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1Little Saigon Empty Little Saigon Sab Dic 03, 2022 9:47 am

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Dopo la morte dei miei genitori nell’incendio che distrusse il Phuong Hoang mi ritrovai sola al mondo. Avevo appena compiuto ventuno anni.
Se non morii con loro quella notte fu solo per un colpo di fortuna.
Sono le parole che usò il perito, consegnandomi l’assegno dell’assicurazione.
Un colpo di fortuna.
Gli dissi che non la pensavo allo stesso modo.
Avrebbe preferito morire tra le fiamme?” mi chiese.
No”, gli dissi, anche se la risposta più onesta sarebbe stata sì. Ma me la tenni per me. Mi misi in tasca trecentomila dollari, una cifra che a quell’età in tanti considererebbero una piccola fortuna, e non aggiunsi altro.
Eppure fu grazie a quel denaro se comprai un furgone e iniziai a viaggiare. Per tutta la California, in principio, poi nel resto dell’America. E se incontrai Matthew e scoprii chi fosse Guglielmo Marconi e cambiai idea sul mio futuro.
Ma prima che tutto questo accadesse, per diverso tempo quella risposta restò lì dov’era.
È come dimenticare qualcosa sul fuoco e farla bruciare. Puoi grattare la parte nera, ma l’odore non se ne andrà mai via.


Se non mi trovavo con loro quando le fiamme invasero la cucina fu perché mi diedero una sera libera. Non ne avevo avute molte da quando all’età di tredici anni avevo iniziato a lavorare nel ristorante di famiglia.
È il mio compleanno”, dissi a mia madre. “Per una volta vorrei vedere un film al cinema invece che in televisione.”
Lei mi rispose “Vai. Posso cavarmela da sola”.
Le promisi che sarei tornata in tempo per darle una mano a riordinare la cucina. Lei mi abbracciò e mi augurò buon compleanno.
Quando tornai, non trovai più nulla. Le fiamme avevano distrutto tutto.
In quella cucina ero nata. Letteralmente. Nell’estate del ‘75 mia madre mi aveva partorito sul pavimento. Prima che diventasse un ristorante era stato il loro appartamento, un monolocale al piano terra di un palazzo di due piani al 10557 di Bolsa Avenue, a Garden Grove.
Quando andò a fuoco vivevamo al piano di sopra dalla metà degli Anni ‘80 e il Phoung Hoang era solo uno dei tanti ristoranti vietnamiti della zona: Little Saigon, un miglio quadrato tra le cittadine di Garden Grove e Westminster, la più grande comunità di vietnamiti fuori dal Vietnam.
A detta loro erano stati tra i primi a stabilirsi lì, tra i primi ad aprire un ristorante, a cullare il sogno di ricostruire una Saigon dalle ceneri di quella che avevano lasciato per venire in America.
È per questo che abbiamo chiamato il ristorante Phuong Hoang”, mi spiegò mia madre non appena ebbi l’età per capirlo. “La Fenice appare solo in tempo di pace e prosperità.”
E l’immagine di una fenice era appesa alla porta del ristorante. Uno strano essere con il collo di un serpente, gli artigli di un'aquila, il corpo ricoperto di squame e la coda di un pavone.
Rappresenta nobiltà e grazia”, ripeteva sempre mio padre. A me sembrava solo un miscuglio indigesto. Né carne, né pesce.
Al funerale dei miei venne tutta Little Saigon. Ero circondata da centinaia di persone ma non mi ero mai sentita così sola. Le ascoltavo ma era come se non riuscissi a sentirle. Ogni comunicazione, in entrata e in uscita, si era interrotta.
L’unica conversazione di cui ho memoria fu con Mei Mei Ngoun, una donna della stessa età di mia madre. Anche la sua famiglia aveva un ristorante.
Cosa farai con quei soldi?” mi chiese.
Non lo so.”
Mentre ci pensi, prenderesti in considerazione l’idea di venire a lavorare da noi?”
Lo escludo”, le risposi. “Non voglio più mettere piede in una cucina per il resto della mia vita.”
I miei avevano lasciato il Vietnam in cerca di un futuro. Non sapevo se ne avrei avuto uno, ma di certo non si trovava a Little Saigon. Dovevo andarmene da lì.
Comprai uno Chevrolet Express nuovo di zecca. Avevo bisogno di un mezzo di trasporto e avevo bisogno di un posto dove vivere. Il furgone fu la soluzione a entrambi i problemi.
Divenni una nomade, non c’è altro modo per dirlo.
I miei avevano attraversato l’oceano per trovare una nuova casa. Io iniziai a viaggiare perché non volevo più averne una.


Lasciai Garden Grove agli inizi di agosto.
Non ricordo molto di quel primo viaggio. Mi spostavo di notte per evitare il traffico. Guidavo con gli occhi incollati alla strada, terrorizzata all’idea di avere un incidente. Non che avessi molto da perdere, ma non ero intenzionata a sfidare la buona sorte due volte.
Percorsi gran parte della Statale 1, da Long Beach a San Francisco, poi tagliai verso l’interno, lasciandomi l’oceano alle spalle. A Lake Tahoe presi la 395, che scende parallela alla Sierra Nevada, e tornai verso Los Angeles.
Un anello di 1200 miglia che percorsi in poco più di una settimana, tra notti umide e senza stelle e giorni roventi in cui mi addormentavo piangendo, stesa sul retro del furgone, e mi risvegliavo madida di sudore dopo aver sognato di andare a fuoco nella cucina del Phoung Hoang.
Quando avvistai la periferia di L.A. mi dissi: “Così non va bene. Non è il modo giusto per farlo”.
Avevo suonato nella banda della scuola al liceo. Il professor Howard, il nostro insegnante, alla fine di ogni brano ci invitava a ricominciare da capo.
Un'altra volta”, diceva. “Con sentimento.”
Suonavamo sempre allo stesso modo, con risultati scadenti, ma lui non si stancava mai di ripetere quella frase, di credere che, insistendo, il suo messaggio sarebbe finalmente giunto a destinazione, cambiando per sempre il nostro modo di suonare.
Fu ciò che mi dissi quel giorno. “Un'altra volta. Con sentimento.”
Ricominciai lo stesso giro, viaggiando di giorno, fermandomi ogni volta che la bellezza del paesaggio mi invitava a farlo. E accadeva spesso, tanto che alle volte non riuscivo a percorrere che poche miglia prima di dovermi accampare per la notte.
Il Big Sur fu una rivelazione. Ricordo una sera vicino a Molera Point: la spiaggia bianca, le colline colorate di rosso, il fiume scuro che si tuffava nell’oceano, le dita lattiginose della nebbia che accarezzavano la costa.
Pensai ai miei genitori, che dopo la fuga da Saigon non erano mai stati in nessun posto se non nella cucina del Phoung Hoang, a preparare Bánh Tôm e Bun Cha, e piansi una volta di più.
Raggiunta la 395 affrontai il Tioga Pass e scesi nella vallata di Yosemite. Trascorsi quasi un mese nel parco, passeggiando lungo il fiume, seguendo i branchi di cervi nelle foreste, esplorando ogni centimetro di quel paradiso come se fossi stato il primo essere umano a metterci piede.
Alla prima nevicata mi spostai verso sud. Trascorsi l’autunno tra i deserti del Mojave e dell’Anza Borrego.
Guidavo su strade vuote, il sole basso sull’orizzonte.
Il buio scendeva all’improvviso. Parcheggiavo il furgone in un’area di sosta, mi avvolgevo in una coperta e passavo ore a guardare le stelle.
Ogni tanto ne cadeva una, ma non avevo desideri da esprimere se non quello di andare avanti.
All’inizio dell’inverno superai il confine con l’Arizona. Trascorsi l’ultimo dell’anno tra i cactus del Saguaro, guardando i fuochi d’artificio nel cielo sopra Tucson.
Se fosse stata viva, mia madre avrebbe brindato a Little Saigon, a un nuovo anno di pace e prosperità. Io aspettai che le luci si spegnessero e mi rimisi in viaggio.
Restai sulla strada per quattro anni. Passavo i mesi freddi tra Arizona e New Mexico, la primavera in Utah e Nevada, l’estate tra Colorado e Montana.
Evitavo i grandi centri abitati. Per quanto possibile evitavo le interstatali e il traffico pesante, muovendomi lungo le statali.
C’erano giorni in cui percorrevo centinaia di miglia senza incontrare anima viva. Il bello di certe strade americane è che non portano in nessun posto: attraversano il territorio e basta.
Ho tanti ricordi di quegli anni. Il cielo viola e le sagome scure degli alberi di Joshua, simili a pellegrini con le braccia alzate in preghiera, le dune di gesso del White Sands sovrastate da un cielo nero come il carbone, l’arcobaleno sopra le rocce rosse del Capitol Reef, fulmini e rovesci di pioggia sul Grand Canyon.
Ricordo la prima volta che attraversai la vallata di Yellowstone, al tramonto. Le spirali di fumo bianco che uscivano dal terreno scuro e la sensazione di essere tornata indietro nel tempo, alle origini del mondo. O quando toccai la roccia del Delicate Arch, il simbolo dello Utah, chiedendomi come qualcosa di così fragile continuasse a sopravvivere al tempo senza andare in pezzi.
Nell’estate del 2000 tornai a Garden Grove. Fermai il furgone di fronte a dove una volta sorgeva il Phoung Hoang. Al suo posto avevano costruito un negozio della Apple.
Entrai. Lo slogan del loro nuovo portatile era “un iMac da asporto”. Pensai alla cucina dove ero cresciuta e me ne feci dare uno da portar via.
Il mattino dopo ripartii, decisa a visitare Oregon e Washington, ma non ci arrivai mai.


Il furgone mi lasciò a piedi sulla Limantour Road, una strada tra le scogliere di Point Reyes. Iniziò a strattonare e poi si spense. Provai in ogni modo a farlo ripartire, ma non ci fu verso.
Il centro abitato più vicino era a dieci miglia da lì, così mi misi in cammino.
Era pomeriggio inoltrato. Un’altra al posto mio avrebbe sperato di incrociare un’auto e rimediare un passaggio, ma per quanto possibile continuavo a tenermi alla larga dalle persone.
Passarono un paio di macchine. Nessuna accennò a fermarsi.
Poi accostò una Jeep del National Park Service. Un ranger, un ragazzo che poteva avere più o meno la mia età, si sporse dal finestrino.
Si è persa?” mi chiese.
Cosa glielo fa pensare?” gli risposi scocciata.
Ci restò male. Si scusò e fece per andarsene, ma lo fermai. Era quasi buio ed ero stanca.
Aspetti. Sa dove posso trovare un’officina?”
Parlò tenendo gli occhi bassi. “Ce n’è una a Petaluma, a cinquanta minuti da qui, ma a quest’ora sarà chiusa. Posso accompagnarla domani mattina.”
C’è un posto dove posso passare la notte?”
Un Inn, a Point Reyes. Non è male, se si accontenta.”
Può portarmici ora?”
Solo a quel punto riuscì a guardarmi. “Ora devo andare alla Stazione Radio, ma dopo la porto dove vuole”, disse.
Alla Stazione Radio?”
Fece un gran sorriso e con un forte accento del sud sentenziò “È il 12 luglio, signorina. È la Notte delle Notti.”
Gli sorrisi sconsolata. “Non ho idea di cosa sia.”
Salti su che glielo spiego.”


Scoprii che il ranger si chiamava Matthew Cole. Aveva intrapreso quella professione per girare il Paese.
Non restiamo a lungo nello stesso posto. Ci spostano continuamente. Ma a me sta bene così.”
Scoprii che la Notte delle Notti era la celebrazione dell’ultima trasmissione radio in codice Morse avvenuta negli Stati Uniti l’estate precedente, il 12 Luglio del 1999.
Questa è la prima”, mi disse. “La prima di una lunga serie, speriamo.”
E scoprii chi fosse Guglielmo Marconi, un uomo che non si era arreso alle distanze, grazie al quale le persone potevano comunicare da un capo all’altro del Paese e del mondo.
Ha fatto costruire una stazione di trasmissione vicino a Bolinas e una di ricezione qui, nella Tomales Bay.”
Partecipai alla celebrazione con lui e poi mi accompagnò in hotel.
Mi scusi, ho parlato solo io”, disse. “Non le ho chiesto nulla di lei.”
Gli risposi che non c’era molto da dire
Ho perso la mia famiglia e la mia casa. Da allora vivo per strada.”
Da quanto?”
Quattro anni.”
Ne avrà di storie da raccontare, non è così?”
Non risposi. Pensai alla domanda del perito dell’assicurazione. Alla risposta sincera che mi ero tenuta per me.
Era ancora lì. Nulla aveva preso il suo posto.
La notte non riuscii a chiudere occhio. Dopo anni stesa su un materasso nel retro di un furgone, all’improvviso un vero letto mi sembrava un posto troppo comodo per dormire.
Pensavo ai miei, alla cucina del Phoung Hoang, a quello strano essere che rappresentava nobiltà e grazia. Continuavo a non capire come le parti di cui era composto riuscissero a stare insieme, eppure qualcosa le teneva unite comunque.
Per la prima volta in tre anni fui io a sentirmi un miscuglio indigesto, né carne né pesce.
Nella cucina di un ristorante o alla guida di un furgone, per tutta la vita non avevo fatto altro che tenermi a distanza.


Il giorno dopo Matthew mi portò fino a Petaluma e scortò il carro attrezzi lungo Limantour Road fino al punto in cui avevo abbandonato il furgone.
Venne fuori che serviva un pezzo di ricambio per metterlo a posto.
Ci vorranno un paio di settimane per averlo”, disse il meccanico.
Risposi che avrei aspettato. Guardai il carro attrezzi partire e mi chiesi se sarei riuscita a star ferma tanto a lungo. In passato l'avevo fatto, ma era sempre stata una mia scelta. In ogni momento avrei potuto mettere in moto e andarmene.
Starà bene tutta sola all’hotel per due settimane?” mi chiese Matthew.
Gli risposi che ero abituata a stare per conto mio.
Continuava a parlare tenendo gli occhi bassi.
Non è quello che volevo dire.”
Anche se la comunicazione non era il mio forte, capii dove voleva andare a parare. Guardai il ranger Matthew Cole e pensai Un'altra volta. Con sentimento.
E cosa volevi dire?” gli chiesi.
Si offrì di portarmi a cena. Rifiutai.
Il minimo che possa fare è cucinare io per te.”
Gli spiegai gli ingredienti di cui avevo bisogno e mi portò a Santa Rosa per comprarli. Poi andammo al suo appartamento a Point Reyes e, nonostante la promessa che mi ero fatta, misi di nuovo piede in una cucina.
Affettando le cipolle approfittai per piangere le ultime lacrime che mi erano rimaste, poi preparai per lui alcune delle ricette di mia madre.
Dopo aver mangiato, si offrì di accompagnarmi in hotel.
Non ce n’è bisogno”, risposi.
Pensai alle due stazioni costruite da Marconi, una per trasmettere e l’altra per ricevere.
Ti ricevo forte e chiaro”, aggiunsi.
A distanza di anni Matthew continua a dire che fu quella, la Notte delle Notti. Io gli rispondo che non fu poi così speciale. Eravamo due principianti.
E anche se fosse, non credo abbia importanza. Fu la prima di una lunga serie.
Trovai il letto di Matthew sorprendentemente comodo, anche se prima di arrivarci ebbi modo di scoprire che una cucina non è solo una stanza dove consumare i pasti.
Non ero mai stata con nessuno, e nemmeno lui. Non so se si potesse definire un colpo di fortuna, ma ci andava vicino.
Quella notte mentre lui dormiva mi alzai, presi il Mac dallo zaino e tornai in cucina. Nell’aria c’era ancora il profumo dei Bánh Tôm.
Lo accesi. Guardai il cursore nero lampeggiare sulla pagina bianca.
Ne avrà di storie da raccontare, mi aveva detto Matthew.
Pensai a tutti i posti che avevo visitato: spiagge, praterie, montagne, deserti. Ambienti così diversi tra loro che coesistevano dentro i confini dello stesso meraviglioso Paese. Come parti di una fenice. E iniziai a scrivere.


Nelle due settimane successive cucinai per Matthew ogni sera. Nessuna fu la Notte delle Notti, ma ci stavamo prendendo la mano.
Quando il furgone fu pronto, mi accompagnò a Petaluma.
Per tutto il viaggio non scambiammo una parola. Lui guidava, io pensavo a Gugliemo Marconi, ai fili invisibili che uniscono le persone, a come certi messaggi debbano viaggiare a lungo prima di arrivare a destinazione e non sempre c’è qualcuno dall’altra parte pronto a riceverli.
Quando mi restituirono le chiavi del furgone, fui io a rompere il ghiaccio.
Pensavo mi avresti chiesto di restare”, gli dissi.
Per una volta mi guardò dritto negli occhi.
Immagino che non si possa cambiare vita da un giorno all’altro”, rispose.
Può succedere. Non sempre è per un colpo di fortuna.”
Non resterò qui per sempre, comunque.”
Lo so. Ci sono tanti posti dove posso raggiungerti.”
Ormai so di che ingredienti hai bisogno.”
Lo abbracciai a lungo e me ne andai.
Risalii la costa del Pacifico fino a Vancouver, attraversando Oregon e Washington. Per un attimo pensai di tirare dritto e arrivare fino in Alaska, ma tornai indietro.
Passai qualche settimana con Matthew e poi ripartii di nuovo. Percorsi la Strada Madre fino a Chicago e ritorno.
Ogni volta che mi fermavo tiravo fuori il Mac dallo zaino e mi mettevo a scrivere. Era iniziato come un diario di viaggio, poi con il tempo era diventato qualcosa di più: la storia della mia famiglia, del loro viaggio per trovare una nuova casa, di tutte le piccole Saigon d’America, sogni che sopravvivono alla distruzione, raccolti dalle ceneri e portati dall’altra parte del Mondo.


Nell’estate successiva trasferirono Matthew al Petrified Forest e lo raggiunsi lì per un po’. In inverno andai in Louisiana, Mississippi, Alabama.
Avevo smesso di tenermi alla larga dalle grandi città. Vidi la parata del Mardi Gras a New Orleans. Era una celebrazione per famiglie e io avevo perso la mia, ma per la prima volta intravidi la possibilità di ricostruirne una.
Il furgone mi abbandonò di nuovo a Wichita Falls, Texas, nella primavera del 2002.
Il meccanico che lo guardò mi disse “Le costerebbe una fortuna aggiustarlo.”
Lo presi per un segno e lo lasciai lì. Salii su un volo per Denver e raggiunsi Matthew. Nel frattempo lo avevano trasferito al Mesa Verde.
Cosa farai ora? Ne comprerai un altro?” mi domandò.
Questa volta credevo davvero che mi avresti chiesto di restare.”
Se continui a ripeterlo, prima o poi ti prenderò sul serio.”
Un’altra volta. Con sentimento, pensai e poi gli chiesi “Perché non ora?”.
Ti ricevo forte e chiaro”, fu la sua risposta.
Spesi gli ultimi soldi dell'assicurazione per comprare un altro furgone. Lo attrezzai con una cucina mobile, trasformandolo in un Food Truck.
Ci sono sogni che sopravvivono alla distruzione. Li raccogliamo dalle ceneri e li portiamo via con noi. Costruiamo le nostre piccole Saigon. Era quello che avevo fatto con la cucina del Phoung Hoang.
Preparavo le ricette di mia madre, vendevo Bánh Tôm e Bun Cha per la strada. Seguivo Matthew nei suoi spostamenti. Alle volte mollavo tutto e mi facevo un giretto. Ma poi tornavo sempre indietro.
Sulla fiancata del furgone era dipinta una fenice, quello strano essere con il collo di un serpente, gli artigli di un'aquila, il corpo ricoperto di squame e la coda di un pavone.
Ormai lo vedevo per ciò che era: nobiltà e grazia.
Certi messaggi devono viaggiare a lungo prima di arrivare a destinazione. Non sempre siamo lì per riceverli.
Come in tante cose, ci vuole un po’ di fortuna.

2Little Saigon Empty Re: Little Saigon Lun Dic 05, 2022 9:47 am

Fante Scelto

Fante Scelto
Cavaliere Jedi
Cavaliere Jedi

Una storia malinconica, piena di significati e con una notevole profondità.
Molto tecnica, anche, perlomeno nei suoi risvolti geografici, segno di una notevole esperienza sul campo.
Io mi limito a conoscere molti dei posti citati solo grazie a Tex Willer. Che non è male, ma certo non è la stessa cosa.
Ah, però la parata del Mardi Gras a New Orleans l'ho vista, una volta.
Ma era in un film.
Ehm.

Il messaggio di fondo, questi messaggi, appunto, che richiedono tempo per arrivare a destinazione e non sempre c'è qualcuno a riceverli, contiene tanta speranza quanta rassegnazione.
Non c'è una vera scelta.
La stessa protagonista non si ferma mai veramente, per quanto all'inizio dica che a un certo punto cambiò idea sul suo futuro.
O così l'ho percepita io.
D'altra parte è dura lasciarsi alle spalle un trauma come quello, e anche se la riconciliazione con la cucina (ora in formato mobile) riporta la vita indietro almeno di un paio di decisi passi, la sensazione è che nulla sia tornato veramente in quiete.

Scrittura di alto livello, qui davvero non ci sono osservazioni fattibili, da parte mia.

Mi lascia dubbioso il nome del ristorante, che dovrebbe essere il termine vietnamita che indica la fenice, perché all'inizio è Phuong Hoang ma poi muta presto in Phoung Hoang.
Ho googlato per capire dove stia l'errore. Non ci ho capito molto, ma Google tende a indicarmi la prima variante come corretta. Almeno credo.

Complimenti vivissimi per la naturalezza dell'uso dei paletti e la fluidità della storia che ci è costruita intorno.

3Little Saigon Empty Re: Little Saigon Lun Dic 05, 2022 10:02 am

Nellone


Younglings
Younglings

Molto belle le descrizioni e l’ambientazione On the road ma compressi in modo secondo me eccessivo. Avrei sicuramente preferito qualcosa di meno, ma narrato con maggior cura, con maggior pathos. I paesaggi sono molto suggestivi (purtroppo non ho mai potuto vederli in prima persona) ma purtroppo non si indugia su quei particolari che sarebbero una curiosità per il lettore; peccato davvero, perché le descrizioni presenti sono molto nitide e poetiche. Pur generando un leggero effetto-sorpresa, avrei per esempio evitato di far “scappare” la protagonista per poi farla tornare da Matthew, credo che la divagazione non aggiunga molto alla narrazione, rubando invece preziose battute che avrebbero potuto essere usate per rendere il modo più specifico una situazione, un ambiente o un attimo del viaggio. Trama nel complesso un po’ piatta, ma degno contenitore per tutto il resto
All’inizio le due parti (l’incendio della cucina e il viaggio) mi sembravano slegate ma l’idea finale del food truck rende giustizia ad entrambe: ottima trovata! I paletti sono rispettati, così come l’ambientazione, e i tre elementi “obbligatori” hanno un ruolo importante nella vicenda, dunque, da questo punto di vista, risultato pienamente positivo.
Stile semplice e fluido, in cui non ravviso particolari variazioni, sempre molto efficace nel descrivere gli ambienti, un po’ meno nel descrivere le emozioni. Peccato solo per una punteggiatura un po’ avara, con qualche virgola posizionata non proprio alla perfezione. Nel complesso… Mi hai fatto venir voglia di West Coast!

4Little Saigon Empty Re: Little Saigon Mar Dic 06, 2022 11:24 am

Petunia

Petunia
Moderatore
Moderatore

Ho letto più volte questo racconto. La terza volta ascoltando la splendida colonna sonora di “Into th wild” di Eddie Wender e ho provato delle belle sensazioni. Trovo che quella musica si accordi alla perfezione al viaggio che ci hai proposto, ne esalta l’atmosfera di fondo che, te lo dico, mi ha emozionata parecchio.
Una bella storia in grado di dare alla cucina un senso speciale e profondo. Eccellente la scrittura, attuale e molto coinvolgente.
Ottima la chiusa circolare e la ripresa del concertto chiave che accompagna questo bellissimo viaggio. Mi è piaciuto tantissimo.

5Little Saigon Empty Re: Little Saigon Mar Dic 06, 2022 7:05 pm

tommybe

tommybe
Maestro Jedi
Maestro Jedi

Mi piace la relazione stabile con il ranger. Non ci sono altri uomini in giro nel racconto.
Mi piace quella guida eterna, almeno finché il mezzo non tira le cuoia.
Mi piace quel camminare a piedi sul ciglio della strada senza avere nulla da raggiungere, ma con la speranza celata di essere raggiunta.
Mi piacciono tutti quei piatti strani che non mi sognerei mai di assaggiare, ma che hanno nomi accattivanti.
Mi piace la semplicità della storia e l'odore dolciastro degli ingredienti.
Banh Tom lo voglio assaggiare

6Little Saigon Empty Re: Little Saigon Mer Dic 07, 2022 12:32 pm

Arunachala

Arunachala
Admin
Admin

ecco, sono il solito che va contro corrente.
scritto benissimo, non ho trovato errori né refusi.
belle le descrizioni, soprattutto a livello scenografico.
i personaggi sono ben caratterizzati e la storia è bella.
e quindi, perché non mi piace?
perché è piatto dall'inizio alla fine, non mi arrivano per niente le emozioni, nonostante accada di tutto.
oltre a questo, lo trovo molto lungo, forse troppo.
insomma, non l'ho letto con piacere, mi spiace


______________________________________________________
L'unico modo per non rimpiangere il passato e non pensare al futuro è vivere il presente

Little Saigon Namaste

Non si può toccare l'alba se non si sono percorsi i sentieri della notte.

Kahlil Gibran

7Little Saigon Empty Re: Little Saigon Mer Dic 07, 2022 5:10 pm

paluca66

paluca66
Maestro Jedi
Maestro Jedi

Errori / refusi non ne ho trovati.
La scrittura è di alto livello, rende la lettura semplice e scorrevole nonostante la ricchezza di nomi geografici e di informazioni specifiche.
Paletti presenti, importanti e ben inseriti con naturalezza, il lettore esterno non li troverebbe strani o fuori luogo.
Anche Guglielmo Marconi che appare un po' marginale, pure ha un'importanza fondamentale per il messaggio che il racconto alla fine veicola.
Cucina così centrale che difficilmente avrebbe potuto esserlo di più e anche sul racconto di viaggio credo ci possano essere pochi dubbi.
il racconto mi ha lasciato un po' perplesso ala fine della prima lettura, quanto le sono durati quei trecentomila dollari? Perchè, pur di fronte a un trauma importante come quello della perdita dei genitori in modo così drammatico una ragazza di 21 anni dovrebbe decidere di girare l'America e di isolarsi dal tutto il mono circostante? Perché dopo tanti anni di solitudine in giro per il mondo la ragazza medesima dovrebbe concedersi con così tanta semplicità al primo che capita?
Poi ho deciso di rileggerlo senza farmi troppe domande ma lasciandomi trascinare dal racconto stesso e coinvolgere dalle emozioni che trasmette ed è stata tutta un'altra cosa.
Sai una cosa? Hai scritto un intenso racconto in grado di emozionarmi con parole ed espressioni bellissime.


______________________________________________________
Little Saigon Badge-3

8Little Saigon Empty Re: Little Saigon Gio Dic 08, 2022 6:09 pm

Arianna 2016

Arianna 2016
Maestro Jedi
Maestro Jedi

Poi arriva un racconto così, e tu ti senti piccolo piccolo. Perché capisci che mai riuscirai a scrivere così, che scrivere così è certo migliorato dalla pratica, ma che comunque, di base, ci si nasce.
Tutto scorre omogeneo, fluido, amalgamato, naturale. Talmente naturale che questo non sembra assolutamente un racconto scritto dovendo rispettare dei vincoli, vincoli che spesso portano i racconti del contest a una difficile fruibilità esterna.
Questo racconto è un organismo che vive di vita autonoma e può camminare ovunque.
L’autore mostra una conoscenza che sembra personale dei luoghi descritti e un amore per un tipo di scrittura “americana”. Ecco, a me normalmente quel tipo di scrittura non piace, invece in questo racconto davvero “on the road” anche quella è andata bene.
Le cose che mi sono piaciute di più: il tema della Fenice e il filo rosso “un’altra volta, con sentimento”. Poi, naturalmente, come tutto è scritto.
Finire con i complimenti è un dovere e un piacere.

9Little Saigon Empty Re: Little Saigon Lun Dic 12, 2022 3:36 pm

Antonio Borghesi

Antonio Borghesi
Cavaliere Jedi
Cavaliere Jedi

Come può dispiacermi un racconto come il tuo? Il viaggio è la mia vita e sono pure come la tua protagonista. Perchè allora mi dispiace? Perchè sono invidioso del suo viaggio. io ho fatto solo la route 66 ma con un altro spirito. Però la tua storia è molto bella e con anche un pizzico di riferimento a Marconi che non guasta (va bene che era un paletto ma...) Io magari avrei aggiunto qualcosa sull'ultimo giorno del 1999 ma io non ho scritto la tua storia. Piaciuto.

10Little Saigon Empty Re: Little Saigon Lun Dic 12, 2022 10:41 pm

Danilo Nucci

Danilo Nucci
Cavaliere Jedi
Cavaliere Jedi

Scrittura impeccabile e storia di mio pieno gradimento; potrei dire perfino godimento.
In altro commento dicevo con altre parole dell’importanza, nella valutazione dello step, di dare il giusto peso a quei racconti nei quali i rigidi paletti della prova risultavano disperdersi con naturalezza nelle parole e nella vicenda.
Questo brano mi sembra rispettare queste qualità: la fenice, Marconi e il Mac, compaiono nella storia in modo molto naturale, almeno così mi è parso.
Il genere è inequivocabilmente quello “odeporico”. Ci tengo a sottolinearlo con orgoglio, visto che è un aggettivo che ho imparato a conoscere solo qualche giorno fa.
Il mio gradimento è dovuto anche al fatto che molti dei luoghi citati li ho visitati 25 anni fa e questo racconto mi ha fatto fare un piacevole viaggio nel passato. Anzi, avrei voluto che le descrizioni di quei luoghi fossero ancora più articolate e definite, visto che l’autore lo sa fare così bene. Capisco tuttavia che lo spazio a disposizione era limitato. Immagino che bel romanzo “on the road” potrebbe venir fuori senza tutti i vincoli di questa prova.
Veramente un ottimo lavoro!

11Little Saigon Empty Re: Little Saigon Mar Dic 13, 2022 12:47 am

FedericoChiesa

FedericoChiesa
Cavaliere Jedi
Cavaliere Jedi

Ecco un racconto di viaggio, di viaggio vero.
La scrittura ti coinvolge, seppur senza mai salire di tono, ma tenendoti legato con garbo, delicatezza e malinconia.
Avrei snellito il lungo elenco di posti visitati e strade percorse, magari concentrandomi su alcuni e solamente citandone altri.
Una cosa che mi ha convinto poco è trovare due "principianti" di 25 anni o più, nell'America di oggi, ma forse è un colpo di fortuna.
Complimenti.

12Little Saigon Empty Re: Little Saigon Gio Dic 15, 2022 10:07 am

ImaGiraffe

ImaGiraffe
Cavaliere Jedi
Cavaliere Jedi

Un racconto di altissimo livello ma, non me ne vorrà l'autore, mi sembra già letto.
Sul mercato ci sono moltissimi libri che narrano più o meno della stessa cosa e, in tutta onestà, in questo forum mi piacerebbe leggere qualcosa di più originale.
Il racconto anche se lungo e ricco di particolari scorre via liscio ma quella parte del "viaggio" mi sembra compressa.
Di certo da questo racconto poterebbe uscirne fuori anche un libro tanto è ricco di dettagli.
La cosa che mi ha veramente colpito è la cucina. In quel caso hai fatto centro perché la cucina oltre a essere luogo assume anche un significato simbolico, qualcosa da cui fuggire.

13Little Saigon Empty Re: Little Saigon Gio Dic 15, 2022 4:24 pm

Achillu

Achillu
Maestro Jedi
Maestro Jedi

Ciao Aut-

Non amo molto le anticipazioni e "E se incontrai Matthew e scoprii chi fosse Guglielmo Marconi e cambiai idea sul mio futuro" non fa eccezione; c'è anche un altro motivo, oltre al gusto personale: la reggente di questa proposizione isolata non è la proposizione precendente ma quella ancora prima, quindi ho fatto anche fatica a intonarla sia alla prima che alla seconda lettura.
Una cosa che ho notato è che solo "Bánh Tôm" ha mantenuto i segni diacritici tipici del vietnamita, mentre sono stati rimossi da "Bún chả" e "Phượng Hoàng". Forse sarebbero stati da rimuovere anche da Banh Tom, giusto per coerenza.
Della trama mi restano impressi credo gli aspetti principali, tra i quali non c'è Guglielmo Marconi nonostante ci sia il parallelo "la prima di una lunga serie" tra la Notte delle Notti e la relazione sessuale della narratrice protagonista senza nome e Matthew.
A parte questo, ammetto che già alla seconda lettura ricordavo tutto; ho rivissuto tutti gli aspetti incontrati alla prima lettura e devo dire che questa capacità narrativa la considero molto positiva. Anche lo sviluppo della trama l'ho trovato senza "salti mortali": la narratrice protagonista esce fuori dalla sua abulia un passo per volta, senza sforzi da parte del lettore o comunque senza sforzi da parte mia.
La cucina è un fantasma che aleggia sulla protagonista esattamente come la Fenice che la rappresenta ed entrambe permeano il racconto pur non essendo elementi narrativi espliciti. Il Mac c'è e Guglielmo Marconi non è memorabile. Genere odeporico secondo me azzeccato, anche se non ho letto "i classici".

Grazie e alla prossima.


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14Little Saigon Empty Re: Little Saigon Lun Dic 19, 2022 8:44 am

vivonic

vivonic
Admin
Admin

Ciao, Autore. Non è un racconto che ho riletto volentieri, e ti dico perché: è sicuramente un racconto odeporico, ma che non mi ha trasmesso molte emozioni in quanto non ho vissuto niente di nuovo, niente che mi lasciasse il segno.
Di questo racconto, restano l'ammirazione per una scrittura impeccabile, i complimenti per come hai trattato il genere e una cucina che è, forse, la più calzante dello step; quello che non resta, invece, è - purtroppo - una qualche emozione.
Mi dispiace.


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Un giorno tornerò, e avrò le idee più chiare.

15Little Saigon Empty Re: Little Saigon Mar Dic 20, 2022 8:59 pm

Byron.RN

Byron.RN
Maestro Jedi
Maestro Jedi

Racconto scritto benissimo, una scrittura naturale superiore alla media, questo è evidente a tutti.
La storia è senza sussulti, ma di questo non mi interessa, chi sa scrivere così non ha bisogno di stupire, già lo fa assemblando in quel modo le parole.
Il genere centratissimo.
Quello su cui sono meno convinto sono i paletti.
La fenice? Quello mi sembra il più calzante, il simbolo della rinascita, una rinascita spirituale che accompagna la protagonista, che cresce piano piano dentro di lei.
Il Mac c'è.
Guglielmo Marconi l'ho avvertito poco, è nominato, ok, però non mi soddisfa. Capisco la sua funzione per la bella metafora che hai creato, però per me è troppo defilato.
E poi c'è la cucina che io ho trovato quasi inesistente. Capisco che rimane sullo sfondo eppure presente, come un demone da esorcizzare, ma alla fine diventa tutto troppo simbolico. Quel compito di presenza in lontananza, dietro le quinte lo svolgeva già la fenice.
L'impressione che ho avuto è che i paletti non siano talmente naturali che uno non se ne accorge, il fatto è che sei così bravo a scrivere che la tua scrittura riesce a fare immaginare al lettore cose che in realtà non ci sono, come l'opera di un grande illusionista. Certo, questa è bravura, ma la sensazione che un pò mi rimane è quella di cercare di aggirare l'ostacolo. Con classe.

16Little Saigon Empty Re: Little Saigon Lun Dic 26, 2022 7:17 am

SuperGric

SuperGric
Padawan
Padawan

Che racconto! L’essenza stessa del viaggio, per scoprire il mondo e per ritrovare se stessi. La voglia di solitudine e di bellezza. “Un'altra volta, con sentimento.” Una frase splendida, che racchiude tantissimo. Non importa quante volte fai una qualsiasi cosa, ogni volta può essere diversa e migliore, dipende da come la vivi. E il sentimento che ci metti fa la differenza.
Bellissimo che lei alla fine ogni tanto riparte, il viaggio le è rimasto dentro, ma poi ritorna sempre indietro.
L’incipit non è forse all’altezza del resto del testo, non mi ha trascinato subito dentro, ma quando inizia il viaggio, il racconto decolla.
“Ti ricevo forte e chiaro” non mi ha dato la sensazione di una frase romantica e mi ha spezzato un po’ il ritmo, così come l’intrusione di Marconi, che ho percepito un filo forzata (maledetti paletti). Per il resto fantastico.

17Little Saigon Empty Re: Little Saigon Ven Dic 30, 2022 11:03 pm

Susanna

Susanna
Maestro Jedi
Maestro Jedi

Apprezzo molto i racconti scritti in prima persona: non sono facili da gestire - e qui tutto sembra scivolare via con sicurezza e stile molto particolare - ma a mio parere consentono di inserire qualcosa di noi stessi, dei nostri pensieri, esperienze, stati d’animo che affidati a un personaggio non rendono come si vorrebbe. Anche se a volte i personaggi diventano il tramite tra noi e quello che vorremmo narrare di noi, non è detto che siano sempre collaborativi, qualcosa rimane sempre non espresso.
Scusa Penna la digressione, ma i complimenti per un bellissimo racconto a volte passano anche attraverso qualche deviazione.
Il viaggio c’è ma non è solo una mappa del percorso fisico che si è dipanato nel tempo: letto in questa chiave sarebbe un racconto monotono e senza spessore. Un po’ come leggere un atlante in un momento di noia: strade, città, qualche immagine scelta con cura, ma tutto rimane in quelle pagine.
Invece, per come ho sentito questo racconto, su quelle strade, in quei paesaggi unici, nelle soste e nelle stagioni c’è anche un viaggio interiore, la ricerca dell’accettazione per quello che è accaduto alla protagonista. I chilometri e le ore che separano un momento tragico dal momento in cui ci si riappacifica e si trova lo stimolo per voltare pagina, senza però dimenticare quello che è stato scritto prima.
Così come l'incontro con una persona che rappresenta una sorta di svolta per la protagonista, ancorchè sia presente in tanti racconti o film, ha qui per me una valenza più sottile, è un qualcosa che "obbliga" la protagonista a entrare in quella lontana cucina, a spezzare il filo del dolore che la teneva troppo stretta, ma senza assumere la connotazione di una situazione da racconto rosa. Non so se mi sono spiegata, magari l'intento era diverso.

Mi sono appuntata queste due frasi che per me racchiudono l’essenza della storia.
Questa frase mi è piaciuta molto, tanto è rappresentativa della solitudine unita al dolore.
Ero circondata da centinaia di persone ma non mi ero mai sentita così sola. Le ascoltavo ma era come se non riuscissi a sentirle.
Continuavo a non capire come le parti di cui era composto riuscissero a stare insieme, eppure qualcosa le teneva unite comunque.  Può capitare di vivere momenti in cui la nostra vita, il nostro io pare troppo frammentato per continuare a funzionare, eppure i pezzi stanno assieme.


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"Quindi sappiatelo, e consideratemi pure presuntuoso, ma io non scrivo per voi. Scrivo per me e, al limite, per un'altra persona che può capire. Spero di conoscerla un giorno… G. Laquaniti"

18Little Saigon Empty Re: Little Saigon Sab Dic 31, 2022 10:18 am

Asbottino

Asbottino
Cavaliere Jedi
Cavaliere Jedi

In quei posti sembra che tu ci sia stato davvero. Sembrano impressioni dal vivo, di chi ha percorso parecchi km in auto, su quelle strade. Immagino che dopo un po’ ti prenda la mano, che sia difficile fermarsi, al di là che uno stia fuggendo da qualcosa o inseguendo qualcosa.
Paradossalmente il racconto avrebbe bisogno di più spazio, a mio parere. Non dico che sia materia da romanzo, che ci sia troppo per un racconto breve, ma mi sembra che con un po’ più respiro avresti potuto dare più spazio a tante cose, cose che adesso sembrano sacrificate e rendono meno di quello che avrebbe potuto rendere. Motivare certe scelte, come il rapporto con Matthew, rallentare una storia d’amore che al di là della fortuna è davvero troppo frettolosa, o indagare ancora più a fondo la necessità di isolarsi dopo un trauma che ti lascia senza più nessun legame.
Anche Marconi e i suoi fili invisibili meriterebbero più spazio. Marconi è appena un’idea, un sogno più che un personaggio in carne e ossa.
La cucina invece è un luogo fisico e simbolico. È dove la protagonista nasce, letteralmente, e rinasce. Dove perde la sua famiglia, dove la ritrova.
Curiosa l’idea di un negozio Apple al posto del ristorante e che lo slogan del portatile della mela fosse simile a quello dei take away.


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19Little Saigon Empty Re: Little Saigon Lun Gen 02, 2023 7:26 pm

Akimizu

Akimizu
Cavaliere Jedi
Cavaliere Jedi

Ciao autore e che ti devo dire? Mi è sembrato di leggere uno dei grandi della letteratura nordamericana, non scherzo. Una scrittura, la tua, che infila le parole perfettamente una in fila l'altra di modo che riescano naturali, non artificiali. Ti ci perdi. Si capisce perfettamente tutto, cosa ti ha mosso a scrivere e cosa volevi comunicare. Ora, se proprio bisogna pignoleggiare, la parte centrale, dopo l'incontro con Matthew, quando i due si lasciano, fino alle frasi finali, l'ho trovata un po' superflua, come una ripetizione della prima parte e non ho avuto subito ben chiari i motivi per cui i due si siano separati, anche se alla fine non poteva essere altrimenti. Ma il racconto funziona benissimo lo stesso, non preoccuparti. Ti ringrazio quindi e spero di rileggerti presto!


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20Little Saigon Empty Re: Little Saigon Mer Gen 04, 2023 12:11 am

Molli Redigano

Molli Redigano
Maestro Jedi
Maestro Jedi

Non è il tipo di storie che prediligo, tuttavia va riconosciuto che il testo è molto ben scritto, dalle descrizioni alla caratterizzazione dei personaggi, passando per "la parte che non si vede", ovvero i sentimenti, le sensazioni, che ben arrivano ad un'ampia platea, anche di quelli come me che leggono certe storie, mi si passi il termine, con scetticismo.

Un Autore che palesemente ben conosce il territorio nel quale ha ambientato la sua storia, cosa che a me fa pensare. Parecchio.

Un racconto che si riceve "forte e chiaro" insomma, una Little Saigon circoscritta che rende onore un po' a tutte le Little Saigon sparse per il mondo secondo me. 

Grazie

21Little Saigon Empty Re: Little Saigon Mer Gen 04, 2023 11:00 pm

caipiroska

caipiroska
Cavaliere Jedi
Cavaliere Jedi

Un bel racconto con tanti piani di lettura che $algono in $uperficie lentamente.
Mi piace il modo $icuro e maturo con il quale è $tata $critta que$ta $toria, dove $entimento ed emo+ioni $i amalgamano bene in$ieme regalandoci un per$onaggio comple$$o ma anche ben definito e convincente.
Il viaggio in realtà è molto lungo, $i mangia righe e righe di te$to dove i luoghi $i accavallano gli uni $ugli altri me$colando$i nell'immagina+ione ($pecielmente per chi come me non li ha vi$ti di per$ona), dando una $gradevole $en$a+ione di li$ta che que$to te$to non meritava.
Il bi$ogno di viaggiare ($cappare) della protagoni$ta è ben giu$tificato e de$critto: molto emo+ionante e commuovente capire che l'unico po$to dove avrebbe veramente trovato la pace è l'unico da cui fuggiva: $e $te$$a.
"Ti ricevo forte e chiaro" è una bella fra$e a effetto, $oprattutto con$iderando il conte$to, ma non mi è piaciuta del tutto perchè la trovo fredda e di$taccata, poco romantica.

22Little Saigon Empty Re: Little Saigon Lun Gen 09, 2023 4:47 pm

Menico

Menico
Padawan
Padawan

Precise e accurate le descrizioni dei luoghi e dei percorsi, portano il lettore quasi a condividere le emozioni della protagonista. Storia commovente: l'incendio, la morte dei genitori, la perdita di tutte le certezze... Cose che spingono la ragazza a un modus vivendi assolutamente estraneo alla sua vita precedente. Poi il fato ci mette la sua: il guasto al furgone, l'incontro con il ranger, la notte delle notti. 
Lentamente viene portata a rivedere la sua vita, a chiedere più volte "credevo che mi avresti chiesto di restare", finché arriva la risposta sperata: "Ti ricevo forte e chiaro". 
Scritto in maniera impeccabile: un gioiello incastonato tra i paletti proposti.


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Come l'acqua che scorre, sono un viandante in cerca del mare. Z. M.

23Little Saigon Empty Re: Little Saigon Ven Gen 13, 2023 11:43 am

Asbottino

Asbottino
Cavaliere Jedi
Cavaliere Jedi

Penso che il primo obiettivo di un racconto di viaggio sia quello di far vanire voglia al lettore di visitare i luoghi descritti. O per chi ci è già stato far venire il desiderio di tornarci. Spero che sia stato così, soprattutto per chi non c’è mai stato. Alle volte sento un po’ di resistenza nei lettori verso la scrittura “americana”, la cultura “americana”, ecc. L’uso stesso delle virgolette un po’ è parte di questo atteggiamento. Non lo discuto. L’America è un posto pieno di contrasti. Un terra giovane, con una storia piccola rispetto alla nostra. L’americano medio il più delle volte non è mai stato in nessun luogo che non sia il posto dove è nato, posti che sembrano accampamenti, pezzi di terra da difendere con il fucile. Il termine stesso “americanata” è infondo profondamente negativo. Quello che vedete nei film è tutto vero. La prima sensazione che avrete viaggiando in quei posti è quella di trovarsi su un enorme set cinematografico. Ma è solo una prima impressione.
L’America, specie il sud ovest, cambia il tuo concetto di territorio, di distanza, di grandezza. Quando torni a casa ti sembra che sia tutto in miniatura. Che l’orizzonte sia troppo vicino. È una terra ancora nuova, inesplorata. Le strade davvero attraversano il territorio e basta. Non portano necessariamente da qualche parte. O se lo fanno è accidentale.
Vorrei dire qualcosa sulla questione delle emozioni. Da sempre sono i commenti che mi fanno più male, che danno più da pensare, riflettere se sto facendo la cosa giusta. È vero, il racconto è senza picchi, ha un temperatura emotiva costante. I picchi di solito danno la possibilità di raggiungere più persone, come se dall’alto di un picco la tua voce arrivasse più lontano, a una platea più ampia. Ma qui è già tutto finito. La protagonista racconta la sua storia in pochi pagine,  ma non è tanto una questione di durata. Chiaro che su una distanza più lunga la vicenda avrebbe potuto avere più alti e bassi, ma in un racconto breve, e dovendo rispettare tanti paletti, diventa complicato. Ma credo che quello che abbia raffreddato tanti sia il fatto che lei non sta più soffrendo. È in pace. Prende le distanze dalla sua stessa storia. Tanto di usare l’inizio per dirti già come va a finire.
Sui paletti il commento che mi ha fatto riflettere di più è quello di Byron, il fatto che tu abbia sentito un tentativo da parte mia di aggirare l’ostacolo, specie sulla cucina. Credo che la cucina sia talmente radicata in questo racconto che se la togli il racconto non esiste. E che il primo criterio per valutare un paletto sia la sua importanza in termini narrativi nell’economia dell’intero racconto. Poi è vero: la cucina è un luogo di nascita e di rinascita, ma non viene descritta, non ha una sua valenza visiva. Immagino che in una stesura più lunga ci fosse posto anche per descrivere la cucina del ristorante, per far capire davvero al lettore dove è nata e cosa ha perso, oltre alla sua famiglia. Forse avrebbe dato più potere emotivo al racconto. Dai qualcosa al lettore e poi glielo togli: è l’unico modo per far sentire il lettore come il protagonista della tua storia. Scrivendo qui e discutendo con voi mi rendo conto di quanto spessore in più avrei potuto dare alla storia. È quasi come se fossi tornato da un viaggio. Ti rendi conto di quanto hai fatto, ma vai comunque via con la sensazione che avresti potuto fare di più, spendere altre ore sulla strada, accumulare altre emozioni. È la sensazione che mi lascia questo racconto: come se fosse appena un assaggio di quello che avrei potuto mettere giù. Chissà, magari ci sarà un’altra occasione.
Ringrazio tutti, per i commenti e per i voti.
Vi abbraccio


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24Little Saigon Empty Re: Little Saigon Ven Gen 13, 2023 12:04 pm

Fante Scelto

Fante Scelto
Cavaliere Jedi
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Mi sembra molto interessante la riflessione sulla resistenza che l'ambientazione americana esercita su alcuni lettori. 
Io mi ci metto per primo, ma non perché non sia affascinato dall'America, anzi, tutt'altro. Mi piacerebbe tantissimo visitarla, e non saprei neanche da dove (geograficamente) iniziare.
Il respingimento che sento verso i racconti ambientati in America è dettato dal fatto che, molto spesso, non riesco a vederci una storia americana, ma una storia italiana (o al più europea) mascherata a stelle e strisce, sulla base di quella immagine che degli USA abbiamo grazie alla parzialità di Hollywood.

In altre parole, leggendo mi trovo a pensare "ma questi personaggi e questi luoghi sono credibili? Sono dei veri Americani o sono costruiti col poco che ne vediamo al cinema?"
Ecco, tutto questo io nel tuo racconto non l'ho affatto sentito.
Ho trovato tutto molto naturale, molto fluido, come solo chi ha davvero visitato quei posti può raccontarlo e farlo immaginare a chi legge.
Qui, le mie resistenze si annullano.

E, per inciso, leggendo questa storia si è fatto più forte il mio desiderio, represso ormai da troppo tempo, di andare veramente a visitarli quei luoghi.
Non è escluso che lo faccia, prossimamente.

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25Little Saigon Empty Re: Little Saigon Ven Gen 13, 2023 2:53 pm

Asbottino

Asbottino
Cavaliere Jedi
Cavaliere Jedi

Si, iniziare è difficile. Io sono partito da New York. Per via di tanti libri. Era il 2005. Poi per 10 anni ci siamo fermati. E quel punto abbiamo ricominciato. Se metto insieme tutti i giorni che ci ho passato saranno un centinaio. Non è come viverci, ma è una base, abbastanza solida per appoggiarci le mie storie. E continuerà a incrementarsi. Perché quello che dici è vero, la sensazione che certe storie non siano davvero americane. Lo erano anche le mie, all'inizio. Ed è uno dei tanti motivi per cui ho deciso di vedere quanta più America possibile e di farlo subito, senza aspettare. Quando vado scatto centinaia di foto. Sono sempre stato un paesaggista, ma ultimamente ho scattato tante foto di persone e luoghi. Non necessariamente belle, ma da usare come ambientazioni. Comunque se hai bisogno di consigli scrivimi in MP. Posso darti tutte le dritte che si servono.


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