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Messaggio Da Different Staff Dom Dic 04, 2022 4:20 pm

I corvi si alzarono in volo quando Davide iniziò a correre. Rimasero per un po’ a volteggiare, neri sul grigio del cielo di Roma, e si posarono ordinati sul campanile di Santa Maria in Trastevere.
Davide non li degnò di uno sguardo, attraversò la piazza schivando due gendarmi pontifici protetti dalle loro armature meccaniche e si infilò in un vicolo del quartiere cinese. Le lanterne rosse dei negozi erano già accese, nonostante fosse pomeriggio.
Davide si fermò davanti alla sala da tè e cercò di sistemarsi i capelli. Ansimava. Si morse il labbro mentre si specchiava nella vetrina decorata con tigri e fiori di loto. Quando aprì la porta suonò un piccolo drago che sbuffava fumo dalle corna gli si fece incontro. Davide lo saltò e si mosse veloce per la sala, ignorando le grida della signora dietro al bancone, fino alle scale che scendevano nel seminterrato. Sentì il drago che fischiava, mormorò due imprecazioni a bassa voce e allungò il passo. Alcune persone stavano fumando oppio, erano come circondati dalla nebbia, i tratti del volto indistinti; ne evitò una che dormiva in terra e scostò la tenda di perline colorate che stava in fondo alla stanza.
Trovò due macchine occupate e una terza libera, con la poltrona di pelle rossa scucita e un corvo con un occhio cieco posato sul bracciolo. Si mise seduto, cacciò il corvo, svuotò le tasche sul tavolino e impilò le monete. Si asciugò gli occhi che si erano irritati per il fumo e si mise il casco collegato alla macchina sulla testa. L’uomo che occupava la macchina accanto gemette e l’ago che segnava la sua attività cerebrale graffiò la carta disegnando due lunghe linee orizzontali.
Davide si mise sdraiato sulla poltrona.
Chiuse gli occhi.



«Potrebbe, di grazia, chiedere quantomeno il permesso?» chiese l’uomo che era appena entrato nella stanza. Teneva la tenda scostata e le perline colorate gli cadevano sulla spalla come una treccia. Il corvo gli zampettava tra i piedi, frullando le ali, un occhio bianco e l’altro nero.
Davide provò a sorridere per sembrare disinvolto.
«In realtà non ero sicuro di volerla provare» mormorò, «così mi sono detto: fai tutto d'un botto, veloce, senza pensarci troppo… ecco, mi scusi.»
«Capisco» disse l’uomo, aveva un forte accento francese. Mentre avanzava per la stanza si lisciava i baffi impomatati. Era vestito di nero, con un fiore appassito nel taschino. Davide provò una strana sensazione guardando quei petali secchi, una malinconia sottile che scacciò sbattendo le palpebre.
«Le avevo comunque lasciato il denaro qua» disse Davide, indicando le monete.
«I soldi non sono importanti» sbuffò l’uomo, «mi servono solo per pagare la signora Chang per l’affitto e per acquistare il carbone per far funzionare le macchine. Io faccio un’opera di bene qua, sono un filantropo, capisce?»
Davide scosse la testa, non aveva la più pallida idea di cosa volesse dire filantropo.
«Lasciamo perdere» disse l’uomo, «piuttosto, mi dica chi è e come ha fatto a trovare questo posto.»
«Mi chiamo Davide Amati, lavoro ai depositi di carbone, giù al porto. Sa, nel molo dell’isola Tiberina, ecco, e là c’è questa vecchia locanda dove ho sentito parlare di sfuggita di quello che fa qui e che ci volevano parecchi soldi e io avevo da parte qualcosa, così mi sono informato e…»
«Va bene, va bene» lo interruppe l’uomo, «se è stato così facile trovarmi ne deduco che sia arrivata l’ora di cambiare aria.»
Fece qualche passo e si piazzò davanti alla poltrona. Il corvo si alzò in volo e gli si posò sulla spalla.
«Può chiamarmi Monsieur A» disse, «ora però ho un ulteriore curiosità, mi dica, cosa le hanno detto che faccio qua?»
Davide si guardò le mani.
«Che riesce a rendere reali i desideri» bofonchiò.
«Mon Dieu» sbottò Monsieur A, «direi che non è esattamente corretto. E come dovrei riuscirci?»
Sembrava divertito, sorrideva e si lisciava i baffi.
«Con la macchina analitica» disse Davide, indicando il grosso cilindro di bronzo che stava dietro la poltrona. Di questo era abbastanza sicuro, glielo avevano confermato in tre.
«Questo è il con cosa, non il come. Vede, è necessario che chiunque voglia utilizzare la macchina sia bene informato. Ci sono anche dei rischi.»
Mentre parlava si era tolto dal taschino del panciotto un monocolo. Dopo averlo indossato si era messo a controllare i fogli con le attività cerebrali degli uomini collegati alle altre macchine e a uno dei due pulì la saliva che gli era colata da un angolo della bocca.
«Sa» proseguì, «chi ha inventato quelle macchine?»
Davide scosse la testa e il casco di cuoio si piegò di lato.
«Ada Lovelace» disse Monsieur A, «la figlia di Lord Byron. Prese i progetti del suo maestro, Charles Babbage, perfezionò i suoi studi, ampliò le possibilità con gli studi sul cervello umano e sull’elettricità… mi segue?»
Davide tenne fermo il casco con la mano prima di scuotere nuovamente il capo.
«La farò semplice» disse Monsieur A, «ciò che scoprì è lo stesso principio che permette alle armature meccaniche di acciaio e legno della gendarmeria pontificia di essere una cosa sola con chi le indossa. Riuscì a connettere macchine e pensiero umano. Sa come la chiamava Babbage? L’incantatrice dei numeri.»
Monsieur A annuì soddisfatto e riprese a spiegare:
«Ada dimostrò fin da piccola le sue innate doti di genio, tant’è vero che Lord Byron lasciò i suoi viaggi in giro per l’Europa e tornò in Inghilterra, così da starle vicino.»
Davide si grattò il mento, dove la cinghia di cuoio del casco sfregava sulla pelle.
«Non vedo cosa questo possa…» iniziò a dire, ma Monsieur A lo zittì alzando una mano.
«Ci sto arrivando, mon dieu, che impazienza. Quindi, mentre gli studi sulle intelligenze artificiali e le connessioni tra umani e macchine andavano avanti, Ada e suo padre si dedicarono a qualcosa di più astratto, diciamo, e progettarono queste macchine, che sono in grado di creare una sorta di nuova realtà. Cioè, è il nostro cervello che la crea, dà vita ai nostri desideri inconsci, usa ricordi, esperienze, speranze… ma è la macchina che riesce a potenziare la capacità di creazione, a rendere tutto tangibile, vivido. In una maniera tale che chi la prova non distingue realtà e finzione, non si rende conto neppure di aver iniziato a sognare. La regina Vittoria stessa la usò, ma si spaventò, perché sì, delle volte i nostri desideri inconsci sono terribili, e decise di metterle fuori legge. Ada e Lord Byron scapparono in Francia, dove… sì, mi scusi, la faccio breve, dopo varie vicissitudine io ne sono venuto in possesso.»
Davide intanto si era tolto il casco, le cose andavano per le lunghe e quell’aggeggio era scomodo.
«Lei conosce il mito di Sisifo?» chiese Monsieur A, «No, come non detto, certo che non lo conosce. La farò breve: Sisifo fu condannato da Zeus a portare su per una collina un enorme masso, ma appena raggiunta la cima questo sarebbe rotolato impietosamente giù. E così via, per l’eternità, su e giù.»
Il corvo gracchiò e Monsieur A gli accarezzò le piume.
«Ebbene» continuò, «Lord Byron battezzò questi cilindri macchine di Sisifo, perché, diceva lui, ti portano in cima e poi, inesorabilmente, ti svegli e precipiti.»
«Non capisco però» disse Davide, «perché mi ha detto che devo sapere tutto per decidere se usarle.»
«Perché c’è il pericolo che raggiunta la cima il masso non rotoli giù e lei rimanga per sempre nel mondo che ha creato. Che non si svegli più.»
«Si può morire?»
«Purtroppo sì.»
«Ma se si muore, perché ha detto che si rimane per sempre nel mondo immaginario?»
«Perché la mente può dilatare il tempo. Meglio, qua le cose andrebbero avanti, ma lei rimarrebbe fermo a un singolo istante, che durerà in eterno.»
«Ma sarebbe un istante di felicità, perché è ciò che ho desiderato.»
Monsieur A annuì.
«Perdere tutto ciò che abbiamo per quell'attimo eterno. Io non saprei scegliere. E lei, cosa sceglie?»
Davide parve titubare per un attimo. Poi raccolse il denaro dal tavolino e lo rimise in tasca.
«Magari ci penso ancora» disse.
«In qualunque momento, almeno fino a quando non avrò trovato un altro posto, sarò qua ad aspettarla» disse Monsieur A.
Davide lo salutò con un inchino e lasciò la stanza e la sala da tè.
Raggiunse Porta Portese in qualche minuto, fumando una sigaretta e ascoltando il rombo sommesso delle fabbriche sorte ai piedi del Gianicolo. Abitava in un casermone sulla Portuense, dietro le rimesse per i vaporetti. Una brutta costruzione in mattoni grigi con il tetto a volta puntellato di comignoli sottili, gemella di decine di altri palazzi tutti uguali. La gente che ci viveva li chiamava le “spazzole”, ma a Davide parevano più delle teste con i capelli rizzati. Erano sorti in fretta, quando la fame di alloggi per gli operai era cresciuta nel giro di qualche anno, anonimi e indistinguibili l’uno dall’altro.
Davide si fermò a fumare nei posteggi per i velocipedi. Ogni tanto faceva suonare le monete nella tasca. Non sapeva davvero cosa decidere, quella che Monsieur gli aveva proposto era un’esperienza che avrebbe voluto provare, certo, voleva rompere la noia, la monotonia della sua insulsa esistenza, ma il rischio era davvero troppo alto.
Sentì i trilli dei campanelli, puntuali, segnavano l’ora meglio delle campane. Una marea di operai usciti dalle fabbriche tornavano a casa, pedalando, con i cappelli di feltro calcati in testa e le sciarpe come code. Davide salutò qualcuno che conosceva ed entrò nel palazzo. L’ascensore pneumatico ci mise poco a portarlo al settimo piano. Percorse il corridoio fino alla porta di casa, concentrato sulle decorazioni liberty del tappeto rosso, l’unica macchia di colore concessa dai proprietari degli alloggi. Sospirò prima di entrare.
«Elena» chiamò appena fu dentro, «Sono tornato.»
Tutti i giorni, sempre la stessa frase. Nell’aria c’era l’odore della zuppa di cavolo e una musica tenue, che proveniva dal grammofono a schede forate che tenevano in cucina. Ti preparo il caffè? Pensò Davide.
«Ti preparo il caffè?» urlò sua moglie.
Davide non rispose. buttò il cappotto sul letto ed entrò in cucina.
Elena aggiunse della legna nella stufa e mise sul fornello la caffettiera. La luce rosata del tramonto entrava di sbieco dalla finestra socchiusa, illuminando il tavolino. Davide guardò la moglie che preparava il caffè, i fianchi larghi, i capelli raccolti in una treccia disordinata. Infilò la mano in tasca, per accertarsi che le monete fossero ancora là.
«Ho pensato che quelle avrebbero fatto un po’ di colore» disse Elena.
Davide diede un’occhiata in giro.
«Quelle» insistette Elena, indicando un vaso di petunie con un cucchiaino. Versò il caffè in due tazzine e le portò al tavolo. Davide si concentrò sul liquido scuro, il vapore gli scaldò il naso. Elena sorrise e gli spostò una ciocca di capelli che gli aveva coperto un occhio.
«Com’è andata a lavoro?» chiese.
Davide alzò le spalle, non era mai stato bravo a mentire e il silenzio era un’ottima alternativa.
«Le ho raccolte sulle sponde del fiume» continuò lei, voltandosi verso il vaso di petunie, «mi hanno ricordato il colore dei muri di quella taverna dove andavamo a bere qualche anno fa. Te la ricordi?»
«Non erano di quel colore» disse Davide.
Elena sembrò rifletterci, prese una petunia e se la mise tra i capelli.
«E se ci facessimo una birra?» propose.
«Una che?»
«Dai, una birra, andiamo in centro…»
Per poco Davide non scoppiò a ridere. Quello era il massimo che potevano permettersi, dopotutto.
Elena arricciò il naso, lo faceva sempre quando qualcosa non andava come lei aveva previsto. Anche i suoi occhi, a guardarli bene, erano dello stesso indaco delle petunie. E Davide li guardò bene e li trovò ancora belli. Certo, non gli fecero tremare le gambe o battere più veloce il cuore come da ragazzini, ma gli trasmisero serenità.
«C’è qualcosa che non va?» chiese Elena, «se non ne hai voglia rimaniamo a casa.»
Davide scosse la testa. Non gli andava né di uscire, né di rimanere a casa. La cucina, la sua cucina, dove insieme avevano vissuto e discusso, dove si erano amati e avevano riso e a volte odiati e riconciliati, gli sembrò d’improvviso soffocante. Eppure tutto quello che c’era fuori lo spaventava a morte. Avrebbe dovuto provare la macchina di Sisifo, perché da solo non riusciva proprio a capire che cosa desiderasse.
«Non sono andato a lavoro» si sentì dire.
Elena si accigliò.
«E dove sei andato?» chiese.
«Be’, qua e là» mormorò Davide, «non avevo voglia, ho passeggiato…»
«Hai passeggiato.»
«Te l’ho detto.»
«Di qua e di là.»
Ecco, questo atteggiamento lo irritava. Questo farlo sentire sempre debole.
«Comunque sono cose che non ti interessano» disse.
«Bella questa. Non mi interessano.»
«No, il fatto è… che non è facile immaginare cosa voglia dire stare nei panni di qualcun altro, insomma.»
«Non ho capito.»
«Non puoi capire cosa sia essere me.»
Davide abbassò lo sguardo. Quando lo risollevò per un secondo sembrò che tutto cambiasse colore, che diventasse più scuro. E che Elena non ci fosse. Provò una strana sensazione alla bocca dello stomaco, come di una forte nostalgia, ma per cosa, se lui era là con lei, nella loro cucina, nella loro casa. Ma fu solo per poco. Elena sbatté i pugni sul tavolo e Davide sobbalzò.
«Va bene» disse lei, «vuol dire che a bere quella dannata birra ci vado da sola.»
Si alzò e prese il cappotto dall'ingresso. Davide si morse il labbro. Le monete pesavano nella tasca, ed erano il segno tangibile, la prova certa, che dalla parte del torto fosse lui, qualunque cosa lo avesse mosso ad agire come aveva fatto.
Quando sentì la porta di casa chiudersi, gli sembrò che il mondo perdesse di calore. La stufa era in effetti spenta. Dalla finestra non entrava più la luce del tramonto, ma una d'un crepuscolo scuro, filtrato dai fumi delle fabbriche. La musica era muta.
Sul tavolo il vaso di petunie era vuoto. Qualche fiore secco sparso sul pavimento, gli steli, gialli, abbandonati sul ripiano.
Un corvo con un occhio cieco lo osservava dal davanzale della finestra.
Davide scattò in piedi e la sedia cadde, corse alla porta e la spalancò. Elena aveva fatto solo pochi passi.
«Amore mio!» urlò, «torna indietro, ti prego, io…» cercò qualcosa da dire, ma era un povero ignorante, le parole non erano mai state il suo forte. Sentì le lacrime rigargli il viso, aprì la bocca e ne uscì un borbottio indistinto, il lamento di un animale ferito e impotente.
Elena si girò, anche la petunia che aveva nei capelli si era seccata. Si sistemò la borsetta sulla spalla, pareva assorta in qualcosa di molto distante. Fece un passo, abbozzò un sorriso, un altro passo verso Davide e il fiore riprese colore. Davide udì il grammofono riprendere a suonare. Elena fece ancora un passo.
«Ho proprio voglia di una birra» singhiozzò Davide.
Il sorriso di Elena si allargò. Giù in strada si udì chiaro lo sferragliare del passaggio del tram e il fischio della sua vaporiera. Davide provò un sollievo a quel rumore che non riuscì a spiegare. Protese la mano verso Elena che aprì le braccia e



Monsieur A si avvicinò alla poltrona e controllò l’attività cerebrale di Davide. Vide che si era svegliato e lo aiutò a bere un poco d’acqua. Ogni volta il ragazzo rimaneva addormentato più a lungo. Portava su il masso, sempre più in alto, e ogni volta, come Sisifo, com’era inevitabile, il masso rotolava e tornava giù.
Ormai Monsieur A conosceva bene questo ragazzo. Viveva da solo perché la moglie era morta un anno prima, travolta da un tram poco distante da casa. Nell’ultimo periodo arrivava di corsa, metteva il denaro sul tavolino e si attaccava da solo alla macchina. E anche quel giorno, quando aveva sentito fischiare il drago da guardia, era corso nella sala delle macchine di Sisifo, già certo di trovarlo là, addormentato.
«Stavolta ci stavo per riuscire» bisbigliò Davide, «stavo per raggiungere la cima…»
Un rivoletto di sangue gli colava dal naso sulla guancia, fino all’orecchio. Monsieur A glielo asciugò e sorrise.
«Non si sforzi» disse, «si riposi ancora un po’.»
«Il tram era passato» biascicò Davide, «sono sicuro che se riuscissi a non svegliarmi più starei con lei per sempre. La mente può dilatare il tempo all’infinito, me lo ha promesso…»
«Certo, ma qua, nella realtà, morirebbe… se lo ricordi» disse Monsieur A. Era un’ovvietà, ma era anche suo dovere ripeterla.
«Non importa, se lei… se io… e quei fiori sarebbero ancora vivi.»
Monsieur A scosse la testa, il ragazzo stava vaneggiando. Doveva lasciarlo riposare in pace.
Uscì dalla stanza scostando la tendina e attraversò lo stanzone saturo dei fumi d’oppio. Osservò distratto gli uomini abbandonati sui cuscini e sdraiati per terra. Non li giudicava, era un modo come un altro per fuggire, per dimenticarsi del mondo che li opprimeva. Ciò che offriva lui non era poi così diverso.
Aveva bisogno di un po’ d’aria. Indossò il cappotto e il cilindro e uscì. Il corvo lo seguiva volando basso, invisibile nel buio della notte. Sul lungotevere alcuni uomini stavano finendo di accendere i lampioni. Con i lunghi bastoni davano fuoco agli stoppini delle lampade e poi richiudevano le scatole di vetro. Presto tutta la via sarebbe stata illuminata, cancellando le stelle.
Si fermò vicino agli argini del Tevere. Il fiume era nero come olio vecchio. Sullo sfondo i nuovi ponti di ferro e tiranti d’acciaio sembravano ragni. L’aria puzzava di carbone e segatura bagnata. Un aereonave passò sopra la città, ne distinse chiaramente il ronzio delle eliche. Le finestre dei palazzi erano tutte buie. Sentì un cane abbaiare, lontano, e il trillare della campanella di una pattuglia che compiva una ronda. Il vento sporco gli faceva schioccare il cappotto sulla schiena. Strinse i pugni. No, non si sarebbe arreso. Avrebbe spostato di nuovo le macchine, avrebbe continuato a regalare un po’ di speranza, anche se finta, alle persone prigioniere di questo mondo morente. Lo aveva deciso quando aveva portato via da Parigi le ultime tre macchine di Sisifo, dopo aver trovato morti sia Ada che Lord Byron, uccisi dalle loro stesse creazioni. Sì, avrebbe continuato.
Fischiò per richiamare il suo corvo e si nascose tra le ombre di Trastevere.
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Messaggio Da Petunia Mar Dic 06, 2022 7:53 am

Quando aprì la porta suonò un piccolo drago che sbuffava fumo dalle corna gli si fece incontro.
(Questa frase non gira bene. Non si capisce. Chi suona?  Chi è che va incontro al protagonista?)


Oohhh, finalmente un bellissimo racconto (Non me ne vogliano gli altri!) che ho letto d’un fiato. Autore, la tua storia mi ha tenuta incollata dalla prima all’ultima parola. È una bella storia (anche se in alcuni aspetti non originalissima) ben costruita. 
Non ci si annoia mai leggendo e anche se, più o meno, si capisce dove si va a parare, la tensione narrativa regge. 
Le parti deboli sono la cucina, stanza che viene fagocitata dal resto della storia senza esserne protagonista, e la mancanza di una buona revisione del testo. Punteggiatura da rivedere e altre imprecisioni che denotano, forse, un invio affrettato del lavoro.
Comunque mi è proprio piaciuto. 
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Messaggio Da Arunachala Mar Dic 06, 2022 4:17 pm

Quando aprì la porta suonò un piccolo drago che sbuffava fumo dalle corna gli si fece incontro.


questa frase balza agli occhi per la mancanza di significato. probabilmente manca qualche virgola, come in altri punti della storia che, nel complesso, mi è piaciuta parecchio.
certo, la cucina è come se non ci fosse, e questo potrebbe penalizzare, ma il resto è a posto.
e la storia in sé è davvero bella e coinvolgente, assorbe il lettore e lo trascina all'interno delle righe, facendogli vivere sensazioni ed emozioni.
complimenti.

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Messaggio Da tommybe Gio Dic 08, 2022 4:56 pm

Piaciuta molto anche a me questa storia. C'è lotta, c'è intimità, c'è una strana sofferenza che chiamerei 'amore'.
Le macchine di Sisifo sono un' invenzione narrativa formidabile.
Avrò tempo per rileggerlo almeno dieci volte questo racconto, solo per provare lo stesso piacere di lettura e ripeterlo.
Si capisce tutto subito e bene.
Le informazioni turistiche sulla città sembrano un inutile orpello, ma non lo sono. Chapeau.
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Messaggio Da Danilo Nucci Sab Dic 10, 2022 2:58 pm

L’ho riletto tre volte, non tanto per capirlo meglio, quanto per il piacere di rileggerlo.
Confermo che il genere non è proprio il mio, ma la storia è avvincente e raccontata benissimo, senza vizi formali, con rigorosi riferimenti storici che mi hanno stimolato ad approfondire l’argomento. Conoscevo Babbage ma non sapevo niente di Ada Lovelace e leggere la sua storia è stato affascinante e una vera sorpresa.
Già questo giudizio è sufficiente per tenerti in debita considerazione per i primi posti.
Se poi si guarda il pelo nell’uovo, la cucina c’è e non c’è e i tre vincoli (Lord Byron, corvo, petunia) sono presenti solo marginalmente, in particolare il primo, citato più che altro come padre di Ada.
Mi piacerebbe (ma qui si rientra nei gusti strettamente personali) rileggere una versione liberata dagli stretti paletti della prova, in cui la storia si svolga con le stesse dinamiche in un tempo ben definito, (per esempio primo novecento) liberato da piccoli draghi sbuffanti, ascensori pneumatici, grammofoni a schede forate, aereonavi  ecc. pur mantenendo l’idea formidabile della macchina di Sisifo.
Veramente un ottimo lavoro, in ogni caso.
 
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Messaggio Da Antonio Borghesi Dom Dic 11, 2022 7:00 pm

La seconda bella storia che mi si presenta. Tutto veramente ben congegnato e con una splendida fantasia. Ho solo inciampato in quella frase iniziale del drago ma poi tutto è filato liscio fino in fondo. Ada Lovelace è stata la prima programmatrice di quelle macchine numeriche che sono poi diventate computer e io, che nasco programmatore nel '58,  la considero la mia Santa protettrice. Mi ha fatto piacere ritrovarla. Ottima storia.
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Messaggio Da Arianna 2016 Mar Dic 13, 2022 12:43 am

Davvero un bel racconto. Dolente, malinconico. Ottima la scrittura. Ci sono un paio di errori che credo siano solo dovuti a una svista in fase di revisione finale, quando si taglia e incolla e ci si dimentica di sistemare le concordanze nei pezzi modificati.
Hai creato un’atmosfera molto suggestiva.
L’unica parte che dà un po’ l’impressione del “troppo raccontato” è quella della spiegazione data da Monsieur A, ma in effetti non vedo in quale altro modo avresti potuto risolvere il problema di, appunto, spiegare tutto al lettore, anche perché obbligato a inserire il riferimento a Lord Byron. Credo che questo racconto, già bello di suo, meriti un’aggiustatina al di fuori dei vincoli del contest.
Bello l’utilizzo originale del mito di Sisifo, bello l’uso delle petunie.
L’unica cosa che non mi suona benissimo è il percepirsi di Monsieur A quasi come un benefattore, quando in realtà sa che la sua macchina finisce talvolta (spesso?) per uccidere. Però, appunto, è una sua percezione, quindi “ci sta”.
Un ottimo lavoro.
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Messaggio Da FedericoChiesa Mer Dic 14, 2022 12:50 am

Devo dire che all'inizio non pensavo avrei dato un giudizio positivo a questo racconto.
Invece ne guadagna man mano che lo si legge, avvolgendosi anche di una romantica melanconia.
Ottima l'idea di accostare i pistoni al mito di Sisifo: centrata e originale.
Non penso si possa fare a meno del raccontato in questo genere di racconti. Avrei però evitato qualche aeronave e altri riferimenti che non mi sembrano tra l'altro centratissimi con il genere steampunk.
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Messaggio Da Achillu Gio Dic 15, 2022 4:25 pm

Ciao Aut-

Segnalo questa frase che, priva di punteggiatura, è poco chiara: "Quando aprì la porta suonò un piccolo drago che sbuffava fumo dalle corna gli si fece incontro."
Alcune frasi pronunciate da Davide sono da rivedere. Per esempio "Ma se si muore, perché ha detto che si rimane per sempre nel mondo immaginario?" "Ma sarebbe un istante di felicità, perché è ciò che ho desiderato." Mi sembrano un po' complesse per uno che aveva infarcito appena prima una frase piena di "e" e di cui il narratore dice "le parole non erano mai state il suo forte".
Hai voluto fare lo spiegone, ne eri consapevole perché il narratore mette in bocca a Monsieur A la frase "è necessario che chiunque voglia utilizzare la macchina sia bene informato" e a Davide "Non vedo cosa questo possa…" Adesso, però, sinceramente: quanto di tutto ciò che racconta Monsieur A è effettivamente necessario perché Davide comprenda quanto la macchina sia pericolosa? Che Charles Babbage sia stato maestro di Ada Lovelace? Che Lord Byron abbia abbandonato i viaggi per tornare in Inghilterra?
Ti faccio notare una cosa: nonostante nel racconto le macchine siano state inventate da Ada Lovelace, la narrazione parla quasi esclusivamente di "Ada e Lord Byron" anziché di "Ada Lovelace e suo padre" come sarebbe stato più coerente e logico.
Ci sta, invece, che il nome "macchine di Sisifo" sia stato ideato da uno scrittore anziché dalla loro inventrice.
Mi è piaciuto molto come hai introdotto il mondo onirico; già mi si era rizzata l'antenna quando ho letto del corvo che da cieco da un occhio diventa con un occhio nero e uno bianco. Poi quando Monsieur A dice "non si rende conto neppure di aver iniziato a sognare" ho intuito che Davide stava già sognando. Non mi sono sentito ingannato, insomma. Poi i colori in cucina che vanno e vengono sono un bijou, piaciuto tantissimo.
Di solito non mi piace quando cambia il punto di vista del narratore, che in questo racconto passa da focalizzato su Davide (prima reale e poi onirico) a focalizzato su Monsieur A; però in qualche modo ce l'hai fatta a farmelo digerire lo stesso ma non ho capito perché. Potrebbe essere lo stacco dal mondo onirico al mondo reale? Boh. Forse.
Mi è piaciuta molto la costruzione del mondo, davvero molto steampunk per quel poco che conosco il genere, anche se io di solito preferisco lo steampunk ucronico ambientato nel periodo odierno. In alcune scene mi sembrava davvero di essere in una Roma alternativa e fortemente industrializzata, bellissime le "spazzole".
Ho notato che hai inserito quattro paletti, ho anche la mia idea del perché. Però devo dire che tutti e quattro sono molto pertinenti con le richieste di questo step; il migliore in assoluto è Sisifo, secondo me. Poi va da sé che io sono innamorato di Ada Lovelace e quindi Lord Byron (per luce riflessa) lo metto al secondo posto. Molto bene la cucina, luogo protagonista per le scene del mondo onirico.

Grazie e alla prossima.

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Messaggio Da Asbottino Dom Dic 18, 2022 3:42 pm

Beh che dire? Il racconto è splendido. A me quello che manda fuori di testa è l'attenzione ai dettagli. Leggendo certi passaggi mi sembra che l'autore ci veda meglio di me, che posti di fronte alla stessa scena lui riesca a vedere cose che io non riesco nemmeno a immaginare. E sto parlando solo di vista, non di scrittura. Quella è un altro paio di maniche. La scena finale per le strade di Roma è fantastica e rappresentativa dalla "vista" di questo autore e della sua capacità di rendere in parole quello che vede.
Ma al di là delle qualità tecniche il racconto è dannatamente malinconico, probabilmente la temperatura emotiva in cui mi sento più a mio agio, che cerco nelle mie storie e in quelle degli altri. Forse ci sarebbe stato bene qualche sorriso qua è là, nella scena della cucina ad esempio, ma fin dall'inizio appare come un chiaro tentativo di evitare una tragedia destinato però a fallire. Non si stacca dall'atmosfera cupa del resto, nonostante i fiori sembrino riprendere colore.
Sulla cucina posso dire che è sicuramente un elemento portante. Lo è in quanto stanza. E forse questo è un piccolo difetto. Mi spiego: la capacità dell'autore è tale che sarebbe stato in grado di agganciare alla vicenda qualunque stanza e girare quella scena in salotto, come in camera da letto o altrove, semplicemente cambiando alcuni dettagli. Insomma il masso è in cucina, ma la mia impressione è che il masso sia in una stanza che in questo specifico caso è la cucina e basta. C'è il caffè, c'è l'odore di zuppa da cavoli, ma la ragion d'essere della cucina non è così profonda, il suo esistere come stanza all'interno di una casa non la ragione della sua esistenza nel racconto. Questo non toglie nulla al fatto che è perfetto per questo step, perfetto per questo contest, e oltretutto sta in piedi ed è ottimo anche al di fuori. Insomma sto veramente andando a cercare il pelo nell'uovo, me ne rendo conto.
L'altro pelo, se vogliamo, e te lo hanno già fatto notare, è tutto lo spiegone sulla macchina. In effetti è l'unico momento in cui il masso non sembra muoversi di un centimetro. Ma anche qui parliamo di dettagli che nulla tolgono alla qualità complessiva. Il masso non arriva mai in cima ma mi auguro che questo racconto ci riesca.

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Messaggio Da Nellone Mar Dic 20, 2022 9:05 am

Scrittura di ottimo livello (a parte qualche perdonabilissimo errore), molto ricca di particolari ma sempre leggera e comprensibile. Anche la storia, originale e ben strutturata, viene condotta magistralmente, con i giusti picchi di tensione e un finale che riannoda bene quanto seminato, pur senza nulla di eclatante. Anche l’ambientazione è steampunk nel modo giusto, con qualche elemento qua e là che rende una certa naturalezza alla narrazione, senza stramberie.
Veniamo ora all’uso dei paletti: Sisifo presente molto bene, Lord Byron tirato un po’ per i capelli; corvo e petunia che sì, ci sono, ma non hanno di certo un ruolo determinante. Il problema vero e proprio sta nella cucina, che è una fugace comparsa. Che il protagonista veda la dipartita della sua amata dalla finestra della cucina, del salotto o del bagno non avrebbe fatto nessuna differenza e, allo stesso modo, l’impianto principale della storia, basato sulla macchina di Monsieur A, non la tange minimamente. Insomma, se fosse stata più presente avrei sicuramente assicurato al racconto una posizione elevata della mia classifica ma così, ovvero senza la difficoltà di un’ambientazione calzante con la stanza selezionata, non so ancora decidermi.
Nel complesso, comunque, i miei complimenti per uno stile e una conduzione davvero di alto livello!

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Messaggio Da Byron.RN Mar Dic 20, 2022 4:55 pm

Il racconto mi è piaciuto e questo è un fatto.
Il racconto è scritto molto bene e questo è un altro fatto.
Il gusto personale influisce nel giudicare un racconto e questo è il fatto più incontrovertibile di tutti.
Però la mia disciplina m'impone di giudicare a dovere due aspetti che in racconti che mi sono piaciuti meno ho evidenziato senza sconti.
Il primo è la spiegazione che Monsieur A rende a Davide, soprattutto la parte che riguarda Babbage, Lord Byron e sua figlia: per Davide che utilità hanno quei riferimenti? È chiaro che si tratta di un escamotage che serve solo all'autore.
Secondo punto la cucina: ha un ruolo marginalissimo e siamo tutti d'accordo che forse tra tutti i paletti quello della stanza dovrebbe essere quello più caratterizzante. Nell'economia della tua bella storia quale differenza ci sarebbe stata se i due invece che in cucina fossero stati in salotto a sorseggiare un the, in camera da letto a discutere o in una qualsiasi altra stanza?
Credo nessuna. Lo rileggerò sicuramente, per provare a individuare valenze nella cucina che non sono riuscito a trovare, ma soprattutto per godermelo ancora.
Sulla classifica però, e mi dispiace dirlo, quei due aspetti che ho indicato peseranno.
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Messaggio Da SuperGric Ven Dic 23, 2022 7:44 am

Che bel racconto!
È affascinante l’ambientazione romana: è una scelta non dettata da esigenze di trama e ciò la rende ancora più interessante, con i dettagli di una trasformazione industriale che avvicina la Città Eterna alla Londra ottocentesca, in una fusione straniante e splendida. Complimenti.
 
La prima parte mi ha tenuto incollato al racconto per cercare di capire di più su questa macchina. Poi questa curiosità è andata un po’ a sbattere contro l’eccessiva spiegazione sulla storia di Lord Byron, Babbage, Ada, la regina Vittoria, ecc. troppo dettagliata. Forse si può trovare il modo di ridurre e tagliare per rendere il dialogo più credibile. Ma i paletti sono i paletti…
Si intuisce abbastanza in fretta che tutta la scena nella cucina è frutto della macchina, ma è resa molto bene e comunque tiene alta la curiosità, dunque anche se non arriva la sorpresa va bene lo stesso.
Il personaggio di Davide forse non è centratissimo. È un povero portuale, ma ha comportamenti, voce e soldi da persona più istruita e ricca.
Il finale: forse per una mia lettura superficiale avevo capito che fosse Davide a vagare per Roma, e ho dovuto rileggerlo quando ho capito che invece si trattava di Monsieur A. Questo cambio di punto di vista mi ha reso la lettura un filo più complessa.
Ho notato un piccolo errore: un ulteriore curiosità senza apostrofo.
Il nome “la macchina di Sisifo” è fantastico.
Complimenti.
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Messaggio Da paluca66 Mar Dic 27, 2022 7:37 pm

Errori / refusi non ce ne sono: solo la punteggiatura ogni tanto andrebbe sistemata anche se solo all'inizio c'è una frase che, proprio a causa di punteggiatura mancante, risulta abbastanza incomprensibile.
Quando aprì la porta suonò un piccolo drago che sbuffava fumo dalle corna gli si fece incontro.
Paletti: bene Byron, le petunie e i corvi, le dolenti note sono sulla cucina, decisamente marginale; dovrò decidere quanta importanza dare a questo aspetto nel giudizio complessivo rispetto agli altri racconti.
Sul genere, qui mi sembra di essere più sul gotico che sullo steampunk e forse per questo tra tutti gli steampunk in cui mi sono imbattuto (ormai ne ho perso il conto) 
questo mi è sembrato decisamente il più bello e coinvolgente.
Anche la scrittura mi sembra adatta a un racconto gotico e forse il solo appunto che mi sentirei di farti è sul fatto che alcuni dialoghi di Davide appaiono troppo "forbiti" per il tipo di personaggio che hai voluto creare.
Un'ultima osservazione su Monsieur A: mi ha fatto pensare al "diavolo" di molti racconti gotici, mi ha fatto pensare al diavolo di "Cose preziose" di Stephen King per quasi tutto il racconto ma poi c'è quel finale, quella frase No, non si sarebbe arreso. Avrebbe spostato di nuovo le macchine, avrebbe continuato a regalare un po’ di speranza, anche se finta, alle persone prigioniere di questo mondo morente. troppo buono per essere il diavolo!

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Messaggio Da ImaGiraffe Gio Dic 29, 2022 11:16 am

Il racconto si legge con piacere ma per tutto il testo ho avuto l'impressione che la trama non fosse attinente al genere. È come se il genere fosse qualcosa in più in un racconto che vuole parlare di altro. Insomma il genere non mi pare così centrato. 
In realtà tutti i paletti non sembrano necessari. Per non parlare della cucina che è solamente un luogo e basta se leggessi questo racconto e qualcuno mi chiedesse che stanza fosse, avrei risposto, scantinato o cantina.
Un'altra cosa che mi ha appesantito il racconto è lo spiegane iniziale di Monsieur A. Se fossi stato un cliente me ne ne sarei andato per la troppa invadenza. 
In conclusione il racconto non mi colpito.
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Messaggio Da Susanna Ven Dic 30, 2022 11:55 pm

Un racconto letto tutto d’un fiato, i piccoli inciampi (qualche caso di punteggiatura mancante e un paio di frasi da rivedere) si sono persi in una trama dagli spunti particolari per inserire il genere strampunk, molto futuristi per il passato, ma di attualità per gli studi scientifici che si stanno compiendo sui meccanismi della mente per esempio.
Una storia in cui c’è buon equilibrio tra la vicenda di base e le nozioni necessarie per inserire i paletti, nozioni ben strutturate all’interno anche dei dialoghi in modo da non essere troppo “enciclopediche”.
Una vicenda non originalissima, questo va detto, ma non è un delitto riprendere qualcosa che ha funzionato e presentarlo in un’ulteriore versione: un uomo tormentato dal dolore che cerca il modo per tenere ancora con sé la persona amata, pur nella consapevolezza dell’irrealtà della situazione e dei mezzi utilizzati per rimanere in quegli attimi che avevano riempito la sua vita.
Quindi, a parte quest’ultima considerazione, il racconto mi è piaciuto, il ritmo ha tenuto bene anche nella parte centrale dedicata alle info sugli studi di Ada Lovelace. Qualche frase andrebbe sistemata, ma nel complesso ho trovato la scrittura scorrevole, i dialoghi ben strutturati per sostenere la trama, senza una presenza eccessiva dei paletti.
La cucina invece è davvero marginale, poteva essere qualsiasi altra stanza.

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Messaggio Da Fante Scelto Lun Gen 02, 2023 4:03 pm

L'idea alla base di questo racconto, la dimensione onirica come rifugio dalla piattezza della vita, è un grande classico. Che non vuol dire banale, vuol dire difficile da proporre in chiave originale.
Se non sbaglio, nel film Inception c'è un locale con macchine dei sogni per evadere dalla realtà.
Qui l'originalità è tutta nell'uso del paletto "Sisifo" (penso sia l'unico che ho incontrato in tutto lo step).
Una scelta che, unita alla malinconia del testo, crea un'amalgama vincente.

Mi è piaciuto il modo in cui Davide vive il sogno di sua moglie, dapprima come fosse tutto normale, poi con piccoli dettagli che portano il lettore a capire l'inganno (i fiori che appassiscono, i colori che vanno via, ecc.)
Certo, si è portati subito a pensare che sia tutto un effetto della macchina, dopotutto Davide ci era attaccato prima del cambio di scena, ma è tutto gestito con tale naturalezza da convincere, almeno per un po', che invece Davide si sia alzato e se ne sia andato davvero.
Da questo punto di vista, ma non ne sono sicuro, anche il pippone di Monsieur A potrebbe far parte del sogno, rendendolo quindi più "credibile" rispetto all'espediente (poco riuscito) di raccontare la storia dei macchinari.
Sono dubbi positivi, nel senso che non è fondamentale fugarseli né inficiano la gradevolezza del racconto.

Molto bene l'uso dei paletti, ne ho criticati molti ma negli ultimi che sto leggendo trovo soddisfazione.
Il solo Byron è più che altro una menzione, ma con petunie, Sisifo e corvo si compensa ampiamente.
La cucina non è portante come in altri racconti, ma se quella era la stanza in cui si svolgeva la maggior parte della vita coniugale e comunque il regno di Elena, per me ci sta.

Molto toccante il concetto, sul quale non hai messo molta enfasi ma è perfetto così, del ciclico tentare da parte di Davide di raggiungere la cima della salita, quel punto in cui riuscirà a evitare la morte di sua moglie.
Il che, a voler essere puntigliosi, fa sembrare questa fissazione disperata più un cliché del viaggio nel tempo che non nella dimensione onirica, dove certi limiti terreni, come la morte, possono essere superati senza bisogno di alterare il passato.

Se non ho finora detto nulla sul genere steampunk, è perché l'ho trovato ben reso, con una evocativa suggestione di Roma, con poche ma decise pennellate che non lasciano dubbi sul trovarsi in un mondo alternativo. Le armature pontificie interconnesse a chi le indossa sono quelle cose che mi danno brividi di soddisfazione. 

L'unica cosa che non mi è piaciuta moltissimo, è lo stile di scrittura.
C'è tanto narratore onnisciente e in un paio di punti si sente letteralmente l'intrusione dell'autore nel testo. 
Molto bene invece la parte finale con la passeggiata meditabonda di Monsieur A.

In definitiva un lavoro molto buono che si merita un probabile posto in cinquina.
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Messaggio Da Molli Redigano Mar Gen 03, 2023 11:49 pm

Tutti vorremmo provare le macchine di Sisifo? La risposta è sì. Perché tutti, bene o male, abbiamo un attimo che vorremmo rendere eterno, nel bene e nel male. Questo non ci fa disprezzare ciò che abbiamo, anzi lo valorizza: fuggire fa parte del nostro essere e perché liberi la mente, bisogna saperlo fare. Un po' come dice Monsieur, che mette in guardia i suoi clienti informandoli di ciò che stanno per fare.

Scritto bene, un'ambientazione romana da manuale. Concordo, un racconto da rileggere, una storia intrigante e triste allo stesso tempo. Anche molto attuale se vogliamo, visto il mondo nero, come il carbone, nel quale consumiamo la nostra esistenza.

Grazie

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Messaggio Da caipiroska Mer Gen 04, 2023 11:39 pm

Davvero un bel racconto!
$ono rina$ta colpita dalla naturale++a con la quale racconti il cambio di pro$pettiva, quando $ogno e realtà 4me$colano e poi $i $cambiano, regalando al te$to un ina$pettato e a++eccati$$imo tocco di tri$te++a e malinconia.
Lo $piegone di Mon$ieur A l'ho trovato un pò pe$ate e for$e troppo lungo nell'economia del racconto: in definitiva più che a Davide $piega qualco$a a noi.
Nel primo capover$o ho notato che nomini 5 volte il nome di Davide: ciò è un pò ridondante, in quanto è l'unico per$onaggio in $cena e tutta l'atten+ione è incentrata $u di lui, quindi il lettore non ri$chia di confonderlo con altri per$onaggi.
La cucina appare poco ma l'ho percepita molto adatta allo $copo: è il cuore della ca$a, luogo intimo e pre+io$o dove il protagoni$ta vive all'infinito que$to lungo addio.
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Messaggio Da vivonic Dom Gen 08, 2023 12:24 pm

Ciao, Autore.
A me dispiace dirlo, ma non l'ho letto volentieri questo racconto che, da un punto di vista il più oggettivo possibile, meriterebbe un posto in antologia. Io però non amo il genere e devo dire che mi aspettavo molti più racconti così; invece ho scoperto di essermi innamorato di alcuni racconti di questo step e, in generale, di averli letti tutti con piacere. Questo no: la parte iniziale è stata proprio insormontabile. Mi sembrava uno di quei manuali universitari che ti costringono a studiare cose di cui non ti frega niente. Ma poi, voglio dire: era così importante tutto quello spiegone? Per chi, esattamente? Non certo per i tuoi personaggi; forse per i tuoi lettori? Ma questo sarebbe ancora peggio, per i noti motivi che sai da solo senza che io li esprima. 
Alla fine prenderai un sacco di voti ed è giusto così; ma è altrettanto giusto che, nella mia classifica di gradimento personale, questo racconto è molto in basso. E questo nulla toglie al valore intrinseco del tuo testo, ovviamente.

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Un giorno tornerò, e avrò le idee più chiare.
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Messaggio Da Menico Lun Gen 09, 2023 4:40 pm

Storia con riferimenti storici precisi, la lettura è scorrevole nonostante la già citata frase del drago. Non mi ha preso molto la prima parte, mentre la seconda mi ha procurato emozioni.
Ottimo lavoro.

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Messaggio Da Akimizu Lun Gen 09, 2023 11:35 pm

Ciao autore, ho letto con piacere il tuo racconto, nonostante ti rimproveri una scarsa originalità nel plot della trama. Quello che più mi ha colpito è infatti l'ambientazione, questa Roma stravolta dalla rivoluzione delle macchine, con un porto (un progetto che tra l'altro è esistito davvero) le fabbriche a ridosso del Gianicolo e addirittura una Chinatown a Trastevere. Non capisco bene l'ucronia, ma posso ipotizzare che pur essendo alla fine del 1800 o giù di lì ed essendo ancora in giro la gendarmeria pontificia qualcosa di storto deve essere successo. Anche il termine "gendarmeria", così francese, potrebbe suggerire qualcosa, visto anche la nazionalità di Mns A. Va be', sto divagando. Resta quindi un genere di sicuro centrato, una buona scrittura, ma poca verve nella trama. A rileggerci!
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Messaggio Da Akimizu Gio Gen 12, 2023 10:12 pm

Grazie a tutti per i commenti, belli e brutti s'intende. Molte criticità mi erano note, compreso lo spiegone (che ho odiato mentre lo sistemavo), ma ci tenevo a buttare giù qualcosa rispetto al contesto, a cosa fossero queste macchine e soprattutto a parlare di Ada, più che altro come cameo a "La macchina della realtà" cioè l'opera che ha inventato lo steampunk. Perdonatemi per questa volta, non lo faccio più. La frase: Quando aprì la porta suonò un piccolo drago che sbuffava fumo dalle corna gli si fece incontro, è invece frutto di un errore di taglio in fase di revisione, che sinceramente non so spiegarmi. La frase inizialmente doveva essere: Quando aprì la porta suonò un piccolo campanello ect ect poi ho deciso di cambiare il campanello con un drago da guardia e non ho davvero capito com'è possibile che ne sia venuto fuori questo minestrone. Perdonatemi anche questa eheh
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