettere, sua nonna lo guarda in un modo che non riconosce, è pentito ma ormai è tardi, il danno è fatto.
Prende il pallone che nel frattempo è rimbalzato sul tavolo e sale in camera sua.
La sera si reca al Luna Park, ha passato il pomeriggio buttato sul letto di un alberghetto a due stelle, a farsi male, leggendo sul Mac i titoli dei giornali, gli articoli dedicati alla finale e al tradimento del grande campione.
A un certo punto deve essersi addormentato, forse ha sognato, gli sembrava di essere osservato, probabilmente era fuori dalla finestra.
Si aggira tra gli stand, il trucco funziona, nessuno lo riconosce.
Si concede un giro sull’ottovolante, poi entra nel labirinto degli specchi, alla fine decide di sparare ai barattoli, li abbatte tutti, vince, ma con disappunto si accorge che la bella ragazza dietro al bancone gli sta allungando un corvo nero di peluche.
"Posso avere qualcosa di diverso?" prova a chiedere.
"Mi dispiace, questo è il premio previsto, se non lo vuole può lasciarlo".
In quel momento passa una mamma che trascina un bambino in lacrime; Federico prende il corvo dalle mani della ragazza ringraziandola e subito dopo si inginocchia accanto al bambino chiedendogli perché piange.
"Abbiamo giocato allo stand dei pesciolini ma non ha vinto nulla" gli dice la mamma "purtroppo abbiamo finito le monete" aggiunge quasi scusandosi.
"Ti piace questo?" dice Federico al bambino allungandogli il corvo.
Lui lo prende e guarda in su verso la mamma quasi a chiedere il permesso.
"Grazie signore, lei è molto gentile" risponde lei.
"È un piacere! Buona serata, signora… ciao piccolo, trattalo bene quel corvo, mi raccomando".
Si alza e se ne va senza indugiare oltre.
La serata per lui è finita, accompagnato da quel tarlo che gli si è ficcato in fondo alla mente torna in albergo sapendo che anche questa notte non sarà facile prendere sonno.
Ha deciso di attraversare l’Italia e salire in Appennino per sfuggire, almeno per qualche ora, al caldo soffocante ma una volta in autostrada non ha più voglia di fermarsi e prosegue fino a Candela dove esce prendendo la statale che va verso Foggia.
Aveva cercato di resistere in tutti i modi la sera prima, ma alla fine il sonno non era arrivato e ancora una volta aveva ceduto al Mac: lo aveva aperto e aveva cominciato a leggere.
Non avrebbe saputo dire quanti articoli aveva letto, quanti titoli, si era arreso anche al fascino perverso dei social dove fiumi di insulti lo avevano travolto.
Ma alla fine, quello che cercava, ciò che avrebbe potuto chiarirgli quel retropensiero che non voleva proprio saperne di emergere, non lo aveva trovato.
Federico sta nuovamente palleggiando in cucina, è diventato bravo, ora passano quasi cinque minuti prima che il pallone tocchi terra. Prova e riprova, non vede l’ora che arrivi sabato, suo papà finalmente lo viene a prendere per portarlo al mare, gli farà vedere quanti palleggi riesce a fare.
Sente la porta del corridoio che si apre, sua nonna sta arrivando, prova l’ultimo palleggio ma non è tranquillo, un occhio alla porta, la palla gli sfugge, tenta un disperato allungo ma la prende male…
Impotente osserva la palla che colpisce la gabbia del corvo di sua nonna che si stacca dal gancio e piomba a terra sfasciandosi. In un attimo il gatto piomba sul pennuto e con una zampata lo uccide, poi fiero, lo prende in bocca e sparisce in cortile.
Federico è inorridito, alza lo sguardo e vede sua nonna sulla soglia.
"Ascolta quello che ti dico, figliolo, quel corvo un giorno si vendicherà…" e senza aggiungere altro se ne va.
Due ragazze che fanno l’autostop ai lati della strada lo strappano ai suoi pensieri riportandolo alla realtà e, d’istinto, si ferma a raccoglierle.
Sono dirette sul Gargano, hanno detto che c’è un camping a prezzi stracciati: Federico riparte, destinazione Gargano.
Il camping è molto "minimal" ma è pieno di ragazzi e ragazze che vengono da quasi tutta Italia. C’è aria di festa, le risate coprono qualsiasi altro rumore.
Le ragazze scendono dalla macchina e senza perdere tempo si dirigono verso la spiaggetta privata invitando Federico a raggiungerle per un bagno.
Alla sera si sente abulico, svuotato dentro, le ragazze sono simpatiche, avrebbe potuto passare un piacevole pomeriggio insieme a loro, ma la stanchezza ha preso il sopravvento e ha dormito per quasi quattro ore filate.
I ragazzi hanno organizzato un falò, si mangia tutti assieme, c’è chi suona la chitarra, chi canta e chi balla.
A un certo punto qualcuno lancia l’immancabile proposta del bagno di mezzanotte, "andiamo, vieni!" gli urlano le ragazze mentre si avviano e Federico le segue.
In spiaggia si spogliano, in un attimo sono completamente nude e mentre lanciano un grido di gioia si tuffano in acqua.
"Vieni, dai, è caldissima!" gli gridano dall’acqua.
Sono proprio belle, pensa Federico: "ora vengo" risponde, poi si gira e lentamente torna alla macchina, la accende e riparte, direzione nord.
Guida tutta la notte e verso le cinque sente una grande stanchezza che lo avvolge.
Si ferma a un autogrill, parcheggia, allunga il sedile e si addormenta.
Si sveglia di soprassalto in un bagno di sudore, il sole è già alto in cielo, l’abitacolo dell’auto è un forno.
Quell’incubo…
C’era sua nonna in fondo al corridoio di una casa dove non era mai stato; tentava di andarle incontro ma a un certo punto dall’alto arrivavano decine e decine di corvi a impedirgli la visuale e quando cercava di gridare, di chiamare sua nonna, la voce non usciva.
Scende dall’auto e si reca alla toilette a rinfrescarsi, poi prende il Mac lo collega al telefonino e torna a guardare le immagini della finale.
Avanti, indietro, fermo immagine, finalmente gli sembra di vederla! È poco più di un’ombra, potrebbe essere una macchia della telecamera eppure Federico sa che è quello il motivo per cui il maledetto rigore è andato a stamparsi sul palo.
Chiude il Mac, accende la macchina e parte, ora sa cosa deve fare.
All’altezza di Parma esce dalla A1 e prende direzione La Spezia, se tutto va bene nel giro di tre ore al massimo sarà nuovamente dove tutto ha avuto inizio e anche quel palo avrà finalmente un senso.
"Ciao nonna".
È di spalle, seduta al tavolo proprio al centro della grande cucina.
"Ti stavo aspettando Federico", la voce è calma, trasmette serenità.
"Come sapevi che sarei venuto".
"Sei sempre venuto da me quando qualcosa non andava".
Si volta a guardarlo, negli occhi la tenerezza che ha sempre provato per quel nipote speciale che tanto la faceva arrabbiare e che tanto ha sempre amato.
Lui la guarda, è invecchiata ma non ha perso la dolcezza nei tratti del suo volto, vorrebbe abbracciarla, perdersi nel suo profumo come quando da piccolo si rifugiava in lei come in un porto sicuro da ogni tempesta.
Ma prima ha bisogno di sapere.
"Nonna, è stato lui?"
"Sapevo che me lo avresti chiesto".
"Devo saperlo, nonna, sto male!" ora sta alzando la voce.
La nonna sente la disperazione nella voce del nipote, lo guarda se possibile con ancora maggiore tenerezza.
"Chicco, davvero pensi questo?"
"Non lo so, nonna, fosti tu a dirmi che si sarebbe vendicato prima o poi".
"Oh Federico, vorrei poterti dire che è così, ma sei troppo intelligente per farti un torto del genere".
"Nonna, ho rivisto le immagini, sembra di vedere una macchia nera, in alto tra il palo e la traversa, potrebbe essere stato un uccello… era nero".
"Federico, caro, nella vita purtroppo capita di sbagliare, siamo umani, stavolta è toccato a te, nel modo più crudele e doloroso".
"Nonna, fa male, un male terribile".
"Vieni qui, ci saranno altre partite e non parlo solo di quelle di calcio, la vita ti offrirà ancora tante occasioni per segnarlo quel rigore e sono sicura che non sbaglierai più".
Federico si avvicina alla nonna, si inginocchia davanti a lei e la stringe forte lasciando finalmente che le lacrime scorrano sul suo volto.
"Vorrei fermarmi qualche giorno se posso" le dice quando finalmente si rialza.
"Lo sai che questa è casa tua, puoi fermarti quanto vuoi. Ma bada, questa volta se ti vedo giocare con il pallone qui dentro, non te la faccio passare liscia".
Federico la guarda, poi le strizza l’occhio ed esce a prendere dalla macchina le sue valigie.
Finalmente, dopo tanti giorni, riesce a sorridere.
Non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore.
Federico spegne l’autoradio con un gesto di stizza, schiaccia il pedale dell’acceleratore mentre mormora "Ma vaffanculo anche te, De Gregori!".
L’auto corre veloce lungo l’autostrada deserta verso Napoli, gli italiani sono ancora chiusi in casa, attoniti, delusi, incazzati neri con lui, il grande campione, il numero uno al mondo.
La cucina è grande, a lui sembra immensa, con il tavolo massiccio proprio al centro.
Gli piace giocare a pallone lì dentro nelle giornate estive piovose, quando fuori non si può andare e la noia prende il sopravvento.
Sa che è vietato, nonna Giovanna non vuole, ma forse è anche questo gusto del proibito a stuzzicarlo; e poi per lui il pallone è tutto, vuole diventare un campione come il suo papà.
Il Motel è di infimo livello, tappezzeria qua e là scrostata, letto che cigola e in bagno il rubinetto del lavandino che gocciola.
Federico, steso sul letto, osserva il soffitto, incapace di prendere sonno, accanto a lui il Mac ha una forza di attrazione che nemmeno una calamita.
Federico resiste, "non mi avrai, maledetto" pensa, poi guardandolo fisso nello schermo gli urla "smettila di fissarmi così, tanto non ti accendo!".
Un quarto d’ora dopo le immagini lo riportano in campo, sono passate soltanto cinque ore ma sembrano mesi.
«Tocca ora a Chiesa mantenere vive le speranze di milioni di italiani incollati allo schermo, chi avrebbe immaginato che dopo tre edizioni saltate, gli azzurri potessero giocarsi il titolo mondiale all’ultimo rigore…
Sono, dunque, affidate al capitano, al grande vecchio di questa squadra completamente rinnovata, le speranze di proseguire con i tiri a oltranza.
Eccolo che si avvicina al dischetto, sistema il pallone, uno sguardo al portiere avversario, uno sguardo all’arbitro.
L’Olimpico è avvolto da un silenzio irreale, vai Federico, facci sognare ancora!
Breve rincorsa, tiro… PALO! Ha colpito il palo! La Francia è nuovamente campione del mondo…»
La cucina è il regno di nonna, la tiene pulita come la sala operatoria di un ospedale.
In quella stanza immensa la nonna crea dei veri e propri capolavori, torte di ogni genere, le famose alici al limone, la focaccia che in nessun bar trovi così buona ma, soprattutto, il famosissimo “pesto della Giovanna”: non c’è vicino nel giro di 20 chilometri che non sia venuto almeno una volta a chiederne un vasetto.
E poi, normalmente, ritornano.
Ecco perché quando lo vede con il pallone in quella stanza perde la sua calma proverbiale e diventa un’altra persona.
Ma Federico è poco più che un bambino, è anche un po’ viziato e, in fondo, prova un piccolo gusto sadico a vedere la nonna che si arrabbia e perde la pazienza.
Alle cinque del mattino Federico è già in macchina, un vago chiarore all’orizzonte cancella le stelle preparando un nuovo giorno sereno e bollente.
Ora la sua andatura è molto più tranquilla rispetto alla sera precedente, la rabbia ha lasciato il posto a un sentimento indefinito, non riesce a capire se è tristezza, delusione o peggio ancora, niente di tutto questo, solo un gran senso di vuoto.
Dopo un’ora si ferma in un autogrill a fare colazione, la cameriera è distratta, non sembra riconoscerlo, forse del calcio non gliene importa nulla.
Risale in macchina giusto un attimo prima che il posto cominci a riempirsi dei primi italiani in viaggio; all’altezza di Caserta esce dalla A1 e prende la A30 diretto a Nola.
Sa che c’è un luna park proprio al centro della cittadina e vi si dirige senza esitazioni.
Accosta e vede un uomo di colore che chiede l’elemosina.
Lo chiama e quello subito si avvicina sperando in qualche spicciolo che gli consenta di mettere un croissant sotto i denti.
"Ehi amico, ho bisogno di un favore".
"Certo signore, cosa devo fare?"
"Questo è un biglietto da 20 euro, vedi quel negozio?"
L’uomo guarda perplesso un negozio di trucchi e travestimenti; lui ha fame.
"Entra e acquistami una parrucca nera e dei baffi finti, li paghi con questo biglietto".
"Tu mi prendi in giro, amico".
"No, fidati! Se fai come ti dico te ne do altri due di biglietti come questo".
Il mendicante non ci pensa su nemmeno un secondo, prende i venti euro e fila dritto nel negozio.
Una decina di minuti dopo è di ritorno con quanto richiesto, Federico gli regala un biglietto da cinquanta euro e lo saluta.
Il tempo di truccarsi e si ritrova a passeggiare per le strade di Nola tra la gente che non lo degna di uno sguardo.
Federico palleggia, piede ginocchio piede, poi un colpo di testa, uno di spalla e poi di nuovo piede ginocchio piede, la palla non deve toccare terra, altrimenti si ricomincia.
Va avanti da ormai più di venti minuti quando la voce di sua nonna, un richiamo forte e chiaro, lo distrae.
La palla cade a terra, il suo record personale era vicino.
Un momento di rabbia, una parola detta nel modo sbagliato, senza riflettere, sua nonna lo guarda in un modo che non riconosce, è pentito ma ormai è tardi, il danno è fatto.
Prende il pallone che nel frattempo è rimbalzato sul tavolo e sale in camera sua.
La sera si reca al Luna Park, ha passato il pomeriggio buttato sul letto di un alberghetto a due stelle, a farsi male, leggendo sul Mac i titoli dei giornali, gli articoli dedicati alla finale e al tradimento del grande campione.
A un certo punto deve essersi addormentato, forse ha sognato, gli sembrava di essere osservato, probabilmente era fuori dalla finestra.
Si aggira tra gli stand, il trucco funziona, nessuno lo riconosce.
Si concede un giro sull’ottovolante, poi entra nel labirinto degli specchi, alla fine decide di sparare ai barattoli, li abbatte tutti, vince, ma con disappunto si accorge che la bella ragazza dietro al bancone gli sta allungando un corvo nero di peluche.
"Posso avere qualcosa di diverso?" prova a chiedere.
"Mi dispiace, questo è il premio previsto, se non lo vuole può lasciarlo".
In quel momento passa una mamma che trascina un bambino in lacrime; Federico prende il corvo dalle mani della ragazza ringraziandola e subito dopo si inginocchia accanto al bambino chiedendogli perché piange.
"Abbiamo giocato allo stand dei pesciolini ma non ha vinto nulla" gli dice la mamma "purtroppo abbiamo finito le monete" aggiunge quasi scusandosi.
"Ti piace questo?" dice Federico al bambino allungandogli il corvo.
Lui lo prende e guarda in su verso la mamma quasi a chiedere il permesso.
"Grazie signore, lei è molto gentile" risponde lei.
"È un piacere! Buona serata, signora… ciao piccolo, trattalo bene quel corvo, mi raccomando".
Si alza e se ne va senza indugiare oltre.
La serata per lui è finita, accompagnato da quel tarlo che gli si è ficcato in fondo alla mente torna in albergo sapendo che anche questa notte non sarà facile prendere sonno.
Ha deciso di attraversare l’Italia e salire in Appennino per sfuggire, almeno per qualche ora, al caldo soffocante ma una volta in autostrada non ha più voglia di fermarsi e prosegue fino a Candela dove esce prendendo la statale che va verso Foggia.
Aveva cercato di resistere in tutti i modi la sera prima, ma alla fine il sonno non era arrivato e ancora una volta aveva ceduto al Mac: lo aveva aperto e aveva cominciato a leggere.
Non avrebbe saputo dire quanti articoli aveva letto, quanti titoli, si era arreso anche al fascino perverso dei social dove fiumi di insulti lo avevano travolto.
Ma alla fine, quello che cercava, ciò che avrebbe potuto chiarirgli quel retropensiero che non voleva proprio saperne di emergere, non lo aveva trovato.
Federico sta nuovamente palleggiando in cucina, è diventato bravo, ora passano quasi cinque minuti prima che il pallone tocchi terra. Prova e riprova, non vede l’ora che arrivi sabato, suo papà finalmente lo viene a prendere per portarlo al mare, gli farà vedere quanti palleggi riesce a fare.
Sente la porta del corridoio che si apre, sua nonna sta arrivando, prova l’ultimo palleggio ma non è tranquillo, un occhio alla porta, la palla gli sfugge, tenta un disperato allungo ma la prende male…
Impotente osserva la palla che colpisce la gabbia del corvo di sua nonna che si stacca dal gancio e piomba a terra sfasciandosi. In un attimo il gatto piomba sul pennuto e con una zampata lo uccide, poi fiero, lo prende in bocca e sparisce in cortile.
Federico è inorridito, alza lo sguardo e vede sua nonna sulla soglia.
"Ascolta quello che ti dico, figliolo, quel corvo un giorno si vendicherà…" e senza aggiungere altro se ne va.
Due ragazze che fanno l’autostop ai lati della strada lo strappano ai suoi pensieri riportandolo alla realtà e, d’istinto, si ferma a raccoglierle.
Sono dirette sul Gargano, hanno detto che c’è un camping a prezzi stracciati: Federico riparte, destinazione Gargano.
Il camping è molto "minimal" ma è pieno di ragazzi e ragazze che vengono da quasi tutta Italia. C’è aria di festa, le risate coprono qualsiasi altro rumore.
Le ragazze scendono dalla macchina e senza perdere tempo si dirigono verso la spiaggetta privata invitando Federico a raggiungerle per un bagno.
Alla sera si sente abulico, svuotato dentro, le ragazze sono simpatiche, avrebbe potuto passare un piacevole pomeriggio insieme a loro, ma la stanchezza ha preso il sopravvento e ha dormito per quasi quattro ore filate.
I ragazzi hanno organizzato un falò, si mangia tutti assieme, c’è chi suona la chitarra, chi canta e chi balla.
A un certo punto qualcuno lancia l’immancabile proposta del bagno di mezzanotte, "andiamo, vieni!" gli urlano le ragazze mentre si avviano e Federico le segue.
In spiaggia si spogliano, in un attimo sono completamente nude e mentre lanciano un grido di gioia si tuffano in acqua.
"Vieni, dai, è caldissima!" gli gridano dall’acqua.
Sono proprio belle, pensa Federico: "ora vengo" risponde, poi si gira e lentamente torna alla macchina, la accende e riparte, direzione nord.
Guida tutta la notte e verso le cinque sente una grande stanchezza che lo avvolge.
Si ferma a un autogrill, parcheggia, allunga il sedile e si addormenta.
Si sveglia di soprassalto in un bagno di sudore, il sole è già alto in cielo, l’abitacolo dell’auto è un forno.
Quell’incubo…
C’era sua nonna in fondo al corridoio di una casa dove non era mai stato; tentava di andarle incontro ma a un certo punto dall’alto arrivavano decine e decine di corvi a impedirgli la visuale e quando cercava di gridare, di chiamare sua nonna, la voce non usciva.
Scende dall’auto e si reca alla toilette a rinfrescarsi, poi prende il Mac lo collega al telefonino e torna a guardare le immagini della finale.
Avanti, indietro, fermo immagine, finalmente gli sembra di vederla! È poco più di un’ombra, potrebbe essere una macchia della telecamera eppure Federico sa che è quello il motivo per cui il maledetto rigore è andato a stamparsi sul palo.
Chiude il Mac, accende la macchina e parte, ora sa cosa deve fare.
All’altezza di Parma esce dalla A1 e prende direzione La Spezia, se tutto va bene nel giro di tre ore al massimo sarà nuovamente dove tutto ha avuto inizio e anche quel palo avrà finalmente un senso.
"Ciao nonna".
È di spalle, seduta al tavolo proprio al centro della grande cucina.
"Ti stavo aspettando Federico", la voce è calma, trasmette serenità.
"Come sapevi che sarei venuto".
"Sei sempre venuto da me quando qualcosa non andava".
Si volta a guardarlo, negli occhi la tenerezza che ha sempre provato per quel nipote speciale che tanto la faceva arrabbiare e che tanto ha sempre amato.
Lui la guarda, è invecchiata ma non ha perso la dolcezza nei tratti del suo volto, vorrebbe abbracciarla, perdersi nel suo profumo come quando da piccolo si rifugiava in lei come in un porto sicuro da ogni tempesta.
Ma prima ha bisogno di sapere.
"Nonna, è stato lui?"
"Sapevo che me lo avresti chiesto".
"Devo saperlo, nonna, sto male!" ora sta alzando la voce.
La nonna sente la disperazione nella voce del nipote, lo guarda se possibile con ancora maggiore tenerezza.
"Chicco, davvero pensi questo?"
"Non lo so, nonna, fosti tu a dirmi che si sarebbe vendicato prima o poi".
"Oh Federico, vorrei poterti dire che è così, ma sei troppo intelligente per farti un torto del genere".
"Nonna, ho rivisto le immagini, sembra di vedere una macchia nera, in alto tra il palo e la traversa, potrebbe essere stato un uccello… era nero".
"Federico, caro, nella vita purtroppo capita di sbagliare, siamo umani, stavolta è toccato a te, nel modo più crudele e doloroso".
"Nonna, fa male, un male terribile".
"Vieni qui, ci saranno altre partite e non parlo solo di quelle di calcio, la vita ti offrirà ancora tante occasioni per segnarlo quel rigore e sono sicura che non sbaglierai più".
Federico si avvicina alla nonna, si inginocchia davanti a lei e la stringe forte lasciando finalmente che le lacrime scorrano sul suo volto.
"Vorrei fermarmi qualche giorno se posso" le dice quando finalmente si rialza.
"Lo sai che questa è casa tua, puoi fermarti quanto vuoi. Ma bada, questa volta se ti vedo giocare con il pallone qui dentro, non te la faccio passare liscia".
Federico la guarda, poi le strizza l’occhio ed esce a prendere dalla macchina le sue valigie.
Finalmente, dopo tanti giorni, riesce a sorridere.